In quali casi il giudice può collocare il figlio minorenne in comunità?
Interviene sulla questione la Sezione Prima civile della Cassazione con l’ordinanza n. 29814 del 27 ottobre 2023.
La Suprema Corte ha ribadito che l'autorità giudiziaria può intervenire con provvedimenti che modificano o ablano la responsabilità genitoriale solo quando vi è un concreto pregiudizio del minore. Questi provvedimenti, infatti, sono preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli.
Il provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale viene considerato come l'extrema ratio, adottabile solo quando gli altri provvedimenti disciplinati dal legislatore non riescono a tutelare l'interesse prevalente del minore a crescere sano nel contesto familiare d'origine.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto che il collocamento comunitario del figlio fosse l'unica soluzione per preservare il minore da una situazione conflittuale tra i genitori e dalla condotta manipolatoria della madre, che si rivelava per lui altamente pregiudizievole.
I giudici di legittimità hanno poi respinto la tesi della ricorrente, secondo cui il giudice di merito avrebbe dato rilievo alla non attendibile teoria della cosiddetta "sindrome da alienazione parentale".
Se non vi è un concreto pregiudizio l'autorità giudiziaria non può intervenire, atteso che i provvedimenti modificativi ed ablativi della responsabilità genitoriale sono preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 27/10/2023 (ud. 04/07/2023) n. 29814
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'Appello di Milano con il decreto riportato in epigrafe ha respinto il reclamo dell'odierna ricorrente, modificando solo in minima parte le determinazioni assunte dal Tribunale di Busto Arsizio a definizione del procedimento avviato ex art. 337 bis c.c., e s.s., che hanno comportato l'adozione di pesanti misure limitative della responsabilità genitoriale nei confronti dei genitori del minore P.G. (nato il (Omissis)).
Il giudice di primo grado, preso atto dell'infruttuosità di ogni tentativo di sostegno per il minore e per i genitori a causa dell'atteggiamento non collaborativo della madre, e atteso il pregiudizio per il bambino, aveva statuito come segue:
"1) rigetta la domanda di sostituzione del Curatore Speciale del minore;
2) conferma l'affido all'Ente del minore con collocazione presso l'attuale comunità ospitante per attuare il progetto esposto nella parte motiva, prevedendo la secretazione nei confronti della madre di detta Comunità, come già disposto, indicando quale orizzonte per il superamento dell'inserimento comunitario, la conclusione del ciclo scolastico della scuola elementare, prevedendo, in esito a tale percorso e previa graduale intensificazione dei rapporti padre/figlio, la collocazione preferenziale del minore presso il padre e la regolamentazione dei rapporti madre/figlio secondo un calendario che dovrà essere definito dall'ente affidatario, sul piano delle modalità e della tempistica, tenendo conto delle prioritarie esigenze di G. e del percorso fatto dalla ricorrente, attuando tutti gli interventi necessari per sostenere il minore e supportare la genitorialità;
3) conferma nell'attualità gli incontri del minore con ciascuno dei genitori attraverso le videochiamate che verranno regolate dall'Ente affidatario tenendo conto delle esigenze del minore e dello sviluppo dei rapporti, prevedendo - quanto alle videochiamate madre/figlio - oltre al divieto di scattare delle fotografie nei termini di cui in parte motiva, un monitoraggio rafforzato utile a decodificare i messaggi veicolati dalla ricorrente ed a fornire al minore i chiarimenti necessari per comprendere il dato di realtà, aiutandolo a maturare un proprio punto di vista autonomo;
4) rigetta la domanda di incontri madre/figlio in presenza, prevedendo che questi avvengano, secondo le modalità che indicherà l'ente affidatario tenendo conto non solo dello stato del minore, ma anche del percorso materno per superare l'approccio manipolatorio sia nelle videochiamate che nella strumentalizzazione fatta della vicenda in forma pubblica al di fuori del procedimento;
5) Dispone che l'Ente affidatario regoli gli incontri in presenza padre/figlio, definendo modalità e tempistiche, allorché verificherà i presupposti ed in funzione del progetto sopra esposto;
6) conferma le prescrizioni adottate nei confronti della madre quanto al divieto di divulgazione di immagini del minore, nonché i provvedimenti adottati nel corso del giudizio ex art. 709 ter c.p.c. e condanna la ricorrente a rifondere il danno cagionato al minore per l'inosservanza di tali prescrizioni, quantificandolo in Euro 2,000,00, concentrando in capo al padre la responsabilità genitoriale in rappresentanza del minore per fare valere tale credito e gestire la somma nell'interesse del minore;
7) dichiara l'incompetenza a decidere in ordine alla domanda di decadenza della responsabilità genitoriale promossa nei confronti della Sig.ra T. assegnando il termine di legge per la riassunzione avanti al TM di Milano;
8) dispone la trasmissione di copia del presente decreto e degli atti e documenti del procedimento al PM presso il TM di Milano per le valutazioni di propria competenza in ordine alla fattispecie di cui all'art. 330 c.c.;
9) dispone che entrambe le parti concorrano, paritariamente, per le necessità del minore che non sono soddisfatte dall'Ente;
10) dichiara inammissibile la domanda risarcitoria svolta dal Curatore Speciale;
11) condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite al resistente, liquidate in Euro 5.400,00 per compensi professionali oltre spese generali ed oneri di legge;
12) condanna la ricorrente a rifondere le spese afferenti al Curatore Speciale, liquidate in Euro 2.500,00 per compensi professionali oltre spese generali ed oneri di legge;
13) condanna la ricorrente a rifondere al resistente, a titolo di lite temeraria, la somma di Euro 1.800,00;
14) revoca il Patrocinio a spese dello Stato a favore della ricorrente;
15) dispone che l'ente affidatario relazioni semestralmente al GT (prossima scadenza 31/5/2022) nonché al PM presso il TM quale seguito alla trasmissione degli atti disposta da questo Tribunale".
La Corte d'appello, in parziale riforma del decreto impugnato, ha incaricato i Servizi Sociali dell'ente affidatario del minore di proseguire nell'organizzazione di incontri protetti e osservati, da svolgersi in presenza, tra G. e ciascun genitore (anche la madre) provvedendo, qualora vi fossero i presupposti, ad una loro progressiva intensificazione, in prospettiva di una eventuale futura liberalizzazione, se ritenuta conforme al superiore interesse del minore. Ha, poi confermato, nel resto la pronuncia reclamata.
La madre del minore ha impugnato per cassazione il decreto della Corte d'appello, affidandosi a sette motivi di ricorso.
Il padre della minore si è difeso con controricorso, mentre gli altri convenuti sono rimasti intimati.
In pendenza del presente procedimento la ricorrente ha presentato istanza di rinvio del presente procedimento per consentire la trattazione congiunta con il ricorso R.G.N. 29626/21, proposto contro il decreto pronunciato della medesima Corte d'Appello sul reclamo adottato nei confronti del provvedimento adottato dal giudice di primo grado in corso di causa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 330 e 333 c.p.c., e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la Corte d'appello omesso di indicare un termine per la presumibile durata dell'affido etero-familiare del minore.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 330 e 333 c.c., oltre all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la Corte d'appello aderito aprioristicamente alle risultanze delle CTU, che giustificavano il collocamento etero-familiare del minore in Comunità per la ritenuta situazione conflittuale tra i genitori, unitamente alla condotta manipolatoria ed alienante dell'altra figura genitoriale da parte della madre.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 111 Cost., comma 6, (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), per non avere la Corte d'appello tenuto conto della realtà fattuale e di tutti gli elementi della fattispecie.
Con il quarto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 337 octies c.c., art. 315 bis c.c., comma 3, art. 336 bis c.c., art. 38 bis disp. att. c.c. e della normativa internazionale in materia di audizione del minore (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione al mancato ascolto del minore e alla mancata valutazione delle dichiarazioni di quest'ultimo che, sentito dal giudice di prime cure, aveva riferito di non voler stare con il padre.
In particolare, secondo la ricorrente, la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di audizione del minore in poche parole, sostenendo che G. era stato già sentito dal giudice di primo grado, prima dell'emissione del provvedimento reclamato, e argomentando genericamente che il Tribunale non aveva disposto in senso contrario all'interesse del minore, il quale, in sede di audizione, non aveva saputo spiegare il motivo per cui non voleva vedere il padre.
Con il quinto motivo è dedotta la violazione dell'art. 8 CEDU e la violazione e la falsa applicazione degli artt. 330 e 333 c.c., oltre all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per non avere la Corte d'appello svolto una accurata valutazione delle richieste che la madre, i fratelli e i nipoti possano incontrare il minore di persona con frequenza settimanale.
Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 8 CEDU e art. 117 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la Corte d'appello estromesso la madre dalla relazione con il figlio.
Con il settimo motivo è dedotta la violazione dell'art. 6, art. 8 CEDU e art. 117 Cost. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la Corte d'appello dilatato inutilmente il decorso del tempo impedendo al minore il ricongiungimento con i genitori, in violazione delle disposizioni sulla ragionevole durata di un procedimento.
2. Non è opportuna la riunione del presente procedimento a quello recante il numero di R.G.N. 29626/2021, pendente tra le stesse parti, tenuto conto che nel presente giudizio occorre vagliare i motivi di ricorso mentre l'altro deve essere definito in via preliminare con una statuizione in rito.
3. Il primo motivo di ricorso è infondato nella parte in cui è prospettata la violazione di legge e inammissibile nella parte in cui è dedotto l'omesso esame di un fatto decisivo.
3.1. Parte ricorrente ha ritenuto che la Corte d'Appello, con il provvedimento impugnato, ha confermato il collocamento etero-familiare (in Comunità) del minore, omettendo qualsiasi riferimento alla durata dello stesso e limitandosi a prospettare una "eventuale futura liberalizzazione" solo all'esito positivo degli intensificati incontri protetti tra i genitori ed il minore.
La T. ha precisato che non rileva, sul punto, quanto disposto nel decreto definitivo del Tribunale di Busto Arsizio, ove, al punto 2 della parte motiva, è disposta la "conferma dell'affido all'ente del minore con collocazione presso l'attuale comunità ospitante per attuare il progetto esposto nella parte motiva, prevedendo la secretazione nei confronti della madre di detta comunità, come già disposto, indicando quale orizzonte per il superamento dell'inserimento comunitario, la conclusione del ciclo scolastico della scuola elementare...", in quanto, da un lato, tale previsione non è espressamente richiamata dalla Corte d'appello e, dall'altro, non contiene alcun limite certo.
In tale ottica, la parte ha evidenziato che la L. n. 184 del 1983, art. 4, nel disciplinare l'affido familiare, stabilisce che nel provvedimento con il quale venga disposta tale misura debba essere indicato il periodo di presumibile durata della stessa, che deve risultare in rapporto con gli interventi preordinati al recupero della famiglia originaria, con la precisazione che detto intervallo temporale non può oltrepassare i 24 mesi, aggiungendo che il giudice di legittimità ha, di recente, ritenuto sussistente la violazione di tale norma, recependo l'orientamento secondo cui il menzionato affido rappresenta una misura residuale, temporanea e strumentale, preordinata a rimuovere situazioni di difficoltà e disagio familiare, collegate all'esercizio della responsabilità genitoriale, che non possono ragionevolmente protrarsi all'infinito, dovendosi sempre tenere sullo sfondo, ricorrendone i presupposti, il reinserimento del minore nel contesto familiare d'origine.
E' per questo che, secondo la ricorrente, il provvedimento che dispone l'affidamento etero-familiare deve indicare il periodo di prevedibile durata dello stesso e l'eventuale proroga non può avere durata indeterminata, atteso che la duratura e irreversibile mancanza di un ambiente familiare idoneo impone la dichiarazione di adottabilità, dovendosi evitare affidamenti sine die in assenza di alcuna progettualità condivisa tra servizi sociali e tribunale in pregiudizio dell'interesse primario del minore.
3.2. Per quanto riguarda la dedotta violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deve preliminarmente ricordare che la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c. consente l'impugnazione, ai sensi della norma appena richiamata, "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".
La disposizione si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, inteso come fatto storico e cioè come accadimento naturalistico.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una questione o un punto, ma un vero e proprio "evento", un preciso accadimento, una determinata circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 2, n. 26274/2018).
Non integrano, viceversa, fatti, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass., Sez. 2, n. 14802/2017; Cass., Sez. 5, n. 21152/2014), gli elementi istruttori in sé considerati, le domande o le eccezioni formulate nella causa di merito, ovvero i motivi di appello.
E', pertanto, evidente che la ritenuta mancata indicazione del termine finale al provvedimento di etero affidamento impugnato non può essere considerata come un fatto storico omesso nella valutazione del giudice di merito.
Sotto questo profilo, la censura e', dunque, inammissibile.
3.3. Per quanto riguarda la dedotta violazione di legge, occorre tenere presente che, come già affermato da questa Corte, l'affidamento del minore ai servizi sociali costituisce una misura limitativa della responsabilità genitoriale, riconducibile al disposto dell'art. 333 c.c. (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 31902 del 10/12/2018).
Un espresso riferimento all'affidamento familiare si rinviene nell'art. art. 337 ter c.c., ove, con riferimento ai giudizi separativi (e cioè quelli individuati dall'art. 337 bis c.c.), come è quello in questione, è stabilito che il giudice "Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare".
Un'analoga disposizione era presente già nel previgente art. 155 c.c., riguardante il procedimento di separazione personale dei genitori. Inoltre, la L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 8, riferito al giudizio di divorzio, prevedeva espressamente che, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, il tribunale potesse procedere all'affidamento familiare di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 2.
La L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 8, è stato abrogato dal D.Lgs. n. 154 del 2013, che ha introdotto l'art. 337 ter c.c., per disciplinare uniformemente le statuizioni riguardanti i figli in tutti i procedimenti separativi.
La Relazione illustrativa al D.Lgs. cit. ha, tuttavia, spiegato che nell'art. 337 ter c.c. è stato trasposto il contenuto dell'art. 155 c.c., con alcune aggiunte mutuate dalla L. n. 898 del 1970, abrogato art. 6, commi 8 e 10.
E', pertanto, la stessa Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 154 del 2013 a fornire la dimostrazione che la disposizione contenuta nell'art. 337 ter c.c. è mutuata dal previgente L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 8, il quale, a sua volta, richiamava espressamente l'affidamento familiare di cui alla L. n. 184 del 1983, art. 2.
In linea con tale ricostruzione, il D.Lgs. n. 149 del 2022 (non applicabile alla fattispecie ratione temporis) ha introdotto, nello stesso titolo destinato alla regolamentazione dell'affido familiare, la L. n. 184 del 1983, art. 5 bis (cui il precedente art. 4 rinvia), che disciplina espressamente l'affidamento del minore ai servizi sociali.
Non può, pertanto, seriamente mettersi in dubbio che l'affidamento familiare richiamato dall'art. 337 ter c.c. sia quello disciplinato dalla L. n. 184 del 1983.
Questa Corte si è già espressa in tal senso. In proposito assume rilievo Cass., Sez. 1, n. 16569 dell'11/06/2021, ove si precisa che, quando l'adozione del provvedimento di affidamento familiare del minore si rende necessaria nel corso del giudizio di separazione dei coniugi, ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., la competenza appartiene al tribunale ordinario, poiché l'affidamento familiare è da considerarsi come misura limitativa della responsabilità genitoriale. Ciò comporta che il Tribunale ordinario deve dare applicazione alla disciplina dettata dalla L. n. 184 del 1983, ritenuta non derogabile, indicando il periodo di presumibile estensione temporale dell'affidamento, i modi di esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario e le modalità attraverso cui i genitori e gli altri componenti del nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore.
Si e', poi, precisato che la L. n. 184 del 1983, art. 4, comma 3, attribuisce alla cognizione giudiziale il potere di disporre l'affido etero-familiare anche se non vi è accordo sul punto dei genitori, ma ciò non significa attribuire alla stretta competenza giurisdizionale la fissazione delle modalità attuative del provvedimento disponente l'affido che, servizi organizzati sul territorio, e dotati di specifiche competenze in ambito socio-sanitario, più agevolmente possono individuare in relazione al caso concreto, su delega del giudice disponente (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4797 del 14/02/2022).
Nel caso di specie risultano rispettati i principi appena enunciati, tenuto conto che il giudice del reclamo ha riformato il provvedimento del Tribunale solo nella parte in cui ha aggiunto, anche per la madre, la previsione di incontri in presenza con il minore (peraltro, di fatto, già avviati), confermando per il resto la statuizione già adottata, ove il Tribunale ha individuato, in parte motiva, il progetto che la Comunità ospitante avrebbe dovuto attuare, dando anche indicazioni specifiche e indicando quale orizzonte per il superamento dell'inserimento comunitario, la conclusione del ciclo scolastico della scuola elementare, prevedendo, in esito a tale percorso e previa graduale intensificazione dei rapporti padre/figlio, la collocazione preferenziale del minore presso il padre e la regolamentazione dei rapporti madre/figlio secondo un calendario che avrebbe dovuto essere definito dall'ente affidatario, sul piano delle modalità e della tempistica.
Sotto questo profilo, pertanto, il motivo deve essere respinto.
4. Il secondo motivo di impugnazione è inammissibile.
La ricorrente ha dedotto che il giudice del reclamo ha acriticamente recepito le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, dando rilievo alla non attendibile teoria della cd "sindrome da alienazione parentale", prendendo in considerazioni ulteriori elementi non significativi, mentre invece avrebbe dovuto tenere conto di aspetti diversi da quelli considerati, prestando attenzione alle osservazioni critiche della madre del minore e a quanto evidenziato dai servizi sociali nella relazione del 05/08/2022.
4.1. Il motivo, nella parte in cui è dedotta violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risulta formulata in modo estremamente generico e indistinto rispetto alla dedotta violazione di legge, in violazione dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, non emergendo la definita prospettazione di fatti storici e della loro decisività, che invece, come sopra evidenziato, è necessaria per consentire al giudice di esaminare il motivo di doglianza.
4.2. Anche per quanto riguarda la dedotta violazione di legge, il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente dimostrato di avere colto la ratio sottesa alla statuizione assunta, nella parte in cui ha fatto riferimento alla non affidabilità della teoria della sindrome di alienazione parentale, che non è stata affatto richiamata dalla Corte d'appello, la quale ha, invece, valutato comportamenti concreti, ritenendo che, alla luce delle risultanze in atti, il collocamento del minore in comunità fosse ancora l'unico rimedio in grado di preservare G. dalla situazione conflittuale tra i genitori e dalla condotta manipolatoria della madre, per lui altamente pregiudizievoli, come era confermato dai miglioramenti registrati da quando l'inserimento comunitario aveva avuto inizio.
Per il resto, la ricorrente ha censurato la ricostruzione in fatto operata da quest'ultima, effettuando critiche che attengono al merito della vertenza e, pertanto, non consentite in sede di legittimità.
5. Anche il terzo motivo è inammissibile.
5.1. Com'e' noto, la nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c. (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012) non consente più l'impugnazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 "per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", ma soltanto "per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti".
La riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull'esistenza (sotto il profilo dell'assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell'illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. di nuovo Cass., Sez. U, n. 8053/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione dell'art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, determina la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n. 16611/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940/2017).
In particolare, dalla giurisprudenza di legittimità è stato ulteriormente precisato che di "motivazione apparente" o di "motivazione perplessa e incomprensibile" può parlarsi laddove essa non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l'iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull'esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Inoltre, ha pure affermato che ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento del ragionamento del giudice (v. da ultimo Cass., Sez. 3, n. 27411/2021).
5.2. Nel caso di specie, la ricorrente ha censurato la motivazione della decisione impugnata, senza neppure prospettare la totale assenza della stessa o la sua apparenza, nei termini sopra indicati, ritenendola piuttosto inadeguata e comunque non condivisa.
Come sopra evidenziato, la Corte d'appello risulta avere chiaramente espresso le proprie ragioni volte a sostenere la conferma della precedente pronuncia in relazione ai motivi di gravame proposti, sottoposti ad un adeguato vaglio critico con contestuale enunciazione delle ragioni per cui le doglianze della reclamante sono state ritenute inidonee a determinare la riforma del provvedimento impugnato.
6. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Nel provvedimento assunto in sede di reclamo e', infatti, spiegato quanto segue: "Parimenti, reputa questa Corte, infondata la doglianza relativa all'audizione del minore. G. è stato sentito dal Giudice di primo grado prima dell'emissione del provvedimento de quo, di tal che non si è verificata alcuna omissione. Ne' si può condividere l'assunto della reclamante secondo la quale il Tribunale avrebbe disposto in senso contrario all'interesse del minore; in sede di audizione G. non è riuscito a spiegare il motivo per il quale non voleva vedere il padre. Deve rammentarsi al riguardo che da tutte le relazioni attinenti al minore risulta che il bambino, invischiato da anni in un conflitto genitoriale fortissimo, non è in grado di esprimersi liberamente ed è fortemente coartato emotivamente, soprattutto allorché deve esprimersi sulla relazione con ciascun genitore, circostanza questa che risulta anche dall'ultimo aggiornamento pervenuto a questa Corte. Ma dalla medesima relazione, nonché da quella precedente (5.8.22) emerge altresì che G. ha iniziato ad incontrare il padre in Spazio Neutro alla presenza di un educatore; gli incontri si svolgono regolarmente e positivamente anche se appare necessario approfondire la relazione e lavorare sulla confidenza della comunicazione, necessità del tutto fisiologica se si tiene conto che G., non ha mai vissuto una quotidianità con il padre e versa in una situazione di conflitto di lealtà con la madre."
Dalla lettura delle statuizioni appena riportate si comprende in modo non equivoco che, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la Corte d'appello ha spiegato ampiamente le ragioni per cui ha ritenuto di non dover procedere all'ascolto del minore, all'epoca infradodicenne, ed anche di non dover assecondare la volontà dal medesimo espressa di non stare con il padre, perché il bambino, comunque già sentito in primo grado, era invischiato da anni in un conflitto genitoriale fortissimo e non era in grado di esprimersi liberamente, come risultava dalle ultime due relazioni dei servizi sociali acquisite in sede di reclamo, aggiungendo, ai fini della dimostrazione della corrispondenza della statuizione adottata all'interesse del minore, che gli incontri "assistiti" con il padre si stavano già svolgendo e che avevano anche un andamento positivo, pur richiedendo ancora molto lavoro per approfondire la relazione e la confidenza nella comunicazione.
7. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, nella parte in cui è dedotta la violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Parte ricorrente ha allegato di avere chiesto in sede di reclamo che venisse prevista la possibilità per la madre, i fratelli e i nipoti del minore di incontrare quest'ultimo di persona con frequenza settimanale, senza ottenere alcuna risposta a tale istanza.
Tuttavia, come evidenziato nell'esaminare il primo motivo di ricorso, il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 è stabilito per porre rimedio ai casi in cui vi sia stato l'omesso esame di fatti storici, e cioè di eventi naturalistici, e non riguarda le ipotesi in cui si tratti della mancata considerazione di domande o istanze delle parti.
8. Lo stesso quinto motivo di ricorso è infondato, nella parte in cui è dedotta la violazione 8CEDU e la violazione e falsa applicazione degli artt. 330 e 333 c.c..
8.1. Com'e' noto, l'articolo appena richiamato garantisce il diritto di ogni persona "al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza", precisando che "Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui".
L'ingerenza dell'autorità pubblica nella vita familiare non comporta necessariamente una violazione del diritto ivi sancito. Il vulnus sussiste solo quando l'interferenza non è prevista dalla legge o, pur essendo prevista, si riveli sproporzionata rispetto agli obiettivi di interesse generale (sicurezza nazionale, pubblica sicurezza, benessere economico del paese ecc...) o particolare (protezione dei diritti e delle libertà altrui) pur legittimamente perseguiti.
Il dovere dello Stato di "rispetto" del diritto alla vita familiare non implica solo il divieto per le autorità pubbliche di astenersi direttamente dal porre in atto ingerenze indebite tramite una condotta commissiva (ad esempio, l'allontanamento ingiustificato di un minore dai genitori). Ugualmente censurabili sono anche le azioni omissive, come il mancato allontanamento di un minore dalla famiglia nucleare nel caso in cui, nell'interesse di quest'ultimo, invece, sarebbe stato necessario. Sussiste, infatti, un dovere dello Stato di adoperarsi, al fine di evitare che l'ingerenza avvenga ad opera di privati, compresi i parenti stretti e gli stessi genitori.
In tale quadro, assume rilievo la Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176, riconosce in maniera solenne i diritti dell'infanzia.
Dai principi enunciati, risulta, in particolare, che i menzionati diritti spettano a ciascun soggetto minore di età, senza alcuna distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali o derivante dalla origine nazionale, etnica o sociale, dalla "situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza" (art. 2, comma 1). E la Convenzione obbliga gli Stati ad adottare tutti i provvedimenti finalizzati a sostenere una tutela effettiva del minore contro ogni forma di discriminazione (art. 2, comma 2).
Fra i diritti riconosciuti al minore, vale la pena rammentare il diritto alla vita (art. 6), al nome, all'identità, alla nazionalità (art. 7), il diritto alla famiglia (art. 8), a non essere separato dai propri genitori, il diritto ad intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori (art. 9), salvo che la separazione o l'interruzione (temporanea) dei rapporti non si riveli necessaria nell'interesse preminente del minore (laddove, per esempio, si registrino casi di maltrattamento, di abuso o di abbandono), il diritto ad essere ascoltati ed anche il diritto ad esprimere liberamente la propria opinione (art. 12), il proprio pensiero (art. 13), la propria religione (art. 14), il diritto a beneficiare di servizi medici (art. 24), della sicurezza sociale (art. 26), il diritto ad un livello di vita sufficiente per consentire lo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale (art. 27), il diritto all'educazione (art. 28), al riposo ed al tempo libero, al gioco ed alle attività ricreative (art. 31), nonché il diritto ad essere protetto dallo sfruttamento economico (art. 32).
La proclamazione di tali diritti ha effetti considerevoli sugli ordinamenti degli Stati contraenti. All'art. 4 della Convenzione, questi ultimi si sono, infatti, impegnati ad adottare tutti i provvedimenti (legislativi, amministrativi ed altri) necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla Convenzione, sia pure precisando che, trattandosi di diritti economici, sociali e culturali, operano comunque i limiti delle risorse di cui gli Stati stessi dispongono.
Fondamentale è l'art. 3 della Convenzione, ove è previsto che "1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente. 2. Gli Stati Parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei sui genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, ed a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi ed amministrativi appropriati. 3. Gli Stati Parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi ed istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell'ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l'esistenza di un adeguato controllo".
Viene in questa sede sancito espressamente il primario interesse del minore.
L'art. 9 della Convezione prevede inoltre che "1. Gli Stati Parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattano o trascurano il fanciullo oppure, se vivono separati ed una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo. 2. In tutti i casi previsti al paragrafo 1 del presente articolo, tutte le Parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni. 3. Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del fanciullo....omissis".
Grande importanza assume, ai fini della presente decisione, l'art. 8 della Convenzione, il quale stabilisce che "1. Gli Stati Parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni famigliari, così come sono riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali. 2. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione, affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile".
E' sufficiente in questa sede sottolineare che, con la ratifica della Convenzione, gli Stati contraenti (e, quindi, anche l'Italia) si sono impegnati a rispettare quanto stabilito all'art. 8 della Convenzione, e cioè il diritto del minore a preservare identità, nazionalità, nome e relazioni familiari così come riconosciuti dalla legge, senza ingerenze illegali.
Sugli Stati grava, pertanto, un obbligo negativo che può, tuttavia, tramutarsi in obbligo positivo quante volte l'ingerenza sia necessaria per assicurare al minore l'effettivo godimento dei propri diritti.
A tal fine, come evidenziato (art. 4 della Convenzione), ciascuno Stato deve introdurre nell'ordinamento misure adeguate e sufficienti e, in pari tempo, i rispettivi organi amministrativi e giurisdizionali, nell'interpretazione e applicazione delle regole che stabiliscono tali misure, devono assumere il ruolo di custodi delle garanzie indicate dall'articolo appena richiamato.
Proprio con riferimento all'art. 8 della Convenzione di New York, un'attenta dottrina ha affermato che le prescrizioni della disposizione summenzionata finiscono per dare corpo all'art. 8 CEDU, nella parte in cui garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare del minore.
Per non incorrere nelle violazioni dell'art. 8 CEDU, dunque, la legislazione statale - successiva alla Convenzione di New York - deve rispettare gli impegni assunti su piano internazionale e i provvedimenti giurisdizionali devono proporre una lettura delle disposizioni interne - anteriori e successive - conforme alla menzionata regola della convenzionale.
E in effetti, come più volte evidenziato dalla stessa Corte di Strasburgo, la CEDU non può essere interpretata isolatamente, dovendosi, ai sensi dell'art. 31, par. 3, lett. c), della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, tenere conto di ogni pertinente norma di diritto internazionale (nella specie, delle norme della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo), applicabile alle Parti contraenti.
8.2. In tale ottica, ben si collocano le previsioni normative interne in materia di provvedimenti ablativi e limitativi della responsabilità genitoriale.
Dalla lettura in combinato disposto dell'art. 330 c.c. ("il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio") e art. 333 c.c. ("Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore"), si desume che il provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale costituisce l'extrema ratio, ossia una misura adottabile qualora la condotta del genitore si traduca in un grave pregiudizio per il minore e solo ove gli altri provvedimenti disciplinati dal legislatore non siano comunque idonei a tutelare l'interesse prevalente di quest'ultimo a crescere sano nel contesto familiare d'origine.
Ciò è confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, se non vi è un concreto pregiudizio, l'autorità giudiziaria non può intervenire, atteso che i provvedimenti modificativi ed ablativi della responsabilità genitoriale sono preordinati all'esigenza prioritaria della tutela degli interessi dei figli (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14145/2017).
8.3. Nel caso di specie, il decreto impugnato ha statuito come segue: "Pur comprendendo le enormi difficoltà della reclamante ad accettare emotivamente il collocamento comunitario del figlio, questa Corte reputa che alla luce delle risultanze in atti, il predetto collocamento sia, allo stato, l'unico che possa preservare G. da una situazione conflittuale e manipolatoria per lui altamente pregiudizievole.... Con il collocamento comunitario, che si auspica ovviamente essere il più breve possibile, G. ha ripreso in mano la sua vita (la scuola, le relazioni con i pari, i propri interessi), sta lavorando, con l'aiuto della psicologa, sulla sua storia per elaborarla ed emanciparsi da un vissuto di coppia genitoriale che non è stata fino ad oggi in grado di accompagnare adeguatamente il suo processo di crescita e a costruire un'immagine di genitori "integrati" tra loro e non invece incompatibili. Gli interventi previsti nel decreto reclamato, l'attivazione di incontri in presenza tra G. e ciascun genitore sono proprio finalizzati a consentire al bambino di accedere ad entrambe le figure genitoriali, figure che ad oggi nel suo mondo interiore sono incompatibili; l'evidente miglioramento della condizione psico-emotiva di G. riscontrato a partire dal collocamento comunitario dovrebbe non solo confortare entrambi i genitori e fugare ogni dubbio sull'attuale positiva condizione in cui versa G., ma anche fungere da sprone per proseguire nell'acquisizione di adeguate competenze genitoriali, tra le quali vi è anche quella di consentire l'accesso da parte del figlio all'altro genitore. Per tale ragione si reputa che allo stato il decreto reclamato non possa essere modificato, atteso che G. e i genitori sono tuttora all'inizio di un percorso di superamento delle criticità del nucleo e la reclamante, anche di recente ha mostrato di non aver compreso la necessità di osservare le prescrizioni impartite dal Tribunale. Più i genitori si impegneranno nel recupero di una bigenitorialità adeguata, più la madre del minore comprenderà l'importanza di questo periodo (certamente difficile, ma necessario per il processo di crescita di G.), più entrambi i genitori rispetteranno i tempi e l'impegno di G. nella costruzione di una sua identità e di una sua relazione funzionale con ciascun genitore, più ravvicinata sarà la predisposizione di un progetto che consenta a G. di costruire una quotidianità diversa da quella attuale che non può che essere transitoria. Qualora, all'esito del percorso da poco avviato, i Servizi sociali riterranno che il collocamento preferenziale previsto nel decreto impugnato, non corrisponda all'interesse del minore, sarà loro onere rivolgersi al Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni per l'apertura di un procedimento ai sensi dell'art. 330 c.c., qualora non ancora iniziato o pendente. Poiché risulta dagli atti che i Servizi Sociali hanno già attivato - difformemente da quanto previsto nel decreto reclamato - incontri in presenza (in Spazio Neutro e protetti) tra G. e la madre (oltre che con il padre), e che detti incontri madre-figlio hanno un andamento decisamente positivo e sono particolarmente graditi al minore, a parziale modifica del decreto reclamato si incaricano i Servizi Sociali di proseguire nell'organizzazione di incontri protetti e osservati in presenza tra G. e ciascuno genitore (anche la madre) provvedendo, qualora vi siano i presupposti, ad una loro progressiva intensificazione in prospettiva di una eventuale liberalizzazione."
Dalla lettura del provvedimento si comprende chiaramente come il giudice del reclamo abbia evidenziato come la soluzione adottata, nella specie, fosse l'unica possibile nell'interesse prevalente del minore (v. p. 9 del decreto impugnato, ove si rappresenta la necessità di preservare G. da un gravissimo pregiudizio psicoemotivo in grado di segnare irreversibilmente il suo processo di crescita) e, proprio al fine di salvaguardare la relazione del minore con la madre, abbia riformato in parte il provvedimento reclamato, ove non erano ancora consentiti incontri in presenza (protetti ed osservati) per la madre come per il padre, senza la previsione di ulteriori divieti.
In conclusione, sotto il profilo appena esaminato, il quinto motivo deve essere respinto.
9. Il sesto motivo è inammissibile.
Parte ricorrente ha dedotto che la sopra estesa motivazione non supportava la grave misura adottata, in contrasto con l'art. 8 CEDU e art. 117 Cost., ma non ha spiegato quali altre misure più miti potevano essere adottate, rilevandosi la censura una generica contestazione della decisione così come nel merito adottata, come tale inammissibile.
10. Anche il settimo motivo è inammissibile.
Parte ricorrente ha dedotto di avere impugnato davanti a questa Corte il provvedimento interinale, che aveva disposto in corso di causa il collocamento in comunità del minore, senza avere ancora una statuizione ed ha anche dedotto che le ingiustificate lunghezze processuali e l'inadeguatezza dei provvedimenti assunti ha comportato la negazione della possibilità di ricongiungersi con il figlio G., in aperta violazione dei principi che regolamentano i tempi di un giusto processo nell'ottica del miglior interesse del minore secondo la giurisprudenza della Corte EDU.
E' evidente che tale motivo non contiene alcuna censura al provvedimento impugnato, ma costituisce una critica alla gestione della controversia in generale e alle decisioni assunte che, invece, hanno evidenziato come i tempi del procedimento dipendessero dai tempi di acquisizione da parte dei genitori della consapevolezza dell'effettivo interesse del minore e dalla collaborazione alla realizzazione del piano di recupero organizzato.
11. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
12. La peculiarità della vicenda oggetto di giudizio, valutata unitamente alla natura del procedimento, volto al perseguimento del superiore interesse del minore, giustificano la compensazione integrale delle spese di lite.
13. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
14. Non sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, trattandosi di procedimento riguardante minori che - ai sensi dell'art. 10, comma 2, D.P.R. cit. - è esente dal pagamento di detto contributo.
P.Q.M.
la Corte, rigetta il ricorso;
compensa interamente le spese di lite tra le parti;
dispone che, in caso di diffusione, vengano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Prima Civile della Corte suprema di cassazione, il 4 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2023.