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Riconciliazione fra i coniugi dopo il divorzio incide sulla revisione dell'assegno

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.6889 del 08/03/2023

Quali sono gli effetti della riconciliazione tra ex coniugi sull'assegno divorzile?

La questione è stata recentemente affrontata dalla Cassazione, sez. I, con l'ordinanza n. 6889 dell'8 marzo 2023.

Nel caso di specie l'ex marito sosteneva che la ripresa della convivenza con la ex moglie, protrattasi per sette anni e caratterizzata da una effettiva riconciliazione, dovesse incidere sull'assetto dei rapporti economico-patrimoniali tra le parti, definito in precedenza con la sentenza di divorzio.

La Corte d'Appello aveva ritenuto che la riconciliazione non avrebbe potuto determinare la rinuncia della ex moglie all'assegno divorzile, ma piuttosto alle sole prestazioni nel periodo di ripresa della convivenza. Tuttavia, la Cassazione ha rilevato l'importanza di rivalutare le condizioni economiche del divorzio in caso di ripresa della convivenza tra divorziati, come previsto dall'art. 9 della legge n. 898 del 1970.

La Suprema Corte ha evidenziato che la ripresa della convivenza e la ricostituzione di una nuova famiglia di fatto tra gli ex coniugi determinano un nuovo assetto negoziale, estintivo del rapporto giuridico preesistente e incompatibile con il precedente assetto dei rapporti economici derivante dalla pronuncia di divorzio. Inoltre, la riconciliazione successiva al divorzio deve essere considerata un fatto nuovo sopravvenuto, rilevante ai fini della richiesta di revisione dell'assegno divorzile.

Pertanto, la Corte ha accolto il ricorso dell'ex marito, cassando la sentenza impugnata e rinviando il caso alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Riconciliazione fra i coniugi successiva al divorzio, richiesta di revisione dell'assegno divorzile, incidenza

La riconciliazione fra i coniugi successiva al divorzio non può non avere incidenza, quale fatto sopravvenuto, sulla richiesta di revisione dell'assegno divorzile, trattandosi in verità di una vera e propria sopravvenienza rispetto all'equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato rebus sic stantibus, oramai non più capace di regolare il nuovo e modificato assetto di interessi post-coniugali.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n. 6889 del 08/03/2023

FATTI DI CAUSA

La Corte d'appello di Roma, con decreto n. cronol. 1857/2020, pubblicato il 13/6/2020, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado che, in accoglimento della domanda di D.S., nei confronti dell'ex coniuge S.L.M.B., di modifica, L. n. 898 del 1970, ex art. 9 delle condizioni economiche pattuite in sede di divorzio e trasfuse nella sentenza n. 22379/2006 (in punto, in particolare, dell'obbligo dell'ex marito di versare alla S. l'assegno divorzile di Euro 15.000,00 mensili), all'esito di consulenza tecnica d'ufficio contabile, aveva disposto la revoca a far data dalla domanda di revisione dell'assegno divorzile. La Corte d'appello, nel confermare, invece, la debenza del suddetto assegno nella misura di Euro 15.000,00 mensili, da parte del D., ha osservato che: a) il merito del reclamo della S. sottende l'accertamento dell'effettiva esistenza di fatti nuovi sopravvenuti modificativi della situazione in relazione alla quale il precedente provvedimento era stato emesso; b) in punto di asserita riconciliazione tra gli ex coniugi dopo la sentenza di divorzio, sino al settembre 2014 (contestata dalla S.), e del suo effetto sulla perdurante vigenza delle condizioni economiche pattuite con il divorzio, "ove anche si dia per accertato che gli ex coniugi, dal 2006 al 2014, non si sono limitati a coabitare ma hanno convissuto more uxorio, non v'e' modo di ravvisare nel tentativo di ricostituire una comunione di vita materiale e spirituale con il D. una volontà della S. di rinunciare al diritto e non piuttosto alle sole prestazioni nel periodo di ripresa della convivenza", cosicché non era precluso alla stessa di esigere l'assegno divorzile a decorre dalla cessazione della convivenza, occorrendo semmai accertare l'intervenuta modifica dei presupposti delle determinazioni originariamente assunte o il superamento degli accordi recepiti nella sentenza di divorzio per effetto di patti successivi; b) in ordine al quantum dell'assegno, non era stato provato dal ricorrente, sulla base degli scambi di corrispondenza allegati, che le parti avessero concordato una riduzione dell'assegno divorzile ad Euro 10.000,00 mensili; c) quanto agli asseriti mutamenti delle condizioni economiche, dovendosi escludere che di per sé il solo mutamento, in via interpretativa, della natura e funzione dell'assegno divorzile sulla base del diritto vivente giurisprudenziale, possa costituire giustificato motivo ai sensi del citato art. 9, tali fatti sopravvenuti non risultavano dimostrati, sia riguardo al peggioramento delle condizioni reddituali del D. (atteso che le dichiarazioni fiscali del triennio 2016/2018, nelle quali erano dichiarati redditi di Euro 1.518.231, per il 2016, di Euro 1.341.221, per il 2017, di Euro 1.551.110, per il 2018, attestavano una tendenziale stabilità degli introiti e non rilevavano, quanto alla riduzione della capacità reddituale, né i mutui contratti né i debiti nei confronti dell'Agenzia delle entrate, attinenti agli anni 2009-2010), sia riguardo ad incrementi economici e patrimoniali della situazione della S. (considerato che l'eredità ricevuta nel 2015, in relazione ad immobili per un valore di oltre Euro 630.000,00, non risultava, a fronte degli introiti annuali del D., ammontanti "a più del doppio dell'importo indicato", di "entità tale da modificare in modo sostanziale le condizioni valutate" in sede di divorzio, che il valore dei gioielli, secondo il D. di oltre Euro 2.000.000,00, non era dimostrato e che la consistenza del patrimonio immobiliare in Sardegna costituiva un fatto preesistente o coevo al divorzio, mentre la transazione del dicembre 2018 inter partes aveva riguardato gli arretrati 2013/2017).

Avverso la suddetta pronuncia, D.S. propone ricorso per cassazione, notificato il 22/12/2020, affidato a sei motivi, nei confronti di S.L.M.B. (che resiste con controricorso, notificato l'8/2/21). Entrambe le parti hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta:

a) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 898 del 1970, art. 9 per avere la Corte d'appello ritenuto irrilevante e non meritevole di approfondimento istruttorio, ai fini dell'automatica definitiva cessazione del diritto al contributo al mantenimento, la ripresa di una duratura e stabile convivenza more uxorio con l'ex coniuge, idonea a determinare con conseguente omesso esame di fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione anche all'omessa pronuncia sull'ammissione della prova orale articolata in primo grado da esso ricorrente;

b) con il secondo motivo, la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell'art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., non avendo la Corte d'appello erroneamente ammesso le richieste istruttorie formulate dal D. finalizzate all'accertamento della convivenza more uxorio tra gli ex coniugi (interrogatorio formale e prove per testi);

c) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 898 del 1970 e succ. mod., artt. 5 e 9 in relazione all'insussistenza dei presupposti di legge per la previsione di un assegno divorzile a favore della ex moglie, alla risoluzione per mutuo consenso delle condizioni patrimoniali recepite nella sentenza di divorzio a seguito dell'intervenuta convivenza more uxorio, alla violazione delle norme sull'ermeneutica contrattuale sempre in ordine al nuovo accordo tra gli ex coniugi sui rapporti patrimoniali tra le parti, intervenuto dopo la sentenza di divorzio;

d) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. n. 898 del 1970 e succ. mod., artt. 5 e 9 in relazione all'erroneo e/o omesso raffronto tra le rispettive risorse economiche e reddituali degli ex coniugi, ai fini della verifica della sopraggiunta autosufficienza economica (soprattutto per effetto della cospicua eredità ricevuta nel 2015) idonea ad escludere il dritto della ex moglie a percepire l'assegno divorzile; e) con il quinto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 115, 116 e 210 c.p.c., in relazione sia alla erronea e/o omessa valutazione del contegno processuale della sign.ra S. che non aveva prodotto la documentazione richiesta in sede di CTU (in punto anche di estratti dei conti correnti presso banche estere ed in Italia e di dichiarazione dei redditi presentate in Spagna), sia alla omessa ammissione di prove rilevanti, articolate in primo grado e reiterate in fase di reclamo; f) con il sesto motivo, l'omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, vale a dire il contegno processuale della sig.ra S. la quale non ha prodotto la documentazione richiesta in sede di CTU nonché l'omessa ammissione di prove rilevanti.

2. Le prime tre censure, tutte attinenti alla sussistenza (ed alla ammissibilità della relativa prova) di una riconciliazione tra gli ex coniugi, tra il 2006 ed il 2014, ed ai suoi effetti sull'assegno divorzile, sono fondate, nei sensi di cui in motivazione.

La Corte d'appello ha rilevato che, quand'anche si potesse ritenere intervenuta tra gli ex coniugi una temporanea riconciliazione con ripristino della comunione materiale e spirituale (e la prova orale articolata dal D. e ritrascritta in ricorso ai fini dell'autosufficienza a tal fine tendeva), la stessa non avrebbe potuto determinare in alcun modo anche rinuncia della S. "al diritto" all'assegno divorzile "e non piuttosto alle sole prestazioni nel periodo di ripresa della convivenza", cosicché non era precluso alla stessa di esigere l'assegno divorzile a decorre dalla cessazione della asserita ripresa della convivenza.

Il ricorrente denuncia anche la motivazione apodittica, sul punto, della Corte di merito.

Le istanze istruttorie, reiterate in sede di reclamo, formulate in merito a tale temporanea riconciliazione, sono state implicitamente respinte dalla Corte d'appello, in quanto ritenute comunque irrilevanti ai fini del decidere sulla domanda di revisione dell'assegno divorzile.

Ne' emergeva, ad avviso della Corte di merito, prova di un accordo delle parti nel senso di ridurre l'assegno divorzile ad Euro 10.000,00 mensili.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di questo giudice di legittimità sugli effetti della stabile convivenza more uxorio dell'ex coniuge con una terza persona sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, peraltro da intendersi alla luce delle Sezioni Unite n. 32198/2021, con temperamento del principio, in passato affermato, della perdita automatica ed integrale del diritto all'intero assegno, del tutto inconferente al caso in esame.

Ma il ricorrente deduce, altresì, che la ripresa di una nuova convivenza tra gli ex coniugi, protrattasi per sette anni, con tutte le caratteristiche di una effettiva riconciliazione, sia pure per facta concludentia e non tramite formale dichiarazione, sarebbe comunque idonea ad incidere, non ovviamente sulla pronuncia sullo status ma, sull'assetto dei rapporti economico-patrimoniali tra le parti, definito a suo tempo con la sentenza di divorzio, quale "fatto nuovo sopravvenuto", rilevante ai fini del procedimento esperito L. n. 898 del 1970, ex art. 9.

Aggiunge il D. che la stessa Corte d'Appello non ha mancato di rilevare la possibile rilevanza di detta ripresa della convivenza nel senso che non si potrebbe neppure porre, in detto periodo, un problema di diritto alla corresponsione dell'assegno divorzile, in stato, per così dire, di quiescenza, proprio perché la condotta dell'ex coniuge rivelava la sua volontà di rinunciare alle statuizioni economiche che disciplinavano il rapporto tra i divorziati; si tratterebbe quindi, ad avviso della stessa Corte di merito, di una rinuncia parziale, limitata al periodo di ripresa della convivenza, che lasciava intatto il diritto a esigere l'assegno nella misura originaria riattivabile nel momento in cui l'avente diritto decida di interrompere la convivenza per richiedere la corresponsione dell'assegno originario.

La questione rilevante posta nei motivi è dunque quella degli effetti della ripresa della convivenza tra divorziati, per un periodo temporalmente definito (senza che quindi gli stessi siano addivenuti a nuove nozze), quale circostanza sopravvenuta idonea a consentire al giudice, adito in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 di rivalutare le condizioni ed i criteri previsti dalla legge (e dalla giurisprudenza di legittimità costituente il diritto vivente) per l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno divorzile.

Ed essa non è di poco conto sol che si consideri come questa Corte ha ritenuto che, se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l'assetto patrimoniale in essere, il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all'attualità, senza che possa ritenersi per converso, sufficiente ex se il solo mutamento di giurisprudenza sulla funzione dell'assegno divorzile, ove quelle circostanze di fatto non siano mutate (Cass. 1119/2020; cfr. anche, in motivazione, il richiamo operato da Cass. Sez.Un. 20495/2022).

Ora, la revisione dell'assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. Si è ritenuto, in particolare, che, in sede di revisione, il giudice "non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata" (Cass. 787/2017; Cass. 11177/2019).

Questa Corte ha poi chiarito (Cass. 1119/2020) che "in tema di revisione dell'assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali. Ne consegue che consentire l'accesso al rimedio della revisione attribuendo alla formula dei "giustificati motivi" un significato che includa la sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere un interesse ad agire per conseguire la modifica dell'assegno, ricomprendendo tra essi anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è opzione esegetica non percorribile poiché non considera che la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della "regula iuris", non già creativa della stessa" (fattispecie relativa a una domanda di revisione dell'assegno divorzile determinato prima di Cass., Sez. 1, n. 11504/2017 e Sez. U, n. 18287/2018).

Tuttavia, ove vengano accertati, al di là dei mutamenti giurisprudenziali citati, degli effettivi giustificati motivi per una revisione dell'assegno risulta necessario "procedere al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. 5 giugno 2020, n. 10647; Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119; Cass. 5 marzo 2019, n. 6386; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 13 gennaio 2017, n. 787; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. 25 agosto 2005, n. 17320)", come chiarito, in motivazione, dalle Sezioni Unite in sentenza n. 20495/2022.

Ora, la "ripresa" della convivenza, per diversi anni (almeno sette, secondo l'assunto del ricorrente), con la "ricostituzione" di una nuova famiglia di fatto tra gli ex coniugi, con nuova comunione materiale e spirituale (Cass. 20323/2019; Cass. 1630/2018; Cass. 127/2000; Cass. 3323/2000; Cass. 603/1998; Cass. 2058/1983), determina altresì un nuovo assetto anche negoziale, basato su nuovo accordo, sia pure per facta concludentia, estintivo del rapporto giuridico preesistente, in quanto incompatibile con il precedente assetto dei rapporti economici derivante dalla pronuncia di divorzio.

Invero, per meglio chiarire l'ordine concettuale nel quale ci pone la controversia in esame, può essere utile fare un richiamo alla riconciliazione che intervenga successivamente alla separazione tra i coniugi: se dopo la riconciliazione si perviene ad una nuova separazione questa dovrà essere "pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione", ai sensi dell'art. 157 c.c., comma 2 (cfr. Cass. 19541/2013: "La riconciliazione successiva al provvedimento di omologazione della separazione consensuale, ai sensi dell'art. 157 c.c., determina la cessazione degli effetti della precedente separazione, con caducazione del provvedimento di omologazione, a far data dal ripristino della convivenza spirituale e materiale, propria della vita coniugale. Ne consegue che, in caso di successiva separazione, occorre una nuova regolamentazione dei rapporti economici tra i coniugi, cui il giudice deve provvedere sulla base di una nuova valutazione della situazione economico-patrimoniale dei coniugi stessi, che tenga conto delle eventuali sopravvenienze e, quindi, anche delle disponibilità da loro acquisite per effetto della precedente separazione").

Si è così ritenuto che, anche nel caso in cui la riconciliazione intervenga durante il procedimento di separazione (nel periodo intercorrente tra la domanda giudiziale e la pronuncia del giudice), una nuova separazione possa essere chiesta solo per fatti successivi alla riconciliazione (Cass. 11523/1990: "La riconciliazione fra i coniugi - intesa quale situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza, mediante ripresa dei rapporti materiali e spirituali che, caratterizzando il vincolo del matrimonio ed essendo alla base del consorzio familiare, appaiono oggettivamente idonei a dimostrare una seria e comune volontà di conservazione del rapporto, a prescindere da irrilevanti riserve mentali - è fonte non soltanto di effetti processuali, preclusivi del giudizio di separazione in corso, ma altresì di effetti sostanziali, consistenti nel determinare l'inidoneità dei fatti ad essa anteriori - posti in essere durante la convivenza o la separazione di fatto - ad assumere autonomo valore giustificativo di una pronuncia di separazione personale, emessa su domanda successiva all'evento riconciliativo rimasto privo di esito definitivo, con la conseguenza che, ai fini di tale pronuncia e della valutazione dell'addebito, sono utilizzabili soltanto i fatti successivi all'evento medesimo, mentre quelli anteriori possono essere considerati al solo scopo di lumeggiare il contesto storico nel quale va operato l'apprezzamento in ordine all'intollerabilità della convivenza").

Ne deriva che tale "riconciliazione" successiva al divorzio non può non avere incidenza, quale fatto sopravvenuto, sulla richiesta di revisione dell'assegno divorzile, trattandosi in verità di una vera e propria sopravvenienza rispetto all'equilibrio anteriore, consegnato, per la sua regolazione, a un giudicato rebus sic stantibus, oramai non più capace di regolare il nuovo e modificato assetto di interessi post-coniugali.

E di conseguenza le istanze istruttorie formulate dal D. (ritrascritte nel presente ricorso), essenzialmente volte a dimostrare la effettiva "riconciliazione" (recte nuova convivenza) tra gli ex coniugi divorziati, tra il 2006 ed il 2014, avendo l'onere la parte che ha interesse a far accertare l'avvenuta riconciliazione dei coniugi di fornire "una prova piena e incontrovertibile " (cfr. Cass. 20323/2019), dovranno essere motivatamente valutate dal giudice di merito.

3. Anche il quarto motivo è fondato.

La domanda, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 di revoca o riduzione dell'assegno divorzile, già disposto in favore dell'altro coniuge, può sopravvenire anche al giudicato, annoverato nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, in quanto soggetto al perdurante adeguamento alle situazioni sopravvenute, essendo il titolo esecutivo giudiziale in materia di famiglia assistito da definitività equiparabile al giudicato, ma trattandosi di un giudicato del tutto peculiare (fra le altre, Cass. 2 luglio 2019, n. 17689; Cass. 30 luglio 2015, n. 16173), riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare attraverso un procedimento ad hoc, quale nella specie dettato della L. n. 898 del 1970, art. 9 per il divorzio.

Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 20495/2022), come già rammentato nel precedente paragrafo, ha di recente ribadito che, in sede di revisione dell'assegno divorzile, il giudice dovrà compiere la necessaria, complessiva, approfondita e comparativa valutazione tra le situazioni rilevanti di entrambi i coniugi, riferita a molteplici fattori, al fine dell'accertamento "di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, idoneo a modificare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale - integrante i "giustificati motivi" di cui è parola nell'art. 9 - necessario per procedere al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. 5 giugno 2020, n. 10647; Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119; Cass. 5 marzo 2019, n. 6386; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 13 gennaio 2017, n. 787; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. 25 agosto 2005, n. 17320)".

Si deve, dunque, verificare se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l'assetto patrimoniale in essere, nel qual caso il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all'attualità, senza che possa ritenersi per converso, sufficiente ex se il solo mutamento di giurisprudenza sulla funzione dell'assegno divorzile, ove quelle circostanze di fatto non siano mutate (Cass. 1119/2020).

Ora, nella specie, la circostanza sopravvenuta della consistente eredità, percepita nel 2015 dalla S., del valore accertato di Euro 630.000,00, incidente sull'incremento della capacità reddituale dell'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile, è stata del tutto trascurata dalla Corte di merito, essendosi ritenuto che tale indubbia circostanza sopravvenuta non fosse di "entità tale da modificare in modo sostanziale le condizioni valutate" in sede di divorzio, a fronte degli introiti annuali del D., ammontanti "a più del doppio dell'importo indicato", così dandosi unicamente rilievo al solo squilibrio economico tra le parti o all'elevato livello reddituale del coniuge obbligato.

Ma il fatto sopravvenuto, non contestato, giustificava invece la revisione dell'assegno divorzile da vagliare ormai alla luce dei principi giurisprudenziali attuali segnati dalle Sezioni Unite, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all'attualità. Questa Corte ha affermato che, ai fini dell'attribuzione dell'assegno L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6, occorre operare una valutazione concreta ed attuale della adeguatezza dei mezzi a disposizione dell'ex coniuge e dell'incapacità dello stesso di procurarseli per ragioni obiettive, fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, ma non disgiunta, bensì collegata causalmente con quella degli altri indicatori contenuti nella norma, al fine di accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all'atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell'assunzione di un ruolo trainante endofamiliare.

Nessun effettivo accertamento la Corte di merito ha operato circa l'inadeguatezza dei mezzi economici, l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, il contributo dato alla vita familiare, il rilievo sulla attuale situazione della richiedente.

4. I restanti motivi sono assorbiti.

5.Per tutto quanto sopra esposto, vanno accolti i primi quattro motivi di ricorso, assorbiti i motivi quinto e sesto, con cassazione con rinvio alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione per nuovo esame. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbiti i motivi quinto e sesto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati indentificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 febbraio 2023.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2023

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