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Gratuito patrocinio, avvocato non può rinunciarci

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.31928 del 16/11/2023

L'istanza di distrazione delle spese presentata dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non costituisce una rinuncia implicita al beneficio da parte dell'assistito.

Lo ha chiarito la Sezione Seconda della Cassazione con la sentenza n. 31928 del 16 novembre 2023.

Nel caso di specie, l'avvocato del ricorrente, beneficiario del gratuito patrocinio in una controversia relativa al mancato adempimento di un contratto preliminare per l'acquisto di un terreno, aveva espresso la volontà di distrarre le spese legali "in favore del sottoscritto procuratore, con rinunzia al beneficio del patrocinio".

La Suprema Corte ha evidenziato la differenza nella finalità e nel piano di operatività tra il gratuito patrocinio e la distrazione delle spese. Il primo istituto garantisce l'effettività del diritto di difesa alle persone non abbienti, mentre il secondo conferisce al difensore un diritto proprio. Di conseguenza, l'avvocato non detiene il potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, incluso il diritto all'assistenza dello Stato per le spese del processo.

La rinuncia al gratuito patrocinio peraltro può essere effettuata solo dal titolare del beneficio e solo nelle tre ipotesi tipizzate dall’art. 136 del D.P.R. n. 115 del 2002, una normativa eccezionale che non si presta a interpretazioni analogiche.

Nel caso in questione, essendo risultata vittoriosa la parte ammessa al patrocinio statale, è stata decretata la condanna alle spese in favore dello Stato. Il difensore, a sua volta, dovrà richiedere la liquidazione del proprio compenso secondo gli artt. 82 e 130 del D.P.R. n. 115 del 2002.

La Cassazione ha infine sottolineato che il giudice civile non è obbligato a quantificare in misura equivalente le somme dovute dal soccombente allo Stato e quelle spettanti allo Stato per il difensore del non abbiente. Ciò previene un potenziale vantaggio ingiusto per la parte soccombente nei confronti del non abbiente e consente allo Stato di bilanciare le situazioni in cui non riesce a recuperare quanto speso, contribuendo così al mantenimento dell'intero sistema.

Patrocinio a spese dello stato, istanza di distrazione delle spese, rinuncia implicita al beneficio, esclusione

La presentazione dell'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non costituisce rinuncia implicita al beneficio da parte dell'assistito, attesa la diversa finalità e il diverso piano di operatività del gratuito patrocinio e della distrazione delle spese - l'uno volto a garantire alla parte non abbiente l'effettività del diritto di difesa e l'altra ad attribuire al difensore un diritto in rem propriam - con la conseguenza che il difensore è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, compreso il diritto soggettivo all'assistenza dello Stato per le spese del processo, potendo la rinuncia allo stesso provenire solo dal titolare del beneficio, e tenuto conto, peraltro, che l'istituto del gratuito patrocinio è revocabile unicamente nelle tre ipotesi tipizzate nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente.

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Cassazione civile sez. II, sentenza 16/11/2023 (ud. 21/06/2023) n. 31928

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2008 C.G.B. conveniva in giudizio B.A.M. innanzi al Tribunale di Tempio Pausania, lamentando l'inadempimento contrattuale del convenuto che, stipulato un contratto preliminare di acquisto di un terreno, si era rifiutato di concludere il definitivo; l'attore chiedeva quindi al Tribunale di pronunciare sentenza ex art. 2932 c.c. e, in via subordinata, di condannare il convenuto a pagare il doppio della caparra versata. Si costituiva in giudizio B., che negava il proprio inadempimento e affermava l'inadempimento di controparte; in via riconvenzionale chiedeva "in via principale", accertato il mancato pagamento del prezzo e accertata la caducazione del diritto di prelazione, nonché del contratto preliminare, di dichiarare "l'intercorsa risoluzione del contratto con diritto del B. alla ritenzione delle somme ricevute a titolo di caparra confirmatoria", "in via subordinata", accertato il mancato pagamento del prezzo, nonché l'inadempimento, di dichiarare "il recesso ex art. 1385 c.c., comma 2, con diritto del B. alla ritenzione delle somme ricevute a titolo di caparra confirmatoria". Con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 l'attore chiedeva, in via subordinata rispetto alle domande già proposte, di condannare il convenuto a restituire la caparra.

Con sentenza n. 326/2010 il Tribunale di Tempio Pausania rigettava le domande dell'attore e accoglieva la domanda riconvenzionale del convenuto: pronunciava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente, con conseguente diritto del promittente venditore a ritenere la somma versata a titolo di caparra e con condanna dell'attore C. al pagamento delle spese di lite a favore del convenuto.

2. La sentenza di primo grado era impugnata da C.. Con sentenza 31 luglio 2018, n. 354, la Corte d'appello di Cagliari, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato B. alla restituzione della somma di Euro 40.000, versata a titolo di caparra confirmatoria.

3. Contro la sentenza della Corte d'appello B.A.M. ricorre per cassazione.

Resiste con controricorso C.G.B..

Memoria è stata depositata dal ricorrente e dal controricorrente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 "violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., divieto di nova in appello, error in procedendo, la sentenza non ha rilevato che le conclusioni dell'atto di citazione in appello contengono una domanda nuova": la Corte d'appello, nel parlare di proposizione in via principale di azione di risoluzione del contratto, ammette e accoglie una domanda che l'attore aveva formulato solo nelle conclusioni dell'atto di appello.

2. Il secondo motivo contesta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 "violazione degli artt. 112 e 183 c.p.c., commi 5 e 6: la domanda formulata dall'attore in primo grado quale reconventio reconventionis è tardiva, in quanto formulata nelle note di cui all'art. 183 c.p.c., comma 6 e non in prima udienza".

3. Il terzo motivo fa valere, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 "violazione e falsa applicazione degli artt. 329,342 c.p.c. e art. 2909 c.c., per non avere la Corte d'appello rilevato che un capo della sentenza di primo grado non è stato impugnato ed è passato in giudicato": controparte si è limitata a impugnare l'accoglimento della domanda riconvenzionale del ricorrente e non il rigetto della sua domanda subordinata al pagamento del doppio della caparra.

4. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 "violazione e falsa applicazione dell'art. 1385 c.c., comma 2 per esistenza del diritto del B. di ritenere la caparra a seguito dell'accertato recesso contrattuale, quale parte non inadempiente".

Per motivi di priorità logica va esaminato per primo il quarto motivo.

Il motivo è fondato. La Corte d'appello - precisato che non era oggetto di censura la statuizione del giudice di primo grado circa la risoluzione del contratto, quanto il riconoscimento del diritto del ricorrente, promittente venditore, a ritenere la caparra - ha affermato che una volta proposta in via principale azione di risoluzione del contratto, il riconoscimento del risarcimento del danno, richiesto nella misura della caparra ricevuta, non era conseguenza diretta e immediata dell'accoglimento dell'azione di risoluzione, ma fatto subordinato all'accertamento del pregiudizio effettivamente subito, pregiudizio non allegato né provato dal ricorrente.

Il giudice di secondo grado ha quindi interpretato la domanda riconvenzionale fatta valere dal ricorrente quale domanda volta a ottenere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1453 c.c., comma 1 domanda distinta da quella di cui all'art. 1385 c.c., comma 2 secondo cui quando è inadempiente la parte che ha dato la caparra, l'altra parte può recedere dal contratto, ritenendo la caparra. In tal modo la Corte d'appello non ha considerato che il ricorrente aveva - come si è visto nella ricostruzione dei fatti di causa - sì chiesto di pronunciare "in via principale" e "in via subordinata", ma in realtà aveva domandato una cosa sola, ossia di accertare il proprio diritto alla ritenzione della caparra e ciò in conseguenza non di una domanda costitutiva di risoluzione del contratto preliminare, ma dell'accertamento dell'ormai avvenuta risoluzione per inadempimento, esercitando quindi il diritto di recesso dal contratto ai sensi dell'art. 1385 c.c., comma 2, che comporta il diritto di ritenere la caparra in funzione di liquidazione del danno predeterminata, forfettaria e sganciata dall'onere della prova.

D'altro canto, come hanno sottolineato le sezioni unite di questa Corte, "il diritto di recesso è una evidente forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l'inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null'altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l'inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto)" (Cass., sez. un., n. 553/2009).

II. L'accoglimento del quarto motivo comporta l'assorbimento degli altri tre motivi.

La sentenza impugnata va pertanto cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, dichiarando il diritto del ricorrente alla ritenzione della caparra versata dal promissario acquirente C., ai sensi dell'art. 1385 c.c., comma 2.

Le spese del processo, liquidate in base all'esito complessivo della causa, seguono la soccombenza. Il difensore del ricorrente, ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato in relazione al presente giudizio, ha chiesto nella memoria depositata in prossimità dell'udienza di distrarre le spese "in favore del sottoscritto procuratore, con rinunzia al beneficio del patrocinio". Al riguardo va precisato che "la presentazione dell'istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non costituisce rinuncia implicita al beneficio da parte dell'assistito, attesa la diversa finalità e il diverso piano di operatività del gratuito patrocinio e della distrazione delle spese - l'uno volto a garantire alla parte non abbiente l'effettività del diritto di difesa e l'altra ad attribuire al difensore un diritto in rem propriam - con la conseguenza che il difensore è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, compreso il diritto soggettivo all'assistenza dello Stato per le spese del processo, potendo la rinuncia allo stesso provenire solo dal titolare del beneficio, e tenuto conto, peraltro, che l'istituto del gratuito patrocinio è revocabile unicamente nelle tre ipotesi tipizzate nel D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 norma eccezionale, come tale non applicabile analogicamente" (così Cass., sez. un., n. 8561/2021). Essendo risultata vittoriosa la parte ammessa al patrocinio statale, la condanna alle spese va pertanto disposta - ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 133 - in favore dello Stato e il difensore dovrà poi chiedere la liquidazione del proprio compenso ai sensi degli artt. 82 e 130 medesimo D.P.R.. Va ricordato che il giudice civile non è tenuto a quantificare in misura uguale le somme dovute dal soccombente allo Stato e quelle dovute dallo Stato al difensore del non abbiente: "in tal modo si evita che la parte soccombente verso quella non abbiente sia avvantaggiata rispetto agli altri soccombenti e si consente allo Stato, tramite l'eventuale incasso di somme maggiori rispetto a quelle liquidate al singolo difensore, di compensare le situazioni di mancato recupero di quanto corrisposto e di contribuire al funzionamento del sistema nella sua globalità" (Cass. 22017/2018).

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo, assorbiti gli altre tre motivi, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il diritto del ricorrente a ritenere la caparra versata dal contro ricorrente. Quanto alle spese, per il giudizio di primo grado si conferma la condanna alle spese di C. pronunciata dal Tribunale di Tempio Pausania; per il giudizio d'appello C. è condannato alle spese dalla Corte d'appello di Cagliari invece attribuite a B., ossia Euro 3.760,60 per compensi, oltre rimborso spese forfettario (nella nota spese del secondo grado depositata davanti a questa Corte non sono indicate spese vive), IVA e CPA; per il presente giudizio di cassazione C. è condannato al pagamento delle spese in favore dell'Erario, liquidate in Euro 3.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della sezione seconda civile, il 21 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2023.

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