Non è sufficiente ad integrare i presupposti per il rilascio dell'autorizzazione temporanea all'ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale l'esigenza di tutelare la coesione familiare, ma è necessaria l'allegazione di un concreto pregiudizio che i minori rischino di subire per effetto dell'allontanamento del genitore.
Lo ha ricordato la Cassazione, sez. VI Civile, con l'ordinanza n. 5527 del 22 febbraio 2023.
Nel caso di specie, uno straniero ricorre in Cassazione contro l'ordinanza con cui il giudice di pace di Chieti ha respinto l'opposizione al decreto di espulsione emesso nei suoi confronti. Il giudice di pace aveva motivato la validità dell'espulsione sulla base della pericolosità sociale dello straniero, che era stata oggettivamente confermata dalla detenzione di due chili di cocaina e altri reati accertati irrevocabilmente.
La Cassazione ha ribadito che il diniego di detta autorizzazione non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero. Tuttavia, la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale.
Lo straniero nella specie non ha fornito circostanze per contestare la validità dell'espulsione, limitandosi a sostenere una generica irrilevanza degli orientamenti giurisprudenziali ai fini del rilascio dell'autorizzazione per motivi familiari. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Il diniego dell'autorizzazione temporanea all'ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale di uno dei genitori stranieri per poter accudire i figli minorenni non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che il testo unico in materia di immigrazione considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero. Tuttavia detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all'esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l'interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n. 5527 del 22/02/2023
RILEVATO
Che:
1. Il sig. T.E., cittadino (Omissis) nato il (Omissis), impugna per cassazione l'ordinanza con cui il giudice di pace di Chieti ha respinto l'opposizione da lui proposta nei confronti del decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Chieti.
2. Il giudice di pace dà atto che il T. è stato espulso ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 2, lett. b) a seguito del rifiuto del permesso di soggiorno.
3. Detto rifiuto è stato disposto in ragione della revoca da parte del tribunale per i minorenni dell'autorizzazione a permanere in Italia rilasciatagli al fine di poter accudire le figlie minorenni ed era intervenuta sulla scorta di un'informativa della questura che evidenziava la pericolosità sociale del T..
4. Il giudice di pace ha altresì dato atto che la corte d'appello avanti alla quale egli aveva reclamato la revoca dell'autorizzazione, aveva rigettava l'impugnazione sottolineando la pericolosità del T. desunta dai precedenti penali tra cui quello di detenzione di due chili di cocaina.
5. In considerazione di tali rilievi il giudice di pace ha ritenuto la validità dell'espulsione.
6. La cassazione dell'ordinanza depositata e comunicata il 22/12/2021 è chiesta con ricorso avviato per la notifica il 19/01/2022 ed affidato ad un unico motivo di ricorso, cui resistono con controricorso il Ministero dell'interno e la prefettura di Chieti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
7. Con l'unico motivo (violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1, punto 1, art. 13, comma 2-bis e comma 3, art. 31, comma 3) il ricorrente denuncia la mancata considerazione del legame del T. con le figlie minori presenti in Italia.
8. La censura è inammissibile.
8.1.In tema di autorizzazione temporanea all'ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale di uno dei genitori ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31 non è sufficiente ad integrare i presupposti per il rilascio dell'autorizzazione l'esigenza di tutelare la coesione familiare, ma è necessaria l'allegazione di un concreto pregiudizio che i minori rischino di subire per effetto dell'allontanamento del genitore (cfr. Cass.773/2020; id. 4496/2022).
8.2. Il diniego di detta autorizzazione non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero.
8.3. Nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all'esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l'interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto (cfr. Cass. Sez. Un. 15750/2019).
8.4. Ebbene, nel caso di specie, il giudice di pace nel dare conto delle circostanze che avevano portato all'espulsione, si è attenuto ai suddetti principi interpretativi evidenziando l'accertata legittimità della revoca dell'autorizzazione alla permanenza in Italia rilasciata al T. al fine di poter accudire le figlie minorenni e motivata dalla sopravvenuta considerazione dell'incompatibilità con tale autorizzazione della condotta penale del T., oggettivamente connotata sfavorevolmente dalla detenzione di due chili di cocaina, oltre che da altri reati accertati irrevocabilmente nei suoi confronti e richiamati dai controricorrenti.
8.6. A fronte di ciò il ricorrente non ha allegato circostanze per mutare i richiamati orientamenti e la ratio decidendi limitandosi a sostenere una generica irrilevanza degli stessi ai fini del rilascio dell'autorizzazione per motivi familiari.
9.Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.
Il presente processo è esente dall'applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.200,00 per compensi, oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Sesta civile - 1, il 15 dicembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2023.