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Abuso del processo, non occorre provare il danno

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5191 del 20/02/2023

L’abuso del processo ha una natura sanzionatoria, per cui non richiede né la domanda di parte, né la prova del danno.

Lo ha ricordato la Cassazione con l’ordinanza n. 5191 del 20 febbraio 2023.

La Suprema Corte precisa che la responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. richiede la presenza di mala fede o colpa grave della parte soccombente. Tale elemento soggettivo è integrato quando la parte non agisce con il grado minimo di diligenza necessario per avvertire l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda e coinvolgono l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso.

L'abuso dello strumento processuale può verificarsi in casi di pretestuosità dell'azione, contrarietà al diritto vivente e alla giurisprudenza consolidata, o per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

Nel caso di specie, il Tribunale ha condannato la parte per l'assoluta infondatezza del ricorso senza richiedere la prova del danno. La condanna è stata basata sulla manifesta infondatezza dell'opposizione e sulla palese inconsistenza giuridica dei relativi motivi.

Responsabilità processuale aggravata, prova del danno, non necessarietà, casistica

La responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda; peraltro sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, cosicché può considerarsi meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell'azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.5191 del 20/02/2023

RILEVATO CHE:


- Vettaflex s.r.l. e Prometeo s.r.l., nelle rispettive qualità di cedente e cessionaria del credito chirografario di Euro 2.044.760,00 ammesso allo stato passivo del Fallimento della (Omissis) s.r.l., propongono ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Teramo, depositato l'8 ottobre 2021, di reiezione del loro ricorso per la revocazione del decreto di esecutorietà del medesimo stato passivo, nella parte in cui il G.D. aveva ammesso il credito privilegiato di F.V. di Euro 2.563.561,79, portato da sentenza del Tribunale di Pescara, coperta da giudicato, emessa sulla scorta di atto di ricognizione del debito del 30 marzo 2012 sottoscritto dall'amministratore unico di (Omissis) in bonis, R.M.;

- a fondamento dell'impugnazione per revocazione le odierne ricorrenti avevano dedotto di aver appreso solo in data 8 aprile 2021- dall'esame di un documento proveniente dal R.- che questi aveva riconosciuto un debito in realtà insussistente, essendo stato indotto a sottoscrivere l'atto ricognitivo solo a causa dell'attività fraudolenta posta in essere in suo danno dal F., e di aver così scoperto che l'accoglimento della domanda di ammissione al passivo di quest'ultimo era viziata da falsità, dolo, errore essenziale di fatto e mancata conoscenza di documenti decisivi;

- il Tribunale adito ai sensi della L. Fall., art. 98, comma 4, ha, in primo luogo, escluso la legittimazione ad agire della Vettaflex s.r.l. per aver questa ceduto il credito a Prometeo, surrogatasi nella sua posizione processuale di creditrice ammessa al concorso; ha quindi respinto il ricorso in ragione della ritenuta insussistenza dei vizi revocatori denunciati ed ha condannato le società al pagamento in favore delle parti resistenti, oltre che delle spese, di una somma determinata in via equitativa ai sensi dell'art. 96,3 comma, c.p.c.;

- il ricorso è affidato a sei motivi;

- resistono, con distinti controricorsi illustrati da memorie, sia F.V., sia il Fallimento della (Omissis) s.r.l..

CONSIDERATO CHE:

- preliminarmente, va accolta l'istanza di rimessione in termini avanzata dalle ricorrenti, non essendo loro imputabile l'errore del sistema che ha rifiutato, ritenendo "non interpretabile" il relativo file, il ricorso dalle stesse tempestivamente depositato in via telematica;

- con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 1260 c.c. e 98, comma 4, per aver il Tribunale escluso la legittimazione attiva di Vettaflex s.r.l. in ragione della perdita della sua qualità di creditore concorrente a seguito della cessione del credito verso la massa a Prometeo s.r.l.;

- evidenziano sul punto che, poiché la cessione era stata conclusa pro solvendo, Vettaflex aveva interesse ad opporsi all'ammissione allo stato passivo del F., in quanto il pagamento del credito di questi avrebbe determinato l'insufficienza dell'attivo fallimentare a soddisfare per intero il credito ceduto e, conseguentemente, l'operatività della garanzia prevista dall'art. 1267 c.c. ai suoi danni;

- con il secondo motivo deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 98, comma 4,, L. Fall., per aver il giudice escluso la falsità della sentenza del Tribunale di Pescara che aveva riconosciuto il credito del F., in quanto non raggiunta da specifica impugnazione;

- con il terzo motivo si dolgono della violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 98, comma 4, nella parte in cui il decreto impugnato ha escluso il dolo revocatorio sul rilievo dell'assenza di attività fraudolente che avevano interessato il procedimento di verifica dello stato passivo e dell'assenza di accertamenti giudiziali in ordine alla falsità della sentenza costituente il titolo giudiziale speso dal F. nella sua domanda di insinuazione;

- con il quarto motivo criticano il decreto impugnato per violazione e falsa applicazione della medesima disposizione di legge, nella parte in cui ha escluso la sussistenza dell'errore di fatto per essere stata la decisione correttamente assunta sulla base del titolo giudiziale posto a sostegno dell'istanza di ammissione al passivo;

- anche con il quinto motivo lamentano la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 98, comma 4, in relazione alla esclusione della ricorrenza dell'ipotesi revocatoria nel caso di mancata conoscenza di documenti decisivi non tempestivamente prodotti per causa non imputabile, censurando l'affermazione del Tribunale secondo la quale il documento doveva essere preesistente alla decisione impugnata e non formato successivamente;

- con l'ultimo motivo deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c., evidenziando l'insussistenza delle condizioni per l'applicazione della fattispecie ivi delineata;

- il primo motivo è infondato;

- ai sensi della L. Fall., art. 98, comma 4, la legittimazione a richiedere la revocazione del provvedimento di accoglimento o di rigetto dell'istanza di ammissione al passivo - nel caso in cui siano decorsi i termini per l'opposizione o l'impugnazione, ma sia allegata la scoperta che il provvedimento è stato determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile - spetta unicamente al curatore, al creditore concorrente o al terzo titolare di diritti su beni mobili o immobili acquisiti all'attivo;

- invero, al pari dell'opposizione e dell'impugnazione, anche la revocazione dei crediti ammessi è un rimedio meramente endoconcorsuale, di carattere straordinario, che non può essere azionato da chi non vanti alcuna pretesa nei confronti del fallimento e non possa quindi giovarsi degli esiti della ripartizione dell'attivo: la conclusione si impone non solo in considerazione del tenore letterale della disposizione, ma anche della sua ratio, posto che il risultato dell'esecuzione collettiva non può andare che a favore dei creditori ammessi al concorso;

- correttamente, dunque, il Tribunale ha escluso la legittimazione di Vettaflex s.r.l., in cui luogo è subentrata nella qualità di creditore concorrente la cessionaria del credito, Prometeo s.r.l.;

- non si vede, poi, come possa incidere sulla corretta formazione dello stato passivo, cui è preordinato il rimedio di cui alla L. Fall., art. 98, comma 4 il rischio, eventuale e riflesso, cui Vettaflex sarebbe soggetta, di possibile attivazione da parte di Prometeo della garanzia dovutale nel caso di mancato pagamento da parte del debitore ceduto ("rischio", peraltro, insito in ogni cessione pro solvendo e nella specie certamente già sussistente al momento dell'ammissione allo stato passivo della cessionaria in luogo della cedente, intervenuta nel 2019, ben prima della "scoperta" del documento proveniente dal cessato amministratore unico della fallita, e dunque non dipendente dall'esito dell'impugnazione per revocazione);

- il secondo, terzo, quarto e quinto motivo, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;

- va in primo luogo evidenziato, con rilievo già di per sé stesso dirimente, che le doglianze formulate nei motivi in esame peccano in via assoluta di specificità, ovvero dell'illustrazione dei fatti necessari a valutarne la concludenza, poiché sono prive della deduzione delle modalità con cui sarebbero state poste in essere le asserite attività falsificatorie e fraudolente del F. e non sono neppure accompagnate dalla riproduzione, quanto meno nei suoi elementi essenziali, del documento, proveniente dal R., dal quale si dovrebbe desumere la prova che l'atto ricognitivo del debito sarebbe frutto di dolo perpetrato in suo danno;

- non appare peraltro superfluo rilevare che:

- è pacifico che il credito contestato sia stato ammesso allo stato passivo in virtù di un titolo esecutivo giudiziario, rappresentato da una sentenza del Tribunale di Pescara coperta da giudicato, e che pertanto non ricorre alcun vizio revocatorio proprio del provvedimento impugnato;

- è altrettanto pacifico che le ricorrenti non abbiano impugnato la sentenza del Tribunale di Pescara ai sensi dell'art. 404 c.p.c., ancorché la consacrazione del credito del F. in un titolo esecutivo opponibile al fallimento imponesse loro di veicolare eventuali contestazioni avverso il provvedimento di ammissione attraverso rimedi finalizzati all'eliminazione dell'efficacia del titolo esecutivo giudiziario posto a suo fondamento;

- infine, anche a voler ritenere ammissibile un ricorso ex L. Fall., art. 98, comma 4 rivolto in via indiretta contro la pronuncia definitiva sulla quale si fonda il provvedimento impugnato, nella specie non potrebbe che prendersi atto dell'insussistenza dei vizi revocatori, confusamente e indistintamente evocati dalle ricorrenti, che inficerebbero la sentenza coperta da giudicato;

- la ricorrenza dei vizi di cui ai nn. 2 e 4 del 1 comma dell'art. 395 c.p.c. andrebbe infatti esclusa in radice, atteso che la decisione si fonda su una scrittura ricognitiva del debito pacificamente proveniente da colui che l'ha sottoscritta, e dunque certamente non falsa, rispetto alla quale non si vede come possa configurarsi un errore essenziale di fatto, che deve consistere nella falsa percezione degli atti e dei documenti processuali da parte del giudice;

- è poi del tutto mancante la concreta allegazione delle fattispecie revocatorie di cui ai nn. 1 e 3 dell'art. 395 c.p.c., posto che, per un verso (in disparte l'omessa illustrazione dei fatti in cui consisterebbe la pretesa condotta fraudolenta del F.) la mera denuncia postuma, proveniente dalla parte interessata, di un vizio di annullabilità del negozio ricognitivo del credito non può certo valere di per sé come prova del dolo processuale della controparte, e, per l'altro, la possibilità di chiedere la revocazione della sentenza se dopo la sua pronuncia sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario presuppone che il documento decisivo preesista alla decisione impugnata, per cui è estranea a essa la situazione, ricorrente nel caso in esame, di documento formatosi successivamente alla pronuncia interessata dal ricorso per revocazione (cfr. Cass. 14 giugno 2017, n. 14810; Cass. 10 febbraio 2017, n. 3591; Cass. 20 febbraio 2015, n. 3362);

- l'ultimo motivo è infondato;

- come autorevolmente affermato da questa Corte, con sentenza resa, a Sezioni Unite, il 20 aprile 2018, n. 9912, la responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda;

- sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, cosicché può considerarsi meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell'azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione;

- orbene, il Tribunale, nel far conseguire la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. alla "assolta infondatezza del ricorso", ha fatto discendere la predetta sanzione processuale dalla manifesta infondatezza dell'opposizione e dalla palese inconsistenza giuridica dei relativi motivi;

- così argomentata, la decisione si sottrae alla censura prospettata, potendo il giudice del merito desumere da tali elementi la responsabilità della parte per il mancato impiego della doverosa diligenza ed accuratezza nel proporre l'opposizione;

- in ragione delle su esposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

- le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro 22.500,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, in solido tra loro, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale, il 12 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2023.

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