La costrizione ad un matrimonio forzato può essere considerata un motivo di persecuzione per il riconoscimento della protezione internazionale?
È la questione di cui si occupa la Sesta Sezione Civile della Cassazione civile con l'ordinanza n. 606 depositata l'11 gennaio 2023.
Il caso di specie. Mary, una giovane cittadina nigeriana, si trova ad affrontare una difficile situazione: la sua famiglia, dopo la morte del padre, decide di vendere tutte le proprietà e di saldare i debiti con un creditore con un matrimonio forzato.
Mary non si arrende e decide di fuggire alla ricerca di aiuto, trovando una zia e successivamente una signora presso cui lavorava come commessa, che l'ha aiutata a lasciare la Nigeria, raggiungere Kano e poi la Libia, dove è stata sfruttata e rinchiusa e rinchiusa in una casa da un uomo, giungendo infine in Italia.
Presenta un ricorso al Tribunale di Venezia per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria. Il Tribunale respinge con decreto la richiesta ritenendo inverosimile il racconto della giovane straniera. Mary allora decide di ricorrere in Cassazione.
La Corte di Cassazione ribadisce che la costrizione ad un matrimonio forzato costituisce una grave violazione della dignità umana e può essere considerata come motivo di persecuzione ai fini del riconoscimento della protezione internazionale, annullando il decreto del Tribunale di Venezia ordinando un nuovo giudizio.
La costrizione a un matrimonio non voluto costituisce una grave violazione della dignità e, dunque, un trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato, qualora le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato, o una sua parte consistente, non possano o non vogliano fornire protezione adeguata.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.606 del 11/01/2023
FATTI DI CAUSA
Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, M.R., cittadina (Omissis), ha adito il Tribunale di Venezia impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale e protezione umanitaria.
2. Nel richiedere il riconoscimento della protezione internazionale o ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, la ricorrente esponeva le seguenti ragioni: di essere stata cresciuta con il padre in seguito alla separazione dei genitori quando lei era piccola; di aver studiato e lavorato come commessa; che in seguito alla morte del padre il (Omissis), i famigliari paterni decidevano di vendere tutte le proprietà, non lasciando nulla alla ricorrente e si accordavano con un creditore - con cui si erano indebitati per pagare le cure di suo padre - per saldare il debito dando in sposa la ricorrente; di essere riuscita a fuggire cercando aiuto da una zia e poi dalla signora presso cui lavorava come commessa, la quale l'aveva aiutata a lasciare la Nigeria raggiungendo Kano e successivamente la Libia, dove era stata sfruttata e rinchiusa in una casa da un uomo, giungendo infine in Italia il (Omissis).
3. Il Tribunale di Venezia, in seguito all'audizione della ricorrente all'udienza del 10 febbraio 2020, ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione.
4. In particolare, il Giudice di primo grado ha ritenuto credibile la zona di provenienza della ricorrente mentre ha ritenuto inattendibile e inverosimile il racconto sia per quanto attiene ai motivi di fuga dal Paese di origine sia relativamente alla condizione di sfruttamento in Libia. Il Tribunale ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiata e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), nonché la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel Paese di origine sulla base delle fonti COI consultate e menzionate. Il Tribunale ha infine escluso la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché altre di altre tipologie di permessi per casi speciali ritenendo a tal fine non determinanti le vicende relativa alla Libia, essendo state narrate genericamente e non essendo stata documentata l'esistenza di postumi sull'integrità psicofisica della ricorrente dai maltrattamenti asseritamente subiti; ritenendo non raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale della ricorrente in Italia, non avendo ella un'occupazione lavorativa stabile e una retribuzione sufficiente a vivere dignitosamente, pur rilevando che inizialmente era stato dedotto che la ricorrente viveva in Italia grazie all'aiuto del compagno, che risulta risiedere in un'altra abitazione e che dal 3 marzo 2021 la stessa risulta ospite di un altro connazionale, rilevando infine che in Patria avrebbe conservato riferimenti famigliari.
5. Avverso il predetto decreto il ricorrente con atto notificato il 27 giugno 2021 ha proposto ricorso per cassazione, svolgendo i seguenti motivi:
"1. Nullità del procedimento giurisdizionale e della conseguente nullità del decreto di rigetto per vizio di costituzione del Giudice ai sensi art. 158 c.p.c.". Con il primo motivo di ricorso si censura la sub-delega da parte del Giudice relatore all'audizione della ricorrente al GOP non togato.
"2. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 - violazione art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3". Con il secondo motivo di ricorso si censura la valutazione di non attendibilità sulla vicenda della ricorrente in violazione dei parametri legali della valutazione della credibilità intrinseca ed estrinseca, eccependo il difetto di cooperazione istruttoria da parte del Giudice di primo grado, per aver trascurato sia il ricorso introduttivo e le note conclusive prodotte nonché gli ulteriori rapporti COI ivi citati e prodotti, senza approfondire gli elementi e gli indici di tratta che emergono dalla vicenda della ricorrente.
"3. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8". Con questo motivo di ricorso si eccepisce il difetto di motivazione rilevando che erroneamente il Giudice di prime cure avrebbe escluso la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all'art. 14, lett. b) del Decreto citato solamente sulla presunta inattendibilità della vicenda narrata dalla ricorrente ed omettendo di svolgere una valutazione approfondita per ciascun tipo di protezione.
"4. Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 - nullità della sentenza per motivazione apparente/inesistente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29". Con tale motivo di ricorso si eccepisce l'omessa valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva della ricorrente nel Paese di origine e quella in Italia, in violazione del dovere di cooperazione istruttoria anche in considerazione della peculiarità della vicenda della ricorrente, rilevando che la ricorrente ha documentato di aver lavorato costantemente, anche durante l'emergenza sanitaria e di aver ricevuto il supporto economico del fidanzato con cui progetta di convivere in futuro.
6. L'intimata Amministrazione dell'Interno ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.
7. Il ricorso è stato assegnato all'adunanza in Camera di consiglio non partecipata del 25 novembre 2022 ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. In ordine al primo motivo di ricorso, "Non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all'audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della Sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l'assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell'elencazione ivi contenuta (Sez. U., Sentenza n. 5425 del 26/02/2021-01).
9. Il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto, assorbiti gli altri. Infatti "La costrizione ad un matrimonio non voluto è stata qualificata da questa Corte anche in termini di grave violazione della dignità, e dunque trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato, qualora le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato, o una sua parte consistente, non possano o non vogliano fornire protezione adeguata (Cass. n. 25463 del 2016, n. 25873 del 2013). In tal senso si è espressa questa Corte anche in occasione di successive pronunce (Cass. nn. 6573 e 23017 del 2020, sez. L, Ordinanza n. 13648 del 2021, dep. 19/05/21). Ne consegue che è doverosa l'acquisizione di specifiche COI, finalizzate all'accertamento dell'aspetto in discussione, poiché non è affatto irrilevante la verifica della effettività dei poteri statuali e della capacità degli stessi di fornire adeguata protezione alla vittima del grave danno denunciato, ancorché le minacce provengano da soggetti privati o addirittura da familiari.
10. Nella specie, il giudice di merito ha ritenuto illegittimamente di poter omettere tale verifica, mentre sarebbe stato invece suo dovere assumere anzitutto, anche d'ufficio, informazioni sulla situazione generale della Nigeria, con riferimento al tipo di problema posto dalla reclamante, attraverso i canali indicati al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, o mediante altre fonti che fossero in concreto disponibili, e solo all'esito di ciò formulare una pertinente valutazione.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, rigettato il primo, assorbiti il terzo e quarto motivo di ricorso; cassa il decreto in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2023.