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Ex moglie rinuncia alla professione per dedicarsi alla famiglia, sì all'assegno divorzile

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.1996 del 23/01/2023

L'ex moglie che durante il matrimonio rinuncia alla propria attività professionale per dedicarsi alla famiglia ha diritto all'assegno divorzile?

E' il quesito di cui si occupa la Sezione Prima della Cassazione con l'ordinanza n. 1996 del 23 gennaio 2023.

Per risolverlo la Suprema Corte richiama l'orientamento delle Sezioni Unite (n. 18287/2018) secondo cui:

  • il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio non può più costituire il parametro al quale fare riferimento per la determinazione dell'assegno divorzile, dovendo piuttosto il giudice avere riguardo alla indipendenza economica intesa come disponibilità di mezzi adeguati tali da consentire una vita dignitosa ed autosufficiente secondo una valutazione di fatto riservata al giudice di merito;
  • l'assegno divorzile ha anche una funzione compensativa o perequativa nel caso in cui risulti che il coniuge meno abbiente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi completamente alla famiglia nell'ambito di una scelta condivisa dei due ex coniugi che così hanno inteso impostare la vita in comune ed attribuirsi, di comune accordo, differenti ruoli ed attività nella gestione della vita familiare.

Nel caso di specie, la Cassazione conferma il diritto della ex moglie a ricevere un assegno divorzile, stante la sua precaria situazione economica frutto delle scelte prese di comune accordo in regime di matrimonio.

Tuttavia in ordine al quantum dell'assegno, la Suprema Corte cassa la sentenza della Corte d'appello che lo aveva aumentato in misura rilevante rispetto a quello stabilito in sede di separazione, non spiegandone adeguatamente il motivo. In particolare i giudici di merito non avevano preso in considerazione il decremento reddittuale subito dal coniuge onerato, ritenendo di parametrare la liquidazione dell'assegno alla "necessità di stabilire la reale entità della sperequazione reddittuale e patrimoniale esistente tra i coniugi" piuttosto che ai citati criteri assistenziali e compensativi.

Assegno divorzile, funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, finalità, contributo dell'ex coniuge economicamente più debole

La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

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Cassazione civile sez. I, Ordinanza 23/01/2023 n.1996

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Parma, pronunciando nel giudizio di divorzio tra i coniugi G.C. e P.M.C. stabilì un assegno divorzile di 6.500,00 Euro mensili posto a carico del G. a favore della ex-coniuge ed eliminò l'assegno di mantenimento per i figli della coppia ormai indipendenti fissato nella misura di 1.000,00 Euro mensili per ciascun figlio.

G.C. impugnò la sentenza di primo grado e la Corte di Appello di Bologna con sentenza in data 15/9/2020 respinse l'appello principale e quello incidentale avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Parma, confermando in Euro 6.500,00 la somma che il G. doveva versare mensilmente in favore dell'ex coniuge.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione G.C. affidato a sette motivi e memoria.

P.M.C. resiste con controricorso e memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo e secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 898 del 1970, art. 5 comma 6 in riferimento all'art. 360 comma 1 n.3 c.p.c. in quanto il giudice territoriale, senza tenere conto dei principi affermati da questa Corte in tema di natura perequativa-compensativa dell'assegno divorzile, ha fissato in Euro 6.500,00 la somma mensile da versare in favore dell'ex coniuge del ricorrente, tenendo conto della disparità delle relative condizioni economiche delle parti in quanto mentre il ricorrente è imprenditore, la moglie non gode di alcun reddito.

Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza in riferimento all'art. 360 comma 1 n.4 c.p.c. in quanto il giudice territoriale non ha spiegato la ratio decidendi dell'importo così come determinato in Euro 6.500,00.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 898 del 1970 art. 5 comma 6 in riferimento all'art. 360 comma 1 n.3 c.p.c. in quanto il giudice territoriale, senza tenere conto dei principi affermati da questa Corte in tema di natura assistenziale e perequativa-compensativa dell'assegno divorzile, ha fissato in Euro 6.500,00 la somma mensile da versare come assegno divorzile, aumentando senza fatti sopravvenuti, l'importo di Euro 4.000,00 statuito in sede di separazione.

Con il quinto e sesto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia in riferimento all'art. 360 comma 1 n.5 c.p.c. omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in quanto il giudice territoriale nel fissare in Euro 6.500,00 la somma mensile da versare, non ha tenuto conto di una serie di circostanze quali il pensionamento del G., la contrazione del suo reddito ed altre.

Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Occorre premettere che la nota sentenza a Sezioni Unite n. 18287 del 11/07/2018 ha attribuito una funzione assistenziale, compensativa e perequativa ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno divorzile stabilendo che: "Il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, , richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.

La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Pertanto ai fini dell'attribuzione e della quantificazione dell'assegno divorzile deve tenersi conto delle risorse economiche di cui dispone l'ex coniuge più debole e se tali risorse siano sufficienti ad assicurare una esistenza libera e dignitosa ed un'adeguata autosufficienza economica, nonostante la sproporzione delle rispettive posizioni economiche delle parti".

Dalla massima sopra riportata risulta evidente che il tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio non può più costituire il parametro al quale fare riferimento per la determinazione dell'assegno divorzile, dovendo piuttosto il giudice avere riguardo alla indipendenza economica intesa come disponibilità di mezzi adeguati tali da consentire una vita dignitosa ed autosufficiente secondo una valutazione di fatto riservata al giudice di merito (Cass.Sez.1/6 n.3015 del 2018).

Nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte risulta altresì che l'assegno divorzile ha anche una funzione compensativa o perequativa nel caso in cui risulti che il coniuge meno abbiente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi completamente alla famiglia nell'ambito di una scelta condivisa dei due ex coniugi che così hanno inteso impostare la vita in comune ed attribuirsi, di comune accordo, differenti ruoli ed attività nella gestione della vita familiare.

Nella fattispecie la sentenza impugnata, nello stabilire l'entità dell'assegno divorzile in Euro 6.500,00 ha disatteso quanto sopra riportato e non ha dato conto adeguatamente della determinazione dell'importo stabilito aumentando in misura rilevante l'importo dell'assegno riconosciuto in sede di separazione (4.000,00 Euro) senza indicare alcun fatto sopravvenuto.

La Corte ha quindi dato atto che la P. nel 1990 dopo la nascita del terzo figlio aveva lasciato la propria attività lavorativa di commercialista ed attualmente non ha redditi propri, essendosi dedicata alla cura dei figli mentre il G. risulta essere socio e a.d. della G. srl (con utili non distribuiti di 3.577.605,00) che commercializza salumi e gode di un reddito elevato oltre essere proprietario di immobili.

Per un verso dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che la P. ha contribuito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune sulla base dell'impostazione concordata tra i coniugi in relazione alla vita coniugale e familiare. La sentenza impugnata ha altresì preso in esame le condizioni economiche delle parti e ritenuto il diritto della ex moglie a ricevere un assegno divorzile, stante la sua precaria situazione economica frutto appunto delle scelte prese di comune accordo in regime di matrimonio.

Tuttavia in ordine alla decisione sul quantum dell'assegno, che in sede di separazione ammontava a 4.000,00 Euro, la Corte d'Appello non ha spiegato adeguatamente il motivo del consistente aumento di circa 2.000,00 Euro mensili e non ha preso in considerazione il decremento reddittuale subito dal G. ritenendo di parametrare la liquidazione dell'assegno alla "necessità di stabilire la reale entità della sperequazione reddittuale e patrimoniale esistente tra i coniugi" piuttosto che ai citati criteri assistenziali e compensativi.

Il ricorso deve quindi essere accolto con rinvio anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2023.

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