Al locatore di immobili ad uso non abitativo è vietato pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di "buona entrata", prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale.
Lo ha ribadito la Cassazione, sezione terza, con l'ordinanza n. 368 del 10 gennaio 2023, precisando che il relativo patto è nullo, ai sensi dell'art. 79 della Legge n. 392 del 1978, anche se stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo.
La Corte aggiunge che il terzo può far valere la nullità del patto e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, purché sia accertato un collegamento tra l'accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata alla attribuzione patrimoniale non giustificata ad altro titolo.
Nel caso di specie due locatori erano stati convenuti in giudizio per la restituzione di € 120.064,00, versati come diritto di buona entrata per la locazione di un immobile e dell'annesso locale deposito. La somma era stata pagata da una società terza tramite assegni, in occasione della stipulazione del contratto di locazione.
La Cassazione, ha confermato il giudizio di merito, ritenendo il terzo legittimato ad agire, perché l'accordo sulla scorta del quale era stato effettuato quel pagamento doveva ritenersi collegato al contratto di locazione stipulato.
È fatto divieto al locatore di immobili ad uso non abitativo di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di "buona entrata", prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, e il relativo patto è nullo ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 79 (perché diretto ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia), anche se stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, che ai sensi degli artt. 1421 e 2033 c.c. potrà far valere la nullità del patto e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, purché sia accertato un collegamento tra l'accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata alla attribuzione patrimoniale non giustificata.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n. 368 del 10/01/2023
RILEVATO
che:
1) con un solo motivo D.C.B. e B.M.P. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 366-2019 della Corte d'Appello di Napoli,
depositata in data 6 febbraio 2019 e notificata in pari data;
resistono con controricorso D.R.A. V.R. e V.M.;
per quanto ancora rileva in questa sede, i ricorrenti rappresentano, nella descrizione del fatto, di essere stati convenuti in giudizio dalla V.G. S.r.L. e da V.G., perché fossero condannati a restituire la somma di Euro 120.064,00, versata come diritto di buona entrata per la locazione del vano terraneo ubicato in (Omissis) e dell'annesso locale deposito, in occasione della stipula del contratto di locazione commerciale, avvenuta in data (Omissis), o, in subordine, perché fosse disposta la compensazione del credito vantato dai convenuti-locatori per i canoni mensili dovuti per i mesi successivi alla notifica dell'atto di citazione, sino alla concorrenza della somma di Euro 120.000, con rivalutazione ed interessi;
la somma chiesta in restituzione, secondo la prospettazione avversaria, risultava versata - sulla scorta di una pattuizione nulla, ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 79, in quanto il pagamento delle somme ivi previse era privo di giustificazione sinallagmatica - personalmente da V.G., tramite dieci assegni a lui intestati e girati a B.M.P. in occasione della successiva stipulazione del contratto di locazione tra V.G. S.r.L., all'epoca del versamento neppure costituita, e gli odierni ricorrenti;
la stipulazione di detto contratto era stata preceduta da un preliminare di locazione per persona da nominare; solo con l'electio amici, effettuata tramite racc. ar. del 19 aprile 2007, V.G. S.r.L. era stata indicata come parte del contratto di locazione; era insorta, dunque, controversia in ordine al se la legittimazione all'esercizio dell'azione di restituzione spettasse a V.G. oppure alla società V.G. S.r.L., con la conseguenza, in quest'ultimo caso, di dover considerare cessata la materia del contendere, dato che la società, risultando cancellata dal registro delle imprese, si presumeva avesse rinunciato alla domanda risarcitoria;
il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con la sentenza n. 3447/2017, aveva ritenuto V.G. legittimato ad agire, perché l'accordo sulla scorta del quale era stato effettuato quel pagamento doveva ritenersi collegato al contratto di locazione intercorso con la società V.G. S.r.L. e perché la ripetizione dell'indebito oggettivo può essere chiesta dal soggetto cui è legalmente riferibile il pagamento;
la Corte d'Appello di Napoli, con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso, ha condiviso la decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, aggiungendo che la giurisprudenza di questa Corte, quando sanziona con la nullità i patti contrari al regime imperativo, indica il conduttore quale soggetto legittimato ad agire, solo perché, di norma, il pagamento indebito avviene in fase di esecuzione di un contratto di locazione; la legittimazione del terzo a dedurre la nullità delle pattuizioni in contrasto con le disposizioni della L. n. 392 del 1978 è subordinata alla dimostrazione della sussistenza di un suo interesse, ritenuta ricorrente nel caso di specie, giusto il collegamento tra la pattuizione colpita da nullità e il contratto di locazione che rendeva il pagamento inerente al regolamento economico del rapporto locatizio;
a tale scopo, la Corte territoriale ha precisato che, diversamente da quanto ritenuto dai locatori, attribuire al terzo, in presenza delle condizioni indicate, la facoltà di agire per far valere la nullità della pattuizione volta ad ottenere il pagamento della c.d. buona entrata non significa farlo diventare parte del contratto di locazione;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis 1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha formulato conclusioni scritte;
le controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1) prima di procedere allo scrutinio del ricorso, deve essere rigettata l'eccezione, con cui le controricorrenti, nella memoria depositata in vista della odierna Camera di consiglio, hanno lamentato l'inesistenza dell'asseverazione della notificazione del ricorso: detta asseverazione e', al contrario, presente agli atti e, quand'anche non fosse stata presente, l'avvenuta costituzione della parte resistente avrebbe eliso il rilievo della sua assenza, atteso che le resistenti non hanno disconosciuto la conformità della ipotetica copia non asseverata a quella ricevuta, ma si sono imitate a lamentare la mancanza di asseverazione. Nel caso di specie trova applicazione il principio di diritto espresso da Cass., Sez. Un., 24/09/2018, n. 22438, secondo cui "il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall'ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore, della L. n. 53 del 1994 ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l'improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all'originale notificatogli del D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2.
2) con un unico motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 79, art. 2033 c.c., e art. 1401 e ss. c.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto sussistente la legittimazione di V.G. a ripetere le somme pagate a titolo di buona entrata per la stipula del contratto di locazione;
la sentenza sarebbe errata perché:
i) non avrebbe tenuto conto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l'azione di ripetizione di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 79, si differenzia dalla comune azione di ripetizione dell'indebito, trovando titolo nel rapporto di locazione, sicché la relativa legittimazione spetta unicamente al conduttore, anche se il pagamento sia stato effettuato da un terzo;
ii) avrebbe considerato terzo rispetto al contratto di locazione V.G., il quale, invece, avendo pagato l'importo a titolo di buona entrata in favore dei locatori, aveva trasferito ad un soggetto nuovo, attraverso l'electio amici, tutti gli obblighi, gli oneri e i diritti derivanti dal contratto di locazione e da tutti i patti e gli accordi ad esso connessi;
iii) avrebbe individuato la fonte della pretesa restitutoria nella nullità di un accordo diverso dal contratto di locazione, sebbene a questo collegato, che aveva fatto nascere diritti ed obblighi in capo alla società V.G. S.r.L. in conseguenza dell'electio amici;
il motivo non merita accoglimento;
la censura di cui alla lett. i) è infondata, perché la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio di diritto, che si intende richiamare e ribadire, secondo cui è fatto divieto al locatore di immobili ad uso non abitativo di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di "buona entrata", prive di ogni giustificazione nel sinallagma contrattuale, e il relativo patto è nullo ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 79 (perché diretto ad attribuire al locatore un vantaggio in contrasto con le disposizioni in materia), anche se stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, che ai sensi degli artt. 1421 e 2033 c.c. potrà far valere la nullità del patto e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate, purché sia accertato un collegamento tra l'accordo e il contratto di locazione, la cui conclusione era condizionata alla attribuzione patrimoniale non giustificata ad altro titolo (Cass. 09/10/1996, n. 8815; Cass. 11/02/1998, n. 1418);
da detto precedente non sono emerse ragioni che convincano a discostarsi; non persuade, in tal senso, la laconica affermazione di Cass. 13/01/1997, n. 353, ripresa da Cass. 07/02/2011, n. 2965, che comunque riguardava il pagamento del canone da parte di un terzo e non già una fattispecie dai profili complessi come quella per cui è causa;
la censura di cui alla lett. ii) muove dalla premessa che il patto avente ad oggetto il pagamento del diritto di buona entrata non fosse collegato al successivo contratto di locazione, ma ne costituisse parte integrante, essendo stato stipulato unitamente e contestualmente al contratto di locazione: i patti intervenuti tra le parti sarebbero stati inseriti in un unico negozio complesso e se pure dovessero essere tenuti distinti, resterebbero interdipendenti, sia soggettivamente che funzionalmente, per il raggiungimento di un fine ulteriore, che supera gli effetti tipici di ciascun patto, per dare luogo ad un unico regolamento di interessi, che assume propria rilevanza causale" (p. 16);
la sentenza impugnata, a p. 13, ha, nondimeno, affermato che vi era una connessione tra la pattuizione relativa al pagamento della buona entrata e il contratto di locazione "accertata dal giudice di prime cure in base alle emergenze processuali (interrogatorio formale di B.M.P. e prova testimoniale) e non formante oggetto di gravame";
il giudice di prime cure, al fine di accertare la legittimazione di V.G., aveva ritenuto necessario accertare la sussistenza di un collegamento tra tale pagamento e il contratto di locazione ovvero la strumentalità del primo rispetto al secondo, ed aveva escluso che la società V.G., per effetto dell'atto di designazione, fosse divenuta parte anche dell'accordo avente ad oggetto il pagamento della c.d. buona entrata, proprio per l'autonomia del patto rispetto al contratto di locazione, sebbene allo stesso collegato;
l'illustrazione della censura si fonda su affermazioni assertive, senza alcun riscontro né diretto né indiretto con i fatti di causa, pertanto, non può che dichiararsene l'inammissibilità per il mancato rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 366 c.p.c., n. 6;
una volta ritenuto ricorrente il collegamento tra il patto e il contratto di locazione, perdono di rilievo le censure di cui alla lett. iii), non essendo mai stato messo in dubbio dalla sentenza impugnata che il tratto peculiare del contratto per persona da nominare sia dato dal subentrare nel contratto di un terzo -per effetto della nomina e della sua contestuale accettazione - che, prendendo il posto del contraente originario (lo stipulante), acquista i diritti ed assume gli obblighi correlativi nei rapporti con l'altro contraente (promittente) determinando, inoltre, la contemporanea fuoriuscita dal contratto dello stipulante, con effetto retroattivo, per cui il terzo si considera fino dall'origine unica parte contraente contrapposta al promittente;
2) ne consegue che il ricorso deve essere rigettato;
3) seguendo l'insegnamento di Cass., Sez. Un., 20/02/2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 8542,50 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2023