Fallimento, cooperative sociali, sottoposizione al fallimento, esclusione

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.32992 del 28/11/2023

Pubblicato il
Fallimento, cooperative sociali, sottoposizione al fallimento, esclusione

A seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 112 del 2017, che all'art. 1, comma 4, qualifica come imprese sociali di diritto le cooperative sociali di cui alla L. n. 381 del 1991, tali società sono assoggettabili, in caso d'insolvenza, esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa, ai sensi del D.Lgs. n. 112 cit., art. 14, comma 1, restando pertanto esclusa la sottoposizione delle stesse al fallimento, prevista in via alternativa dall'art. 2545-terdecies c.c., comma 1.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione civile, sez. I, sentenza 28/11/2023 (ud. 28/06/2022) n. 32992

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 9 ottobre 2018, il Tribunale di Lecce dichiarò il fallimento della Società Cooperativa Consortile Sociale O.n. l.u.s. (Omissis) ((Omissis)), ritenendo irrilevante, a tal fine, la natura di cooperativa a mutualità prevalente della società debitrice, in quanto esercente attività commerciale nel rispetto del criterio di economicità, come emergeva dalla natura dei crediti iscritti in bilancio, dalla concessione in subappalto a terzi delle attività da essa gestite e dal ricorso al mercato del lavoro per l'assunzione di dipendenti, in luogo dell'impiego di soci cooperatori.

2. Il reclamo proposto dalla (Omissis) è stato rigettato dalla Corte d'appello di Lecce con sentenza del 21 febbraio 2020.

A fondamento della decisione, la Corte ha confermato l'assoggettabilità a fallimento della società debitrice, ritenendo non ostativo il disposto del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art. 14 che si limita a prevedere la possibilità della sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa, ed evidenziando il carattere meramente speciale della relativa disciplina rispetto a quella generale delle cooperative, che all'art. 2545-terdecies c.c. prevede l'assoggettabilità sia a liquidazione coatta che a fallimento. Ha ritenuto altresì ininfluente lo svolgimento dell'attività in settori d'interesse generale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e lo scopo non lucrativo della cooperativa, reputando sufficiente, ai fini del riconoscimento della qualità d'imprenditore commerciale, l'obiettiva economicità dell'attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi. Ha precisato che il carattere imprenditoriale dell'attività svolta dalla società debitrice era desumibile, nella specie, dalla relazione del revisore al bilancio 2015 e dalla relazione del presidente del consiglio di amministrazione all'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio 2016, in cui si rappresentavano rispettivamente l'esigenza di raggiungere almeno il pareggio tra i costi e i compensi dei servizi offerti e la preoccupazione per il mancato raggiungimento di tale obiettivo.

La Corte ha poi escluso la configurabilità di una violazione dell'art. 101 c.p.c., comma 2, rilevando che la stessa reclamante aveva riconosciuto di aver contestato le nuove circostanze fattuali introdotte a sorpresa dagl'istanti e poste a fondamento della decisione di primo grado. Quanto infine alla sussistenza dello stato d'insolvenza, ha rilevato che l'incapacità di adempiere puntualmente le proprie obbligazioni era emersa sia in sede di approvazione degli ultimi bilanci, essendo stata segnalata la necessità di elaborare un piano d'impresa straordinario per far fronte alla grave difficoltà finanziaria e l'impossibilità di sottoscrivere e versare quote di capitale sociale necessarie a riportare il patrimonio a valori positivi, sia in data 7 giugno 2018, a seguito della comunicazione da parte del Ministero dello sviluppo economico dell'avvio della procedura per l'emissione del decreto di liquidazione coatta amministrativa.

3. Avverso la predetta sentenza la (Omissis) ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi il curatore del fallimento e U.V.. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Il ricorso, avviato alla trattazione in camera di consiglio, è stato rinviato alla pubblica udienza, con ordinanza del 23 marzo 2023, al fine di consentire alle parti di svolgere compiutamente le loro difese ed al Pubblico Ministero di formulare le proprie conclusioni, in relazione alla questione, ritenuta di particolare rilevanza nomofilattica, riguardante l'assoggettabilità a fallimento delle società cooperative sociali esercenti un'attività commerciale secondo criteri di economicità.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 18, comma 7, dell'art. 101 c.p.c. e dell'art. 24Cost., comma 2 e art. 111 Cost., censurando la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare l'inammissibilità della costituzione in giudizio di M.L., + Altri Omessi, in quanto intervenuta dopo la scadenza del termine previsto dall'art. 18, comma 7, cit., avente carattere perentorio.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 112 ed in subordine dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, censurando la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciare in ordine al secondo ed al quarto motivo di reclamo, con cui erano stati fatti valere l'inadempimento da parte dei creditori dell'onere di provare il compimento di operazioni commerciali da parte della società e l'inapplicabilità del principio di non contestazione alla concessione in subappalto dei servizi da essa gestiti, in quanto configurabile come fatto secondario e non accompagnata dalla specificazione dei predetti servizi. Aggiunge che, anche a voler escludere l'omissione di pronuncia, l'applicazione dell'art. 115 c.p.c. si porrebbe in contrasto con l'affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui essa ricorrente aveva contestato i fatti allegati dall'istante.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, censurando la sentenza impugnata per omessa motivazione, nella parte riguardante la fallibilità di essa ricorrente e la sussistenza dello stato d'insolvenza. Premesso di aver impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto la natura imprenditoriale della sua attività ed il carattere non transitorio del suo stato d'illiquidità, sostiene di aver evidenziato, a tal fine, la funzione sociale delle cooperative sociali, il sistema di vigilanza e controlli cui è assoggettata la loro attività, l'insussistenza di elementi attestanti il prevalente ricorso al mercato del lavoro e l'affidamento in subappalto dei servizi da essa gestiti, osservando che, nel rigettare le predette censure, la Corte d'appello ha omesso di esaminare le istanze di ammissione di prova testimoniale e c.t.u. da essa proposte, in violazione dei principi del giusto processo e del diritto alla prova.

4. Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 101 c.p.c., comma 2 e dell'art. 24Cost., comma 2, e art. 111 Cost., sostenendo che, nel confermare la sussistenza dello stato d'insolvenza, sulla base di valutazioni espresse da funzionari del Ministero dello sviluppo economico e di frasi pronunciate in sede di approvazione dei bilanci, la Corte territoriale ha fondato la propria decisione su una questione rilevata d'ufficio, senza sottoporla preventivamente al contraddittorio delle parti.

5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazione dell'art. 5 della L. Fall., osservando che, nel confermare la sussistenza dello stato d'insolvenza, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del carattere transitorio dello stato d'illiquidità in cui versava essa ricorrente, in considerazione degl'ingenti crediti vantati nei confronti di Pubbliche Amministrazioni, e dello stato di liquidazione in cui era stata posta, che avrebbe imposto l'applicazione di un differente criterio di valutazione.

6. Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione dell'art. 15 della L. Fall., dell'art. 111c.p.c., comma 2, e art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell'art. 24Cost., comma 2, e art. 111 Cost., nonché l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto generica la denuncia di violazione dell'art. 101 c.p.c., comma 2, da essa proposta in relazione alle nuove circostanze dedotte ed ai nuovi documenti prodotti da alcuni dei creditori istanti, senza tenere conto delle precisazioni contenute nell'atto di reclamo e delle risultanze del verbale dell'udienza prefallimentare. Aggiunge che, nell'escludere l'applicabilità della predetta disposizione al procedimento prefallimentare, la Corte d'appello non ha tenuto della necessità di garantire un'adeguata difesa delle parti, anche nel predetto procedimento, né dell'esigenza di assicurare la concentrazione e l'immediatezza dell'istruttoria prefallimentare, contrastante con la possibilità d'introdurre nuove deduzioni e depositare nuovi documenti. Afferma infine che, nel ritenere non contestati i predetti elementi, la sentenza impugnata non ha considerato che ad essa ricorrente non è stato consentito un pieno esercizio del proprio diritto di difesa.

7. Il primo motivo, avente ad oggetto l'inammissibilità della costituzione di alcuni dei resistenti in sede di reclamo, è infondato.

La stessa difesa della ricorrente richiama infatti una pronuncia di legittimità relativa all'art. 18 della L. Fall., nella quale, pur essendo stato riconosciuto il carattere perentorio del termine entro il quale, ai sensi del comma 9 di tale disposizione, può avere luogo la costituzione della parte resistente, anche in mancanza di un'espressa dichiarazione normativa, è stato chiarito che la sua inosservanza non implica la decadenza dal diritto di opporsi al reclamo, ben potendo la parte intervenire nel procedimento, con le limitazioni che la tardività comporta per la formulazione di determinate difese (cfr. Cass., Sez. I, 5/06/2009, n. 12986). Tale principio è stato ribadito anche in epoca recente, con la precisazione che l'efficacia pienamente devolutiva del mezzo d'impugnazione in esame, posta anche in relazione con l'ampiezza dei poteri officiosi d'indagine spettanti all'organo giudicante, consente alla parte resistente, ancorché non costituita in primo grado, d'indicare anche per la prima volta, in sede di reclamo, i mezzi di prova di cui intende avvalersi, al fine di dimostrare la sussistenza o l'insussistenza dei presupposti di fallibilità e la regolarità del procedimento (cfr. Cass., Sez. I, 17/07/2023, n. 20534; 19/01/2023, n. 1572; 30/01/2017, n. 2235). Non può ritenersi pertinente, in contrario, il richiamo ad altri precedenti con i quali è stata esclusa l'ammissibilità dell'intervento ad adiuvandum spiegato successivamente alla scadenza del predetto termine, in virtù della considerazione che ciò comporterebbe una rimessione in termini ai fini della proposizione del reclamo (cfr. Cass., Sez. I, 22/12/2016, n. 26771; 8/11/2013, n. 25217): tale principio, enunciato con riguardo ai terzi eventualmente legittimati ad impugnare la sentenza di fallimento, non può trovare infatti applicazione in riferimento ai soggetti indicati dalla ricorrente, i quali non sono rimasti estranei al procedimento di primo grado, avendovi partecipato in qualità di creditori istanti.

8. E' parimenti infondato il secondo motivo, con cui si fa valere l'omessa pronuncia o il difetto di motivazione in ordine alla questione proposta con il secondo ed il quarto motivo di reclamo, riguardante la qualificazione della ricorrente come imprenditore commerciale.

La sentenza impugnata, pur non avendo esplicitamente rigettato i predetti motivi, ha preso in esame la questione sollevata dalla ricorrente, risolvendola in senso positivo, sulla base della considerazione che ai fini del possesso della predetta qualità non è necessario il perseguimento di uno scopo di lucro, ma è sufficiente l'obiettiva economicità dell'attività esercitata, non incompatibile con lo scopo mutualistico proprio delle società cooperative. Tale affermazione, ritenuta idonea a giustificare l'assoggettabilità della ricorrente al fallimento, consente di escludere la configurabilità del vizio di omessa pronuncia, ai fini del quale non assume rilievo la mancanza di un'espressa statuizione in ordine a una domanda, un'eccezione o un motivo d'impugnazione, ma è necessario che sia stato totalmente pretermesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (cfr. Cass., Sez. III, 29/01/ 2021, n. 2151; Cass., Sez. VI, 4/06/2019, n. 15255; Cass., Sez. II, 13/08/ 2018, n. 20718). In quanto sorretto dal richiamo agli elementi di fatto desumibili dalle relazioni di accompagnamento dei bilanci, ritenuti idonei ad evidenziare il perseguimento dell'obiettivo di economicità della gestione, il ragionamento seguito nella sentenza impugnata si sottrae anche alla censura d'inadeguatezza della motivazione, risultando idoneo a soddisfare il minimo costituzionale prescritto dall'art. 111 Cost., comma 6, e dall'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai fini del quale non occorre un'analitica confutazione delle tesi non accolte o una particolare disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, ma è sufficiente che dalle argomentazioni svolte in motivazione emerga con chiarezza e senza contraddizioni il percorso logico-giuridico sotteso all'inquadramento del caso concreto nella fattispecie astratta contemplata dalle norme applicate ed all'individuazione delle relative conseguenze (cfr. Cass., Sez. III, 9/02/2021, n. 3126; Cass., Sez. V, 29/12/ 2020, n. 29730). Quanto poi al denunciato contrasto tra la sentenza impugnata e quella di primo grado, nella parte riguardante l'avvenuta contestazione dei fatti allegati a sostegno della natura imprenditoriale dell'attività esercitata dalla ricorrente, è appena il caso di richiamare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la contraddittorietà della motivazione è riscontrabile soltanto in presenza di un contrasto insanabile tra le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, tale da impedire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, e non è quindi ipotizzabile laddove, come nella specie, la contraddizione riguardi le valutazioni compiute rispettivamente dal giudice di primo grado e da quello di appello, dovendo altrimenti ritenersi contraddittorie tutte le sentenze di secondo grado che abbiano motivato in modo difforme da quelle di prime cure (cfr. Cass., Sez. lav., 17/08/2020, n. 17196; Cass., Sez. III, 9/02/2004, n. 2427; 26/06/2007, n. 14767).

9. E' invece fondato il terzo motivo, riguardante l'assoggettabilità al fallimento della ricorrente, in ragione della natura non imprenditoriale dell'attività svolta.

Nonostante il riferimento della rubrica alla nullità della sentenza per difetto di motivazione, il vizio denunciato deve ritenersi più correttamente riconducibile all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la ricorrente lamentato, a sostegno dell'erroneo rigetto delle richieste istruttorie da essa avanzate, l'omessa valutazione del regime normativo cui sono sottoposte le cooperative sociali, in ragione del preminente interesse collettivo della attività svolta, a suo avviso incompatibile con l'assoggettamento della società alla procedura fallimentare.

Come rilevato dall'ordinanza interlocutoria, la questione in esame è stata già affrontata da questa Corte in una recente pronuncia, successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, e risolta mediante l'enunciazione del principio di diritto secondo cui "e' assoggettabile a fallimento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2545-terdecies e 2082 c.c. e dell'art. 1 della L. Fall., una società cooperativa sociale che svolga attività commerciale secondo criteri di economicità (c.d. lucro oggettivo), senza che rilevi l'eventuale assunzione della qualifica di Onlus ai sensi del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10 trattandosi di norma speciale di carattere fiscale, che non integra la "diversa previsione di legge" contemplata dall'art. 2545-terdecies, comma 2" (cfr. Cass., Sez. I, 20/10/2021, n. 29245).

A sostegno di tale conclusione, si è osservato che a) il D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10 costituisce una norma speciale di carattere fiscale, che nulla dispone in ordine all'assoggettabilità a fallimento degli enti cui si riferisce, b) nessun rilievo può dunque assumere la circostanza che il comma 1 della predetta disposizione includa tra le Onlus anche le società cooperative aventi le caratteristiche da esso indicate, c) non decisivo è anche il comma 4, il quale, nel considerare comunque inerenti a finalità di solidarietà sociale le attività istituzionali svolte in una serie di settori, non comporta che gli enti operanti negli stessi siano sempre e comunque Onlus, d) il comma 10, prevedendo che "non si considerano in ogni caso Onlus (...) le società commerciali diverse da quelle cooperative", consente di ritenere a contrario che la qualifica di Onlus possa essere assunta anche dalle società cooperative commerciali, e) lo scopo mutualistico proprio delle società cooperative è d'altronde incompatibile soltanto con il perseguimento del c.d. lucro soggettivo, e non anche con quello del lucro c.d. oggettivo, inteso come proporzionalità tra costi e ricavi, f) pertanto, ove una società cooperativa svolga esclusivamente o prevalentemente attività d'impresa commerciale, può ben essere assoggettata a fallimento in caso di insolvenza, indipendentemente dal tipo di mutualità adottato e dall'eventuale qualificazione come Onlus, ai sensi del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10.

9.1. Tale conclusione ha costituito oggetto di critica ad opera di una parte della dottrina, la quale, pur concordando sulla portata eminentemente fiscale della disciplina delle Onlus e sulla conseguente irrilevanza dell'attribuzione di tale qualifica, ai fini dell'assoggettabilità al fallimento delle cooperative sociali, ha evidenziato la mancata considerazione, da parte della predetta pronuncia, della disciplina dell'impresa sociale, introdotta dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 e rimodulata dal D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112: tale disciplina è stata infatti ritenuta idonea ad incidere sullo status degli enti in questione, in virtù del risalto da essa conferito al perseguimento di finalità d'interesse collettivo, tale da giustificare, in caso d'insolvenza, l'assoggettamento esclusivo alla liquidazione coatta amministrativa, con la conseguente inoperatività della disposizione di cui all'art. 2545-terdecies c.c., comma 1, secondo periodo, che in caso d'insolvenza delle cooperative che svolgono attività commerciale consente, in alternativa, la sottoposizione a fallimento, regolando il rapporto tra le due procedure secondo il criterio della prevenzione.

Altra parte della dottrina ha invece aderito alla tesi sostenuta nella predetta sentenza, ritenendo che l'attribuzione della qualifica d'impresa sociale non sia sufficiente a giustificare, almeno per le cooperative sociali, l'assoggettabilità esclusiva alla liquidazione coatta amministrativa, dal momento che l'art. 2545-terdecies c.c., comma 1, sia nel testo originario, introdotto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 8 che in quello modificato dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 381, comma 1, nel prevedere che "le cooperative che svolgono attività commerciale sono soggette anche al fallimento", non contiene alcuna salvezza di diverse disposizioni di legge, a differenza dell'art. 2540 c.c., comma 2, che nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 3 del 2006 faceva invece espressamente salve "le disposizioni delle leggi speciali".

9.2. Ai fini di una corretta impostazione della questione, occorre muovere dal richiamo del principio generale dettato dall'art. 2520 c.c., comma 1, secondo cui le cooperative regolate dalle leggi speciali sono soggette alle disposizioni del Titolo VI del Libro V del Codice civile, in quanto compatibili. Tale principio trova applicazione, in particolare, per le cooperative sociali, aventi la loro disciplina nella L. 8 novembre 1991, n. 381, la quale, dopo averle definite, all'art. 1, comma 1, come quelle che "hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi, incluse le attività di cui al D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 112, art. 2, comma 1, lett. a), b), c), d), l), e p); b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate", dispone, al comma 2, che ad esse "si applicano (...), in quanto compatibili con la presente legge, le norme relative al settore in cui le cooperative stesse operano".

Le cooperative in questione sono pertanto soggette, in prima istanza, alla disciplina specifica per esse prevista, e solo in quanto compatibile da quella speciale dettata dalle leggi che riguardano il settore di operatività, nonché a quella generale prevista dagli artt. 2511 c.c. Si tratta conseguentemente di stabilire se, anche ai fini dell'individuazione della procedura applicabile in caso d'insolvenza, debba farsi riferimento alla disciplina generale dettata allo art. 255-terdecies c.c. per le società cooperative, ovvero se sussistano norme specifiche o di settore riferibili alle cooperative sociali, rispetto alle quali la predetta disciplina rivesta una portata recessiva.

9.3. In proposito, deve ritenersi certamente condivisibile l'osservazione contenuta nella pronuncia richiamata, secondo cui, ai fini della risoluzione della questione in esame, non può assumere alcun rilievo la circostanza che, ai sensi del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 1, le società cooperative aventi le caratteristiche dallo stesso prescritte siano espressamente incluse tra le Onlus, trattandosi di una qualificazione che, oltre a rivestire una portata essenzialmente fiscale, è venuta meno per effetto dell'entrata in vigore del D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117. Significativi, sotto il primo profilo, appaiono non solo la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 460 del 1997, che ne individua la finalità nel sostegno allo sviluppo del settore no profit attraverso l'impiego della leva fiscale, ma lo stesso tessuto normativo, interamente imperniato sul riconoscimento di agevolazioni, detrazioni ed esenzioni in materia d'imposte dirette ed indirette e di tributi locali, la cui fruizione è subordinata dall'art. 11 all'iscrizione nell'Anagrafe Unica delle Onlus, da effettuarsi a seguito della comunicazione dell'inizio dell'attività, definita requisito essenziale per il godimento di tali benefici, con l'attribuzione al Ministero delle finanze del compito di determinare le modalità di esercizio del relativo controllo e l'individuazione dei casi di decadenza. Sotto il secondo profilo, occorre invece tener conto dell'intervenuta chiusura dell'Anagrafe Unica, disposta dal D.M. 15 settembre 2020, n. 106, art. 38, comma 3, a seguito dell'istituzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, nel quale, ai sensi del D.Lgs. n. 117 del 2017, art. 101, comma 2, sono confluite anche le Onlus precedentemente iscritte nell'Anagrafe, previo adeguamento della loro organizzazione interna alla nuova disciplina dell'impresa sociale. Il D.Lgs. n. 460 del 1997 non contiene d'altronde alcuna disposizione riguardante le conseguenze dello stato d'insolvenza, la cui individuazione deve pertanto aver luogo sulla base di altre norme generali o speciali riferibili al tipo di ente di volta in volta considerato: la qualifica di Onlus è infatti riconosciuta dall'art. 10 di tale decreto, subordinatamente al rispetto dei requisiti previsti dal comma 1, a tutta una serie di soggetti, normalmente non esercenti attività commerciale, e la stessa natura di società cooperativa non può considerarsi di per sé decisiva ai fini della determinazione del regime applicabile, dal momento che l'ultimo comma di tale disposizione, stabilendo che "non si considerano in ogni caso Onlus gli enti pubblici, le società commerciali diverse da quelle cooperative, gli enti conferenti di cui alla L. 30 luglio 1990, n. 218, i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro e le associazioni di categoria", consente di ritenere che la predetta qualifica possa essere assunta anche da cooperative commerciali.

Parimenti non decisivi dovevano considerarsi, prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 112 del 2017, gli elementi desumibili dalla disciplina dell'impresa pubblica dettata dal D.Lgs. n. 155 del 2006, il quale, all'art. 17, comma 3, pur prevedendo che le cooperative sociali ed i loro consorzi potessero acquisire la qualifica d'impresa sociale, non ne prevedeva l'assunzione automatica, ma la subordinava al rispetto delle disposizioni di cui all'art. 10, comma 2, e art. 12, ovverosia alla redazione e al deposito del bilancio sociale secondo linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali in modo da rappresentare l'osservanza delle finalità sociali da parte dell'impresa sociale, ed alla previsione, nei regolamenti aziendali o negli atti costitutivi, di forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività: solo in presenza di tali adempimenti le cooperative potevano avvalersi del regime previsto per l'impresa sociale, il quale peraltro, ai sensi del secondo periodo dell'art. 17, comma 3 cit., era pur sempre destinato a trovare applicazione "nel rispetto della normativa specifica delle cooperative". Conseguentemente, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 155 del 2006, art. 15, comma 1, ai sensi del quale "in caso di insolvenza, le organizzazioni che esercitano un'impresa sociale sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa" era riferibile soltanto alle cooperative sociali dotate dei requisiti previsti dalle norme richiamate dall'art. 17, comma 3, che avessero ottenuto l'iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese prevista dall'art. 5, comma 1: anche per tali cooperative, poteva tuttavia sorgere il dubbio dell'applicabilità di tale disposizione, dovendosi stabilire se l'assoggettabilità in via esclusiva alla liquidazione coatta amministrativa risultasse compatibile con la disciplina generale dettata dall'art. 2545-terdecies c.c., comma 1, che per le cooperative che svolgono attività commerciale prevede l'assoggettabilità, in via alternativa, al fallimento.

9.4. Il predetto regime ha subito una rilevante modificazione per effetto delle innovazioni introdotte dal D.Lgs. n. 112 del 2017, con cui si è provveduto alla revisione della disciplina dell'impresa sociale, in attuazione della delega prevista dalla L. 6 giugno 2016, n. 106, art. 1, comma 2, lett. c): conformemente al criterio direttivo stabilito dall'art. 6, lett. c), della legge delega, l'art. 1, comma 4, del predetto decreto dispone infatti che "le cooperative sociali e i loro consorzi (...) acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali", indipendentemente, pertanto, dal possesso dei requisiti di qualificazione imposti a tutti gli altri enti contemplati dalla medesima normativa, nonché dalla modificazione degli statuti prescritta dall'art. 17, comma 3, ai fini dell'adeguamento alla stessa delle imprese già costituite al momento della sua entrata in vigore.

Parte della dottrina ha ritenuto che la predetta disposizione non comporti una sostanziale variazione del regime previsto dal D.Lgs. n. 155 del 2006 e, prima di esso, dal D.Lgs. n. 460 del 1997, dovendosi considerare che le cooperative sociali erano Onlus di diritto già ai sensi del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, comma 8, e come tali potevano ottenere l'iscrizione nell'Anagrafe Unica prevista dall'art. 11. Rilevato pertanto che, analogamente al D.Lgs. n. 155 del 2006, art. 17, comma 3, il secondo periodo del D.Lgs. n. 112 del 2017, art. 1, comma 4, dispone che "alle cooperative sociali e ai loro consorzi, le disposizioni del presente decreto si applicano nel rispetto della normativa specifica delle cooperative ed in quanto compatibili", è stato ribadito che in caso d'insolvenza trova applicazione la disciplina generale dettata per le società cooperative dall'art. 2545-terdecies c.c., comma 1, con la conseguente assoggettabilità, in via alternativa, al fallimento o alla liquidazione coatta amministrativa.

In contrario, si è osservato che la disposizione dettata dal secondo periodo del D.Lgs. n. 112 del 2017, art. 1, comma 4, non dev'essere letta isolatamente, ma in maniera sistematica, mettendola in relazione con la ratio della normativa in cui è collocata: rilevato che la qualificazione delle cooperative sociali come imprese sociali di diritto è di per sé sufficiente ad escludere l'applicabilità delle disposizioni che subordinano l'assunzione della predetta qualifica all'osservanza di determinati requisiti, si è affermato che la finalità della predetta precisazione consiste nel salvaguardare tali soggetti da un'applicazione incondizionata della relativa disciplina, ed in particolare delle norme promozionali ed agevolative dalla stessa previste, ammettendosene l'operatività soltanto ove le stesse risultino più favorevoli di quelle relative al tipo societario. Tra le disposizioni più favorevoli va annoverato anche l'art. 14, comma 1, il quale prevede che in caso d'insolvenza le imprese sociali sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa, la cui applicabilità preclude la sottoposizione al fallimento, conformemente a quanto disposto in via generale dall'art. 2, comma 2, della L. Fall., nonché dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, art. 295, comma 1, (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza).

9.5. Tali considerazioni colgono nel segno, soprattutto se si confronta la disciplina dettata per le cooperative diverse da quelle sociali, le quali, pur non rivestendo di diritto la qualifica d'imprese sociali, ma potendo assumerla subordinatamente al possesso dei requisiti prescritti dal D.Lgs. n. 112 del 2017, sono soggette, ai sensi dell'art. 1, comma 5, in via principale alle disposizioni dettate dal D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del terzo settore), in quanto compatibili con quelle del D.Lgs. n. 112 cit., e solo in mancanza e per gli aspetti non disciplinati, dalle norme del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione concernenti la forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita: laddove dovesse ritenersi, sulla base di un'interpretazione meramente letterale del D.Lgs. n. 112, art. 1, comma 4, secondo periodo, che alle cooperative sociali si applica la disciplina generale dettata dall'art. 2545-terdecies c.c., comma 1, dovrebbe infatti pervenirsi alla conclusione paradossale che, nonostante l'identico regime dell'attività svolta ed il carattere non automatico dell'accesso alla qualifica d'impresa sociale, soltanto le cooperative diverse potrebbero giovarsi, in caso d'insolvenza, della disciplina speciale (più favorevole) prevista dall'art. 14, comma 1.

Al di là di tale rilievo, indubbiamente significativo, occorre poi evidenziare le finalità d'interesse pubblico che giustificano l'assoggettamento esclusivo dell'impresa sociale alla liquidazione coatta amministrativa, consistenti, secondo la formula adottata dal D.Lgs. n. 112, art. 1, comma 1, e art. 2 nell'esercizio da parte della stessa, in via stabile e principale, di una o più attività d'interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, con l'adozione di modalità di gestione responsabili e trasparenti e volte a favorire il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati. Come correttamente rilevato dal Procuratore generale nelle sue conclusioni scritte, l'assoggettamento in via esclusiva alla liquidazione coatta amministrativa presuppone, in linea di principio, l'attribuzione di una rilevanza centrale ad interessi anche diversi da (e talora addirittura confliggenti con) quelli di cui sono portatori i creditori della impresa, interessi nella specie identificabili con quelli dei soggetti coinvolti nell'attività svolta dall'ente, nonché con l'interesse pubblico a favorire e promuovere, nella prospettiva della sussidiarietà orizzontale di cui all'art. 118 Cost., comma 4, (che a sua volta costituisce attuazione dei principi di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 Cost., comma 2), le iniziative dei cittadini indirizzate verso il bene comune.

In conclusione, la questione sollevata con il terzo motivo di ricorso va risolta mediante l'enunciazione del principio di diritto secondo cui, "a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 112 del 2017, che all'art. 1, comma 4, qualifica come imprese sociali di diritto le cooperative sociali di cui alla L. n. 381 del 1991, tali società sono assoggettabili, in caso d'insolvenza, esclusivamente a liquidazione coatta amministrativa, ai sensi del D.Lgs. n. 112 cit., art. 14, comma 1, restando pertanto esclusa la sottoposizione delle stesse al fallimento, prevista in via alternativa dall'art. 2545-terdecies c.c., comma 1".

10. E' poi infondato il quarto motivo, da esaminarsi prioritariamente rispetto al terzo, in quanto riflettente la mancata stimolazione del contraddittorio in ordine agli elementi di fatto sulla base dei quali ha avuto luogo l'accertamento dello stato d'insolvenza.

L'art. 101 c.p.c., comma 2, nel porre a carico del giudice che intenda fondare la propria decisione su questioni rilevate d'ufficio l'obbligo di provocare il contraddittorio in ordine alle stesse, si riferisce infatti soltanto alle questioni di fatto che richiedono prove dal contenuto diverso rispetto a quelle dedotte o prodotte dalle parti o alle eccezioni rilevabili d'ufficio, e non si estende quindi alla valutazione del materiale probatorio, in ordine al quale il contraddittorio s'instaura con la rituale deduzione o produzione in giudizio, che consente alle parti di farne oggetto di valutazione critica e di sollecitarne l'apprezzamento da parte del giudice (cfr. Cass., Sez. VI, 1/02/2023, n. 2947; Cass., Sez. lav., 19/05/2016, n. 10353). Tale principio deve ritenersi applicabile anche ai fatti secondari, la cui valutazione da parte del giudice non trova ostacolo neppure nel divieto di trarre dai documenti ritualmente prodotti la conoscenza di fatti non dedotti dalle parti, che, in quanto volto ad evitare che attraverso l'esame del materiale probatorio il giudice possa supplire all'inadempimento dell'onere di allegazione gravante sulle parti, si riferisce esclusivamente ai fatti principali, cioè a quelli posti a fondamento delle rispettive domande o eccezioni, e non anche quelli secondari, che assumono rilievo soltanto come elementi di conoscenza, consentendo di risalire all'accertamento dei fatti principali (cfr. Cass., Sez. I, 23/01/2023, n. 1997).

11. E' invece inammissibile il quinto motivo, riguardante la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione dello stato d'insolvenza.

La sentenza impugnata risulta infatti compiutamente e coerentemente motivata mediante il richiamo per un verso alle delibere di approvazione degli ultimi bilanci della società ricorrente, nelle quali erano state evidenziate la necessità di elaborare un piano d'impresa straordinario per far fronte alla situazione di grave difficoltà finanziaria in cui versava la società e l'impossibilità di procedere alla reintegrazione del capitale, conferendosi al presidente del consiglio di amministrazione l'incarico di richiedere all'autorità di vigilanza la messa in stato di liquidazione coatta amministrativa, e per altro verso alla comunicazione di avvio del relativo procedimento da parte del Ministero dello sviluppo economico, nella quale si dava atto dei risultati negativi della gestione e l'incapacità della cooperativa di far fronte regolarmente alle obbligazioni assunte, anche alla luce dell'omesso versamento di contributi previdenziali e ritenute erariali e dell'avvenuta emissione di numerosi decreti ingiuntivi nei confronti della stessa.

Tale apprezzamento, configurabile come un giudizio di merito, sindacabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, non risulta validamente censurato dalla ricorrente, la quale si limita a far valere la violazione dell'art. 5 della L. Fall., insistendo sull'esistenza d'ingenti crediti, in contrasto con le risultanze delle delibere richiamate dalla Corte territoriale, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica del provvedimento impugnato, nonché la coerenza logico-formale della motivazione, nei limiti in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, a seguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 cit. ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. I, 13/01/2020, n. 331; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547).

Nel lamentare l'omessa valutazione dello stato di liquidazione in cui la società si trovava all'epoca della dichiarazione di fallimento, la ricorrente solleva poi una questione non trattata nella sentenza impugnata, che non può trovare ingresso in questa sede, implicando un'indagine di fatto e non essendo stato precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito la stessa sia stata dedotta (cfr. Cass., Sez. II, 9/08/2018, n. 20694; 22/04/ 2016, n. 8206; Cass., Sez. VI, 13/06/2018, n. 15430).

12. E' infine inammissibile il sesto motivo, con cui la ricorrente insiste sulla violazione del contraddittorio e del diritto di difesa, per non essere stata messa in grado di contestare le nuove circostanze di fatto allegate ed i nuovi documenti prodotti da alcuni creditori all'udienza prefallimentare, lamentando inoltre l'omesso esame del relativo verbale da parte della Corte d'appello, a causa dell'avvenuta acquisizione del fascicolo di primo grado soltanto dopo la decisione.

I vizi lamentati dalla ricorrente non sono infatti deducibili in questa sede né ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 né ai sensi dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell'art. 111 Cost., configurandosi come violazioni della legge processuale, nell'accertamento delle quali questa Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto, procedendo al riscontro della fondatezza delle censure attraverso l'esame diretto degli atti, indipendentemente dalla sufficienza e dalla logicità della motivazione adottata al riguardo (cfr. Cass., Sez. II, 13/08/2018, n. 20716; Cass., Sez. lav., 21/04/2016, n. 8069; Cass., Sez. I, 30/07/2015, n. 16164). Nell'escludere la sussistenza della dedotta lesione del diritto di difesa, la Corte territoriale ha d'altronde rilevato soltanto ad abundantiam la mancata indicazione dei fatti e dei documenti irritualmente introdotti nel giudizio e l'inapplicabilità dell'art. 101 c.p.c., comma 2, alla fase prefallimentare, avendo espressamente accantonato tali questioni per esaminare il fondo del motivo di reclamo, in ordine al quale ha osservato che la reclamante aveva ammesso di aver comunque contestato le nuove allegazioni e produzioni delle controparti, escludendo quindi la configurabilità di una violazione del contraddittorio: le censure riguardanti la genericità del motivo di reclamo e l'inapplicabilità dell'art. 101 c.p.c., comma 2, non attingono pertanto la ratio decidendi della sentenza impugnata, mentre quella riflettente la lesione del diritto di difesa risulta a sua volta priva di specificità, essendosi la ricorrente limitata a riportare, a corredo del motivo, le deduzioni svolte dai creditori nel verbale dell'udienza prefallimentare, così come trascritte nel reclamo, e la contestazione (anch'essa indubbiamente assai generica) da essa contestualmente sollevata, senza chiarire neppure in questa sede quali fossero le ragioni che avrebbe potuto far valere in contrario, ove le fosse stato concesso un termine per replicare. Irrilevante deve ritenersi conseguentemente anche la tardiva acquisizione del fascicolo d'ufficio relativo alla fase prefallimentare, la quale non ha peraltro spiegato alcun effetto ai fini della decisione, risultando pacifico il contenuto dello stesso, testualmente riportato, come si è detto, nel motivo di reclamo.

13. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento del terzo motivo, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'appello di Lecce, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso, accoglie il terzo, dichiara inammissibili il quinto ed il sesto motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2023.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472