Il figlio ultramaggiorenne che soffre di depressione, ma non tale da integrare la condizione di grave handicap, non può ottenere dai genitori il diritto di mantenimento.
È quanto recentemente stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione, sezione I civile, con l'ordinanza n. 23133 del 31 luglio 2023.
Nel caso di specie, un figlio, quasi trentenne e convivente con la madre, aveva chiesto un assegno di mantenimento al padre, essendo affetto da depressione. Tale condizione influenza la sua capacità di trovare e svolgere un lavoro in modo efficace.
La Suprema Corte ha richiamato un principio fondamentale: il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile, non può pretendere di mantenere uno stile di vita dignitoso ricorrendo all'obbligo di mantenimento del genitore. Al contrario, dovrebbe utilizzare gli strumenti di sostegno al reddito disponibili a livello sociale, pur mantenendo l'obbligo alimentare nell'ambito familiare per soddisfare le esigenze essenziali di vita.
Questo principio deve essere applicato anche al figlio ultramaggiorenne non autosufficiente che soffre di qualche patologia, come la depressione in questo caso, ma non tale da essere considerata un grave handicap che comporterebbe automaticamente l'obbligo di mantenimento.
La Corte ricorda inoltre che il figlio maggiorenne non autosufficiente può soddisfare le esigenze essenziali di vita chiedendo un sussidio di ausilio sociale, oppure proponendo un'azione per il riconoscimento degli alimenti, i quali rappresentano un "minus" rispetto all'assegno di mantenimento.
Cassazione civile, sez. I, Ordinanza 31/07/2023 (ud. 11/07/2023) n. 23133
FATTI DI CAUSA
La Corte d'Appello di Roma, con decreto n. 531/2021, depositato il 12.2.2021, ha riformato il decreto n. 4592/2019 con cui il Tribunale di Tivoli, adito in sede di modifica di condizioni di divorzio da M.F., aveva revocato l'assegno di mantenimento di Euro 500,00 mensili posto a carico di quest'ultimo per il mantenimento del figlio maggiorenne M.M., nato il (Omissis), e convivente con la madre.
La Corte d'Appello ha ritenuto che quanto affermato dal giudice di primo grado, ovvero che era stato dimostrato che il figlio M. avesse maturato una significativa esperienza lavorativa ed adeguate capacità reddituali, non aveva trovato conferma negli atti di causa, non risultando che il contratto con cui M. era stato assunto a tempo parziale dal 5.4.2016 al 31.5.2016 fosse stato prorogato.
Inoltre, le ingravescenti condizioni psicopatologiche di M. erano documentate da certificati medici redatti da specialisti del servizio sanitario nazionale - che hanno comportato la sua presa in carico riabilitativa da parte del servizio di salute mentale della ASL - e, pur non integrando la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l'obbligo di mantenimento, erano tali da influire sulla sua difficoltà ad attivarsi efficacemente per reperire e svolgere un'attività lavorativa.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.F. affidandolo a due motivi.
A.O. ha resistito in giudizio con controricorso, depositando, altresì, la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 315 bis c.c. e 337 septies comma 1 c.c..
Espone il ricorrente che il Collegio di secondo grado non ha tenuto conto della raggiunta età matura del figlio M., prossima ai trent'anni; delle dimissioni volontarie rassegnate dal figlio, dall'assoluta inerzia dello stesso nella ricerca di nuova occupazione. Tali circostanze fattuali avrebbero dovuto condurre il giudice d'Appello ad una diversa decisione.
Inoltre, la pregressa esperienza lavorativa del figlio M. maggiorente dimostra l'effettivo ingresso dello stesso nel mondo del lavoro e la propria indipendenza economica.
2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 337 septies e 2697 c.c., 115 c.p.c..
Deduce il ricorrente che la sussistenza in capo al figlio di patologie psicopatologiche idonee a ridurre temporaneamente la capacità di lavoro può trovare sussidio al più in appositi strumenti pubblici di sostegno, ovvero nell'obbligazione alimentare e non già nell'ordinario contributo al mantenimento in favore del figlio maggiorenne.
Il ricorrente allega, altresì, che le certificazioni mediche in atti dimostrerebbero l'insorgenza di uno stato di malessere del figlio, ma non spiegano perché il figlio abbia deciso unilateralmente deciso di dimettersi e, dopo le dimissioni, non sia attivato per la ricerca di una nuova occupazione, restando completamente inerte.
3. Il secondo motivo, da esaminarsi con priorità, è fondato.
Va preliminarmente osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 29264/2022; conf. Cass. 38366/2021) ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui "Il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso".
Tale principio non soffre eccezioni ove il figlio (ultra)maggiorenne non autosufficiente risulti affetto da qualche patologia (nel caso di specie depressiva), ma non tale da integrare la condizione di grave handicap che comporterebbe automaticamente l'obbligo di mantenimento.
In tale fattispecie, per soddisfare le essenziali esigenze di vita del figlio maggiorenne non autosufficiente, ben può richiedersi, ove sussistano i presupposti, un sussidio di ausilio sociale, oppure può proporsi l'azione per il riconoscimento degli alimenti, i quali rappresentano un "minus" rispetto all'assegno di mantenimento, con la conseguenza che nella richiesta di un tale assegno può ritenersi compresa anche quella di alimenti.
4. Il primo motivo è assorbito.
Il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, assorbito il primo e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2023.