Per la tutela prevista dall’art. 2 del DPR n. 1124 del 1965, che comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in "occasione di lavoro", non è sufficiente che sussista la causa violenta e che questa abbia coinvolto l'assicurato nel luogo dove lavorava o nel percorso da e per il lavoro (infortunio in itinere). È fondamentale che questa causa sia connessa all'attività lavorativa, ovvero che derivi da essa o, almeno, sia occasionata dal suo esercizio.
Lo ha ribadito la Sezione lavoro della Cassazione civile con l'ordinanza n. 27279 del 25 settembre 2023.
Nel caso di specie, un lavoratore, dopo essersi preparato per la giornata di lavoro, si stava dirigendo verso il cantiere con un collega. Durante il tragitto, si sono fermati vicino a una fontanella per bere. Purtroppo, uno dei due lavoratori è stato trovato incosciente e poco dopo è deceduto.
La Corte di appello, confermando la sentenza del tribunale, non ha riconosciuto né l'infortunio in itinere né l'infortunio sul lavoro. Il giudice del merito sottolienava che l'evento si era verificato mentre i due lavoratori "già dovevano considerarsi al lavoro". Inoltre non erano chiare le concrete modalità delle lesioni e in ogni caso la pausa, in concreto, aveva "fatto venir meno l'occasione di lavoro e il nesso causale".
La Suprema Corte ricorda in particolare ricorda che i fatti delittuosi da parte di terzi, non connessi in alcun modo con il lavoro, escludono l'occasione di lavoro. La "mera presenza" dell'infortunato sul posto di lavoro e la coincidenza temporale dell'infortunio con la prestazione lavorativa possono infatti costituire soltanto un "indizio" della sussistenza del rapporto "occasionale" e non la prova di esso.
La protezione assicurativa e solidaristica incontra il limite del "pericolo individuale", nel senso cioè che si arresta in presenza di una situazione di rischio personale alla quale solo la vittima è esposta, ovunque si rechi o si trovi, perché ingenerata da motivi individuali ed extralavorativi. La tutela, in definitiva, non consegue alla mera circostanza che l'infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale "la sussistenza del (...) nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell'evento quanto l'esposizione a rischio dell'assicurato"
Ai fini della tutela di cui all’art. 2 del DPR n. 1124 del 1965, secondo la quale l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in "occasione di lavoro", non è sufficiente che sussista la causa violenta e che tale causa abbia coinvolto l'assicurato nel luogo ove egli svolge le sue mansioni - comprensivo del percorso da e per il lavoro - ma è necessario che tale causa sia connessa all'attività lavorativa, nel senso cioè che inerisca a tale attività o sia, almeno, occasionata dal suo esercizio.
Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 25/09/2023 (ud. 12/07/2023) n. 27279
RILEVATO
che:
1. la Corte di appello di Catanzaro ha respinto l'appello avverso la decisione di primo grado con la quale era stata respinta la domanda degli odierni ricorrenti volta ad ottenere la rendita ai superstiti;
2. a fondamento del decisum, per quanto solo rileva in questa sede, la Corte di appello ha ritenuto insussistente tanto un infortunio in itinere quanto un infortunio sul lavoro;
3. la Corte territoriale ha ricostruito nei termini che seguono gli eventi di causa: il dante causa lavorava come manovale alle dipendenze di un'impresa edile. Una mattina, dopo aver indossato, nel magazzino, gli abiti di lavoro e prelevato gli attrezzi, con l'autocarro aziendale, condotto da altro collega, si dirigeva verso il luogo di esecuzione della prestazione; durante il tragitto, i due lavoratori, sprovvisti di acqua, si fermavano vicino ad una fontanella. Il guidatore del veicolo scendeva dall'automezzo e, percorso il breve tratto di strada prospiciente la parte anteriore del camion, si accorgeva che il dante causa, con la testa appoggiata sul bordo della fontanella, era incosciente; ai fatti, seguiva il decesso di quest'ultimo;
4. nella vicenda esposta, la Corte di appello non ha ravvisato i presupposti costitutivi del diritto controverso;
5. in particolare, ha escluso l'infortunio in itinere: per la Corte di appello, l'evento si era verificato mentre i due lavoratori già dovevano considerarsi al lavoro. Non ricorrevano, tuttavia, i presupposti dell'infortunio sul lavoro perché non erano chiare le concrete modalità delle lesioni e "ad ogni modo" la pausa, in concreto, aveva "fatto venir meno l'occasione di lavoro e il nesso causale";
6. hanno proposto ricorso per Cassazione gli eredi, con un unico e articolato motivo, successivamente illustrato con memoria;
7. ha resistito, con controricorso, l'Inail;
8. chiamata la causa all'adunanza camerale, il Collegio ha riservato il deposito dell'ordinanza nel termine di cui all'art. 380 bis.1 c.p.c., comma 2.
CONSIDERATO
che:
9. con l'unico motivo di ricorso, i ricorrenti denunciano "violazione e falsa applicazione di norme di legge". Assumono che il fatto doveva qualificarsi come infortunio in itinere. In ogni caso, a prescindere dalla sua qualificazione, deducono che l'evento andava indennizzato ai sensi della normativa di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965. In particolare, richiamati alcuni precedenti di questa Corte, i ricorrenti affermano che, esclusa l'ipotesi di un atto autolesivo, ogni altra causa doveva reputarsi idonea a determinare l'operatività della copertura assicurativa;
10. il motivo è infondato, per le ragioni che vanno di seguito ad illustrarsi;
11. come noto, il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, detta la norma fondamentale della materia, secondo la quale l'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in "occasione di lavoro";
12. sulla nozione di "occasione di lavoro", la giurisprudenza di legittimità precisa che tale condizione si realizza ogniqualvolta lo svolgimento di un'attività lavorativa, pur non essendo la causa, costituisce l'occasione dell'infortunio e cioè quando determini l'esposizione del soggetto protetto al rischio di esso, dando luogo ad un nesso eziologico, seppur mediato e indiretto;
13. il comma aggiunto dal D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 12, al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, alle condizioni specificamente previste, assimila, alla esecuzione della prestazione, gli spostamenti necessari per recarsi sul luogo di lavoro (cd. infortunio in itinere); non incide, però, sul requisito dell'occasione di lavoro, da riferire, in tal caso, al nesso con la necessità degli spostamenti e dei percorsi;
14. in estrema sintesi, può affermarsi che, ai fini della tutela in oggetto, non è sufficiente che sussista la causa violenta e che tale causa abbia coinvolto l'assicurato nel luogo ove egli svolge le sue mansioni - comprensivo del percorso da e per il lavoro - ma è necessario che tale causa sia connessa all'attività lavorativa, nel senso cioè che inerisca a tale attività o sia, almeno, occasionata dal suo esercizio;
15. il principio esposto è valso ad escludere l'occasione di lavoro, in particolare, per i fatti delittuosi da parte di terzi, in alcun modo connessi con il lavoro. In tal caso, infatti, la "mera presenza" dell'infortunato sul posto di lavoro e la coincidenza temporale dell'infortunio con la prestazione lavorativa possono costituire soltanto un "indizio" della sussistenza del rapporto "occasionale" e non la prova di esso, posto che non può escludersi che l'evento dannoso sarebbe stato comunque consumato dall'aggressore, ricercando l'occasione propizia anche in tempo e luogo diversi da quelli della prestazione di lavoro (in argomento, v. Cass., sez. un., n. 17685 del 2015, in continuità con l'orientamento espresso in precedenza, tra le altre, da Cass. n. 13599 del 2009). Può dirsi, allora, che la protezione assicurativa e solidaristica incontra il limite del "pericolo individuale", nel senso cioè che si arresta in presenza di una situazione di rischio personale alla quale solo la vittima è esposta, ovunque si rechi o si trovi, perché ingenerata da motivi individuali ed extralavorativi (v. sulla scia delle sezioni unite cit., v. anche Cass. n. 31485 del 2021). La tutela, in definitiva, non consegue alla mera circostanza che l'infortunio si sia verificato nel tempo e nel luogo della prestazione lavorativa, occorrendo invece, come requisito essenziale "la sussistenza del (...) nesso tra lavoro e rischio, nel senso che il lavoro determina non tanto il verificarsi dell'evento quanto l'esposizione a rischio dell'assicurato" (Cass. n. 32473 del 2021, in motivazione);
16. ciò posto, la decisione della Corte di appello resiste, per il Collegio, alle censure dei ricorrenti;
17. deve considerarsi che la sentenza impugnata benché affermi l'incertezza in ordine alle modalità di verificazione dell'evento, accredita, in realtà, quale causa altamente verosimile dell'infortunio, il "fatto doloso del terzo", privo, però, di collegamento con l'attività lavorativa;
18. si legge, infatti, in punto di "ricostruzione dei fatti" (v. pag. 5, ultimo cpv., sentenza impugnata) che, come è evincibile dalla consulenza disposta dal PM, "l'infortunio non è consistito né in precipitazione da altezza, né in caduta accidentale da stazione eretta in conservazione di coscienza, (per)ché secondo l'esperto medico legale nominato dall'ufficio requirente, si è trattato di un colpo in testa inferto con un corpo contundente a superficie solida, ampia, priva di sporgenze";
19. indiscussa, altresì, dal tenore della pronuncia, l'estraneità del collega di lavoro, il riportato passaggio decisionale indica, con evidenza, quale fattore eziologico dell'evento, una condotta aggressiva che la Corte di merito non ha giudicato "occasionata" dall'esecuzione del lavoro (itinerario seguito per raggiungere il cantiere a bordo del camion aziendale), neppure in via mediata e indiretta, e ha ritenuto estranea alla protezione assicurativa e solidaristica;
20. il decisum è coerente con i principi espressi da questa Corte ed i rilievi, come sviluppati dai ricorrenti, non appaiono idonei ad incrinarlo efficacemente;
21. al rigetto del ricorso consegue la statuizione sulle spese, secondo il principio di soccombenza, nei termini di cui in parte dispositiva;
22. sussistono, inoltre, i presupposti per il versamento del doppio contributo, ove lo stesso risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dei ricorrenti riportati nella ordinanza.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2023.