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Ritardo nel deposito delle sentenze, le criticità del tribunale non giustificano il giudice

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Sentenza n.25364 del 28/08/2023

Le criticità interne dei tribunali non possono essere invocate come giustificazione per i ritardi dei giudici nel deposito delle sentenze.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 25364 depositata il 28 agosto 2023.

Nel caso di specie, un magistrato del Tribunale di Tempio Pausania aveva accumulato un ritardo nel deposito di ben 388 decreti penali di condanna, trascorso oltre un anno dalla loro ricezione.

Il magistrato aveva argomentato che le condizioni sfavorevoli e la mancanza di personale fossero valide ragioni per tali ritardi. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno sottolineato che, nonostante le "evidenti criticità, come emerso dalle testimonianze, dell'Ufficio giudiziario di riferimento", i ritardi non sono giustificabili. Questo è particolarmente vero per i decreti penali, provvedimenti semplificati che "non necessitano di eccessivi sforzi temporali".

In conclusione, la Suprema Corte ha affermato che ritardi così significativi e ripetuti non possono essere attribuiti a presunte difficoltà organizzative. Piuttosto, evidenziano una "carenza nella gestione e nell'adempimento dei propri doveri da parte del giudice in questione".

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Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza 28/08/2023, (ud. 04/07/2023) n.25364

(Presidente Cassano- Relatore Di Marzio)

Fatti di causa

1. - Il dottor C.M. è stato sottoposto ad azione disciplinare per fatti, articolati in otto capi di incolpazione, che la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha ritenuto potersi ricondurre a quattro diverse tipologie:

-) in una serie di casi è stata contestata la violazione di cui all'art. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettere g) ed l), del decreto legislativo numero 109 del 2006, per avere emesso provvedimenti privi della prescritta motivazione, in violazione di specifiche disposizioni di legge, con ciò determinando una protrazione dei relativi procedimenti, incompatibile con i principi della ragionevole durata del processo;

-) nei casi oggetto dell'incolpazione rubricata ai capi 1 e 8 è stato contestata all'incolpato la violazione di cui all'art. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera a), dello stesso decreto legislativo, per aver rispettivamente determinato un ingiusto danno per le persone offese dal reato, quanto al capo 1, ed un indebito vantaggio all'imputato con correlativo ingiusto danno alle persone offese dai reati stessi, quanto al capo 8;

-) con riguardo al capo 5 dell'incolpazione è stata altresì contestata ai sensi dell'art. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera n), dello stesso decreto legislativo, la violazione grave e reiterata delle disposizioni tabellari adottate dal presidente del tribunale;

-) ancora con riguardo al capo 8 dell'incolpazione è stato contestato all'incolpato ai sensi dell'art. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera q), dello stesso decreto legislativo, di aver omesso di depositare nonostante il decorso di un tempo superiore all'anno dal pervenimento 388 decreti penali di condanna.

2. - La Sezione Disciplinare, con sentenza numero 2 del 2023, depositata l'11 gennaio 2023, ha dichiarato il dottor C.M. responsabile degli illeciti ascritti, eccezion fatta per quelli di cui all'art. 2, comma 1, lettera a, contestati ai capi 1 e 8, condannandolo alla sanzione della censura.

3. - A fondamento della decisione la Sezione Disciplinare ha così motivato: "Nel merito, la responsabilità dell'incolpato deve essere affermata, seppur soltanto con riguardo a talune (la più gran parte, invero) delle contestazioni mosse, e previa parziale riqualificazione delle stesse.... 8. Diversamente deve dirsi, invece, avuto riguardo alla contestazione relativa all'illecito di cui all'art. 2, comma 1, lett. n) D.Lgs. n. 109/96, come descritta al capo 5) dell'incolpazione.

Invero, anche a ritenere plausibile, in astratto, l'esistenza di una pretesa incompatibilità dell'incolpato a trattare il procedimento richiamato in incolpazione (e ancorché tale asserita incompatibilità non sia emersa, in atti, in modo non controvertibile), resta il rilievo che la condotta del Dott. C. successiva alle determinazioni del capo dell'Ufficio (che aveva negato la sussistenza dell'incompatibilità) - essendosi tradotta (piuttosto che nell'ulteriore rilievo formale della propria incompatibilità) nel tener fermo presso di sé il processo con un numero elevatissimo di rinvii; e, infine, nel "trasferirlo" ad altro magistrato (il Dott. M.      ) che l'incolpato ha ritenuto "competente" - è stata adottata in grave violazione delle prescrizioni tabellari e di servizio, integrando, perciò, l'illecito di cui alla lett. n) dell'art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 109 del 2006. 9. Una più articolata considerazione meritano, infine, i numerosi fatti oggetto delle residue incolpazioni. Intanto, giova premettere che la situazione oggettiva di ritardo nel deposito dei provvedimenti (decreti penali di condanna) di cui al capo 8) dell'incolpazione non è negata dalla stessa difesa dell'incolpato, la quale, in sede di discussione finale (verbale del 7.11.2022) ha, piuttosto, provato predicarne la "giustificabilità", in ragione della situazione di criticità, confermata in sede di acquisizioni testimoniali, dell'Ufficio giudiziario di appartenenza dell'incolpato. Sennonché, osserva la Sezione che la particolare numerosità dei provvedimenti inevasi (388), la natura estremamente semplificata, in linea di principio, degli stessi e del procedimento (avente proprio natura acceleratoria) al cui interno essi si collocano, la particolare consistenza dei ritardi e, per quanto di seguito si dirà, il contesto gravemente disfunzionale di gestione del ruolo da parte dell'incolpato rendono certamente non rilevante, quale asserita causa giustificativa della omissione, la pur presente criticità organizzativa, la quale non può essere considerata tale da aver reso "inesigibile" per l'incolpato la condotta di tempestivo assolvimento in termini almeno contenuti, ancorché non puntualissimi, dei propri doveri funzionali. L'attività istruttoria espletata (avuto specialmente riguardo alla deposizione del teste C. ) ha anche evidenziato, d'altra parte, che non soltanto l'incolpato non ebbe a evidenziare, specificamente, una pretesa ingestibilità del proprio ruolo al capo dell'Ufficio ma che, addirittura, quest'ultima abbia più volte, e caldamente, sollecitato l'incolpato a non fissare (come invece era sua abitudine fare) "una marea di procedimenti" per poi poterne trattare e definire soltanto alcuni, avvertendolo, più volte, che "non avrebbe potuto farcela"; ma di queste ripetute avvertenze, evidentemente, l'incolpato - ben consapevolmente - non ha tenuto alcun conto. È stato opportunamente sottolineato, a tal proposito, dalla giurisprudenza di legittimità, che "in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, il notevole carico di lavoro dal quale lo stesso risulti gravato è idoneo ad assumere rilievo quale causa di giustificazione per il ritardo ultrannuale nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali ove - tenuto conto degli standards di operosità e laboriosità mediamente sostenuti dagli altri magistrati dell'ufficio, a parità di condizioni di lavoro - vi sia una considerevole sproporzione, a suo danno, del carico su di esso incombente, sì da rendere inesigibile, per il magistrato incolpato, l'apprestamento di una diversa organizzazione, idonea a scongiurare quei gravi ritardi, fermo restando, in ogni caso, il suo onere di segnalare al capo dell'ufficio giudiziario la prolungata situazione di disagio lavorativo in cui venga a trovarsi per consentire a questi l'adozione di idonei rimedi, non essendo consentito all'interessato di effettuare autonomamente la scelta di assumere in decisione cause in eccesso rispetto alla possibilità di redigere tempestivamente le relative motivazioni (cosi Cass., S.U., 10 settembre 2019, n. 22572). Deve quindi concludersi, certamente, per la piena sussistenza dell'illecito, indiscutibile essendo che i ritardi - oltre ad essere (per stesso riconoscimento della difesa dell'incolpato) reiterati e gravi – non possono in alcun modo ritenersi giustificati da una ipotetica ingestibilità del ruolo, essendo piuttosto emersa una non corretta impostazione del proprio dovere di auto-organizzazione da parte dell'incolpato. 9. In questa medesima cornice, da ultimo, ritiene il Collegio che debbano essere inquadrate le altre condotte residue (diverse da quelle sin qui valutate) descritte nei capi di incolpazione dall'uno al sette (compresi). A tal riguardo, per la verità, la contestazione mossa è stata quella della asserita violazione dell'art. 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. g) ed l), del D.Lgs. n. 109 del 2006, perché l'incolpato avrebbe emesso diversi provvedimenti privi della prescritta motivazione, in violazione di specifiche disposizioni di legge, con ciò determinando una protrazione dei singoli procedimenti incompatibile con i principi della ragionevole durata del processo. Osserva il Collegio che la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, unitamente all'esistenza di provvedimenti privi di motivazione o con motivazione apparente non appare integrata dalle numerose condotte specificamente indicate nei predetti capi di incolpazione, trattandosi di singoli provvedimenti di rinvio che, partitamente considerati, non manifestano in modo certo la consumazione degli illeciti addebitati (tanto che deve senz'altro escludersi che rispetto al singolo provvedimento di rinvio potrebbe predicarsi l'esistenza dell'illecito di cui alle lettere g) o l) dell'art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 109 del 2006; nè ciò può affermarsi, allora, in ragione della semplice reiterazione di simili atti). Vero è, piuttosto, che - come espressamente chiarito e confermato dal capo dell'Ufficio in sede di audizione. testimoniale (v. verbale di audizione testimoniale D.ssa C.G...   ) - la fissazione di un numero spropositato di procedimenti, con la piena previsione e consapevolezza che non sarebbe stato possibile trattarli tutti e che, piuttosto, una programmazione "in eccessò" avrebbe consentito di trattare quelli per i quali non fossero state presentate, per le ragioni più varie, richieste di rinvio (o non fossero insorte altre difficoltà) corrispondeva a (malaccorta) strategia organizzativa dell'incolpato, il quale quindi considerava con ampia elasticità e larghezza la possibilità di rinviare (anche per moltissime volte) la trattazione di una serie di procedimenti, rispondendo una simile "strategia" a preciso intento organizzativo: sennonché, proprio l'impiego di una siffatta "strategia organizzativa" ha determinato, complessivamente, per i procedimenti richiamati nei singoli capi di incolpazione qui considerati (da uno a sette), l'accumularsi di enormi e ingiustificati ritardi nella definizione dei procedimenti, come specificamente contestato, per ciascuno di essi, sotto il profilo di una "protrazione del procedimento incompatibile con i principi della ragionevole durata del processo". Ciò significa che, al di là del diverso riferimento normativo assunto a termine della violazione, le singole contestazioni mosse contengono compiutamente la descrizione della contestazione, per ciascuno dei capi considerati, di una violazione, da parte dell'incolpato, dei doveri ad esso facenti capo idonea ad integrare gravi, reiterati e ingiustificati ritardi nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle proprie funzioni (atteso che i tempi di definizione dei vari procedimenti - tutti abbreviati - si sono collocati tra oltre 7 e oltre 9 anni, o, comunque (capo 1) oltre il tempo necessario a far maturare la prescrizione). A tal proposito, giova evidenziare che, secondo un costante orientamento giurisprudenziale (formatosi in sede penale, ma pacificamente applicabile a quella disciplinare), ben può il Giudice, in sede di decisione, attribuire una qualificazione giuridica diversa al fatto contestato, immutato nella sua dimensione storica, in quanto tale riqualificazione non determina uno scenario processuale "non prevedibile" per la difesa e non richiede interventi additivi rispetto al nucleo delle opzioni processuali da essa esercitabili (cosi, di, recente, Cass. pen., 14 ottobre 2021, n. 45068, nel riassumere l'indirizzo consolidato). Tanto sopra premesso, pertanto, ritiene il Collegio che le condotte (diverse da quelle già valutate nei ss che precedono) contestate ai capi da 1) a 7) dell'incolpazione siano tali da integrare - esattamente come è a dirsi per quelle di cui al capo 8) - l'illecito (da ritardo) di cui all'art. 2, comma 1, lett. q), D.Lgs. n. 109 del 2006, e in tal senso provvede alla loro relativa riqualificazione. Nè, va aggiunto, simili ritardi possono trovare giustificazione in pur presenti criticità dell'Ufficio giudiziario- di appartenenza dell'incolpato, atteso che - come già più sopra evidenziato - la effettiva e sostanziale ragione dei microscopici ritardi accumulati risiede proprio (non già in carenze insormontabili dell'Ufficio tali da avere reso inesigibile ogni altra condotta, adottata ma, piuttosto) nella censurabile "strategia" organizzativa dall'incolpato, nonostante, peraltro, il ripetuto ed espresso avvertimento del capo dell'Ufficio che essa avrebbe potuto determinare (come in effetti ha poi determinato) gravissime disfunzioni. L'estesa, ripetuta, consapevole e macroscopica entità dei ritardi imputabili all'incolpato, unitamente alla consumazione (limitatamente al capo 5) anche dell'illecito di cui alla lett. n) dell'art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 109 del 2006 impedisce di considerare la condotta del Dott. C.    , complessivamente considerata, di scarsa rilevanza, avendo anzi contribuito in modo decisivo ad aggravare le già esistenti criticità dell'Ufficio di appartenenza. Peraltro, in ragione della sostanziale unitarietà dell'illecito consumato quanto ai fatti di cui ai capi da 1) a 8) (ritardi, gravi, reiterati e ingiustificati), della personalità dell'incolpato e del percorso professionale del medesimo, ritiene il Collegio che la sanzione possa essere contenuta nei limiti della censura".

4. - Per la cassazione della sentenza il dottor C.M. ha proposto ricorso articolato in tre motivi.

5. - Il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso ed il Procuratore Generale ha concluso per l'inammissibilità.

Ragioni della decisione

6. - Il ricorso contiene tre motivi.

6.1. - Il primo motivo denuncia inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 18, comma 4, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, in relazione agli artt. 468 e 495 c.p.p. in tema di ordinanza di ammissione dei testimoni indicati dalla difesa dell'incolpato. Nullità del provvedimento ammissivo ex art. 125, comma 3 c.p.p. per mancanza di motivazione dell'ordinanza prevista dall'art. 495, comma 1, c.p.p.. Compromissione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 24 Cost (art. 606, comma 1, lett. c ed e).

Il ricorrente lamenta in particolare la nullità dell'ordinanza ammissiva delle prove, per avere essa ammesso soltanto alcuni dei numerosi testimoni indicati nella lista testi, e solo su alcune circostanze, senza svolgere alcuna puntuale motivazione in ordine alle ragioni dell'esclusione degli ulteriori capitoli e di tutti gli altri testimoni menzionati nella stessa lista.

6.2. - Il secondo motivo denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della condanna relativa all'illecito di cui all'art. 2, comma 1, lett. n), D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, contenuto nel capo 5 dell'incolpazione. Motivazione meramente apparente (art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.).

Con riferimento alla fattispecie disciplinare ex art. 2, comma 1, lett. n) del d. lgs. n. 109 del 2006, concernente la già riferita grave violazione tabellare consistita nel trasferire il procedimento nel quale era stata rigettata l'astensione ad altro collega, il ricorrente ritiene che la Sezione Disciplinare del C.S.M. non avrebbe tenuto conto di quanto accertato nel procedimento, ove sarebbe emersa una effettiva ragione di incompatibilità, pur non espressamente dichiarata nel processo penale dal giudice, riguardante il fatto che il cognato del magistrato avrebbe svolto funzioni di consulente tecnico nel procedimento.

6.3. - Il terzo motivo denuncia motivazione mancante o meramente apparente e sua manifesta illogicità per erronea applicazione di massime esperienziali utilizzate nel percorso giustificativo e per omessa valutazione di atti istruttori con riferimento all'illecito di cui all'art. 2, comma 1, lett. q), D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, contenuto nei capi da 1 a 8 dell'incolpazione (art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p.).

Con tale motivo il ricorrente censura il percorso argomentativo della sentenza impugnata in quanto carente dal punto di vista logico, poiché fondata su affermazioni apodittiche che ne inficerebbero la fondatezza al limite della motivazione meramente apparente. In particolare, il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui la Sezione disciplinare avrebbe fatto ricorso, in maniera erronea, a massime di esperienza per dimostrare l'illecito concernente i ritardi, omettendo peraltro di valutare le prove emerse concernenti la difficilissima situazione legata al carico di lavoro del Tribunale e, soprattutto, a quello del Dott. C. , che avrebbe avuto il carico di lavoro più elevato di tutti, situazione questa incidente sull'esigibilità della condotta.

7. - Il ricorso va respinto.

7.1. - Il primo motivo è inammissibile, anzitutto per il fatto che l'impugnazione dell'ordinanza di esclusione di una prova testimoniale deve illustrare, in ossequio al principio di specificità di cui all'art. 581 c.p.p. i motivi per i quali la deposizione ritenuta superflua dal giudice fosse, invece, rilevante ai fini della decisione (Cass. pen. 15 maggio 2023, n. 20581).

Nel caso in esame, il motivo, alle pagine 4-6, nelle quali la censura è svolta, non solo non indica i nominativi e le qualifiche dei testi non ammessi, ma neppure i capitoli su cui ciascuno di essi avrebbe dovuto essere ascoltato e, in particolare, dei capitoli, se ve ne siano stati, non ammessi in toto. Si comprende che gli altri testi avrebbero dovuto offrire "una ricostruzione complessiva e più ampiamente e diversamente dettagliata, con elementi inferenziali, della situazione del Tribunale di Tempio Pausania" (così a pagina 5 del ricorso), ma, esattamente, non è dato sapere in che cosa, in particolare, detta situazione consistesse e che apporto i testi avrebbero potuto fornire riguardo ad essa.

D'altro canto, la sentenza impugnata non ha escluso affatto, ma anzi ha riconosciuto espressamente, che presso il menzionato Tribunale ricorresse una situazione di criticità, ma ha aggiunto che essa nondimeno non giustificava o spiegava i macroscopici ritardi imputabili all'incolpato, da ascriversi invece alla sua irrazionale gestione del ruolo, manifestatasi, come riferito dalla Presidente del Tribunale, sentita come teste, nel fissare processi, nonostante le raccomandazioni che questa gli rivolgeva, in numero eccessivo e tale da non poter essere poi definiti nei tempi debiti.

Ne discende che il motivo mira a ribaltare l'accertamento di merito compiuta dalla Sezione disciplinare, così da ricondurre la condotta giudicata disciplinarmente rilevante non già al modo in cui il dottor C. gestiva il proprio ruolo, ma ad un complesso di circostanze diverso, per di più già avuto presente dalla sentenza impugnata.

Orbene, a fronte della plausibile motivazione offerta dalla Sezione disciplinare occorre rammentare che non è consentita al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. Un., 8 giugno 2016, n. 11708) indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché gli è estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass., Sez. Un., 9 giugno 2017, n. 14430), pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) introdotta dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46 (Cass., Sez. Un., 19 marzo 2019, n. 7691).

Ai fini della denuncia del vizio d'illogicità della motivazione disciplinare, il magistrato ricorrente deve insomma dimostrare che il testo della decisione impugnata sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, non potendosi opporre alla valutazione dei fatti contenuta nella decisione stessa una diversa ricostruzione dei medesimi, pena lo sconfinamento nel perimetro degli apprezzamenti riservati al giudice di merito (Cass., Sez. Un., 9 giugno 2017, n. 14430).

7.2. - È inammissibile anche il secondo mezzo.

Il ricorrente, in breve, lamenta che la Sezione disciplinare non abbia tenuto in considerazione l'effettiva sussistenza di una situazione tale da legittimare la sua astensione, per il fatto che il cognato avrebbe svolto funzioni di consulente tecnico nel procedimento: ma il motivo così formulato non tocca la motivazione addotta con tutta chiarezza dalla Sezione disciplinare, secondo la quale, anche ammesso che detta situazione fosse stata effettivamente sussistente, ciò che rilevava, sul piano disciplinare, era che il dottor C. avesse già chiesto alla Presidente del Tribunale di astenersi e questa avesse respinto l'istanza, di guisa che all'incolpato non rimaneva altra strada, eventualmente, che un "ulteriore rilievo formale della propria incompatibilità", e non certo l'irrituale trasferimento del fascicolo ad altro magistrato.

La censura è dunque inammissibile perché non coglie la ratio decidendi che sostiene il provvedimento impugnato.

7.3. - Il terzo mezzo è infondato.

Vi si sostiene che la Sezione disciplinare avrebbe omesso di valutare numerosi dati probatori tali da dimostrare la situazione disastrosa del Tribunale di Tempio Pausania e la carenza di personale amministrativo e di magistrati.

Ma non è così. La Sezione disciplinare ha esattamente compreso che il dottor C.  intendeva sostenere che i ritardi fossero giustificati "in ragione della situazione di criticità, confermata in sede di acquisizioni testimoniali, dell'Ufficio giudiziario di appartenenza dell'incolpato", ma ha obbiettato che i provvedimenti inevasi erano in numero enorme, ben 388, nonostante si trattasse di decreti penali, ossia di provvedimenti di natura semplificata, tali da non richiedere soverchianti impegni in termini di tempo: ed ha aggiunto che enormi erano anche i ritardi, il che stava a testimoniare che il dottor C. non avesse neppure provato a contenere i tempi di deposito dei provvedimenti, pur se non nell'osservanza rigorosa dei termini di legge.

Quanto all'osservazione contenuta in ricorso secondo cui la Sezione disciplinare avrebbe fatto cattivo uso "di una massima di esperienza così sintetizzabile: in presenza di un fatto evidente, ossia l'assenza di segnalazione al capo dell'ufficio della situazione di disagio lavorativo, la condotta del magistrato che incorra nel ritardo è certamente inescusabile", dal momento che il Presidente del Tribunale era a conoscenza della situazione di disagio lavorativo che affliggeva l'ufficio giudiziario, occorre evidenziare che la sentenza impugnata, lungi dal fondarsi sull'assunto che il dottor C. non avesse segnalato detta situazione al Presidente del Tribunale, si è limitata a richiamare una decisione di queste Sezioni Unite in cui è tra l'altro posto l'accento sull'"onere di segnalare al capo dell'ufficio giudiziario la prolungata situazione di disagio lavorativo" in cui venga a trovarsi l'incolpato del ritardo di deposito dei provvedimenti. La sentenza impugnata, però, non ha basato la statuizione di condanna su un simile addebito, tanto che, nel riassumere, a pagina 17, la ratio decidendi in proposito adottata, ha esclusivamente osservato che i ritardi, pacificamente reiterati e gravi, "non possono in alcun modo ritenersi giustificati da una ipotetica ingestibilità del ruolo, essendo piuttosto emersa una non corretta impostazione del proprio dovere di autorganizzazione da parte dell'incolpato".

8. - Le spese seguono la soccombenza. Non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

Per Questi Motivi

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del Ministero della giustizia, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2023.

Depositato in Cancelleria il 28 agosto 2023.

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