Nei casi di crisi familiare ai sensi dell'art. 337 bis c.c., nel regolare il godimento della casa familiare il giudice deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore, con la conseguenza che l'abitazione in cui quest'ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita deve essere di regola assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, a meno che non venga esplicitata una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il menzionato interesse del minore.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 02/08/2023, (ud. 31/05/2023, dep. 02/08/2023), n.23501
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di ricorso ex art. 337 bis c.c., il Tribunale di Bolzano regolava l'esercizio della responsabilità genitoriale di S.S. e F.P. sulle figlie comuni, J. (nata nel (Omissis)) ed E. (nata nel (Omissis)), disponendo il collocamento prevalente delle bambine presso la madre, con l'assegnazione dell'appartamento familiare ai sensi dell'art. 337 sexies c.c. a favore di quest'ultima e la condanna del F. al pagamento del contributo al mantenimento delle figlie di Euro 275,00 al mese per ciascuna.
Avverso tale decisione, F.P. proponeva reclamo, riproponendo le conclusioni di primo grado (collocamento paritetico delle figlie presso i due genitori e assegnazione a sé dell'appartamento familiare). S.S. si costituiva in appello, chiedendo il rigetto del reclamo avversario e, in via subordinata, l'accoglimento delle conclusioni già formulate in primo grado (collocamento prevalente delle figlie presso la madre, assegnazione dell'appartamento familiare a quest'ultima, condanna della controparte al pagamento del contributo al mantenimento delle figlie nella misura di Euro 500,00 per ciascuna).
La Corte d'appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, con decreto n. cronol. 18/2022 del 11/02/2022 accoglieva parzialmente il reclamo di F.P.. Ampliava, in particolare, il diritto di visita del padre, prevedendo che potesse essere esercitato durante ogni secondo fine settimana dal venerdì pomeriggio ore 16.30 fino al lunedì mattina, incluso l'accompagnamento a scuola, e pur conservando il collocamento prevalente delle minori presso la madre revocava l'assegnazione dell'appartamento familiare a S.S., con ordine di rilascio da eseguirsi entro 3 mesi dal deposito della decisione. Poneva, inoltre, a carico del F. l'obbligo di contribuire ai costi del nuovo appartamento che S.S. avrebbe dovuto reperire nel territorio dei Comuni di (Omissis), mediante il versamento dell'importo mensile di Euro 450,00.
Per il resto la Corte d'appello confermava la decisione di primo grado del Tribunale di Bolzano, mantenendo il contributo al mantenimento delle minori in Euro 550,00 mensili.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione S.S., affidato a cinque motivi.
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. e nota spese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella parte in cui la decisione sulla revoca dell'assegnazione della casa familiare è stata fondata su un fatto espressamente nominato sia nella decisione impugnata sia in quella di primo grado - i cattivi rapporti tra la ricorrente e i familiari del controricorrente, che abitavano nello stesso stabile - pur trattandosi di un fatto contestato e non provato.
Con il secondo motivo è dedotta la nullità della sentenza per mancanza e/o insufficienza e/o violazione o falsa applicazione e contraddittorietà di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., Cost., art. 111, comma 6), nella parte in cui il giudice di secondo grado, nel motivare la decisione sulla revoca dell'assegnazione della casa familiare, si è limitato ad esprimere la sua opinione, opposta a quella assunta dal giudice di primo grado, in ordine alla sussistenza dell'interesse delle minori ad allontanarsi dall'abitazione familiare in cui si trovavano i parenti del padre, in ragione dei ritenuti non buoni rapporti con la madre - senza evidenziare la ratio che ha fondato tale convincimento.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell'art. 337 sexies c.c., nella parte in cui la Corte di merito, nell'assegnazione della casa familiare, non ha tenuto conto, in via prioritaria, dell'interesse dei figli.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 337 sexies e 337 ter, comma 3, c.c., oltre all'art. 113 c.p.c. relativo alla assegnazione della casa familiare e la violazione dell'art. 337 ter, comma 3, c.c., oltre alla nullità della sentenza per vizio di ultrapetizione, nella parte in cui il giudice del reclamo ha imposto al genitore collocatario prevalente dei figli minorenni, non assegnatario della casa familiare, di limitarsi nella scelta della nuova casa da prendere in affitto, in assenza di conflittualità sul punto tra i genitori e in assenza di apposita richiesta.
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) degli artt. 337 sexies e 337 ter, commi 2 e 4, c.c., nella parte in cui il giudice d'appello ha ritenuto sufficiente e proporzionale alla situazione patrimoniale e reddituale dei genitori la previsione - oltre al contributo al mantenimento delle figlie di complessive Euro 550,00 al mese - di un contributo ai costi per il nuovo appartamento familiare da prendere in affitto dalla ricorrente di soli Euro 450,00.
2. Occorre subito esaminare congiuntamente il secondo e il terzo motivo di ricorso, tenuto conto della stretta connessione tra esistente, i quali si rivelano fondati, nei termini di seguito evidenziati, e tali da rendere superfluo l'esame dei restanti motivi.
3. Si deve prima di tutto rilevare che il Tribunale aveva disposto il collocamento prevalente delle minori presso la madre, perché quest'ultima aveva più tempo per prendersi cura delle figlie, e aveva assegnato a quest'ultima la casa familiare, che pure era di proprietà del padre, ritenendo che la donna potesse continuare ad abitarla insieme alle figlie, nonostante nello stesso edificio abitassero sia il padre sia i parenti di quest'ultimo e apparentemente non vi fossero buoni rapporti con i parenti che vivevano nell'appartamento confinante (p. 3 del decreto impugnato).
La Corte d'appello, in sede di reclamo, ha ampliato le occasioni di visita e di frequentazione del padre e, confermando il collocamento prevalente delle minori presso la madre, ha disposto che queste ultime mantenessero il centro della loro vita nella casa familiare di proprietà del padre, ma poi ha revocato l'assegnazione di tale abitazione alla ricorrente.
A fondamento di quest'ultima soluzione, la Corte di appello ha considerato il fatto che l'appartamento facesse parte di un edificio in cui vivevano, oltre al padre delle minori, anche i parenti di quest'ultimo e, sul presupposto che non vi fossero buoni rapporti con questi ultimi (a p. 6 del decreto impugnato si legge "come già illustrato nel decreto impugnato nonché documentato"), ha ritenuto che le tensioni e le controversie che ne derivavano si ripercuotevano inevitabilmente sulle due bambine, rendendo necessaria un'altra soluzione abitativa.
4. Com'e' noto, in virtù della nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c. (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con modif. in l. n. 134 del 2012) non è più consentita l'impugnazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) "per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", ma soltanto "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l'effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 prel., come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U, n. 8053/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione della Cost., artt. 111 e 132, comma 2, n. 4), c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n. 16611/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940/2017).
In particolare, questa Corte ha ulteriormente precisato che di "motivazione apparente" o di "motivazione perplessa e incomprensibile" può parlarsi laddove la motivazione non renda percepibili le ragioni della decisione, perché contiene argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Inoltre, ha pure affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento del ragionamento del giudice (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 27411 del 08/10/2021).
Il vizio di "motivazione contraddittoria" sussiste, poi, in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 17196 del 17/08/2020; v. anche Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 4367 del 22/02/2018).
5. Tenuto conto di quanto appena evidenziato, nel caso di specie, la motivazione della statuizione impugnata risulta insanabilmente viziata, nella parte in cui ha revocato l'assegnazione della casa familiare, per due ordini di ragioni.
5.1. La Corte di merito ha dato rilievo al fatto che l'appartamento faceva parte di un edificio in cui vivevano, oltre al padre delle minori, anche i parenti di quest'ultimo e, sul presupposto che non vi fossero buoni rapporti con questi ultimi (a p. 6 del decreto impugnato si legge "come già illustrato nel decreto impugnato nonché documentato"), ha ritenuto che le tensioni e le controversie che ne derivavano si ripercuotevano inevitabilmente sulle due bambine, rendendo necessaria un'altra soluzione abitativa.
Il riferimento alle tensioni e alle controversie che derivano da cattivi rapporti di vicinato è privo di alcun riferimento a episodi specifici o a elementi di prova, suscettibili di verifica, che ne dimostrino l'effettiva esistenza e gravità.
I cattivi rapporti di vicinato sono stati affermati come esistenti senza l'indicazione di alcun elemento concreto a supporto di tale affermazione - come pure genericamente aveva fatto il giudice di primo grado, ritenendo però tali circostanze non in grado di impedire l'assegnazione della casa familiare - e, ciò nonostante, sono stati posti a fondamento della decisione di revocare l'assegnazione della casa familiare, per evitare ripercussioni sulle bambine che, in ragione della vacuità dei presupposti, si rivelano del tutto ipotetiche.
E', dunque, evidente che la statuizione sul punto si presenta connotata da una motivazione solo apparente, non consentendo al lettore di comprendere in base a quali concreti e verificabili avvenimenti sia stato ritenuto opportuno revocare l'assegnazione della casa familiare alla madre delle minori, collocataria con prevalenza delle stesse, con il conseguente allontanamento delle bambine dal loro habitat domestico.
5.2. La stessa statuizione si mostra, inoltre, irrimediabilmente contraddittoria.
La Corte d'appello ha, infatti, ritenuto di dover revocare l'assegnazione della casa familiare alla madre delle minori, per evitare le ipotizzate ripercussioni di tensioni e controversie di vicinato sulle minori, ma poi ha precisato che la casa sarebbe stata ugualmente il centro principale degli interessi delle bambine, le quali però sono state collocate con prevalenza presso la madre, che è stata invitata a rilasciare l'abitazione e a trovarne un'altra, sia pure vicina a quella familiare.
E', infatti, evidente che, in assenza di ulteriori spiegazioni, non è possibile conciliare la decisione di conservare il centro degli interessi delle minori nella casa familiare, se poi vengono collocate con prevalenza presso la madre, che tuttavia non è assegnataria della casa, ma è invitata a rilasciarla, ovviamente insieme alle bambine, per trovare un'altra sistemazione.
6. La decisione impugnata si pone, inoltre, in contrasto con il disposto
dell'art. 337 sexies, comma 1, c.c., ove è stabilito che "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli."
Questa Corte ha già precisato che l'assegnazione della casa familiare tutela l'interesse prioritario dei figli minorenni e di quelli maggiorenni economicamente non autosufficienti a permanere nell'habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (Cass., Sez. 1, n. 25604 del 12/10/2018).
Le vicende separative della coppia genitoriale devono, infatti, incidere il meno possibile sulla vita dei figli che prima della fine della convivenza dei genitori vivevano insieme a questi ultimi, sicché, ove il loro trasferimento non sia dettato proprio dall'esigenza di tutelare il loro interesse o non sia il frutto di un accordo tra i genitori, che assicuri la salvaguardia di tale interesse, la prole deve mantenere il centro della sua vita nella casa in cui la famiglia ha vissuto quando era ancora unita.
In altre parole, quando non siano ipotizzabili le eccezioni appena menzionate, la casa familiare, ove il minore ha cominciato a vivere e a relazionarsi come persona, deve continuare ad essere il luogo in cui egli trova sicurezza e riparo, anche se i genitori non vivono più insieme, perché la casa è la proiezione nello spazio della sua identità all'interno di uno specifico contesto ambientale e sociale.
Il rispetto di tale prioritario interesse della prole è tanto più necessario quanto più i minori cominciano a crescere, intessendo relazioni con le persone e l'ambiente che li circonda dentro e fuori casa.
E' pertanto evidente che, per soddisfare tali esigenze, la casa familiare deve, di regola, essere assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, sempre che non emerga una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il suo interesse. Solo in questo modo, infatti, è conseguito il risultato di far continuare a crescere quest'ultimo nello stesso habitat in cui ha vissuto quando la famiglia era ancora unita.
7. Questa Corte ha già precisato che deve essere estranea alla decisione sull'assegnazione della casa ogni valutazione che operi una ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli (v. ancora Cass., Sez. 1, n. 25604 del 12/10/2018).
Questa stessa Corte ha espressamente affermato che l'assegnazione della casa familiare postula l'affidamento dei figli minori o la convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti, con la conseguenza che, in assenza di tale condizione, non può essere disposta a favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l'eccessivo costo di gestione ne renda opportuna la vendita, quando i figli siano affidati all'altro coniuge, in quanto eventuali interessi di natura economica assumono rilievo nella misura in cui non sacrifichino il diritto dei figli a permanere nel loro habitat domestico (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23591 del 22/11/2010, con riferimento ad una fattispecie regolata dalla disciplina previgente alla l. n. 54 del 2006).
Anche nel caso in cui, a modifica di una precedente regolamentazione, sia disposto un affidamento paritetico della prole (che preveda, cioè, collocazione e frequentazione ugualmente ripartite tra genitori), non può costituire un effetto automatico la revoca dell'assegnazione della casa familiare. La valutazione che il giudice del merito deve svolgere non può limitarsi alla buona relazione del minore con entrambi i genitori, ma deve avere ad oggetto una giustificazione puntuale, eziologicamente riconducibile esclusivamente alla realizzazione di un maggiore benessere del minore da ricondursi al mutamento del regime giuridico dell'assegnazione della casa familiare. Deve, in particolare, essere evidenziato come questo rilevante mutamento nella esperienza quotidiana di vita del minore possa produrre un miglioramento concreto per lo stesso o sia finalizzato a scongiurare un pregiudizio per il suo sviluppo prodotto dal precedente regime di assegnazione. Anche in questo quadro, infatti, l'assegnazione della casa familiare ha l'esclusiva funzione di non modificare l'habitat domestico e il contesto relazionale e sociale all'interno del quale il minore ha vissuto prima dell'inasprirsi del conflitto familiare (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5738 del 24/02/2023).
Per queste stesse ragioni, e nella medesima ottica, la S.C. ha di recente affermato che l'assegnazione della casa familiare non può essere revocata per il solo fatto che il genitore collocatario abbia intrapreso, nella casa assegnata, una convivenza more uxorio, essendo la relativa statuizione subordinata esclusivamente ad una valutazione di rispondenza all'interesse del minore (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 33610 del 11/11/2021).
8. In sintesi, al momento dell'attribuzione del godimento dell'abitazione familiare, il giudice deve tenere conto soltanto dell'interesse del minore, sicché, considerata la primaria esigenza di quest'ultimo di conservare l'habitat domestico, l'assegnazione della casa familiare va, di regola, disposta in favore del genitore collocatario con prevalenza del minore stesso, a meno che non emergano ragioni per cui, proprio per tutelare il primario interesse del minore, è preferibile una diversa soluzione.
9. Nel caso di specie, la Corte d'appello non risulta avere fatto buon uso dei principi appena illustrati, perché, come sopra evidenziato, pur avendo previsto il collocamento prevalente delle minori presso la madre, ha revocato l'assegnazione della casa familiare a quest'ultima, prospettando la presenza di cattivi rapporti della stessa con il padre delle minori e con i parenti di quest'ultimo, senza alcuna specificazione e senza l'indicazione di elementi di prova verificabili, deducendone tensioni e controversie, anch'esse indimostrate, ma ritenute suscettibili di ripercuotersi sulle bambine.
In totale mancanza della verifica di uno specifico rischio di pregiudizio per le minori, derivante dal rimanere nella casa in cui sono fino ad allora vissute, o della spiegazione dello specifico vantaggio che ne deriverebbe per le bambine, è stata disposta la revoca dell'assegnazione della casa familiare al genitore presso cui le minori sono state collocate con prevalenza e, conseguentemente, l'allontanamento delle stesse da tale luogo per il maggior numero delle loro giornate.
10. Come anticipato, l'accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso rende superfluo l'esame degli altri, che devono pertanto ritenersi assorbiti.
11. Il decreto impugnato deve pertanto essere cassato per le ragioni appena illustrate.
In applicazione dell'art. 384, comma 1, c.p.c., deve essere enunciato il seguente principio di diritto:
"Nei casi di crisi familiare ai sensi dell'art. 337 bis c.c., nel regolare il godimento della casa familiare il giudice deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore, con la conseguenza che l'abitazione in cui quest'ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita deve essere di regola assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, a meno che non venga esplicitata una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il menzionato interesse del minore."
12. La causa deve essere rinviata alla Corte d'appello di Trento Sezione distaccata di Bolzano, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.
13. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, e, assorbiti gli atri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello di Trento - Sezione distaccata di Bolzano anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma del D.Lgs. n. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2023.