La Carta del Docente spetta anche ai docenti non di ruolo ovvero coloro che hanno ricevuto incarichi annuali fino al 31 agosto o incarichi per docenza fino al termine delle attività di didattiche, cioè fino al 30 giugno. Ai fini del beneficio non rileva l'omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda in tal senso diretta al Ministero.
Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Cassazione con la sentenza n. 29961 depositata il 27 ottobre 2023.
Il Suprema Corte precisa che i rimedi per i docenti precari a cui non sia statotempestivamente riconosciuto sono:
La Carta Docente di cui alla L. 107 del 2015, art. 1, comma 121, spetta ai docenti non di ruolo che ricevano incarichi annuali fino al 31.8, ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1, o incarichi per docenza fino al termine delle attività di didattiche, ovverosia fino al 30.6, ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 2, senza che rilevi l'omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda in tal senso diretta al Ministero.
Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui alla L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 121, non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale sul loro diritto, siano interni al sistema delle docenze scolastiche, perché iscritti nelle graduatorie per le supplenze, incaricati di una supplenza o transitati in ruolo, spetta l'adempimento in forma specifica, per l'attribuzione della Carta Docente, secondo il sistema proprio di essa e per un valore corrispondente a quello perduto, oltre interessi o rivalutazione, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, dalla data del diritto all'accredito alla concreta attribuzione.
Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui alla L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 121, non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale, siano fuoriusciti dal sistema delle docenze scolastiche, per cessazione dal servizio di ruolo o per cancellazione dalle graduatorie per le supplenze, spetta il risarcimento, per i danni che siano da essi allegati, rispetto ai quali, oltre alla prova presuntiva, può ammettersi la liquidazione equitativa, da parte del giudice del merito, nella misura più adeguata al caso di specie, tenuto conto delle circostanze del caso concreto (tra cui ad es. la durata della permanenza nel sistema scolastico, cui l'attribuzione è funzionale, o quant'altro rilevi), ed entro il massimo costituito dal valore della Carta, salvo allegazione e prova specifica di un maggior pregiudizio.
L'azione di adempimento in forma specifica per l'attribuzione della Carta Docente si prescrive nel termine quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., che decorre dalla data in cui è sorto il diritto all'accredito, ovverosia, per i casi di cui alla L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2, dalla data del conferimento dell'incarico di supplenza o, se posteriore, dalla data in cui il sistema telematico consentiva anno per anno la registrazione sulla corrispondente piattaforma informatica; la prescrizione delle azioni risarcitorie per mancata attribuzione della Carta Docente, stante la natura contrattuale della responsabilità, è decennale ed il termine decorre, per i docenti già transitati in ruolo e cessati dal servizio o non più iscritti nelle graduatorie per le supplenze, dalla data della loro fuoriuscita dal sistema scolastico.
Cassazione civile sez. lav., Sentenza 27/10/2023 (ud. 04/10/2023) n. 29961
FATTI DI CAUSA
B.L. ha agito davanti al Tribunale di Taranto esponendo di essere insegnante assunto a tempo indeterminato alle dipendenze del Ministero dell'istruzione e di avere precedentemente prestato servizio in forza di plurimi contratti di supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche, per gli anni scolastici (Omissis), (Omissis) e (Omissis), senza ricevere il beneficio della c.d. Carta Docente, pari a 500,00 Euro annui per l'acquisito di beni o servizi formativi, ai sensi della L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 121.
Egli sottolineava come Corte di Giustizia 18 maggio 2022 avesse ritenuto che la clausola 4 punto 1 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 1999/70/CE fosse ostativa ad una normativa nazionale che riservasse al solo personale docente a tempo indeterminato il beneficio della menzionata Carta Docente e rimarcava come, ai sensi del d. lgs. n. 297 del 1994, art. 282 e degli artt. 29, 63 e 64 del CCNL di comparto, anche i docenti precari avessero diritto alla formazione ed aggiornamento professionale.
Con ulteriori difese il ricorrente sosteneva che il suo diritto alla percezione della Carta del Docente discendesse dalla clausola 6 del menzionato Accordo Quadro, secondo cui "i datori di lavoro dovrebbero agevolare l'accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguate, per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale" e dall'art. 14 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, secondo cui "ogni persona ha diritto all'istruzione e all'accesso alla formazione professionale e continua", mentre l'art. 21, par. 2, del Trattato per il Funzionamento dell'Unione Europea, secondo quanto si desumeva dall'interpretazione della Corte di Giustizia rispetto al pregresso art. 7 del Trattato CEE, era da intendere nel senso che la parità di trattamento nell'accesso alla formazione professionale non riguardava soltanto gli obblighi imposti all'istituto didattico, ma vietava altresì ogni misura atta ad ostacolare l'esercizio del diritto. Infine, il ricorrente affermava che il diniego di accesso alla Carta Docente si poneva in contrasto anche con i "principi generali del diritto U.E. di uguaglianza e parità di trattamento e di non discriminazione in materia di impiego e dei diritti fondamentali consacrati negli artt. 14,20 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea".
Su tali premesse, egli insisteva perché fosse disapplicata la normativa interna in contrasto con tali principi ed in via principale fosse accertato il suo "diritto ad usufruire del beneficio economico di Euro 500,00 annui, tramite la "Carta elettronica".... di cui alla L. n. 107 del 2015, art. 1 per gli anni scolastici 2016-17, 2017-18, 2018-19", con condanna del Ministero alla corresponsione del totale importo di Euro 1.500,00, oltre interessi o, in via subordinata, "al riconoscimento di tale somma a titolo di risarcimento del danno in forma specifica ex art. 1218 del c.c.".
Nella resistenza del convenuto Ministero dell'istruzione e del merito, il giudice del lavoro del Tribunale di Taranto pronunciava ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione ex art. 363-bis c.p.c., con la quale richiedeva, sul presupposto del trattarsi di questioni non ancora definite dalla S.C., necessarie a definire il giudizio ed inoltre tali da comportare gravi difficoltà interpretative e suscettibili di porsi in numerosi giudizi, che fossero fissati i principi di diritto relativamente ai seguenti profili:
- se si possa giustificare una differenziazione di trattamento in ragione della durata della supplenza nel singolo anno scolastico;
- se il beneficio abbia carattere retributivo o riparatorio;
- se quella derivante dalla Carta Docente sia obbligazione pecuniaria o di quale altra natura;
- se abbiano rilievo i peculiari vincoli e modalità di esercizio che il D.P.C.M. 28 novembre 2016 pone rispetto all'esercizio del diritto da parte dei docenti di ruolo;
- se i diritti del docente, in ragione della natura dell'obbligazione, siano soggetti a prescrizione quinquennale ovvero decennale.
Il Primo Presidente di questa S.C., con provvedimento del 29.5.2023 ha assegnato la questione a questa Sezione, per l'enunciazione dei principi di diritto.
Fissata udienza pubblica, il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria scritta con cui ha concluso nel senso che:
- sono discriminatorie e vanno, perciò, disapplicate in parte qua, le disposizioni di rango primario e di attuazione che escludono gli insegnanti a termine dal diritto all'assegnazione della Carta, ritenendo peraltro che esuli dal presente giudizio la questione del "se" e del "come" le ricadute interpretative, in riferimento alle supplenze brevi o brevissime, conseguenti all'ordinanza della Corte di Giustizia, possano eventualmente esser superate in sede di riconoscimento del diritto;
- la natura retributiva dell'obbligazione va esclusa per espressa indicazione della norma di riferimento;
- l'obbligazione ha natura pecuniaria, attenendo le modalità di attribuzione della Carta soltanto alle modalità di messa a disposizione della somma dovuta;
- la rimozione dell'effetto discriminatorio va attuata riconoscendo a favore dei docenti non di ruolo il medesimo importo assegnato ai docenti a tempo indeterminato, da impiegare negli stessi termini e con le medesime modalità;
- il regime di prescrizione da applicare al diritto è quello quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., con decorrenza da quando è concretamente disponibile per l'anno scolastico di riferimento la somma annua pari al valore nominale della Carta.
Entrambe le parti hanno depositato memorie, nei termini di cui si darà miglior conto in prosieguo e quindi, udita la requisitoria anche orale del Pubblico Ministero, hanno proceduto a discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La partecipazione delle parti al giudizio davanti alla S.C. l'avviso di fissazione dell'udienza pubblica.
1. l'art. 363-bis, comma 4, prevede che "la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti costituite di depositare brevi memorie, nei termini di cui all'art. 378".
1.1 nel caso di specie è accaduto che la Cancelleria del Tribunale di Taranto abbia comunicato alle parti l'ordinanza con cui il giudice di primo grado aveva rimesso a questa S.C. la questione pregiudiziale ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c..
Successivamente, il Primo Presidente, con decreto del 29 maggio 2023, ha assegnato il procedimento a questa Sezione per la fissazione in pubblica udienza, come da previsione del codice di rito.
L'avvenuta fissazione dell'udienza pubblica non è stata comunicata dalla Cancelleria a nessuna delle due parti.
Peraltro, mentre la parte privata ha depositato sua sponte un atto "di visibilità" ed ha poi proceduto a depositare la memoria, ai sensi dell'art. 378 c.p.c. nel rispetto del termine di dieci giorni prima dell'udienza pubblica, il Ministero non ha svolto difese nei termini.
Dopo la scadenza del termine per il deposito di memorie, la Cancelleria ha provveduto a comunicare ad entrambe le parti la data dell'udienza pubblica e il Ministero ha depositato memoria difensiva fuori termine, chiedendo in via principale che tale memoria fosse da considerare tempestiva e in via subordinata che fosse concesso rinvio dell'udienza di discussione.
1.2 Deve quindi definirsi l'assetto giuridico della fase processuale in esame.
L'art. 363-bis c.p.c. si limita a fare riferimento, come si è detto, al diritto delle parti "costituite" di depositare memorie nei termini di cui all'art. 378 c.p.c..
L'assenza di una disciplina esplicita che regoli con esattezza tutti i passaggi procedurali permette di formulare due ipotesi di fondo.
La prima - muovendo dalla premessa che quella di rinvio ex art. 363 bis costituisce una fase particolare davanti alla S.C. finalizzata a fissare i principi di diritto destinati a regolare la res controversa - è che la partecipazione in sede di legittimità sia rimessa all'iniziativa delle parti, una volta che esse siano state notiziate, come pacificamente è avvenuto a cura della Cancelleria del Tribunale di Taranto, dell'avvio del procedimento.
Nella logica di questa ipotesi, il termine di parti "costituite" andrebbe riferito alla autonoma "costituzione" di esse nell'ambito del giudizio di legittimità e nessuna comunicazione della fissazione in pubblica udienza sarebbe dovuta, a meno che una delle parti avesse provveduto a depositare un atto idoneo a manifestare l'intento di svolgere attivamente difese presso la S.C.
L'ipotesi non può essere avallata e l'interpretazione della norma di rito da assumere è altra.
Orientano in tal senso intanto più dati normativi.
Infatti, nel contesto dello stesso art. 363-bis c.p.c., il termine di parti "costituite" è già utilizzato al comma 1, quando si fa riferimento alla previa sottoposizione al contraddittorio della questione da rinviare presso la S.C. ed è indubbio che parti "costituite", in quel giudizio, non possano che essere le parti della fase di merito.
Il che porta all'evidente considerazione per cui non può pensarsi che nel contesto del medesimo articolo la stessa dizione sia utilizzata con due significati diversi.
L'altro dato normativo è che di parti "costituite" in senso proprio e tecnico, il codice di rito parla con riferimento al giudizio di merito: è ben vero che, per assimilazione e sovrapponibilità degli incombenti, anche per il giudizio di legittimità la prassi non disconosce un uso del medesimo termine.
Ma evidentemente, nel momento in cui si deve risolvere un dato interpretativo in cui si debba appunto attribuire un certo significato a quella dizione, è inevitabile fare riferimento preferenziale al suo significato proprio e tecnico.
Infine, è vero che nel caso simile, espressamente regolato dall'art. 47, u.c., c.p.c., del regolamento di competenza d'ufficio, la partecipazione al giudizio di cassazione presuppone un'iniziativa delle parti che possono depositare memorie difensive presso la S.C., ma la norma prevede che ciò avvenga entro un termine che decorre dalla comunicazione dell'ordinanza del giudice del merito.
Viceversa, nel procedimento ex art. 363-bis c.p.c. il termine decorre a ritroso dalla data dell'udienza pubblica e sarebbe evidentemente anomalo che un termine avesse decorrenza da una data non comunicata alle parti ed a loro non nota.
Oltre a tutto ciò, si deve osservare come il rinvio pregiudiziale costituisca fase incidentale, da svolgere in sede di legittimità, del giudizio di merito, finalizzata a fissare con effetto vincolante in quel processo i principi di diritto che regolano la fattispecie.
Ne deriva il coinvolgimento ex lege in essa delle parti di quel giudizio, senza necessità di altri incombenti e la naturale esigenza che esse siano direttamente avvisate della trattazione in udienza pubblica.
Vale a dire che le parti "costituite" nel giudizio di merito - e dunque non contumaci - non devono "costituirsi" nel giudizio di rinvio pregiudiziale presso la S.C., perché sono già da considerare partecipi a tutti gli effetti di esso e quindi naturalmente esse sono destinatarie dell'avviso di quando debba avvenire la trattazione in udienza pubblica.
1.3 La Cancelleria della S.C. deve, quindi, dare comunicazione alle parti, sulla base dei dati risultanti dal giudizio di merito da essa acquisito ai sensi dell'art. 137-bis, comma 2, disp. att. c.p.c., sia del provvedimento del Primo Presidente, sia dell'avvenuta fissazione dell'udienza pubblica, nei termini di cui all'art. 377, comma 2., c.p.c. ed al fine di consentire le conseguenti difese nei termini e con le modalità di cui all'art. 378 c.p.c..
1.4 Nel caso di specie, la comunicazione tempestiva non vi è stata. Il Ministero ha, quindi, depositato memoria senza il rispetto dei termini ed avrebbe maturato il diritto ad un rinvio ad altra udienza.
Tuttavia, il Ministero stesso ha subordinato l'ottenimento di tale rinvio al fatto che la memoria da esso depositata non fosse da considerare utilizzabile.
I difensori del ricorrente, all'udienza di discussione, hanno esplicitamente manifestato di non voler frapporre obiezioni rispetto alla possibilità di procedere ad immediata discussione sulla base delle difese quali sviluppate in atti anche dalla controparte ed anche il Pubblico Ministero ha aderito.
Ciò rende evidente il pieno raggiungimento di ogni scopo processualmente rilevante e produce l'effetto, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., di sanare ogni difformità verificatasi nella conduzione del processo.
La discussione orale è quindi da aversi per regolarmente tenuta.
2. Tutto ciò posto, può quindi procedersi alla disamina delle questioni di diritto sostanziale sottoposte.
La formazione e l'aggiornamento dei docenti: norme e principi generali.
3. L'istituto della Carta Docente va inserito nel contesto del sistema della formazione degli insegnanti scolastici.
Il d. lgs. n. 297 del 1994, art. 282 stabilisce, al comma 1, che "l'aggiornamento è un diritto-dovere fondamentale del personale ispettivo, direttivo e docente (...) inteso come adeguamento delle conoscenze allo sviluppo delle scienze per singole discipline e nelle connessioni interdisciplinari; come approfondimento della preparazione didattica; come partecipazione alla ricerca e alla innovazione didattico-pedagogica".
Coerentemente, secondo l'art. 63 del CCNL di comparto, "la formazione costituisce una leva strategica fondamentale per lo sviluppo professionale del personale, per il necessario sostegno agli obiettivi di cambiamento, per un'efficace politica di sviluppo delle risorse umane"; la disposizione aggiunge altresì che "l'Amministrazione è tenuta a fornire strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio" e che tale formazione si realizza "anche attraverso strumenti che consentono l'accesso a percorsi universitari, per favorire l'arricchimento e la mobilità professionale"; precisandosi poi ancora, al comma 2, l'impegno a realizzare "una formazione dei docenti in servizio organica e collegata ad un impegno di prestazione professionale che contribuisca all'accrescimento delle competenze richieste dal ruolo".
L'art. 64 del medesimo CCNL afferma poi che "la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento costituisce un diritto per il personale in quanto funzionale alla piena realizzazione e allo sviluppo delle proprie professionalità".
E' indubbio che il diritto-dovere formativo proclamato e ribadito dalle norme citate riguardi non solo il personale di ruolo, ma anche i precari, non essendovi nessuna distinzione in tal senso nella normativa citata.
Consiglio di Stato, sez. VII, 16 marzo 2022, n. 1842 è stato molto chiaro in tal senso, evidenziando l'esigenza di formazione dell'intero corpo docente, di ruolo e non, necessaria per l'erogazione del servizio scolastico.
(segue): la L. 107 del 2015.
4. L'indirizzo del sistema formativo è stato poi specificamente declinato dalla L. n. 107 del 2015.
La L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 124, stabilisce che "nell'ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale" ed il principio, coerentemente con il diritto-dovere di base di cui all'art. 282 cit., non distingue tra obblighi del lavoratore ed obblighi datoriali.
Nel prosieguo, tuttavia la norma si concentra sugli ampi obblighi datoriali esistenti in materia affermando che "le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell'offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria".
(segue): la Carta Docente.
5. E' nell'ambito di tale sistema di principi che la stessa L. n. 107 del 2015 introduce l'istituto della Carta Docente, prevedendo, all'art. 1, comma 121, che "al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali, è istituita, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 123, la Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell'importo nominale di Euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l'acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all'aggiornamento professionale, per l'acquisto di hardware e software, per l'iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell'ambito del piano triennale dell'offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124" ed aggiungendo che "la somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria né reddito imponibile".
Un dato - onde evitare equivoci - va evidenziato, e cioè che la Carta ha riguardo precipuamente al piano formativo e di aggiornamento e non a quello delle dotazioni lavorative individuali in senso stretto.
Il riferimento ai software, ma soprattutto agli hardware, potrebbe sviare, ma anche tali strumenti vanno intesi, nel contesto di un insieme di altri strumenti di valenza palesemente culturale, nella logica di un accrescimento professionale sul piano dell'uso degli strumenti elettronici, in una fase di definitiva evoluzione in tal senso che investe anche i docenti, in specie più anziani.
Conclusione che non è contraddetta dal disposto del D.L. 22 del 2020, art. 2, comma 3, conv. con mod. in L. 41 del 2020, secondo cui "in corrispondenza della sospensione delle attività didattiche in presenza a seguito dell'emergenza epidemiologica, il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalità a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione, potendo anche disporre per l'acquisto di servizi di connettività delle risorse di cui alla Carta elettronica per l'aggiornamento e la formazione del docente di cui alla L. 13 luglio 2015, n. 107, art. 1, comma 121".
Infatti - essendo da escludere che chi non fosse beneficiario della Carta Docente o chi, pur essendolo, avesse già speso gli importi accreditati restasse al di fuori da quella didattica, perché evidentemente il datore avrebbe dovuto comunque sopperire rispetto alle dotazioni necessarie per tali casi - non si può certamente attribuire a quella previsione il senso di un mutamento di indirizzo dell'istituto, in ragione di tale estemporanea evenienza.
Anche l'utilizzo per i costi di connettività a distanza non va dunque estraniato del tutto dalla ratio di fondo che resta quella di miglioramento delle conoscenze e capacità del docente e dunque formativo.
5.1 Ciò posto, la norma di legge evidenzia due profili che fondano l'attribuzione secondo il disegno del legislatore.
5.2 Da un lato, essa è destinata ai soli insegnanti di ruolo, manifestando un indirizzo che affonda le radici nella scelta di curare, attraverso quello strumento, la formazione ed aggiornamento del personale che rappresenta, proprio per il trattarsi di dipendenti a tempo indeterminato, la struttura di fondo attraverso cui viene fornito il servizio educativo.
5.3 Per altro verso, la taratura di quell'importo di 500 Euro in una misura "annua" e per "anno scolastico" evidenzia la connessione temporale tra tale sostegno alla formazione e la didattica, calibrandolo in ragione di un tale periodo di durata di quest'ultima. D'altra parte, anche il recente intervento normativo di cui al D.L. n. 69 del 2023, art. 15, conv., con mod., in L. n. 103 del 2023, qui fuori gioco ratione temporis, sul piano sistematico conferma il riferimento annuale, essendo il beneficio esteso "per l'anno 2023" ai "docenti con contratto di supplenza annuale su posto vacante e disponibile".
Il nesso tra la Carta Docente e la didattica è evidenziato altresì dall'incipit della norma istitutiva, ove si dice che la Carta è finalizzata a "sostenere la formazione continua dei docenti", ma vi si affianca l'aggiunta del fine di "valorizzarne le competenze professionali", il che indirizza verso un obiettivo di migliore svolgimento del servizio nella sua interezza proprio attraverso l'incremento di professionalità del personale e della didattica su base annua cui esso è stato rivolto.
Assai significativo sul punto è altresì il fatto che la Carta docente venga associata, sempre dalla norma, ad "iniziative coerenti" con il Piano Triennale dell'Offerta Formativa (c.d. PTOF), ovverosia agli strumenti programmatici destinati alla fissazione e valutazione delle priorità strategiche del sistema di istruzione (L. 107 del 2015, art. 1, comma 14; D.P.R. n. 275 del 1999, art. 3; D.P.R. n. 80 del 2013, art. 2, comma 3) ed alla connessione integrata tra operato dei docenti e finalità educative.
Infine, la connessione con la didattica annua si coordina pianamente con i tempi della programmazione didattico educativa cui il singolo docente è tenuto (d. lgs. 297-194, art. 128; D.P.R. n. 275 del 1999, art. 16), sulla scorta degli indirizzi del Collegio dei Docenti, ad individuare "annualmente" (d. lgs. 297 del 1994, art. 7, comma 9 e 10), anche in ragione dell'organizzazione degli assetti degli orari di lavoro (art. 29, comma 1 e comma 3, lett. A, del CCNL 29.11.2007) ed in riferimento alle classi affidate.
Tale indirizzo del legislatore di sostegno alla didattica "annua" esprime chiaramente una scelta di discrezionalità normativa, finalizzata al miglior perseguimento dell'interesse del servizio scolastico.
L'intervento, da questo punto di vista, è espressione di un ipotizzato - in disparte ogni valutazione o condivisione di merito o politica che qui non interessano - miglioramento del servizio educativo rivolto alla comunità.
La scelta - lo si dice per esemplificare - avrebbe potuto essere anche radicalmente opposta ed indirizzata al sostegno della formazione autonoma dei docenti precari, o inequivocamente destinata a tutti ed in pari misura o quant'altro.
L'impostazione della norma è stata invece diversa, nei termini appunto di sostegno alla didattica su un piano di durata almeno annuale, ritenendosi (v. il collegamento con il PTOF) che fosse in tal modo da perseguire l'interesse ultimo all'educazione cui anche la formazione del docente è indubbiamente finalizzata (v. anche, sul nesso tra formazione attraverso Carta Docente e servizio scolastico, Cass. 31 ottobre 2022, n. 31104, con cui l'istituto è stato ritenuto da applicare anche ai c.d. "educatori").
5.4 E' al contempo errato fare leva sulla Carta Docente come unico strumento di formazione, in ogni caso e per ogni durata dell'impegno didattico.
La Carta, infatti - rileva il collegio - non esaurisce l'ambito dei possibili interventi formativi, essendo previsto dalle norme un più ampio novero di misure destinabili dal datore di lavoro alle varie tipologie di dipendenti, non rilevando qui - in quanto del tutto estranee alla disamina giuridica di un dato istituto - eventuali carenze nelle iniziative del Ministero datore di lavoro su tale diverso piano.
Tali considerazioni escludono che possano avere immediato e decisivo rilievo i richiami del ricorrente a fonti Eurounitarie - riepilogati nello storico di lite - riguardanti il diritto dei lavoratori alla formazione, che ovviamente non è in sé negato dall'ordinamento interno, dovendosi qui più limitatamente discutere se sia consentito riconoscere lo speciale beneficio solo ai lavoratori a tempo indeterminato.
Il piano lavoristico.
6. La destinazione della Carta Docente ai soli insegnanti di ruolo, che si è detto costituire uno dei profili di indirizzo del nuovo istituto, intercetta tuttavia il tema, più intrinseco alla disciplina dei rapporti di lavoro, del divieto di discriminazione dei lavoratori a termine.
Corte di Giustizia 18 maggio 2022, sulla premessa che il beneficio della Carta Docenti attenga all'ambito delle "condizioni di impiego" (punti 35-38) ed escludendo che il solo fatto della durata dei rapporti possa costituire ragione obiettiva (punto 46), ha ritenuto che, in presenza di un "lavoro identico o simile" e quindi di comparabilità (punti 41-43), la clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE ed il principio di non discriminazione ivi sancito ostino ad una normativa nazionale che riservi quel beneficio ai soli docenti a tempo indeterminato.
In breve, la Carta Docente, pur introdotta con quei fini generali di tutela di una certa dimensione temporale del servizio educativo, che non vanno dimenticati perché frutto di una scelta del legislatore, si interseca con il piano dei rapporti di lavoro dei singoli, con quanto ciò comporta sotto il profilo della cura della parità di trattamento in questo ambito.
E' allora evidente che l'avere il legislatore riferito quel beneficio all'"anno scolastico" non consente di escludere da un'identica percezione di esso quei docenti precari il cui lavoro, secondo l'ordinamento scolastico, abbia analoga taratura.
Il convergere della scelta di politica educativa e del piano lavoristico: la didattica "annua".
7. Quanto appena detto consente dunque di dire, muovendosi lungo i concetti propri della Corte di Giustizia, che sono proprio le ragioni obiettive perseguite dal legislatore, sotto il profilo del sostegno alla didattica annua, ad impedire che, quando si presenti il medesimo dato temporale, il beneficio formativo sia sottratto ai docenti precari.
Essi, infatti, allorquando svolgano una prestazione lavorativa pienamente comparabile, devono consequenzialmente ricevere analogo trattamento.
7.1 L'indagine va allora indirizzata verso la ricerca di parametri giuridici che consentano di individuare quali siano le supplenze rispetto alle quali vi sia sovrapponibilità di condizioni, in modo tale che l'obiettivo del legislatore non possa essere perseguito se non assicurando al contempo parità di trattamento.
7.2 Non appaiono criteri idonei, da questo punto di vista, quelli calibrati su situazioni didattiche e lavorative del tutto particolari.
Il riferimento va al caso del docente part time di ruolo, che ovviamente durante l'anno svolge meno giornate di lavoro, calcolate dal giudice del rinvio in centocinquanta e addirittura riducibili, secondo un calcolo elaborato nelle difese del ricorrente, a novanta giorni.
Come si desume dall'Ordinanza Ministeriale 446/1997, integrativa (Cass. 14 marzo 2019, n. 7320) del CCNL di comparto (v. ad es. art. 46 CCNL normativo 1994-1997) e come tale conoscibile d'ufficio, il part time settimanale, nelle sue varianti orizzontale (meno ore tutti i giorni) e verticale (lavoro solo su alcuni giorni) si tara sull'intero anno scolastico e dunque rientra nel concetto di didattica "annua" su cui si sta argomentando e che non necessariamente ricorre per qualunque tipo di supplenza.
Quanto al part time verticale su periodi diversi, l'O.M. (art. 8, comma 2, e 7, comma 2) lo ammette sulla base della "progettazione educativa di ciascuna istituzione scolastica e alla conseguente programmazione dell'attività didattica" e dunque su situazioni del tutto particolari e potenzialmente assai differenziate da caso a caso, che non consentono un'assimilazione alle supplenze conferite per la conduzione ordinaria dell'anno scolastico.
7.3 Analogamente, non possono essere valorizzate particolari condizioni (inidoneità per motivi di salute; docenti comandati, distaccati; presa di servizio solo ad anno iniziato, come già previsto dal D.P.C.M. 23.9.2015 - art. 8, comma 2 - per l'a.s. 2015/2016 etc.) in cui la Carta viene attribuita a docenti di ruolo nonostante essi non svolgano attualmente attività di insegnamento o non l'abbiano svolta per una parte dell'anno scolastico.
Si tratta infatti ancora di situazioni peculiari, in cui il riconoscimento del beneficio trova fondamento sul trattarsi di docenti stabilmente inseriti nell'ambito del servizio scolastico, ma al contempo si riconnette a situazioni di fatto di solo provvisoria inattività didattica o di inizio successivo di essa, tali da escludere un idoneo paragone.
7.4 Più in generale, un giudizio comparativo svolto su situazioni lavorative particolari finisce per astrarre completamente il raffronto da quanto sta alla base della scelta legislativa, il che non appare corretto.
Vale a dire, la connessione dell'attribuzione della Carta ad una didattica annua verrebbe ingiustificatamente alterata se ad individuare i presupposti per il godimento del beneficio bastasse una mera sommatoria di giorni numericamente pari a quelli che un certo docente, con particolari condizioni di lavoro quali il part time, deve svolgere o se addirittura il raffronto andasse verso chi non svolge al momento attività didattica o se ancora dovesse valorizzarsi, al fine di estendere a tutti il beneficio, il fatto che un docente di ruolo occasionalmente inizi a prestare servizio ad anno scolastico in corso.
Va ricordato che, secondo la Corte costituzionale, si è in presenza di una violazione della Cost., art. 3 (principio di uguaglianza) solo "qualora situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e non quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non assimilabili" (ex plurimis, Corte Costituzionale 24 luglio 2023, n. 161, con richiamo ad altri precedenti, tra cui le sentenze n. 71 del 2021, n. 85 del 2020, n. 13 del 2018 e n. 71 del 2015) ed il ragionamento comparativo deve muovere su basi analoghe.
Lo strumento antidiscriminatorio, nella sua estrema delicatezza, non può fondarsi su raffronti tra sottocategorie di situazioni individuali, rischiando altrimenti, attraverso un'estensione a catena di una qualsivoglia migliore tutela, di interferire in modo ingestibile sulle regolazioni complessive di un fenomeno che il legislatore tenti di impostare.
Va dunque tenuta in debito conto anche la logica delle scelte legislative, che appunto si muovono sul piano del sostegno pieno, con la Carta Docente, alla didattica "annua", per le ragioni sopra ampiamente spiegate.
Il ragionamento vale poi anche per i vari richiami, nelle difese del ricorrente - sopra riepilogati nello storico di lite - ad altre fonti Eurounitarie che impongono parità di trattamento, analogo essendo il ragionamento da esse indotto.
7.5 In sé inidoneo è anche il dato normativo dei 180 giorni valorizzato da alcune norme del sistema scolastico.
Si tratta infatti di norme riguardanti specifici fenomeni (la ricostruzione della carriera al passaggio di ruolo: d. lgs. 297 del 1994, art. 489, comma 1, norma ora peraltro modificata; la retribuzione nei mesi estivi: art. 527 del medesimo d. lgs.; l'idoneità del servizio ad essere valutato per il superamento dell'anno di prova), che non si prestano, per la singolarità dei fini per i quali sono dettate, a costituire un valido metro di paragone per le valutazioni qui necessarie per definire il senso dell'"annualità" di una "didattica".
Semmai - ma come si dirà la questione non può essere definita in questa sede - il tema è se un termine sostanzialmente analogo non possa essere recuperato per supplenze temporanee che coprano un lasso temporale pari o superiore a quello che, per quanto si va ad argomentare, giustifica il pieno riconoscimento della Carta Docente in caso di supplenze ai sensi della L. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2.
7.6 Va dunque considerato il disposto dell'appena citato art. 4, commi 1 e 2, della L. 124 del 1999.
Il comma 1 di tale disposizione prevede che "alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico (c.d. vacanza su organico di diritto, n.d.r.), qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l'utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo".
Il richiamo all'"annualità" della supplenza, intesa in senso di annualità didattica è qui esplicito.
Ma, non diversamente, il comma 2 stabilisce che "alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico (c.d. vacanza su organico di fatto, n.d.r.) si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche", ivi compreso il caso in cui vi sia necessità di copertura per ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario. La relazione tra supplenze e didattica annua è dunque anche qui chiaramente enunciata.
Si tratta, in entrambi i casi, di supplenze destinate a protrarsi per l'intera durata dell'attività didattica, su cattedre e posti di insegnamento specifici, sicché il nesso tra la formazione del docente che viene supportata, la durata e la funzionalità rispetto ai discenti è certo.
Rispetto a queste tipologie di incarico, che sono quelle che qui fa valere il ricorrente, si ravvisa la necessità di rimuovere la discriminazione subita dall'assunto a tempo determinato riconoscendo il diritto alla carta docente in modo identico a quanto previsto per il docente di ruolo.
7.7 In estrema sintesi, l'obiettivo di politica scolastica ed educativa che calibra quello speciale beneficio sul piano della "didattica annua" non consente, per i docenti a tempo determinato che, essendo chiamati a lavorare sul medesimo piano didattico temporale e risultano quindi, da ogni punto di vista, comparabili, un diverso trattamento.
L'adeguamento del diritto interno al diritto Eurounitario.
8. L'art. 1, comma 121 cit. è dunque in contrasto con il principio di parità di trattamento di cui all'art. 4, punto 1, dell'Accordo Quadro. E' stato del resto ripetutamente affermato che la clausola 4 dell'Accordo esclude in generale ed in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al giudice nazionale, che ha l'obbligo di applicare il diritto dell'Unione e di tutelare i diritti che quest'ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (v. Cass. 28 novembre 2019, n. 31149, con richiamo a Corte di Giustizia 8 novembre 2011, Rosado Santana, quest'ultima da inserire in un costante indirizzo che in ultima analisi risale fino a Corte di Giustizia 9 marzo 1978, Simmenthal; in senso analogo, v., anche Corte Costituzionale 11 luglio 1989, n. 389 e, ancor prima, Corte Costituzionale 5 giugno 1984, n. 170).
Nel caso di specie, la disapplicazione non deve, però, essere totale, ma limitata, come indicato anche dal Pubblico Ministero, all'esclusione dei lavoratori precari - qui nei termini di cui si è detto - dal beneficio.
In altre parole, la L. 107 del 2015, art. 1, comma 121 deve essere disapplicato, in quanto si pone in contrasto con la clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nella parte in cui limita il riconoscimento del diritto alla Carta Docente ai solo insegnanti di ruolo e non lo consente rispetto agli insegnanti incaricati di supplenze annuali (L. 124 del 1999, art. 4, comma 1) o fino al termine delle attività didattiche (L. 124 del 1999, art. 1, comma 2).
Il che comporta, di converso, l'affermazione del principio per cui anche a tali docenti spetta ed in misura piena quello stesso beneficio.
8.1 Va soggiunto che una valutazione di illegittima "discriminazione" nei confronti di un lavoratore che risulti pienamente "comparabile" con altri lavoratori "avvantaggiati", rispetto ai quali si sviluppa il raffronto, costituisce palesemente una forma di attuazione del principio di uguaglianza (Cost., art. 3), fondante sia nel sistema giuridico interno che in quello Eurounitario, sicché i diritti rispetto ai quali esso comporta un effetto espansivo risultano per ciò stesso incomprimibili.
Vale pertanto il principio per cui è la garanzia di tali diritti a poter "incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione" (Corte Cost. sentenza n. 275 del 2016) e pertanto sono "le scelte allocative di bilancio proposte dal Governo e fatte proprie dal Parlamento", a vedere "naturalmente ridotto tale perimetro di discrezionalità dalla garanzia delle spese costituzionalmente necessarie" e non viceversa (Corte Cost. sentenze n. 62 del 2020, n. 275 e n. 10 del 2016).
Del resto, anche per le Corti Europee centrali, le ragioni di bilancio e di contenimento della spesa, pur costituendo uno scopo legittimo, non rispondono ai principi di proporzionalità nel momento in cui la loro applicazione determina la lesione di diritti fondamentali delle persone (vedi, Corte EDU, 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia; Corte EDU, 28 ottobre 1999, Zielinski, Pradal, Gonzalez contro Francia; nonché Corte di Giustizia 11 novembre 2014, Schmitzer, punto 41; Corte di Giustizia 24 febbraio 1994, De Weerd).
8.2 Deve infine rammentarsi, con rilievo per quanto attiene alla responsabilità da ritardo o ai profili risarcitori, che, secondo la Corte Costituzionale, in presenza di una Direttiva destinata ad essere applicata direttamente, "tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) - tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi - sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili" (sent. n. 389 del 1989, cit.); in senso analogo, v. anche Corte di Giustizia 9 settembre 2003, Consorzio Industrie Fiammiferi.
L'estensione della questione pregiudiziale - rilevanza rispetto al giudizio a quo.
9. Il tema dell'estensione ai supplenti del beneficio della Carta Docente è estremamente complesso ed articolato.
9.1. Nel giudizio a quo il ricorrente ha agito indicando come "oggetto: il diritto degli insegnanti con contratti annuali o con contratti fino al termine delle attività didattiche" ad usufruire del beneficio della carta Docente. Ha poi narrato di avere prestato servizio presso il MIUR in forza di "plurimi contratti annuali o fino al termine delle attività di didattiche" indicando, per l'anno scolastico 2016-2017, un servizio dal 19.10.2016 al 30.6.2017, per l'anno scolastico 2017-2018 un servizio dal 23.10.2017 al 31.8.2018 e per l'anno scolastico 2018-2019 un servizio dal 28.9.2018 al 31.8.2019.
Ciò è dunque quanto oggetto della pretesa quale in concreto dispiegata in quel giudizio.
Si tratta quindi delle tipologie di incarichi di cui all'art. 4. comma 1 (per due anni scolastici) e comma 2 (per un anno scolastico) della L. n. 124 del 1999.
E' ben vero che la narrativa è imprecisa rispetto all'anno scolastico 2016-2017, in cui il primissimo periodo dal 19.10.2016 al 15.11.2016 fu svolto sulla base di un contratto "fino alla nomina dell'avente diritto" (L. n. 449 del 1997, art. 40, comma 9) e dunque si trattava di una supplenza temporanea.
Tuttavia, oltre al fatto che lo stesso ricorrente presenta quell'annata come unitariamente svolta come supplenza fino al termine delle attività didattiche e che fra quel primo contratto e quello successivo non vi è alcuna discontinuità temporale, né di cattedra o posti, rimasti identici, è comunque evidente come il riconoscimento del beneficio in misura intera con riferimento al secondo contratto sia del tutto assorbente, tenuto anche conto che per l'anno scolastico (Omissis) il diritto, secondo il D.P.C.M. 28.11.2016, art. 5, poteva essere esercitato solo dal 30.11.2016 e dunque esso è sorto in pendenza proprio di tale secondo contratto, e per intero per effetto della sua stessa stipula.
Quindi, quanto si è detto rispetto all'attribuzione della Carta del Docente ai precari cui siano assegnati incarichi ai sensi della L. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2, è già in sé sufficiente a chiudere, rispetto all'an debeatur, il giudizio a quo.
9.2 L'ordinanza di rimessione fa peraltro riferimento a tesi interpretative che porterebbero ad estendere la disamina anche a supplenze brevi; spunti in tal senso vi sono poi nel provvedimento del Primo Presidente e, quanto alle supplenze brevissime, anche nella requisitoria del Pubblico Ministero e le parti hanno svolto difese ad ampio spettro.
Il decreto del Primo Presidente di assegnazione a questa Sezione, fa riferimento all'assenza di pronunce della S.C. che risolvano la questione "in tutti i profili dianzi evidenziati", ma fa preciso riferimento al fatto che essa sia "rilevante ai fini della definizione del giudizio di merito".
9.3 Il tema va misurato con la normativa processuale di riferimento.
L'art. 363-bis, comma 1, c.p.c., individua, quali condizioni per la proposizione del rinvio il fatto che:
"1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di cassazione;
2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi".
Proposta la questione è stabilito quindi che "il primo presidente, ricevuta l'ordinanza di rinvio pregiudiziale, entro novanta giorni assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l'enunciazione del principio di diritto, o dichiara con decreto l'inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al comma 1" (comma 3).
9.4 Ciò posto, il collegio ritiene di dover calibrare il proprio operato sul presupposto, esplicitato dalla norma, che la questione da dirimere deve risultare "necessaria alla definizione anche parziale del giudizio" (art. 363-bis, comma 1, n. 1, c.p.c.), con dato rafforzato dall'ulteriore previsione che il principio di diritto è destinato ad essere "vincolante nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione" (art. 363-bis, u.c.).
9.5 Muovendo dalla disposizione processuale, può rilevarsi che, qualora il Primo Presidente dichiari l'inammissibilità, il procedimento è precluso ed il giudizio di merito deve proseguire senza l'ausilio dell'interpretazione pregiudiziale.
Tuttavia, mentre nel caso di inammissibilità il codice di rito ne prevede appunto la declaratoria, nel caso inverso prevede che il Primo Presidente procede alla "assegnazione" alle Sezioni Unite o alla sezione semplice.
Quindi non vi è una pronuncia espressa sull'ammissibilità, ma una assegnazione al collegio decidente ed è proprio il dato semantico ed il significato tecnico dei termini a delineare con chiarezza la fisionomia processuale.
Il provvedimento del Primo Presidente serve indubbiamente ad assicurare un filtro uniforme, attraverso una valutazione di rilievo esclusivamente procedimentale.
I profili che valuta il Primo Presidente non sono però giuridicamente omogenei.
In particolare, la valutazione sulle "gravi difficoltà interpretative" (n. 2) e sulla suscettibilità della questione "di porsi in numerosi giudizi" (n. 3) hanno carattere sostanzialmente ordinatorio.
Ne deriva che, rispetto a tali aspetti, il collegio cui la questione sia "assegnata" non ha alcuna possibilità di interloquire, potendo al più, se il principio di diritto risultasse già esistente, procedere a riaffermarlo, senza poter ritenere l'inammissibilità del procedimento.
L'"assegnazione", da questo punto di vista, è irreversibile, così come si è visto essere la pronuncia di inammissibilità del Primo Presidente.
Carattere diverso ha invece il requisito del trattarsi di questione "necessaria" alla definizione del giudizio a quo e poi "vincolante" rispetto ad esso.
Tali requisiti inevitabilmente interferiscono con la potestà giurisdizionale del collegio assegnatario, che, essendo chiamato a definire una questione munita di tali caratteristiche e sulla base di un raffronto con quel giudizio (v. l'espressa ed autonoma previsione di trasmissione degli atti del fascicolo d'ufficio del giudizio di merito, di cui all'art. 137-bis, disp. att. c.p.c.), deve inevitabilmente adeguare il proprio giudizio alla causa petendi ed al petitum in concreto dispiegati, stante il fatto che la fase di rinvio pregiudiziale costituisce, per così dire, una "costola" destinata alla fissazione anticipata dei profili di diritto.
Anzi, con previsione parimenti significativa, l'art. 363-bis c.p.c. stabilisce espressamente - al n. 1 del comma 1 - che la "questione" sia rilevante nel giudizio a quo, ma anche che proprio tale "questione" - v. il n. 3 di quello stesso comma 1 - e non altre cui liberamente si estenda la cognizione della S.C., sia "suscettibile di porsi in numerosi giudizi".
9.6 Il collegio ritiene pertanto che il provvedimento del Primo Presidente - da assumere in termini assai brevi nonostante la assoluta complessità delle questioni che possono essere sollevate, di cui il caso di specie è piena esemplificazione - sia da intendere come di natura delibatoria rispetto al requisito della rilevanza.
Non a caso, del resto, esso sfocia in una "assegnazione", ovverosia in una forma tecnica significativamente meno forte anche di quel "disporre" che caratterizza l'avvio alle Sezioni Unite di cui all'art. 374, comma 2, c.p.c..
Quella che si instaura tra tale provvedimento e il successivo vaglio del collegio è dunque, da questo punto di vista, una relazione di affinamento progressivo - proprio di un procedere per gradi nell'approccio ai temi più complessi - dell'oggetto del decidere.
Spetta quindi al collegio individuare l'ambito delle situazioni giuridiche oggetto di causa e definire in ragione di esse i principi sollecitati dal giudizio di riferimento.
In proposito il richiamo, trattandosi di fase non impugnatoria, non può che andare alla causa petendi ed al petitum su cui si è incardinato il giudizio di merito, di cui il presente procedimento costituisce parentesi di legittimità e rispetto al quale devono esprimersi i principi per esso vincolanti.
9.7 Il tema presenta peraltro ulteriori tratti di complessità.
Infatti, il principio di diritto può essere formulato con diversi gradi di specificità/genericità o di astrattezza/concretezza.
Se, infatti, si manifesti l'esistenza di una regola generale in cui il caso concreto sia ricompreso, il principio ben potrebbe essere calibrato su di essa, così fornendo il metro giuridico anche per casi diversi.
Non si tratta tuttavia di scelte vincolate, perché un principio di diritto resta tale anche se espresso in modo da accogliere soltanto l'ambito delle questioni giuridiche rilevanti nel giudizio a quo.
La scelta, anche da questo punto di vista, è inevitabilmente del collegio che è tenuto, per effetto dell'assegnazione, a fornire tutti i principi utili a definire il giudizio a quo, ma non necessariamente a ricercare un principio onnicomprensivo rispetto ad altre ipotesi.
Così come è facoltativo lo spingersi ad affermare il principio di diritto nei casi di cui all'art. 363, comma 3, c.p.c., in cui la regola strutturalmente non serve a definire il giudizio tra le parti, analogamente anche il collegio del rinvio pregiudiziale deve poter valutare fino a che grado di astrattezza portare la propria pronuncia ai sensi dell'art. 363-bis, c.p.c., senza regole predeterminate, ma con l'uso volta a volta accorto della discrezionalità rispetto al connotarsi delle questioni giuridiche collaterali a quelle strettamente indotte dal giudizio a quo.
Il principio di diritto sulla spettanza della Carta Docente.
10. Iniziando, dunque, dal profilo riguardante il tema della spettanza della Carta Docente, quanto si è in precedenza argomentato porta a concludere che, a chi sia stato incaricato di supplenze di cui alla L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2, essa effettivamente spetti ed in misura piena e tale conclusione e', come si è detto, sufficiente per quanto necessario alla definizione del giudizio da cui è scaturito il rinvio pregiudiziale.
Il tema delle supplenze temporanee sollecita, del resto, valutazioni ulteriori sul piano del diritto Eurounitario.
Vi può essere infatti da apprezzare quale sia la relazione tra le ragioni obiettive di politica scolastica perseguite dal legislatore interno nei termini sopra descritti e la minore o maggiore durata del rapporto di lavoro, considerando altresì il fatto che l'ordinamento non prevede quel beneficio come unica possibile misura formativa.
Non potendosi poi trascurare, proprio in una tale logica di valutazione non parcellizzata, che l'art. 6 dell'Accordo Quadro prevede che è "nella misura del possibile" che i datori di lavoro sono indirizzati ad agevolare l'accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguate, per aumentarne le qualifiche, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale, il che evidentemente apre, nella complessità anche finanziaria del sistema scolastico, ad inevitabili distinguo e diversificazioni.
La complessità di tali ulteriori temi ed i possibili dubbi sul piano del diritto unionale, così come l'articolarsi di tali questioni su scenari che sono totalmente estranei al giudizio a quo consiglia pertanto di non affrontare qui i diversi profili del se, nei casi di supplenze temporanee, non spetti nulla oppure si applichi una regola pro rata temporis (art. 4, punto 2, dell'Accordo Quadro), tale da ricalibrare la misura del beneficio in ragione del ridursi dei periodi di insegnamento e dell'incidenza di esso sulla didattica; oppure, ancora se, qualora si debba giungere ad un riconoscimento pro rata, esistano durate talmente minime dei rapporti che, sempre ed in ogni caso, escludano qualsivoglia attribuzione.
Per analoghe ragioni di estraneità al giudizio a quo, e per alcuni tratti di possibile complessità che meritano di essere verificati all'eventuale sorgere dello specifico contenzioso, resta fuori dall'ambito del decidere la possibilità di assimilare estensivamente alla didattica "annuale", di cui alla L. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2, il caso in cui la sommatoria di supplenze temporanee sia tale da completare un periodo pari a quello minimo proprio della figura tipica dei contratti fino al termine delle attività di didattiche; così come resta parimenti al di fuori la questione sulla rilevanza delle "ore" svolte, perché comunque il ricorrente ha avuto complessivamente assegnate, negli anni di riferimento e per l'intera durata del periodo, diciotto ore o più.
La natura del diritto e delle obbligazioni.
11. Il provvedimento di rimessione richiede esplicitamente indicazioni sulla natura dell'obbligazione, sia sotto il profilo della sua natura retributiva o riparatoria, sia sotto il profilo del trattarsi o meno di obbligazione pecuniaria e, ad ampio spettro, sulle modalità di soddisfazione.
Si tratta dunque di profili, sinteticamente richiamati anche nel provvedimento del Primo Presidente, su cui va portata l'attenzione. (segue): obbligazione di pagamento a scopo vincolato.
12. Deve muoversi intanto dalla struttura dell'obbligazione.
In proposito va fatto riferimento alla norma di legge e, con essa, al D.P.C.M. 28 novembre 2016 che vi ha dato esecuzione e che, avendo sostanzialmente ridisegnato il sistema del precedente D.P.C.M., è in ogni caso destinato a regolare i provvedimenti di tutela giudiziaria sui diritti rivendicati che, venendo emessi all'attualità, non possono che ricalcare quelle forme.
Il menzionato D.P.C.M. detta le disposizioni generali per il riconoscimento della Carta Docente, richiesta come tale dalla legge istitutiva, nelle forme di un diritto ad acquistare beni coerenti con le indicazioni della norma primaria.
A tale fine è previsto che la Carta è realizzata in forma di applicazione web, attraverso un sistema che, utilizzabile mediante accesso alla rete Internet attraverso una piattaforma informatica dedicata, prevede l'iscrizione e la registrazione sia dei docenti che degli esercenti, ovverosia dei venditori dei beni o fornitori dei servizi.
Tale sistema genera un codice di acquisto o buono a favore del docente, per i beni o servizi da lui prescelti, che l'esercente può accettare solo per prodotti coerenti con il disposto normativo.
In seguito all'acquisto, all'esercente è riconosciuto un credito di pari importo nei confronti del Ministero o, meglio, di chi (v. Consap) provvede per esso alla liquidazione.
12.1 Il collegio ritiene che la pur complessa struttura dell'operazione, non porti a discostare la stessa da un'obbligazione, sotto il profilo sostanziale, di pagamento.
La norma primaria fa riferimento all'"acquisto" di beni o servizi da parte del docente, ed è il pagamento di tale acquisto che è effettuato dal Ministero o da chi per lui.
L'operazione ha nella sostanza l'effetto di rendere giuridicamente disponibile al docente l'importo necessario a pagare l'acquisto da lui eseguito presso l'esercente e dunque è finalizzata all'ottenimento, pur se attraverso un complesso meccanismo attuativo e di finanziamento, di una somma di denaro che il terzo (il Ministero o chi per lui) mette a disposizione nell'interesse del docente acquirente, in una sorta di espromissione (art. 1272 c.c.) o di adempimento del terzo (art. 1180 c.c.), classificazioni ulteriori che però qui non interessano, data la completezza ed autonomia della disciplina specifica.
Nonostante le forme proprie dei nostri tempi e dell'evoluzione telematica, ciò cui mira l'obbligazione è comunque l'ottenimento in favore del docente di un importo in numerario, da accreditare in pagamento del suo acquisto e ciò basta, come in sostanza argomentano sia il giudice remittente, sia il Pubblico Ministero, a ritenere la natura pecuniaria e di pagamento.
Tutto il complesso nesso di obblighi finalizzati ad ottenere quel risultato è in sostanza, come rileva ancora il giudice remittente, puramente strumentale, senza che ne resti alterata la natura ultima della prestazione.
Il profilo del pagamento non esaurisce tuttavia le particolarità dell'obbligazione in esame.
12.2 L'intera operazione è infatti condizionata dalla destinazione di quella somma a specifiche tipologie di acquisti e non ad altri.
Tale scopo o funzione sono assolutamente qualificanti, perché, attribuendo al docente una somma liquida, gli si darebbe un'utilità diversa da quella voluta dalla legge e ne verrebbe vanificato l'impianto normativo finalizzato in modo stringente ad assicurare proprio beni e servizi formativi, e non somme in quanto tali.
12.3 Inoltre, si rileva che, ai sensi dell'art. 6, comma 2 del D.P.C.M. 28 novembre 2016 (ma v. anche art. 2, comma 5, del precedente D.P.C.M. 23 settembre 2015), la cessazione dal servizio per qualsiasi causa comporta che "la Carta non è più fruibile" e quindi si realizza l'estinzione del diritto a utilizzare gli importi eventualmente ancora non consumati dal docente.
Poiché la cessazione del servizio può avvenire per ragioni del tutto indipendenti da responsabilità del docente, ciò attesta il necessario obiettivo collegamento della fruizione in concreto del diritto con una prestazione didattica o quanto meno con un'esigenza formativa tuttora funzionale al sistema scolastico.
12.4 In effetti, mentre il sorgere del diritto è connesso strettamente dal sistema allo svolgimento di attività di didattica nell'anno di riferimento, l'esercizio di tale diritto può essere spalmato anche sull'anno successivo.
Ciò assicura strutturalmente il nesso tra Carta e didattica, ma poi consente al docente margini di scelta temporale nella fruizione del bonus.
Resta dunque la ratio di fondo di sostegno alla didattica annua - lo si dice per evidenziare anche da questo punto di vista il persistere della coerenza di sistema - ma semplicemente si assicura al beneficiario una qualche flessibilità al fine di consentire la miglior utilizzazione del beneficio.
(segue): la natura retributiva o meno.
13. Quanto si è detto consente di sgomberare il campo, almeno ai fini che qui rilevano, dal tema della natura "retributiva" o "riparatoria" su cui fa leva l'ordinanza di rimessione.
Già la legge esclude che l'accredito abbia natura retributiva a fini fiscali.
La classificazione astratta del beneficio non è poi realmente necessaria per quanto qui interessa, ovverosia per stabilire le modalità di adempimento e dunque non va ulteriormente approfondita.
Quella in esame è l'obbligazione sui generis, con caratteristiche di cui si è detto, e tanto basta per i fini che qui interessano.
L'azione di adempimento.
14. Il tema, sollecitato dalle conclusioni assunte in via principale nel giudizio a quo, è quello di una domanda di attribuzione in forma specifica della Carta Docente.
Secondo principi generalissimi del diritto delle obbligazioni, il diritto all'adempimento sussiste fino a quando la prestazione sia possibile, a meno che risulti venir meno l'interesse cui essa è funzionale.
Di converso, l'impossibilità di quell'adempimento o il venir meno di quell'interesse convertono il diritto all'adempimento in diritto al risarcimento del danno.
(segue) la possibilità di adempimento.
15. Iniziando dal tema dell'impossibilità, essendo la Carta Docente tuttora esistente come istituto ed essendo stata, anzi, estesa dal legislatore per il 2023 ai supplenti "annuali" (D.L. n. 69 del 2023 cit.), non vi è ragione per dubitare che essa possa funzionare almeno in oggi anche rispetto a periodi pregressi.
Ne' è verosimile pensare ad impedimenti ad esercitare in quel modo il proprio diritto, trattandosi semplicemente di consentire l'accesso ad una piattaforma informatica ed al sistema di provvista per gli acquisti che ne consegue.
Come giustamente rileva il giudice del rinvio è del tutto conforme ai doveri del debitore "che questi dia accesso al portale" agli aventi diritto "al fine di provvedere al pagamento (adempimento) di quanto ad essi dovuto".
(segue) la persistenza degli interessi a fondamento dell'obbligazione "di scopo".
16. Nel valutare il tema dell'interesse rispetto all'adempimento dell'obbligazione oggetto del contenzioso deve muoversi dal richiamo, dal lato datoriale, alla natura "continua" del diritto-dovere alla formazione ed aggiornamento ed all'inserirsi di esso nel contesto di una ormai conclamata unitarietà non solo tra pre-ruolo e ruolo (Cass. 28 novembre 2019, n. 31149), ma anche del periodo pre-ruolo in sé considerato (Cass. 7 novembre 2016, n. 22558).
Ciò porta a ritenere che la mancata attribuzione degli importi che erano dovuti per le annate in cui siano state svolte le supplenze non significhi che vi sia perdita di interesse rispetto all'ottenimento successivo di essi, che anzi deve presumersi persista nella misura in cui chi agisce sia ancora interno al sistema educativo scolastico, in ragione della persistenza del diritto-dovere formativo.
Di converso, in tali casi, non viene meno neanche l'interesse datoriale ad adempiere con quelle modalità, proprio perché l'inserimento dell'insegnante nel sistema educativo giustifica anche l'attribuzione successiva del beneficio in relazione al permanere di esigenze formative.
Si è del resto già detto che il sistema, mentre riconnette il sorgere del diritto alla concomitanza con l'attività didattica, consente poi un esercizio dilazionato di esso, che, nel caso fisiologico del regolare accredito in corso di anno scolastico, permette la fruizione entro l'anno scolastico successivo.
Si deve allora valutare quale sia il funzionamento del sistema nel caso in cui l'attribuzione tempestiva non vi sia stata, caso che è poi quello dei precari, cui la norma interna non riconosceva il diritto.
16.1 Va in proposito considerato, come si è già detto al punto 12.3, che la cessazione dal servizio, ai sensi dell'art. 3, comma 2, del D.P.C.M. del 2016, è causa di estinzione del diritto a fruire del beneficio, per ragioni intrinsecamente connesse con la struttura dell'obbligazione "di scopo".
Tuttavia, nel valutare tale evenienza rispetto al personale precario, la nozione di "cessazione" va evidentemente adattata, perché altrimenti si dovrebbe dire che, con la cessazione della supplenza, cessando anche il servizio, non resti altro percorso che quello risarcitorio.
Così però non è e lo dimostra - a fini argomentativi - il sopravvenuto D.L. 69 del 2023, cit.
Infatti, l'art. 15 di tale D.L. consente l'accesso alla Carta a chi non è di ruolo.
Poiché la Carta può comunque essere utilizzata nell'arco del biennio, ciò significa che, se anche, nell'anno successivo, a quel docente non fosse attribuita una supplenza, egli potrebbe ancora fruire di quanto accreditato in suo favore.
Ciò è conseguenza del fatto che la cessazione della supplenza di regola non significa uscita dal sistema scolastico.
Analogamente, l'effetto estintivo, nel caso di docenti precari a cui la Carta non sia stata tempestivamente attribuita, va definito in modo diverso.
Il ragionamento va condotto tenendo conto appunto del nesso tra Carta e formazione.
Tale nesso, se, per i docenti di ruolo, giustifica l'estinzione del diritto alla fruizione del bonus quando il servizio venga meno, nel caso di docenti precari cui la Carta non sia stata attribuita tempestivamente, impone di connettere l'effetto estintivo non all'ultimarsi della supplenza, ma alla fuoriuscita di essi dal sistema scolastico.
E' infatti in quel momento che si verifica il venir meno dell'interesse bilaterale alla formazione che governa appunto il momento estintivo del diritto alla fruizione delle utilità conseguenti all'attribuzione della Carta Docente.
16.2 Quindi, se il docente precario che, in una certa annualità, abbia maturato il diritto alla Carta, resti iscritto nelle graduatorie (ad esaurimento, provinciali o di istituto) per le supplenze e, eventualmente, riceva anche incarichi di supplenza, permane l'inserimento nel sistema scolastico che giustifica l'esercizio del diritto all'adempimento ed ancor più se poi egli transiti in ruolo.
Al contrario, se un tale docente, dopo l'annualità in cui è maturato il diritto alla Carta, sia cancellato dalle graduatorie, il diritto all'adempimento cessa con tale cancellazione, per fuoriuscita dal sistema scolastico.
In tal caso resta solo il diritto al risarcimento del danno, di cui si dirà più in dettaglio con riferimento al caso di cui al giudizio a quo. 16.3 Dunque, in presenza di tali condizioni di permanente inserimento nel sistema scolastico, va riconosciuta l'azione di adempimento in forma specifica, mediante attribuzione della Carta Docente, per un importo pari al valore che spettava e con funzionamento secondo il sistema attuativo proprio dello specifico bonus in esame.
L'esito finale, tra l'altro, coincide con quello fatto proprio da buona parte della giurisprudenza di merito nota, oltre che con la richiesta formulata in via principale dall'odierno ricorrente e con le argomentazioni sul punto del Pubblico Ministero, ove si afferma che la rimozione della discriminazione è da assicurare riconoscendo "il medesimo importo... da impiegare negli stessi termini e secondo le medesime modalità".
Il principio di diritto qui inevitabilmente - lo si dice per coerenza rispetto a quanto precisato sul piano processuale al punto 9 - va esteso oltre l'ambito del giudizio a quo, in quanto altrimenti non si riescono a delineare con sufficiente chiarezza i tratti essenziali dell'assetto giuridico del particolare fenomeno oggetto del contenzioso.
(segue): le condizioni di cui al D.P.C.M..
17. Il giudice del rinvio chiede anche di chiarire i rapporti tra il diritto alla Carta Docente quale riconosciuto ex post ed alcune delle regole di esercizio del corrispondente diritto previste rispetto ai casi di fisiologico riconoscimento in corso di rapporto.
17.1 Intanto è da escludere che il diritto degli assunti a tempo determinato possa essere paralizzato dal rilievo dell'omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda al datore di lavoro.
E' vero che il sistema prevede una registrazione sulla piattaforma web (art. 3, comma 2 del D.P.C.M.), sulla base di un'autenticazione attraverso il Sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese, denominato "SPID" (art. 5, comma 1, e 3, comma 2, del D.P.C.M.).
Si tratta però solo di modalità che condizionano in concreto l'esercizio del diritto, ma non di regole che onerino di una qualche formale istanza.
Anche perché, evidentemente, i docenti non di ruolo non avrebbero certamente ottenuto dal sistema una valida autenticazione, visto che il Ministero nega l'esistenza di un loro diritto in proposito.
17.2 Quanto alla decadenza per mancata utilizzazione nei fondi nel biennio, su cui parimenti si interroga il giudice del rinvio, è evidente che essa non può operare per fatto del creditore.
Dunque, essa non impedisce in alcun modo il riconoscimento in sede giudiziale della Carta docente per il solo fatto del trascorrere del biennio dal momento in cui il diritto era sorto e viene poi accertato dal giudice.
L'azione di risarcimento.
18. Il caso di specie permette di definire anche un ulteriore aspetto.
Le conclusioni assunte nel giudizio di merito sono infatti nel senso, in via principale, di una condanna del Ministero all'adempimento dell'obbligazione attraverso l'attribuzione di 500,00 Euro "tramite la Carta Elettronica" (v. anche, oltre alle conclusioni, il punto V, primo periodo, del ricorso di primo grado) e, in via subordinata, al risarcimento - indicato in forma specifica, ma tale da comprendere ipso iure il risarcimento per equivalente (Cass. 30 aprile 2021, n. 11438; Cass. 18 gennaio 2002, n. 552).
Come si è detto, per chi non sia più interno al sistema scolastico l'unica azione è quella risarcitoria.
Tale distinguo attiene al merito e dunque, come da principi tradizionali e consolidati del diritto processuale, non può che essere valutato al momento della pronuncia su di esso.
Però, se è vero che oggi il ricorrente è in ruolo e dunque avrebbe diritto all'attribuzione in forma specifica con l'azione di adempimento chiesta in via principale, non si può tuttavia sapere quali saranno le sue condizioni quando si dovrà pronunciare sul merito, in quanto egli potrebbe appunto essere fuoriuscito dai ruoli. Pertanto, poiché la domanda subordinata abbraccia anche quell'ulteriore ipotesi, è anche su di essa che va portata la definizione dei principi di diritto.
18.1 Quello che si manifesta, in proposito, è un pregiudizio a sfumature plurime, pur nella pochezza economica.
Si tratta infatti, in tal caso, di un insieme di possibili esborsi (spese di formazione sostenute autonomamente con l'acquisto a tal fine di beni o servizi), di possibili perdite di chances formative e di una possibile menomazione non patrimoniale della professionalità, salvo altro.
Il pregiudizio va allegato da chi agisca, come da principi generali, per quanto, oltre alla possibilità di prova di esso in via presuntiva, vada ammessa la liquidazione equitativa, da parte del giudice del merito, nella misura più adeguata al caso di specie, tenuto conto delle circostanze del caso concreto (tra cui ad es. la durata della permanenza nel sistema scolastico, cui l'attribuzione è funzionale, o quant'altro rilevi) ed entro il massimo pari al valore della Carta che sarebbe spettato, salva la prova, a quel punto specifica, di un qualche concreto maggior pregiudizio.
La prescrizione: misura del periodo.
19. Nel valutare la questione sulla prescrizione deve intanto richiamarsi la natura pecuniaria dell'obbligazione, quale sopra ritenuta.
Ciò consente di riportare la stessa alla fattispecie di cui all'art. 2948, n. 4 c.c. relativa appunto a ciò che deve "pagarsi".
Quanto al punto - in sé più delicato - della periodicità, quale tratto qualificante per l'applicazione della prescrizione breve, la valutazione non può avere riguardo al fatto che, rispetto al singolo docente, la maturazione del diritto si abbia in ragione di un singolo anno scolastico.
Ci si deve riferire, in proposito, ai principi che ispirano il risalente orientamento per cui "criterio informatore della disciplina della prescrizione dei crediti previsti dal n. 1 al n. 4 dell'art. 2948 c.c. è quello di liberare il debitore dalle prestazioni scadute, non richieste tempestivamente dal creditore, quando le prestazioni siano periodiche in relazione ad un'unica causa", sicché tipiche prestazioni periodiche sono quelle relative alle retribuzioni e ad altri emolumenti, da pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi in dipendenza del rapporto di lavoro, che ne costituisce "l'unica causa solutoria... non influendo sul suo decorso la saltuarietà o meno della prestazione lavorativa" (Cass. 4 dicembre 1982, n. 6615 e, poi, Cass. 11 gennaio 1988, n. 108).
In breve, il pagamento "di scopo" di cui consiste la Carta Docente deve essere assicurato annualmente dal Ministero ai docenti che ne abbiano diritto e rispetto a ciò è dato meramente occasionale che per taluni di essi ed in particolare per chi non è di ruolo, vi sia saltuarietà nella maturazione o meno dei presupposti del credito.
D'altro canto questa Corte ha già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che la domanda di adempimento contrattuale proposta dall'assunto a tempo determinato e fondata sulla clausola 4 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE soggiace alle medesime regole che valgono per la domanda che l'assunto a tempo indeterminato potrebbe, in ipotesi, azionare qualora quella stessa obbligazione non fosse correttamente adempiuta, il che comporta l'applicazione del termine quinquennale, non decennale, di prescrizione. Diversamente, si verificherebbe una discriminazione "alla rovescia", nel senso che al dipendente assunto a termine finirebbe per essere riservato un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto per il lavoratore comparabile (Cass. 28 maggio 2020, n. 10219).
19.1 La prescrizione della domanda risarcitoria, quando ad essa si possa ricorrere, non può che essere di durata decennale, come da principi generali in tema di responsabilità contrattuale.
Ne' si può estendere il termine quinquennale previsto per la responsabilità dello Stato in attuazione di direttive Eurounitarie dalla L. 183 del 2012, art. 1, comma 43, in quanto, anche per ciò che si andrà subito a dire di seguito, il principio di pari trattamento, rispetto alle supplenze annue, è di diretta applicazione e dunque il caso è diverso da quello di cui alla norma citata, in cui si fa riferimento alla mancata trasposizione di norme Eurounitarie non immediatamente efficaci.
(segue) la decorrenza.
20. Come si è appena detto, il diritto dei docenti titolari di supplenze annuali nei termini di cui alla L. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2, è da riconoscere sulla base di un'applicazione diretta, con disapplicazione parziale del diritto interno confliggente, della norma Eurounitaria dell'art. 4 dell'Allegato all'Accordo Quadro.
Ciò significa che il privato poteva agire ab origine in forza della norma Eurounitaria e che, di converso, la P.A. era parimenti tenuta a dare applicazione, in forza di quell'efficacia diretta, alla norma stessa (Corte di Giustizia 9 settembre 2003, Consorzio Fiammiferi, punto 49).
20.1 Da ciò deriva che la prescrizione dell'azione di adempimento decorre poi dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, ovverosia, rispetto alle supplenze di cui alla L. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2, dal momento del conferimento degli incarichi o, se il conferimento degli incarichi sia anteriore, dall'eventualmente successivo momento in cui, per l'annata di riferimento, sia consentito anche ai docenti di ruolo, secondo il sistema di cui al D.P.C.M. del 2016, procedere alla registrazione telematica onde fruire del beneficio.
20.2 Il diritto al risarcimento del danno in favore del docente che sia fuoriuscito dal sistema scolastico decorre dalla data in cui il danno, con la cessazione dal servizio, ha acquisito attualità.
Ritiene peraltro il collegio di dover precisare che se, nelle more, vi sia stata, in pendenza del rapporto, prescrizione dell'azione di adempimento ancora esperibile, nessun ristoro potrebbe essere richiesto, perché l'estinzione del diritto verificatasi per l'inerzia del titolare nel rivendicare l'adempimento in forma specifica, non può che comportare anche la perdita del diritto al risarcimento.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Taranto con ordinanza del 24 aprile 2023, enuncia i seguenti principi di diritto:
1) La Carta Docente di cui alla L. 107 del 2015, art. 1, comma 121, spetta ai docenti non di ruolo che ricevano incarichi annuali fino al 31.8, ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1, o incarichi per docenza fino al termine delle attività di didattiche, ovverosia fino al 30.6, ai sensi della L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 2, senza che rilevi l'omessa presentazione, a suo tempo, di una domanda in tal senso diretta al Ministero.
2) Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui alla L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 121, non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale sul loro diritto, siano interni al sistema delle docenze scolastiche, perché iscritti nelle graduatorie per le supplenze, incaricati di una supplenza o transitati in ruolo, spetta l'adempimento in forma specifica, per l'attribuzione della Carta Docente, secondo il sistema proprio di essa e per un valore corrispondente a quello perduto, oltre interessi o rivalutazione, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36, dalla data del diritto all'accredito alla concreta attribuzione.
3) Ai docenti di cui al punto 1, ai quali il beneficio di cui alla L. n. 107 del 2015, art. 1, comma 121, non sia stato tempestivamente riconosciuto e che, al momento della pronuncia giudiziale, siano fuoriusciti dal sistema delle docenze scolastiche, per cessazione dal servizio di ruolo o per cancellazione dalle graduatorie per le supplenze, spetta il risarcimento, per i danni che siano da essi allegati, rispetto ai quali, oltre alla prova presuntiva, può ammettersi la liquidazione equitativa, da parte del giudice del merito, nella misura più adeguata al caso di specie, tenuto conto delle circostanze del caso concreto (tra cui ad es. la durata della permanenza nel sistema scolastico, cui l'attribuzione è funzionale, o quant'altro rilevi), ed entro il massimo costituito dal valore della Carta, salvo allegazione e prova specifica di un maggior pregiudizio.
4) L'azione di adempimento in forma specifica per l'attribuzione della Carta Docente si prescrive nel termine quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., che decorre dalla data in cui è sorto il diritto all'accredito, ovverosia, per i casi di cui alla L. n. 124 del 1999, art. 4, comma 1 e 2, dalla data del conferimento dell'incarico di supplenza o, se posteriore, dalla data in cui il sistema telematico consentiva anno per anno la registrazione sulla corrispondente piattaforma informatica; la prescrizione delle azioni risarcitorie per mancata attribuzione della Carta Docente, stante la natura contrattuale della responsabilità, è decennale ed il termine decorre, per i docenti già transitati in ruolo e cessati dal servizio o non più iscritti nelle graduatorie per le supplenze, dalla data della loro fuoriuscita dal sistema scolastico.
Si dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Taranto.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2023.
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