Le microcar non possono essere parcheggiate negli spazi riservati ai cicli e motocicli.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza n. 3432 del 3 febbraio 2023.
Nel caso di specie, la polizia municipale aveva contestato la violazione di cui agli artt. 7, commi 1 e 14, C.d.S., per aver il conducente sostato con un microcar nello spazio riservato ai cicli e motocicli.
Il conducente aveva opposto che la microcar era qualificabile come un quadriciclo leggero assimilato ai ciclomotori e avrebbe potuto essere parcheggiata negli spazi destinati alla sosta dei veicoli a motore a due ruote.
Tuttavia, il Giudice di pace aveva rigettato l'opposizione sulla base della categoria di quadricicli a motore di cui all'art. 53, comma 1, lett. h), C.d.S.
La Cassazione conferma che le microcar rientrano nella nozione di motoveicolo e che la sosta delle microcar negli spazi adibiti alla sosta per i ciclomotori è illegittima.
Inoltre, l'art. 351, comma 2, reg. esec. C.d.S. stabilisce che i conducenti sono tenuti a parcheggiare il proprio veicolo nello spazio ad esso destinato, senza invadere gli spazi contigui nelle zone di sosta in cui gli spazi destinati a ciascun veicolo sono delimitati dalle strisce. Ciò comporta che, nel caso delle microcar posteggiate negli spazi adibiti alla sosta per i ciclomotori, la loro sosta è stata effettuata in modo illegittimo.
La microcar a quattro ruote, ai sensi dell'art. 53, lett. h, Codice della strada, rientra nella nozione di motoveicolo, non di motociclo. Di conseguenza è legittimo il verbale di accertamento avente ad oggetto una microcar con cui è stata rilevata la violazione del divieto di sosta in uno spazio riservato esclusivamente a cicli e motocicli.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n. 3432 del 03/02/2023
RITENUTO IN FATTO
1. Con ricorso ai sensi dell'art. 204-bis C.d.S., la società R. proponeva opposizione, dinanzi al Giudice di pace di Roma, avverso il verbale di accertamento elevato dalla Polizia locale di Roma Capitale e notificatole il (Omissis), con il quale le era stata contestata la violazione di cui agli artt. 7, commi 1 e 14, C.d.S., per aver il conducente (assente al momento della constatazione della violazione amministrativa), in data (Omissis), in (Omissis), sostato - con un microcar 40 - nello spazio riservato ai cicli e motocicli, sostenendo l'illegittimità dell'impugnato verbale poiché la sosta si sarebbe dovuta considerare consentita in quanto il veicolo oggetto di accertamento era qualificabile come un quadriciclo leggero assimilato, ai sensi dell'art. 52 C.d.S., ai ciclomotori, ragion per cui esso avrebbe potuto sostare negli spazi destinati alla sosta dei veicoli a motore a due ruote.
Nella costituzione di Roma Capitale, l'adito Giudice di pace, con sentenza n. 16316 del 2017, rigettava l'opposizione, sul presupposto della ritenuta sussistenza della contestata violazione poiché il mezzo in questione si includeva nella categoria dei quadricicli a motore di cui all'art. 53, comma 1, lett. h), C.d.S., per come evincibile anche dalla relativa carta di circolazione. Lo stesso Giudice determinava la sanzione per l'accertato illecito amministrativo nella misura di Euro 100,00, condannando l'opponente anche al pagamento delle spese giudiziali.
2. Sul gravame interposto dalla soccombente società opponente, cui resisteva l'appellata Roma Capitale, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 23010 del 2019 (pubblicata il 28 novembre 2019), rigettava l'appello, riconfermando il percorso logico-giuridico adottato dal giudice di prime cure ed aggiungendo che la prospettazione dell'appellante era fuorviante anche in relazione al disposto di cui all'art. 157, comma 5, C.d.S., essendo emerso che, nel caso di specie, era presente un cartello stradale, il quale esplicitava chiaramente che la sosta era riservata ai veicoli a due ruote.
3. Avverso la citata sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi, la società R..
L'intimata Roma Capitale ha resistito con controricorso.
La difesa della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato l'omessa valutazione, in relazione agli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c., di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa che è stato oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5), avuto riguardo alla circostanza della mancata considerazione della portata di apposite sentenze, prodotte in giudizio, emesse dal Giudice di pace di Roma (recanti i nn. 16994 del 2016 e 16752 del 2019), passate in giudicato e relative a giudizi di opposizione esperiti da essa ricorrente con riferimento alla stessa violazione, in virtù delle quali il citato microcar si sarebbe dovuto ritenere equiparato ai motocicli e, quindi, avrebbe potuto legittimamente sostare negli spazi per essi predisposti.
2. Con la seconda censura, la ricorrente ha dedotto - in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 - la violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 7, comma 1, C.d.S., sul presupposto che il Tribunale aveva ritenuto sussistente la violazione - anziché con riguardo alla tipologia del veicolo (che aveva costituito oggetto di opposizione) - con riferimento alla circostanza che lo stesso aveva sostato in maniera difforme dalla segnaletica orizzontale presente sul luogo dell'accertamento.
3. Con la terza doglianza, la ricorrente ha prospettato - in ordine all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e/o falsa applicazione del d. lgs. n. 150 del 2011, artt. 7, comma 11, della L. n. 689 del 1981, art. 11, e 195, comma 2, C.d.S., deducendo l'illegittimità della pronuncia impugnata in cui non aveva valutato l'erroneità della rideterminazione della sanzione applicata d'ufficio dal Giudice di pace nella misura peggiorativa di Euro 100,00, irrogata senza tener conto né degli elementi obiettivi né di quelli soggettivi della violazione.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c. e del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, avendo il giudice di appello applicato illegittimamente i compensi dovuti per il secondo grado di giudizio in favore dell'appellata siccome quantificati in violazione dei parametri di cui alla tabella di cui al citato D.M. n., avuto riguardo all'esiguo valore della causa (compreso tra Euro 41 ed Euro 169).
5. Con la quinta ed ultima censura, la ricorrente ha prospettato - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c., deducendo l'illegittimità dell'applicazione, in virtù di detta norma, della sanzione pecuniaria (nella misura di Euro 2.400,00), siccome adottata in difetto delle necessarie condizioni di legge, non risultando "oggettivamente" dagli atti di causa che essa ricorrente avesse agito in modo pretestuoso, ovvero con abuso dello strumento processuale dell'opposizione esercitato con dolo o colpa grave.
6. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, pertanto, essere respinto.
Va osservato che, correttamente, la sentenza di appello ha sufficientemente motivato nel ritenere, conformemente alla decisione di primo grado, che, nella fattispecie, non poteva trovare applicazione - in relazione al tipo di veicolo in questione, un microcar a quattro ruote - la disciplina di cui all'art. 52 C.d.S., con la conseguente legittimità del verbale di accertamento opposto, con cui era stata rilevata la violazione del divieto di sosta in uno spazio riservato esclusivamente a cicli e motocicli (e non anche a motoveicoli, nei quali si ricomprende il citato microcar, per come evincibile dalla previsione di cui al successivo art. 53, lett. h, C.d.S. e dalla stessa annotazione della tipologia del mezzo risultante dalla carta di circolazione).
7. Anche la seconda doglianza non coglie nel segno e, quindi, deve essere respinta.
Diversamente da quanto prospettato, occorre rilevare che la motivazione adottata dal giudice di appello, nel valorizzare anche il disposto dell'art. 157, comma 5, C.d.S. (avente riguardo alla condotta della sosta in modo difforme o conforme alla segnaletica orizzontale), deve considerarsi dallo stesso utilizzata in senso rafforzativo - ovvero ad abundantiam - rispetto alla già ritenuta sussistenza della violazione effettivamente contestata alla ricorrente, secondo la ricostruzione logico-giuridica già operata dal giudice di pace e ribadita - come "ratio" principale - con la stessa sentenza di appello, in base all'assorbente argomento secondo cui, negli spazi di sosta oggetto di accertamento, avrebbero potuto sostare solo ciclomotori a due ruote anche in relazione alla dimensione e allo spazio prevedibilmente occupabile dagli stessi (ciò sull'implicito ed evidente presupposto che i microcar non potevano sostare in quegli spazi, in quanto costituenti quadricicli a motore su quattro ruote).
Oltretutto l'art. 351, comma 2, reg. esec. C.d.S. afferma che nelle zone di sosta in cui gli spazi destinati a ciascun veicolo sono delimitati da segnaletica orizzontale, vale a dire dalle classiche strisce, i conducenti sono tenuti a sistemare il proprio veicolo nello spazio ad esso destinato, senza invadere gli spazi contigui; ciò comporta che, nel caso delle microcar posteggiate negli spazi adibiti alla sosta per i ciclomotori (ovviamente più stretti), deve ritenersi che la loro sosta è stata illegittimamente effettuata.
8. Pure la terza censura è priva di fondamento e va respinta.
Al di là della ravvisata genericità, con l'impugnata sentenza, del motivo di appello relativo alla supposta illegittimità della sanzione pecuniaria come quantificata - in Euro 100,00 - dal giudice di prime cure (rilevandosene, invece, l'implicita condivisione della pronuncia di quest'ultimo), non può mettersi in discussione che il Giudice di pace, dopo aver respinto l'opposizione dell'odierna ricorrente, ha fatto corretta applicazione del disposto di cui al d. lgs. n. 150-2011, art. 7, comma 11, che impone la determinazione dell'importo della sanzione in una misura compresa tra il minimo e il massimo edittale stabilito dalla legge per la violazione accertata, estremi questi rispettati nel caso di specie a fronte del minimo corrispondente ad Euro 41,00 e del massimo indicato in Euro 169,00 per l'infrazione in concreto all'epoca contestata di cui all'art. 7, commi 1 e 14, primo periodo, C.d.S..
Pertanto, avendo legittimamente esercitato d'ufficio un potere conferitogli dalla legge, mantenendosi nei prescritti limiti, il Giudice di pace (la cui sentenza è stata confermata anche sul punto dall'impugnata sentenza) non aveva uno specifico obbligo di motivare sulla determinazione della sanzione così come effettuata sul presupposto della ritenuta infondatezza dell'opposizione e della natura della violazione amministrativa rimasta accertata (in tal senso, in generale, v. Cass. n. 5877-2004; Cass. n. 9255-2013 e, da ultimo, Cass. n. 4844-2021).
9. E' fondato, invece, il quarto motivo, formulato dalla ricorrente in modo specifico in relazione alle prospettate violazioni delle tabelle professionali "ratione temporis" vigenti, comportanti l'illegittimità dell'impugnata sentenza nella parte in cui ha liquidato - senza alcuna motivazione - le spese del giudizio di appello in misura eccedente i limiti di tali tabelle, con riferimento alle effettive attività compiute dalla difesa della parte vittoriosa in relazione al valore della causa.
Infatti, avuto riguardo alle concrete attività espletate dall'appellata nel giudizio di secondo grado (limitate alla sola fase di studio e a quella di costituzione, non avendo partecipato all'udienza di discussione, per quanto evincibile dallo stesso verbale incorporante la sentenza impugnata emessa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.), considerato il valore della causa (ricompreso tra Euro 41 ed Euro 169) e tenuti presenti i parametri delle tabelle forensi "ratione temporis" applicabili (di cui al D.M. n. 55 del 2014), sarebbe stato liquidabile un compenso non inferiore a Euro 270 (computando l'importo di Euro 135,00, per ognuna delle due citate voci da riconoscersi) e non superiore a Euro 486,00, ove pure si fosse voluto applicare l'aumento massimo fino all'80%. Da ciò consegue l'illegittimità della quantificazione di tali compensi, compiuta nell'impugnata sentenza, nella misura di Euro 800,00 (oltre accessori di legge).
10. Del pari fondato si prospetta anche il quinto ed ultimo motivo.
Si osserva che il giudice di appello, con l'impugnata sentenza, al fine di adottare la condanna aggiuntiva ai sensi del comma 3 dell'art. 96 c.p.c., ha ritenuto sussistente in capo all'attuale ricorrente il presupposto della gravità della colpa (se non del dolo, inteso - secondo l'avviso del Tribunale romano - come volontaria e consapevole volontà di perseverare in una tesi già "bocciata" in quanto palesemente errata ed irrazionale), ricorrendo, tuttavia, ad una motivazione che - sul piano logico-giuridico - si appalesa non pienamente rispondente al rispetto di tutte le condizioni necessarie per applicare la sanzione pubblicistica riconducibile ad un effettivo abuso del processo.
Infatti, il Tribunale non ha considerato che l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. deve trovare un suo fondamento anche sul piano oggettivo, ovvero avendo riguardo alla natura della controversia, al comportamento delle parti, all'eventuale ed evidente inconsistenza sul piano giuridico delle censure mosse e, comunque, all'esercizio nell'azione nel suo complesso.
A tal proposito, non è ragionevole ritenere che la questione dedotta con l'originaria opposizione, e poi con l'appello, si atteggiasse come manifestamente infondata o pretestuosa, tanto è vero che sulla stessa - di per sé problematica nel raccordo tra l'art. 52 e l'art. 53 C.d.S. - non si era formata una chiara ed univoca giurisprudenza di merito (risultano, infatti, richiamati in ricorso precedenti di segno opposto riconducibili a decisioni dello stesso Giudice di pace di Roma, e, come riportato nella memoria finale, anche del Giudice di pace di Lecco) e che lo stesso giudice di legittimità non aveva avuto modo ancora di pronunciarsi al riguardo.
La giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. SU n. 9912-2018 e Cass. n. 26545-2021) ha, da un punto di vista generale, precisato che la responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. - pur non richiedendo la domanda di parte né la prova del danno, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma - esige pur sempre, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, da ritenere, però, sussistente solo nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda. Pertanto, non è sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate, dovendosi specificare che la pretestuosità dell'azione - e, quindi, l'antigiuridicità della condotta processuale - può configurarsi solo quando viene esercitata per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione, condizioni, queste ultime, che non ricorrevano univocamente nel caso di specie. Da ciò deriva l'illegittimità della disposta condanna ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c..
11. In definitiva, previo rigetto dei primi tre motivi di ricorso, vanno accolti il quarto e quinto e, sussistendone le condizioni (non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell'art. 384, comma 2, ultima parte, c.p.c.), la causa può essere decisa nel merito relativamente alle censure ritenute fondate.
Pertanto, in relazione al quarto motivo, si ritiene di poter liquidare le spese del giudizio di appello, in favore dell'appellata Roma Capitale, nella congrua misura di Euro 370,00 (tenendo presente quella minima di Euro 270,00, con applicazione di una opportuna maggiorazione, contenuta in quella massima, nell'ordine di Euro 100,00, in considerazione della non agevole formulazione delle controdeduzioni operate nella comparsa di risposta in appello, con riferimento alle varie questioni affrontate e, soprattutto, a quella principale riguardante la confutazione della tesi avversaria sulla prospettata esclusione della configurazione della contestata violazione amministrativa).
Con riferimento al quinto motivo bisogna attestare che, nella fattispecie, non sussistevano le condizioni per l'applicazione della condanna pecuniaria dell'odierna ricorrente, quale appellante, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.
In dipendenza dell'accoglimento solo parziale del ricorso e, quindi, per effetto della reciproca soccombenza tra le parti, le spese del presente giudizio vanno interamente compensate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto e quinto motivo del ricorso e rigetta i primi tre.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di appello, che ridetermina nella misura di Euro 370,00, oltre agli accessori di legge, dando atto dell'insussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. a carico della R., in persona del legale rappresentante pro-tempore, quale appellante.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 12 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2023.
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