La responsabilità personale e solidale prevista dall'art. 38 c.c. è circoscritta alle singole obbligazioni negoziali assunte ed è assimilabile a quella del fideiussore per le obbligazioni del debitore principale.
Il fallimento dell'associazione non riconosciuta non comporta il fallimento "per ripercussione" di chi ha agito in nome e per conto dell'associazione medesima, che si limita a rispondere in via personale e solidale delle specifiche obbligazioni scaturite dall'attività negoziale così posta in essere.
Cassazione civile sez. I, sentenza 04/08/2023 (ud. 28/06/2023) n. 23896
FATTI DI CAUSA
1. - Con sentenza del 17/10/2017 il Tribunale di Padova ha dichiarato il fallimento dell'associazione non riconosciuta (Omissis) (di seguito (Omissis)), ritenuta in possesso della qualifica di impresa commerciale in quanto "risultava svolgere attività di formazione a pagamento nei confronti di soggetti terzi avvalendosi di personale a sua volta retribuito", dando atto che "la richiesta di fallimento riguarda esclusivamente l'associazione e non i soci, cui pure è stato notificato il ricorso".
1.1. - In data 02/05/2018 il curatore del Fallimento dell'associazione (Omissis) ha chiesto che venisse dichiarato il fallimento in estensione del prof. B.I., già presidente e legale rappresentante dell'associazione dal 6 luglio 2015 al 9 giugno 2017, per avere nel tempo ripetutamente compiuto attività negoziale in nome e per conto dell'associazione medesima.
1.2. - Con sentenza n. 94/18 del 08/06/2018 il Tribunale di Padova ha dichiarato il fallimento in estensione di B.I., disponendone la riunione al fallimento dell'associazione (Omissis).
1.3. - Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Venezia, premessa la non contestazione della qualità di impresa commerciale e della fallibilità dell'associazione (Omissis), ha respinto il reclamo proposto dal fallito, affermando che: i) l'art. 38 c.c. configura una responsabilità personale illimitata concorrente con la responsabilità dell'impresa collettiva, che giustifica l'applicazione analogica dell'art. 147 l.fall. (come ritenuto da Cass. 5305/2004);
ii) a tal fine non rileva la qualifica formale rivestita dal B. (il quale peraltro non aveva mai speso la qualità di legale rappresentante di AFL-Agenzia Formazione Lavoro, associata di (Omissis)), ma l'avere egli agito in nome e per conto di (Omissis), ponendo in essere una nutrita attività negoziale nei confronti di terzi; iii) la cessazione da ogni carica del B. non è stata portata a conoscenza di terzi con mezzi idonei, né ha trovato riscontro la cessazione di ogni attività dell'associazione da agosto 2015, risultando documentato che ancora in data 16/11/2015 il B. sottoscriveva un riconoscimento di debito per conto di (Omissis).
2. - Avverso detta decisione B.I. ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi, illustrato da memoria, cui il Fallimento intimato ha resistito con controricorso, parimenti corredato da memoria, mentre l'originario creditore istante, Italiana Società Immobiliare s.r.l., non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. - Il primo motivo denuncia "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 147, comma 1, l. fall. e dell'art. 12, comma 2, e art. 14 preleggi con riferimento all'affermata possibilità di estendere il fallimento dell'associazione non riconosciuta a coloro che hanno agito in nome e per conto della stessa", per avere i giudici di merito erroneamente ritenuto applicabile in via analogica una norma di natura eccezionale, quale l'art. 147, comma 1, l.fall., dettato per i soci illimitatamente responsabili di società commerciali, ad una fattispecie - associazione non riconosciuta che svolgeva attività non lucrativa di formazione professionale con contributi regionali a fondo perduto - che nulla ha a che vedere con le società commerciali, tanto più che, ai sensi dell'art. 38 c.c., la responsabilità di coloro "che hanno agito in nome e per conto dell'associazione" è "personale e solidale", non già "illimitata".
2.2. - Il secondo mezzo deduce "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 38 c.c. in combinato disposto con l'art. 147, comma 1, l. fall. con riguardo all'affermata responsabilità imputabile al prof. B.I. per l'attività svolta quale presidente del "(Omissis)"", per avere i giudici di merito applicato la seconda parte (riguardante le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione), anziché la prima (riguardante le persone che rappresentano l'associazione) dell'art. 38 c.c., senza tener conto che il B. ha sempre agito quale legale rappresentante e mero nuncius della volontà di (Omissis), un'associazione non riconosciuta i cui associati sono costituiti da persone giuridiche (l'associazione riconosciuta AFL-Agenzia Formazione Lavoro e le società AFL Servizi s.r.l. e Impresa sociale Accademia La Parigina) e che lo stesso ha ricoperto le cariche in (Omissis) non in proprio, bensì nella veste di legale rappresentante di AFL-Agenzia Formazione Lavoro, nominata componente del Consiglio direttivo nel 2011.
2.3. - Il terzo motivo prospetta la "violazione /o falsa applicazione dell'art. 147, comma 2, l. fall. con riferimento alla decorrenza del termine annuale per la dichiarazione di fallimento in estensione del prof. B.", per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che alla data della pronuncia di fallimento non fosse ancora decorso il termine annuale di fallibilità in estensione previsto da detta norma, quando in realtà già alla data della sentenza dichiarativa di fallimento dell'associazione (Omissis) era trascorso un anno sia dalle dimissioni del prof. B. dalla carica di presidente di (Omissis) (rassegnate il 02/08/2016 e comunicate in via telematica il 05/08/2016), sia dall'avvenuta cessazione dell'attività di (Omissis), databile al 31/08/2015, residuando successivamente solo un'attività meramente liquidatoria, sia dall'ultimo atto negoziale compiuto dal prof. B. per conto di (Omissis) (il "riconoscimento di debito nei confronti di tale O.C.R. s.r.l." del 16/11/2015).
3. - Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento dei restanti due, sul rilievo preliminare, incontestato, che la sentenza dichiarativa di fallimento dell'associazione (Omissis) è passata in giudicato.
3.1. - La questione principale posta dal ricorso è se sia assoggettabile a fallimento colui che abbia agito in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta, dichiarata fallita in quanto ritenuta impresa commerciale per aver esercitato in via esclusiva o prevalente un'attività commerciale.
3.2. - Sul tema dell'assoggettabilità a fallimento "in ripercussione" degli associati, o meglio di chi abbia agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, si registrano tesi divergenti in dottrina e nella giurisprudenza.
3.3. - I capisaldi normativi di riferimento sono costituiti dall'art. 38 c.c. e dall'art. 147, comma 1, l.fall., ed è dalla prima norma codicistica che risulta opportuno prendere le mosse.
4. - Il capo II del Titolo I del codice civile disciplina le associazioni e le fondazioni, e tra esse l'associazione non riconosciuta, la quale non acquista personalità giuridica ma gode comunque di soggettività giuridica, costituendo un centro di imputazione di posizioni soggettive (con la correlata attitudine alla titolarità di diritti e doveri) munito di capacità di agire, e quindi di compiere atti di autonomia negoziale.
L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati e le stesse possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione (art. 36 c.c.).
L'associazione non riconosciuta è dotata di un fondo comune, costituito dai contributi degli associati e dai beni acquistati con questi contributi, che resta distinto dal patrimonio dei singoli associati, i quali non possono chiederne la divisione per tutta la durata dell'associazione, né pretenderne una "quota" in caso di recesso (art. 37 c.c.).
La reciproca autonomia tra fondo comune e patrimonio dei singoli associati comporta che l'associazione non risponde con il fondo comune delle obbligazioni del singolo associato, e che questi non risponde con il suo patrimonio delle obbligazioni assunte dall'associazione, quand'anche ne abbia approvato l'assunzione.
Tuttavia, l'art. 38 c.c., dopo aver precisato che "per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune" (primo periodo), aggiunge che "delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione" (secondo periodo).
Il primo periodo sta a significare che il fondo comune è preposto alla soddisfazione delle obbligazioni assunte dall'associazione, per il tramite del suo legale rappresentante (il quale perciò non risponde, in quanto tale, dei debiti dell'ente).
Il secondo significa invece che i terzi che contraggono con l'associazione possono confidare, oltre che sul fondo comune, anche sul patrimonio personale delle persone che - indipendentemente dalla qualifica rivestita in seno all'associazione, e financo dalla stessa qualità di associato - hanno agito in nome e per conto dell'associazione, però limitatamente alle specifiche obbligazioni in tal modo assunte.
La locuzione normativa dell'agire "in nome e per conto" evoca l'esercizio di una funzione rappresentativa, ed è diretta a rafforzare la tutela del terzo contraente, che potrebbe in tesi ignorare l'identità degli amministratori, ma può rivalersi anche contro i soggetti con i quali sia concretamente entrato in contatto.
L'art. 38 c.c. attesta dunque che l'associazione non riconosciuta - diversamente dagli enti dotati di personalità giuridica, come la fondazione e l'associazione riconosciuta - gode di un'autonomia patrimoniale imperfetta, poiché al fondo comune, destinato a soddisfare la generalità delle obbligazioni assunte dall'associazione, si affianca il patrimonio personale di chi ha agito nel suo interesse, spendendone il nome, anche se solo per le obbligazioni che questi abbia in tale veste assunto, poiché solo per esse la tutela dei creditori è rafforzata attraverso la responsabilità solidale delle persone fisiche che hanno operato per l'associazione.
Nei loro confronti i terzi possono infatti agire direttamente, senza dover preventivamente escutere il fondo comune, poiché l'art. 38 c.c. non contempla alcun beneficium excussionis, che invece i creditori devono osservare, in sede esecutiva, per agire nei confronti del socio illimitatamente responsabile di società di persone (art. 2304 c.c.).
4.1. - Come ricordato in una recente pronuncia (Cass. 12174/2019), l'orientamento di questa Corte è costante nell'affermare che la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, prevista dall'art. 38 c.c., ha le seguenti caratteristiche:
i) non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, ma all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente (ex plurimis, Cass. 1657/1985, 5089/1998, 8919/2004, 718/2006, 26290/2007, 25748/2008, 11207/2009, 12187/2014, 18188/2014, 8752/2017, 25650/2018);
ii) non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa, sicché l'obbligazione di colui che ha agito per l'ente, avente natura solidale, è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione, ed è disposta a tutela dei terzi, che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune ma fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro (ex plurimis, Cass. 1655/1985, 13946/1991, 2471/2000, 11759/2002, 22982/2004, 25748/2008, 29733/2011, 12508/2015);
iii) non consente al creditore di azionare direttamente contro i soggetti ritenuti solidalmente obbligati con l'associazione il titolo esecutivo ottenuto nei confronti di quest'ultima (qualora al relativo giudizio di cognizione essi non abbiano partecipato), occorrendo la formazione di un apposito titolo esecutivo, previo accertamento che gli stessi hanno concretamente agito in nome e per conto dell'ente nell'ambito dello specifico rapporto obbligatorio fatto valere.
4.2. - La ratio della responsabilità di chi ha operato per l'associazione risiede dunque nell'esigenza di affidamento dei terzi, che possono confidare sulla solvibilità di colui con il quale sono entrati in contatto, senza dover verificare la consistenza del fondo.
La responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, in aggiunta a quella dell'associazione, assicura così il contemperamento tra l'assenza di un sistema di pubblicità legale, afferente il patrimonio dell'ente, e l'esigenza di tutela dei creditori; di qui la necessità di apprezzare la concreta ingerenza dell'agente nell'attività dell'ente, piuttosto che la posizione formale rivestita all'interno dell'ente (Cass. 3093/2021, 19486/2009, 5776/2007).
4.3. - Un discorso a parte è stato svolto per le obbligazioni non negoziali ma legali, come i debiti d'imposta, che sorgono ex lege al verificarsi del relativo presupposto.
Si è infatti osservato che, in materia tributaria, l'operatività del principio di cui all'art. 38 c.c. - per cui la responsabilità personale e solidale di chi agisce in nome e per conto dell'associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione stessa, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto e che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l'ente ed i terzi - non esclude che per i debiti d'imposta sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la gestione complessiva dell'associazione nel periodo di relativa investitura (Cass. 3093/2021; cfr. Cass. 4747/2020, 25650/2018, 2169/2018).
Facendo leva sul principio di autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile, e sulla fonte legale dell'obbligazione tributaria, si è dunque affermato che, in ipotesi di avvicendamento nella carica sociale di un'associazione non riconosciuta - ed anche per evitare strumentalizzazioni elusive - il rappresentante legale subentrante non può andare esente dalla responsabilità solidale con l'associazione, ai fini fiscali, soltanto per la mancata ingerenza nella pregressa gestione dell'ente, essendo obbligato a redigere e a presentare la dichiarazione dei redditi e ad operare, ove necessario, le rettifiche della stessa; di conseguenza, per l'accertamento della responsabilità personale e solidale del legale rappresentante dell'associazione non riconosciuta occorre tenere conto non solo della partecipazione di tale soggetto all'attività dell'ente, ma anche del corretto adempimento degli obblighi tributari incombenti sul medesimo (Cass. 4478/2018, 22861/2018).
Sul piano del riparto dell'onere probatorio, le riferite conclusioni comportano che, a differenza delle obbligazioni in generale (ove vale il principio per cui chi invoca in giudizio la responsabilità è gravato dall'onere di provare la concreta attività di colui che agisce in nome e nell'interesse dell'associazione), nelle obbligazioni in materia fiscale - ove l'attenzione si sposta, dalla concreta attività espletata dall'associato ai fini dell'insorgenza della specifica obbligazione, alla verifica della sua gestione dell'ente - grava su chi invoca in giudizio la responsabilità dell'agente l'onere di provare gli elementi da cui desumere la sua qualità di rappresentante o gestore, in tutto o in parte, dell'associazione, mentre grava sul chiamato a rispondere delle obbligazioni ex lege dare la prova della sua estraneità alla gestione dell'ente.
Può dunque dirsi che le peculiarità così ritagliate dalla giurisprudenza di questa Corte operano sul piano probatorio, attraverso l'introduzione di un principio di presunzione tale da far supporre che gli organi che svolgono compiti di amministrazione e gestione nell'ambito di associazioni non riconosciute concorrano nelle decisioni dirette a creare rapporti obbligatori di natura tributaria per conto dell'associazione, ai fini dell'assunzione della relativa responsabilità solidale.
4.4. - I tratti sopra declinati per le obbligazioni negoziali contribuiscono a focalizzare la differenza esistente, sotto il profilo in disamina, tra il soggetto che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta e il socio illimitatamente responsabile di società di persone, e al tempo stesso la similitudine che ricorre, invece, tra la responsabilità del primo e quella del fideiussore rispetto alle obbligazioni del debitore principale.
Anche con riguardo ai fideiussori, infatti, non viene predicata quell'estensione automatica dell'efficacia del titolo esecutivo ottenuto contro il debitore principale, che caratterizza invece l'escussione dei soci illimitatamente responsabili per i debiti sociali.
Vero è che, analogamente a quanto accade per gli eredi del debitore (v. art. 477 c.p.c.), l'estensione dell'efficacia esecutiva del titolo nei confronti del socio illimitatamente responsabile non richiede alcun ulteriore accertamento di fatto circa la sua condotta (quale fatto costitutivo della responsabilità per il singolo e specifico rapporto obbligatorio), proprio perché si tratta di responsabilità che deriva automaticamente dal suo status di socio e riguarda indistintamente tutti i debiti della società.
Al contrario, per avvalersi della responsabilità solidale prevista dal secondo periodo dell'art. 38 c.c., il creditore dell'associazione non riconosciuta deve accertare la sussistenza dei relativi presupposti nei confronti del soggetto che ritiene obbligato in solido, tanto in autonomo giudizio di cognizione, quanto nello stesso giudizio in cui abbia convenuto l'associazione, pena, in difetto (in quest'ultimo caso) l'inutilizzabilità del titolo esecutivo ottenuto contro l'associazione.
4.5. - Può dunque concludersi che quella del socio illimitatamente responsabile è una responsabilità propria, derivante direttamente dalla legge, mentre quella di chi ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta è una responsabilità solidale per un debito altrui, assimilabile piuttosto alla fideiussione, e qualificabile come una "fideiussione ex lege", in funzione di garanzia dei debiti dell'ente.
Tale configurazione consente anche di superare le perplessità suscitate dall'attribuzione di una responsabilità personale a colui che "rappresenta" l'associazione, in contrasto con la stessa disciplina generale della rappresentanza (cfr. ex multis Cass. 12508/2015, 29733/2011, 25748/2008, 2471/2000, 1655/1985).
Del resto, il tenore delle norme codicistiche in tema di responsabilità dei soci delle società di persone è chiaro nel prevedere che essi rispondono "illimitatamente", ossia di tutte le obbligazioni sociali (v. art. 2291 c.c. per i soci delle società in nome collettivo; art. 2313 c.c. per i soci accomandatari delle società in accomandita semplice; art. 2320 c.c., comma 1, ultimo periodo, per il socio accomandante che abbia violato il divieto di immistione negli atti di gestione).
Al contrario, la diversa formula linguistica dell'art. 38 cod. civ., lungi dal costituire un aspetto meramente lessicale, esprime la volontà del legislatore di prevedere una responsabilità non già illimitata, bensì limitata e circoscritta alle obbligazioni in concreto e personalmente contratte da chi ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta.
Tale conclusione è coerente con la natura eccezionale della responsabilità per debiti altrui, che richiede una lettura rigorosa delle norme che la prevedono.
4.6. - Non v'e' allora nemmeno motivo di prendere ancora in considerazione la tesi di chi propendeva per una lettura estensiva del secondo periodo dell'art. 38 c.c., leggendolo alla luce dell'art. 33 c.c., comma 4, (norma abrogata dal D.P.R. n. 361 del 2000) - per cui "gli amministratori di un'associazione o di una fondazione non registrata, benché riconosciuta, rispondono personalmente e solidalmente insieme con la persona giuridica, delle obbligazioni assunte" - per desumerne che, se erano personalmente responsabili gli amministratori di un'associazione riconosciuta (anche se non registrata), tali non potevano non ritenersi anche gli amministratori dell'associazione non riconosciuta (mentre la ratio della norma abrogata era in realtà quella di evitare che gli amministratori compissero atti in nome dell'associazione prima della sua registrazione, quando i terzi non conoscevano ancora la consistenza del suo patrimonio).
5. - Le considerazioni svolte sull'art. 38 c.c. consentono un approccio ermeneuticamente più solido al tema della fallibilità degli associati - rectius, per quanto detto, di coloro che hanno agito in nome e per conto - come conseguenza del fallimento dell'associazione non riconosciuta; tema che registra diversi orientamenti, nonostante la matrice comune del medesimo referente normativo, costituito dall'art. 147, comma 1, l.fall..
Tale norma dispone che "La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili" (c.d. fallimento "in ripercussione").
Va subito sottolineato che questa versione è frutto della riforma fallimentare di cui al D.Lgs. n. 5 del 2006 (coordinata alla riforma del diritto societario del 2003), mentre la precedente prevedeva, assai più genericamente, che "La sentenza che dichiara il fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili".
Il rilievo è decisivo ai fini che ne occupano, poiché segna la inequivocabile volontà del legislatore di legare il fenomeno dell'estensione del fallimento non già a qualsiasi ipotesi di responsabilità illimitata del socio, bensì solo alla responsabilità illimitata strutturalmente prevista da specifici tipi societari, e dunque solo rispetto ai soci di società in nome collettivo, società in accomandita semplice e società di accomandita per azioni, nelle quali la responsabilità dei soci riguarda tutte le obbligazioni sociali, ivi compresa l'ipotesi di responsabilità illimitata assunta ai sensi dell'art. 2320 c.c., comma 1, dal socio accomandante che si sia ingerito nell'amministrazione della società (Cass. 22256/2012, 21470/2013).
5.1. - Peraltro, anche con riguardo a fattispecie ante riforma del 2006, questa Corte ha osservato che l'art. 147 l.fall., nella parte in cui commina l'estensione del fallimento della società ai soci illimitatamente responsabili, deve intendersi riferito a quelle società che, in base al tipo legale, sono strutturalmente conformate in modo tale da comportare - nonostante l'autonomia patrimoniale, o, addirittura, la personalità giuridica, come nella società in accomandita per azioni - la responsabilità illimitata e solidale dei soci, o di una categoria di essi, per tutte le obbligazioni sociali, secondo una "ratio" che imputa l'insolvenza a titolo di responsabilità oggettiva, sulla base dell'accettazione del rischio di impresa, e non anche dei soci che siano invece solo occasionalmente responsabili delle obbligazioni contratte, "per accadimenti specifici e storicamente delimitabili" (Cass. 1044/1976, 27103/2008, 2711/2009; v. anche Cass. 22256/2012, 21470/2013).
Quella stessa giurisprudenza, in linea con autorevole dottrina, ha perciò ritenuto non estensibile l'art. 147, comma 1, l.fall. al socio unico di società per azioni o di società a responsabilità limitata, trattandosi di responsabilità illimitata prevista da disposizioni codicistiche di natura eccezionale, e configurabile come una "responsabilità "lato sensu" fideiussoria "ex lege", ma solo in via temporanea", e cioè limitatamente alle obbligazioni sorte nel periodo in cui è venuta meno la pluralità dei soci, e al ricorrere di specifici presupposti (Cass. 2711/2009; conf. Cass. 2532/2005 e, da ultimo, Cass. 4034/2023, in tema di effetti esdebitativi del concordato preventivo).
Nelle società per azioni, infatti, l'art. 2325 c.c. dispone al comma 1 che per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il suo patrimonio, ma aggiunge nel secondo che "in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'art. 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'art. 2362".
Analogamente, nelle società a responsabilità limitata l'art. 2462 dispone al comma 1 che per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio, ma aggiunge nel secondo che "in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l'intera partecipazione è appartenuta ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'art. 2464, o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'art. 2470".
In queste ipotesi si crea dunque una divaricazione tra la responsabilità della società (estesa a tutte le obbligazioni) e quella del socio unico (limitata alle obbligazioni contratte senza l'osservanza delle prescrizioni dettate in tema di conferimenti o di pubblicità), del tutto analoga a quella creata dall'art. 38 c.c., avuto riguardo alla responsabilità dell'associazione non riconosciuta e di coloro che abbiano agito in nome e per conto della stessa.
5.2. - Ciò premesso, occorre dare atto che la tesi favorevole all'estensione del fallimento dell'associazione non riconosciuta a chi abbia agito "in nome e per conto" consta di varie articolazioni.
Un primo orientamento ravvisa nell'art. 147 l.fall. un principio generale, valevole per ogni forma di esercizio collettivo dell'impresa, e perciò applicabile analogicamente anche all'associazione non riconosciuta.
Un secondo indirizzo, muovendo dalla premessa dogmatica che i soci illimitatamente responsabili rivestono la qualità di imprenditori commerciali, legge l'art. 147 l.fall. non come deroga, ma come conferma del principio di soggezione a fallimento dei soli imprenditori commerciali (art. 1 l.fall.), e ne trae la conseguenza che quel principio vale anche per gli associati illimitatamente responsabili ex art. 38 c.c., cui l'art. 147, comma 1, l.fall. sarebbe applicabile non analogicamente, ma direttamente, in quanto riferibile a tutti coloro che essendo membri, responsabili senza limiti, di un gruppo associato che esercita un'impresa commerciale, finiscono per assumere la qualità di imprenditori commerciali.
In passato anche questa Corte ha ritenuto che la natura eccezionale dell'art. 147 l.fall. - in quanto comportante una deroga al principio generale dell'assoggettamento alle procedure concorsuali delle sole persone che abbiano la qualità di imprenditore commerciale - pur non consentendone ex art. 14 preleggi l'applicazione analogica a procedure concorsuali diverse dal fallimento, quali l'amministrazione controllata e il concordato preventivo (Cass. 6677/1981, 8097/1992), tuttavia "non ne preclude affatto l'applicazione in tutti i casi in cui si tratti di estendere il fallimento a soggetti illimitatamente corresponsabili con l'imprenditore collettivo fallito" (Cass. 5394/1985, 3095/1981, 3733/2003, tutte in tema di estensibilità del fallimento al socio di una società di capitali che risponda illimitatamente delle obbligazioni assunte quando la società aveva forma personale).
Di qui l'affermazione, proprio con riferimento all'art. 38 c.c., che sarebbe "l'esistenza di una responsabilità illimitata concorrente con la responsabilità dell'impresa collettiva (...) a rendere applicabile l'art. 147 L. Fall., che appunto presuppone, non fonda, la responsabilità illimitata del soggetto cui il fallimento deve estendersi".
In altri termini, l'assoggettabilità a fallimento di chi abbia agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta si fonderebbe non già sull'art. 147 l.fall., bensì sull'esistenza di una norma, l'art. 38 c.c., che gli attribuisce la responsabilità illimitata, presupposto per l'applicabilità dell'art. 147, comma 1, l.fall..
5.3. - L'opposta tesi muove dall'assunto (largamente sostenuto in dottrina e condiviso dalla giurisprudenza di legittimità) che il socio illimitatamente responsabile non è imprenditore commerciale (ex multis Cass. 9598/1993, per cui i soci di una società di persone non possano considerarsi imprenditori commerciali neppure se, secondo le regole proprie del tipo di società, sono illimitatamente responsabili per le sue obbligazioni, atteso che in tali società, pur prive di personalità giuridica, la titolarità dell'impresa spetta non ai singoli soci, ma alla società quale centro unitario di imputazione degli atti compiuti dagli amministratori) e che l'art. 147 l.fall., rappresentando un eccezionale ampliamento del perimetro tracciato dall'art. 1 l.fall. - oltre che norma eccezionale rispetto all'art. 5 l.fall., poiché prescinde dalla personale insolvenza dei soci (Cass. 1095/2016, con riguardo al fallimento di s.r.l. quale socia di una società di persone di fatto; conf. Cass. 10652/2011, 15596/2000, 1122/1997) - non può essere esteso, in assenza di espressa disposizione di legge, a figure diverse da quelle ivi contemplate.
In altri termini, chi agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non potrebbe fallire né ai sensi dell'art. 1 l.fall. (non rivestendo la qualifica di imprenditore commerciale) né ai sensi dell'art. 147, comma 1, l.fall. (la cui natura eccezionale ne precluderebbe un'applicazione analogica).
In ogni caso, si osserva, anche a voler in astratto ritenere possibile una estensione dell'art. 147 l.fall. al di là del suo tenore letterale, dovrebbe egualmente escludersene ogni applicazione analogica, non risultando corretto assimilare la posizione dell'associato che agisca "in nome e per conto" dell'associazione non riconosciuta a quello del socio illimitatamente responsabile.
E ciò proprio perché dalla lettera dell'art. 38 c.c. si ricava che la responsabilità di chi ha agito per l'associazione non riconosciuta riguarda non già l'intera situazione debitoria dell'ente, bensì solo le obbligazioni scaturenti dai negozi concretamente posti in essere in nome e per conto dell'ente stesso.
6. - Il Collegio ritiene che la tesi dell'estensione del fallimento dell'associazione non riconosciuta al soggetto che abbia agito in nome e per conto della stessa non sia sostenibile, tanto più dopo la riforma dell'art. 147 l.fall., nei termini già indicati.
Alla luce delle argomentazioni svolte, infatti, non risulta giuridicamente corretta un'operazione ermeneutica che, equiparando al socio illimitatamente responsabile colui che abbia agito in nome e per conto dell'associazione - cui l'art. 38 c.c. si limita ad attribuire una responsabilità personale e solidale per le sole obbligazioni personalmente negoziate, riconducibile al paradigma della fideiussione ex lege (come si è diffusamente detto sopra, nel paragrafo 4) - estenda a questìultimo il fallimento dell'associazione non riconosciuta, sulla base dell'art. 147, comma 1 l. fall..
Tale norma è infatti ora espressamente applicabile solo alle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile, e, stante la sua portata eccezionale - derogatoria dei principi generali di cui agli artt. 1 e 5 l.fall. - non può essere estesa tout court alle ulteriori fattispecie in cui ricorra, per convenzione o per legge, una qualche responsabilità solidale illimitata per le obbligazioni assunte dall'ente collettivo.
Tanto meno laddove detta responsabilità possa ritenersi "illimitata" solo nei sensi di cui all'art. 2740 c.c. (e dunque nella prospettiva del patrimonio chiamato a risponderne), ma sia invece "limitata" a specifiche obbligazioni contratte, e non riguardi indiscriminatamente tutte le obbligazioni assunte dall'ente, come dispone, appunto, l'art. 38 c.c., a differenza di quanto dispongono invece l'art. 2291 c.c. (per i soci della società in nome collettivo), art. 2313 c.c. (per i soci accomandanti delle società in accomandita semplice), art. 2320 c.c., comma 1, ultimo periodo (per il socio accomandante abbia violato il divieto di immistione negli atti di gestione), art. 2452 c.c., comma 1 (per i soci accomandatari della società in accomandita per azioni).
Risulta allora quasi superfluo sottolineare la profonda diversità che sussiste rispetto alla responsabilità del socio di società di persone, che deriva semplicemente dalla sua qualità e riguarda indistintamente tutti i debiti della società (obbligato principale), senza necessità di alcun ulteriore accertamento di fatto in ordine alla sua condotta, quale fatto costitutivo di una responsabilità correlata ad ogni singolo e specifico rapporto obbligatorio.
E' quindi evidente che, sulla scorta di una diversa interpretazione dell'art. 38 c.c., ampiamente consolidata nella giurisprudenza di questa Corte (v. sopra, par. 4.1.), viene meno il tassello su cui poggiava l'opposta conclusione di Cass. 5305/2004, che resta perciò superata.
La stessa Procura generale rileva che, ove si continuasse ad accedere a quella diversa ricostruzione giuridica della responsabilità di cui all'art. 38 c.c., si andrebbe incontro anche alla difficoltà di addivenire sul piano fallimentare ad un confinamento delle varie sfere di responsabilità, cui osta il carattere indefettibilmente universale dell'esecuzione concorsuale.
6.1. - E' appena il caso di aggiungere che il fondamento giuridico del fallimento in ripercussione di chi abbia stabilmente speso il nome e agito per conto di un'associazione non riconosciuta potrebbe semmai rinvenirsi nell'accertamento dell'esistenza di una società in nome collettivo irregolare,e della sua effettiva qualità di socio di fatto, ovvero di amministratore di fatto (qualità che nelle società di persone non può che essere attribuita ai soci: cfr. artt. 2257,2266,2297 e 2318 c.c.).
Si tratta, però, di un tema che non risulta entrato a far parte del giudizio di merito, e che ovviamente non potrebbe essere introdotto per la prima volta in questa sede, come si tenta surrettiziamente di fare nella memoria del Fallimento controricorrente, ove, sulla scia di una pronuncia di merito sopravvenuta in fattispecie analoga, si vorrebbe qualificare il ricorrente come socio amministratore di una società di fatto.
Lo stesso precedente invocato in memoria (Cass. civile, Sezione V, ordinanza n. 546 del 10 gennaio 2023), pur affermando che "la perdita della natura decommercializzata dell'attività svolta dagli enti collettivi non societari costituiti nelle forme dell'associazione non riconosciuta e la conseguente qualificazione dell'attività dall'associazione svolta quale attività commerciale comporta (...) la qualificazione dell'ente collettivo quale società di fatto e la conseguente applicazione del regime di trasparenza agli associati che siano qualificabili quali soci della medesima società di fatto", non manca di precisare - nell'inserto omesso proprio per darvi maggiore rilevanza - che ciò è possibile solo "ove la stessa attività venga svolta da più associati in comune tra loro".
E' dunque pacifico che una simile operazione sarebbe possibile solo previo accertamento dell'esistenza degli elementi identificativi della società, tra cui, alla stregua dell'art. 2247 c.c., il perseguimento, attraverso l'attività economica, di un fine lucrativo (c.d. lucro oggettivo) e l'obbiettivo comune di dividere gli utili conseguiti (c.d. lucro soggettivo), poiché non ogni possibile esercizio collettivo di una impresa integra la nozione di società, la quale contraddistingue solo una delle possibili forme di impresa collettiva, per quanto tra le più rilevanti, quella a scopo di lucro.
Peraltro, un simile accertamento dovrebbe comportare, secondo il paradigma normativo dell'art. 147 l.fall., l'estensione del fallimento a tutti gli associati, in quanto soci, e non già a chi abbia solo agito in nome e per conto dell'associazione.
7. - Va quindi enunciato il seguente principio di diritto:
"La responsabilità personale e solidale prevista dall'art. 38 c.c. è circoscritta alle singole obbligazioni negoziali assunte ed è assimilabile a quella del fideiussore per le obbligazioni del debitore principale.
Il fallimento dell'associazione non riconosciuta non comporta il fallimento "per ripercussione" di chi ha agito in nome e per conto dell'associazione medesima, che si limita a rispondere in via personale e solidale delle specifiche obbligazioni scaturite dall'attività negoziale così posta in essere".
8. - All'accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata e la condanna alle spese del Fallimento controricorrente, liquidate in dispositivo.
9. - Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, con la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado e la revoca del fallimento del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti due, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara nulla la sentenza del Tribunale di Padova n. 94/2018 del 08/06/2018 dichiarativa del fallimento di B.I., che revoca.
Condanna il Fallimento controricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida per compensi in Euro 5.000,00 per ciascuno dei due gradi del giudizio di merito, ed Euro 7.000,00 per il presente giudizio di legittimità, in tutti i casi oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.
Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2023.