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Mansioni inferiori solo con la prova della riorganizzazione aziendale

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.3131 del 02/02/2023

Assegnare il lavoratore a mansioni inferiori è illegittimo se il datore non prova l'esistenza di una riorganizzazione aziendale destinata ad influire sulla posizione ricoperta dallo stesso lavoratore.

È quanto stabilito dalla Sezione Lavoro della Cassazione con l'ordinanza n. 3131 del 2 febbraio 2023.

Il caso di specie riguardava una lavoratrice che era stata assegnata alle mansioni di operatrice di call center dopo aver ricoperto per otto anni il ruolo di team leader. La società aveva giustificato il mutamento di mansioni con la necessità di ridurre il numero di team leader. Tuttavia, questa giustificazione era stata smentita dal fatto che altri dipendenti erano stati assegnati a tali mansioni dopo il demansionamento della donna.

La Suprema Corte ha inoltre confermato il ricarcimento da illegittimo demansionamento quantificato dal giudice del merito in una somma pari al 25% della retribuzione spettante al dipendente nel periodo interessato dall’illecita condotta datoriale.

Demansionamento, riorganizzazione aziendale, prova

L'assegnazione del lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore "purché rientranti nella medesima categoria legale" è consentita in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla relativa posizione.

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Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.3131 del 02/02/2023

Rilevato che

1. la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado che, accertata la illegittimità del mutamento di mansioni disposto da Alma. s.p.a. nei confronti di F.M., ha condannato la datrice di lavoro Alma s.p.a. a riassegnare la lavoratrice alle mansioni in precedenza svolte o ad altre equivalenti ed al risarcimento del danno quantificato in via equitativa in Euro 12.290,75 corrispondente al 25% della retribuzione all'epoca goduta per ciascun mese di demansionamento;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Alma s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce omesso esame della documentazione prodotta in giudizio e delle allegazioni di Alma s.p.a. esposte nei giudizi di merito di primo e secondo grado; in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 denunzia la omessa considerazione della effettività della riorganizzazione societaria, avviata con lettera del (Omissis) e omessa considerazione della circostanza dedotta dalla società circa la soppressione del posto di lavoro della F.;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 2103, comma 2, c.c. e della Cost., art. 41 censurando la sentenza impugnata in base alla considerazione che erano state esaminate circostanze non rilevanti ai fini della valutazione del rispetto della norma codicistica e che la Corte di merito, in violazione del principio costituzionale di libertà di iniziativa economica, si era sostituita alla valutazione, spettante alla società, circa la complessiva utilità dell'operazione, come non consentito.

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;

3.1. occorre premettere che l'accertamento della sentenza impugnata risulta coerente con la disposizione di cui all'art. 2013 c.c. (ndr. rectius 2103), nel testo applicabile ratione temporis risultante dalla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 3, secondo il quale, per quel che qui rileva, l'assegnazione del lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore "purché rientranti nella medesima categoria legale" è consentita in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla relativa posizione; la Corte di merito ha, infatti, ritenuto non giustificata la assegnazione della F. alle mansioni di operatrice di call center dopo che la stessa aveva svolto dall'ottobre 2007 all'ottobre 2015 mansioni di team leader, in assenza di prova di una riorganizzazione aziendale destinata ad influire sulla posizione di lavoro dalla stessa ricoperta; ha infatti evidenziato che la dedotta esigenza riorganizzativa di riduzione del numero complessivo dei team leader risultava smentita dal fatto che in epoca successiva al demansionamento della F. erano stati assegnati a tale mansione altri dipendenti;

3.2. tale accertamento è divenuto definitivo stante la preclusione scaturente dalla esistenza di " doppia conforme " ai sensi dell'art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c. non avendo la società ricorrente dedotto che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell'appello, erano tra loro diverse, come suo onere al fine della valida deduzione del vizio motivazionale (Cass. n. 20994 del 2019, Cass. n., Cass. n 26774 del 2016, Cass. n. 5528 del 2014);

4. il secondo motivo di ricorso è inammissibile; in primo luogo, le censure sviluppate, per come concretamente articolate, non concernono il significato e la portata applicativa dell'art. 2103 c.c. ma investono direttamente la ricognizione della concreta fattispecie a mezzo delle risultanze di causa, peraltro evocate in violazione della prescrizione dell'art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c.; in questa prospettiva risultano in particolare inammissibili le deduzioni che ascrivono al giudice di appello la errata identificazione degli obiettivi della riorganizzazione; priva di pertinenza con le ragioni della decisione si rivela, inoltre, la censura che ascrive alla Corte di merito di essersi sostituita alla società nella valutazione di opportunità e convenienza della riorganizzazione, in violazione del principio di libertà economica di cui alla Cost., art. 41, in quanto la sentenza impugnata si è limitata a rilevare la insussistenza in fatto dei presupposti legali per il demansionamento della lavoratrice, senza in alcun modo argomentare circa il diritto o meno della società di procedere alla riorganizzazione;

5. alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.

6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del, ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002 , comma 1 bis art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 novembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2023.

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