Pubblicato il

Avvocato assiste più parti con stessa posizione, qual è il compenso?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.10367 del 17/04/2024

Come si quantifica il compenso dell'avvocato che assiste più parti con la stessa posizione processuale in un procedimento giudiziario?

A questa domanda risponde la Terza Sezione civile della Cassazione on la sentenza n. 10367 depositata il 17 aprile 2024.

Nel caso di specie, i familiari di un uomo deceduto in un incidente stradale hanno fatto causa per danni contro il responsabile e la compagnia assiurativa. La disputa legale si è protratta fino alla Cassazione, dove è stata discussa la corretta liquidazione delle spese legali nei vari gradi di giudizio.

La Cassazione, accogliendo parzialmente il ricorso, ha stabilito che l'avvocato che assiste più parti con la stessa posizione processuale, che siano attori, convenuti o terzi intervenuti, ha il diritto a ricevere un solo compenso.

Tale compenso tuttavia deve essere maggiorato del 30% per ogni soggetto dopo il primo, come stabilito dall’art. 4, co 2 del d.m. 55/2014, anche quando le richieste dei suoi assistiti coincidono in modo esatto.

La Corte precisa che la suddetta maggiorazione è obbligatoria per le prestazioni professionali concluse dopo il 23.10.2023, facoltativa per quelle concluse prima.

Il calcolo del compenso avviene in base alla natura delle pretese degli assistiti:

  • Se le richieste sono diverse tra loro, il calcolo parte dal compenso base per una parte, con una maggiorazione del 30% per i primi dieci clienti e del 10% dai successivi fino al trentesimo.
  • Se invece le pretese sono identiche, il compenso base si riduce del 30% e poi si applicano le maggiorazioni.

Infine la Cassazione sottolinea che il valore della causa preso in considerazione per il calcolo del compenso non è la somma delle richieste, ma il valore della domanda più elevata.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione civile, sez. III, ordinanza 17/04/2024 (ud. 20/12/2023) n. 10367

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1993 Nu.An. perse la vita in conseguenza di un sinistro stradale.

Nel 1999 la vedova (Me.Gi.) ed i quattro figli della vittima (Do.Nu. (n. il (Omissis)), Nu.Fr., Nu.Fi. e Nu.Vi.) convennero dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria Nu.Do. (n. il(Omissis)), Nu.Do. (n. il (Omissis)) e la società Bayerische Spa (che in seguito muterà ragione sociale in DARAG Spa), indicandoli rispettivamente quali conducente, proprietario ed assicuratore contro i rischi della r.c.a. del mezzo che aveva causato la morte di Nu.An., e chiedendone la condanna al risarcimento del danno.

2. Con sentenza 3.11.2008 n. 77 il Tribunale di Reggio Calabria, sezione di Melito Porto Salvo, accolse parzialmente la domanda, attribuendo alla vittima un concorso di colpa del 30%.

La sentenza fu appellata dagli attori.

L'appello fu proposto dai quattro figli della vittima anche nella qualità di eredi di Me.Gi., deceduta nelle more del giudizio.

3. Con sentenza 13.5.2020 n. 390 la Corte d'appello di Reggio Calabria accolse parzialmente il gravame, incrementando la stima del danno non patrimoniale.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte territoriale ritenne inoltre che:

-) correttamente fu attribuito alla vittima un concorso di colpa del 30%, a nulla rilevando a tal fine che Nu.Do. (n. nel (Omissis)), e cioè il conducente del veicolo antagonista, fosse stato condannato in sede penale per omicidio colposo;

-) Me.Gi. non aveva allegato né dimostrato l'esistenza d'un danno patrimoniale;

-) nessuno degli attori aveva dimostrato di avere patito un danno alla salute in conseguenza della morte del rispettivo marito e padre;

-) le spese dei due gradi di giudizio dovevano essere compensate per metà.

4. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione da tre degli originari appellanti (Nu.Vi., Nu.Fr.e Nu.Fi.), nonché da Ol.Ma., Nu.Gi., Nu.Pr. e Nu.Ti., dichiaratesi eredi di Do.Nu. (n. il (Omissis)) e "pure già eredi di Me.Gi.", con ricorso basato su quattro motivi.

Ha resistito la DARAG con controricorso.

Ambo le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. (si lamenta, in particolare, la violazione degli artt. 140-149 cod. strad.; nonché degli artt. 2043,2054,2697 c.c. e dell'art. 651 c.p.p.); sia dal vizio di omesso esame d'un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell'art. 360, n.

5, c.p.c. (nel testo modificato dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134).

L'illustrazione del motivo è così riassumibile:

-) il sinistro che costò la vita ad Nu.An. avvenne perché lo scooter da questi condotto venne urtato a tergo dall'autoveicolo condotto da Nu.Do.(classe (Omissis));

-) la Corte d'appello tuttavia ritenne di addossare un concorso colposo alla vittima, per avere incautamente iniziato una manovra di svolta a sinistra proprio mentre il veicolo proveniente a tergo si accingeva al sorpasso;

-) l'erroneità della ricostruzione della Corte d'appello "emergeva da una pluralità di elementi"di prova, ed in particolare dalla consulenza d'ufficio, dal rapporto di polizia giudiziaria e da alcune deposizioni;

-) in ogni caso la ricostruzione dei fatti compiuta dalla Corte d'appello era impedita dall'art. 651 c.p.p., in quanto in sede penale Nu.Do. era stato condannato con sentenza irrevocabile nella quale era stato escluso che la vittima avesse compiuto una manovra repentina per effettuare la svolta a sinistra.

1.1. Nella parte in cui lamenta la violazione di ben dieci norme diverse del codice della strada, nonché degli artt. 2043, 2054 e 2697 c.c. il motivo è inammissibile.

Lo stabilire, infatti, come sia accaduto un sinistro stradale e quale condotta abbiano tenuto i conducenti coinvolti costituiscono altrettanti accertamenti di fatto, non certo valutazioni in diritto. Come tali, essi sono riservati al giudice di merito ed insindacabili in questa sede.

1.2. Nella parte in cui lamenta la "contraddittorietà e vizio di motivazione" il motivo è infondato.

Per effetto della riforma dell'art. 360 n. 5 c.p.c., ormai risalente ad oltre dieci anni fa, non è più consentito impugnare per cassazione le sentenze di merito motivate in modo "insufficiente". Gli unici vizi motivazionali ancora censurabili in Cassazione sono solo quattro:

-) la mancanza assoluta di motivazione "sinanche come segno grafico";

-) la motivazione apparente;

-) il "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili";

-) la "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile".

Resta, invece, "esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di 'sufficienza'della motivazione" (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

Nella motivazione della sentenza appena ricordata, inoltre, si precisa che tutti i vizi motivazionali sopra indicati, per essere impugnati col ricorso per cassazione, debbono "risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali", e che comunque "l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti".

1.3. Nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso di specie. La Corte d'appello ha infatti ritenuto - in particolare e per quanto qui rileva - che la vittima, dovendo effettuare una svolta a sinistra, non segnalò la propria intenzione con sufficiente anticipo, né si si accertò se provenissero altri mezzi a tergo.

Poiché le suddette condotte sono vietate dall'art. 154 cod. strad., la motivazione non è erronea in punto di diritto, né mancante o contraddittoria. Nemmeno la motivazione potrebbe dirsi "apparente", dal momento che la Corte territoriale, dopo avere attribuito alla vittima la suddetta condotta, ha indicato la fonte del proprio convincimento, ravvisandola nelle "stesse emergenze probatorie" dalle quali la Corte ha desunto la responsabilità di Nu.Do., e cioè la consulenza d'ufficio, la consulenza del Pubblico Ministero e la deposizione in sede penale del testimone Mi..

Lo stabilire, poi, se quelle prove siano state rettamente interpretate, oppure consentissero altre e diverse valutazioni, non è questione discutibile nella presente sede.

1.4. Nella parte in cui lamenta la violazione dell'art. 651 c.p.p. il motivo è infondato per le ragioni di cui si dirà a proposito del secondo motivo di ricorso.

2. Col secondo motivo i ricorrenti sostengono che la Corte d'appello, attribuendo alla vittima un concorso di colpa, avrebbe "violato il giudicato penale" e l'art. 651 c.p.p., dal momento che nella sentenza penale di condanna di Nu.Do. (n. nel (Omssis)), ovvero il conducente dell'autoveicolo che urtò il mezzo condotto dalla vittima, sarebbe stato escluso qualsiasi concorso colposo della vittima stessa nella causazione del sinistro.

2.1. Il motivo è infondato.

Nei confronti del proprietario del veicolo (Nu.Do. n. (Omissis)) e della DARAG il motivo è infondato perché essi non furono citati quali responsabili civili nel processo penale, ed è loro inopponibile la decisione di condanna a carico di Nu.Do. (n. (Omissis)) (art. 651 c.p.p.).

L'inopponibilità, per la ragione appena esposta, della sentenza penale di condanna a Nu.Do. (n. nel (Omissis)) ed alla Darag è stata rilevata anche dalla Corte d'appello (p. 4, terzo capoverso) con statuizione non censurata.

2.2. Nei confronti del conducente dell'autoveicolo (Nu.Do., n. (Omissis)) il motivo è infondato perché il giudice penale non ha affatto accertato che la condotta colposa della vittima fu corretta. Si è limitato a rilevare non esservi prova di una condotta scorretta: affermazione rilevante in sede penale, ma insufficiente in sede civile, ove ciascuno dei conducenti coinvolti nello scontro è onerato dalla presunzione di colpa di cui all'art. 2054, comma secondo, c.c.. E la Corte d'appello ha per l'appunto rilevato, anche in questo caso con statuizione non impugnata, che correttamente il giudice di prime cure ha ritenuto che l'accertamento in sede penale della colpa di Nu.Do."non comportasse di per sé il superamento, in sede civile, della presunzione di colpa concorrente sancita dall'articolo 2054, comma due, c.c.".

3. Col terzo motivo è impugnata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la liquidazione del danno non patrimoniale dovesse essere contenuta nei limiti di quanto richiesto dagli attori con l'atto di citazione in primo grado.

Sostengono i ricorrenti che le cifre da essi richieste nell'atto di citazione erano "meramente indicative".

L'esposizione del motivo, non del tutto chiara, non sembra potersi interpretare in altro modo che il seguente:

-) nell'atto di citazione ciascuno dei danneggiati aveva chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno morale e di quello biologico, e per ciascuno di tali danni aveva indicato una somma ben precisa (100 milioni di lire);

-) la Corte d'appello quindi avrebbe dovuto considerare, quale limite alla pronuncia di condanna del solo danno morale, la sommatoria dei due valori indicati in citazione.

3.1. Il motivo è inammissibile in modo manifesto ex art. 366, nn. 4 e 6 c.p.c..

Dedure in sede di legittimità l'errore del giudice di merito nella interpretazione dell'atto di citazione, infatti, è un motivo di ricorso che, per usare le parole della legge, "si fonda" sull'atto del cui mancato esame il ricorrente si duole.

Quando il ricorso si fonda su un atto processuale, il ricorrente ha l'onere di "indicarlo in modo specifico" nel ricorso, a pena di inammissibilità (art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c.).

"Indicarlo in modo specifico" vuol dire, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte:

(a) trascriverne il contenuto (ovviamente nella sola parte che interessa ai fini dell'impugnazione), oppure riassumerlo, cioè riprodurlo (sempre per la parte che interessa) indirettamente in modo chiaro, precisando - ove necessario - la parte dell'atto cui l'indiretta riproduzione si riferisce;

(b) indicare in quale fase processuale sia stato prodotto;

(c) indicare, per consentirne alla Corte di cassazione il corretto riscontro, in quale fascicolo sia allegato, e con quale indicizzazione (in tal senso, ex multis, Sez. 6 - 3, Sentenza n. 19048 del 28/09/2016; Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015; Sez. U, Sentenza n. 16887 del 05/07/2013; Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011); onere che può essere assolto anche nei modi indicati da Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, e cioè mediante il deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo di merito presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

Di questi tre oneri, i ricorrenti hanno assolto solo il secondo. Il ricorso infatti non riassume né trascrive il contenuto della citazione in primo grado, né indica come siano stati indicizzati - e, dunque, dove siano localizzati in questo giudizio di legittimità - gli atti del cui erroneo esame ci si duole, né chiarisce, infine, in che termini furono precisate le conclusioni in primo grado; in che termini quelle conclusioni furono riproposte in appello, ed in che termini furono precisate le conclusioni nel giudizio di appello.

4. Col quarto motivo i ricorrenti censurano la liquidazione delle spese di ambo i gradi di merito.

Prospettano la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.; nonché degli artt. 4, commi 1 ed 1-bis, del d.m. 55/14, e sostengono che la Corte d'appello ha liquidato le spese in misura inferiore al minimo tabellare, per effetto di due errori:

a) non ha tenuto conto dell'effettivo valore della causa nell'individuare lo scaglione in base al quale stabilire la misura del compenso;

b) non ha applicato l'aumento previsto per l'ipotesi in cui l'avvocato assista più soggetti.

4.1. Sotto il primo profilo (individuazione dello scaglione di riferimento), i ricorrenti deducono che il valore della causa doveva essere determinato sommando i risarcimenti liquidati dalla Corte d'appello a ciascuno dei danneggiati: esso ascendeva dunque ad euro 437.013,79, e la liquidazione degli onorari sarebbe dovuta avvenire in base ai parametri previsti dal d.m. 55/14 per le cause di valore compreso tra 260.001,00 e 520.000,00 euro.

4.2. Sotto il secondo profilo deducono che la causa "è stata patrocinata dallo stesso avvocato per più soggetti aventi la stessa posizione processuale", circostanza che imponeva l'aumento del compenso unico "per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30%, ai sensi dell'art. 4, comma 2, d.m. 55/14.

4.3. La frequenza con la quale le questioni poste dagli odierni ricorrenti pervengono all'esame di questa Corte, in una con alcune oscillazioni che si registrano nella giurisprudenza di merito circa l'applicazione degli artt. 4 e 5 del d.m. 10.3.2014 n. 55 inducono il Collegio, prima di esaminare nel merito le due censure di cui al quarto motivo di ricorso, a richiamare brevemente le regole fondamentali in subiecta materia.

4.4. I princìpi generali che presiedono all'operazione di liquidazione delle spese dovute a victo victori sono due:

a) la quantificazione dipende dal valore della causa, ed il valore della causa "è determinato a norma del codice di procedura civile" (art. 5, comma primo, d.m. 10.3.2014 n. 55);

b) al soccombente non possono essere addossate spese superflue (art. 92, comma primo, primo periodo, c.p.c.).

Ciascuna di queste due regole comporta degli evidenti corollari.

4.5. La regola per cui il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato a carico del soccombente, "è determinato a norma del codice di procedura civile", ha per corollario che, nei processi litisconsortili, il valore della causa andrà determinato:

a) sommando il valore delle singole domande, quando debba applicarsi l'art. 10, comma secondo, c.p.c.;

b) ponendo a base del calcolo la sola domanda di valore più elevato, quando non trovi applicazione l'art. 10, secondo comma, c.p.c..

L'art. 10, secondo comma, c.p.c. (secondo cui le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro"), per pacifica giurisprudenza di questa Corte non trova applicazione nei casi di cumulo soggettivo facoltativo, tanto iniziale quanto successivo (art. 103 c.p.c.).

4.6. Le situazioni rilevanti ai fini della regolazione delle spese, e che possono dunque teoricamente verificarsi sono sei:

a) le domande proposte da un solo attore contro un solo convenuto si sommano tra loro, come stabilito dal combinato disposto degli artt. 10, comma secondo, e 104 c.p.c. (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 16318 del 26/07/2011);

b) la domanda principale e la domanda riconvenzionale si sommano tra loro (Sez. 2, Sentenza n. 6469 del 27/11/1982; Sez. 3, Sentenza n. 2238 del 21/06/1969);

c) le domande proposte da un solo attore contro più convenuti (ad es., nel caso di debitori solidali: litisconsorzio facoltativo passivo) non si sommano tra loro (Sez. 1, Sentenza n. 3968 del 27/11/1975);

d) le domande proposte da più attori contro un solo convenuto (litisconsorzio facoltativo attivo) non si sommano tra loro (Sez. 1 - , Ordinanza n. 18166 del 26/06/2023; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3107 del 06/02/2017, anche ai fini della liquidazione dei compensi professionali: Sez. L, Sentenza n. 8599 del 16/07/1992; Sez. 2, Sentenza n. 6236 del 24/10/1983, quest'ultima con ampia motivazione; Sez. L, Sentenza n. 6901 del 14/12/1982; Sez. 3, Sentenza n. 4711 del 25/08/1982; Sez. 3, Sentenza n. 2946 del 05/05/1980 Sez. 2, Sentenza n. 3149 del 20/11/1962).

Le domande proposte da più attori contro un solo convenuto, infatti, sono cumulate soltanto dal lato soggettivo, e vanno ritenute fra loro distinte ed autonome, anche agli effetti della liquidazione degli onorari (Sez. 2, Sentenza n. 6236 del 24/10/1983), dal momento che l'ipotesi è prevista dall'art. 103 c.p.c., il quale non richiama l'art. 10, comma secondo, c.p.c. (ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 3149 del 20/11/1962, Rv. 254645 - 01); tale consolidata conclusione, per quanto si dirà, è oggi confermata dall'art. 4, comma 4, d.m. 55/14; in tali ipotesi, pertanto, il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese processuali sarà quello della domanda di valore più alto (Sez. 2 - , Sentenza n. 26614 del 21/12/2016);

e) la domanda principale e quella di garanzia proposta dal convenuto nei confronti d'un terzo chiamato in causa non si sommano, ed il valore della causa va determinato in base al valore della domanda principale, anche se non coincidente col valore della domanda di garanzia (Sez. 3 - , Ordinanza n. 11742 del 15/05/2018; Sez. 2, Sentenza n. 4529 del 30/07/1984).

f) le domande proposte in via subordinata l'una all'altra non si sommano tra loro (Cass. civ., sez. II, 25-09-2018, n. 22711).

4.7. Stabilito, coi criteri appena indicati, quale debba essere il valore della causa da porre a base del calcolo di liquidazione dei compensi professionali, ed individuata la misura "base" della liquidazione, occorrerà procedere alle variazioni in aumento od in diminuzione imposte o consentite dalla legge.

Nei processi litisconsortili, per quanto in questa sede rileva, tali variazioni sono previste dall'art. 4, commi 2 e 4, d.m. 10.3.2014 n. 55.

4.7.1. La prima di tali norme stabilisce il principio c.d. "del compenso unico": vale a dire che l'onorario dovuto all'avvocato il quale ha difeso più parti "aventi la stessa posizione processuale" va liquidato una sola volta, come se avesse difeso una sola parte, e poi maggiorato di un tot percentuale per ciascuna parte assistita, fino ad un massimo di trenta (art. 4, comma 2, d.m. 55/14).

Questo principio antichissimo (fu stabilito già dall'art. 6 l. 13.6.1942 n. 794, e ribadito da tutti i successivi provvedimenti normativi di fissazione delle tariffe forensi) è un corollario dell'art. 92, comma primo (primo inciso), c.p.c., ed ha lo scopo di evitare che il soccombente possa essere costretto a rifondere alla parte vittoriosa spese inutilmente sostenute, od addirittura superiori a quelle da essa effettivamente sostenute (Sez. 2, Sentenza n. 18624 del 12/08/2010).

Il principio del compenso unico è rimasto fermo anche dopo l'abrogazione delle tariffe professionali (Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 21320 del 29/11/2012, Rv. 624241 - 01).

4.7.2. La seconda delle suddette previsioni (art. 4, comma 4, d.m. 55/14) prevede un temperamento alla regola per cui il "compenso unico" va maggiorato in proporzione al numero delle parti assistite. Stabilisce infatti che il compenso "altrimenti liquidabile" all'avvocato che ha assistito più parti debba ridursi fino al 30% se l'adempimento del mandato difensivo non ha comportato "l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto".

4.8. L'interpretazione ed il coordinamento di queste due norme solleva con frequenza incertezze al momento della loro applicazione pratica, che questa Corte ritiene doveroso dissipare.

Tre, in particolare, sono le questioni più frequentemente discusse:

a) cosa debba intendersi per "parti aventi la stessa posizione processuale";

b) se l'aumento per l'assistenza di più parti sia un obbligo od una facoltà per il giudice;

c) a quali condizioni e con quali modalità operi concretamente la riduzione di cui all'art. 4, comma 4, d.m. 55/14.

4.9. La prima questione (cosa debba intendersi per "parti aventi la stessa posizione processuale") va risolta affermando che per "parti aventi la stessa posizione processuale" debbano intendersi coloro che siano accomunati dalla posizione di attore, di convenuto o di interventore.

Tanto si desume dall'art. 4, comma 4, d.m. 55/14, il quale contempla l'ipotesi dell'avvocato che assista più parti le quali abbiano sì la medesima posizione processuale, ma la cui difesa comporti l'esame di identiche questioni.

Da questa previsione dunque è lecito argomentare, a contrario, che l'"identità di posizione processuale" di cui all'art. 4, comma 2, d.m. 55/14 non coincide con l'identità di questioni da esaminare e decidere.

Non può quindi condividersi quanto affermato da una parte della dottrina, secondo cui "identità di posizione processuale" vorrebbe dire identità di petitum e di causa petendi.

Se, infatti, due soggetti formulassero la medesima domanda fondandola sulle medesime ragioni, l'identità di "posizione processuale" finirebbe per coincidere con l'identità di domanda, e si priverebbe di senso l'art. 4, comma 4, d.m. 55/14, ove si ammette che possa esservi identità di posizione processuale, ma non di questioni da esaminare.

L'art. 4, comma 2, d.m. 55/14, in definitiva, riguarda in modo onnicomprensivo l'ipotesi in cui il medesimo difensore assiste parti che hanno la medesima posizione processuale formale: vuoi di attore, vuoi di convenuto, vuoi di interveniente, vuoi di terzo chiamato.

La regola ivi prevista si applica dunque a tutte queste ipotesi, con una sola eccezione: quella prevista dal comma 4, e cioè l'ipotesi in cui il medesimo avvocato assiste più parti che hanno sì la medesima veste formale (tutto attori, tutti convenuti, ecc.), ma la cui difesa richiede l'esame di distinte questioni di fatto o di diritto.

4.10. La seconda questione (se l'aumento per l'assistenza di più parti sia obbligatoria o facoltativo) è stata risolta dal legislatore: l'aumento previsto dall'art. 4, comma 2, d.m. 55/14 nel caso di assistenza di più parti deve applicarsi obbligatoriamente a tutte le prestazioni professionali completate dopo il 23.10.2023, in virtù del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera (b), 6 e 7 d.m. 13.8.2022, n. 147.

Per le prestazioni professionali completate prima dell'entrata in vigore di quest'ultimo decreto (avvenuta per l'appunto il 23.10.2023), invece, l'aumento poteva applicarsi "di regola", e dunque in base alle circostanze del caso.

"Di regola", tuttavia, non vuol dire né "ad arbitrio", né "a sensazione" del giudice. Se la regola era quella dell'aumento, e l'eccezione quella della misura standard, ciò vuol dire che mentre il giudice il quale avesse applicato l'aumento non aveva alcun obbligo di motivare la propria decisione, la scelta di non applicare l'aumento imponeva al giudice l'obbligo di indicare le ragioni per cui intese derogare alla regola generale.

4.11. La terza questione (come e quando si applichi la riduzione di cui al quarto comma dell'art. 4 d.m. 55/14) impone una distinzione. Il combinato disposto dei commi 2 e 4 dell'art. 4 d.m. 55/14 rende evidente che il legislatore ha inteso considerare quattro ipotesi.

4.11.1. La prima ipotesi è quella - alquanto rara e fors'anche improbabile, in virtù dell'obbligo per il difensore di evitare conflitti di interesse - dell'avvocato che assista più parti non aventi la medesima posizione processuale nel senso indicato: in tal caso è dovuto un compenso autonomo per ciascuna delle parti assistite, da calcolarsi sul valore della causa determinato secondo i criteri indicati supra, al precedente par 4.6 (si pensi, ad esempio, al difensore che assista una parte come attore o convenuto, e altra parte intervenuta o chiamata in causa). Si tratta, naturalmente, di una ipotesi che viene ridimensionata dall'esigenza che il mandato difensivo non venga esercitato in conflitto di interessi.

4.11.2. La seconda ipotesi è quella dell'avvocato che assiste più parti aventi la medesima posizione processuale (nel senso sopra indicato: tutti attori, tutti convenuti, ecc.), la cui difesa comporta l'esame di questioni di fatto e di diritto diverse, cioè "specifiche e distinte".

In tal caso è dovuto il compenso previsto per la difesa d'una sola parte, maggiorato delle percentuali indicate al comma 2 dell'art. 4 d.m. 55/14 (30% per ciascuna parte oltre la prima sino alla decima; 10% per ciascuna parte dall'undicesima alla trentesima).

4.11.3. La terza ipotesi è quella dell'avvocato che assiste più parti:

a) aventi la medesima posizione processuale, ma

b) la cui difesa comporta l'esame questioni di fatto e di diritto "non specifiche e non distinte", per usare le parole della legge.

La disciplina di questa ipotesi è sensibilmente mutata nel tempo.

Essa fu dettata per la prima volta (con formula tuttavia speculare capovolta rispetto a quella oggi vigente) dall'art. 5, comma 5, della Tariffa approvata con d.m. 2.4.1965 (in G.U. 29.4.1965 n. 107, Suppl. ord.), ove era previsto che "nella ipotesi che pur nella identità di posizione processuale dei vari clienti, la prestazione professionale comporti l'esame di loro situazioni particolari in fatto e diritto rispetto all'oggetto della causa, l'avvocato avrà diritto da parte dei clienti in tali situazioni al compenso secondo tariffa ridotto del 30 per cento".

Questa previsione rimase sostanzialmente immutata nelle Tariffe successivamente approvate coi dd.mm. 30.5.1969 (G.U. 19.6.1969 n. 153, Suppl. ord.); 25.5.1973 (G.U. n. 142 4.6.1973, Suppl. ord.); 23.12.1976 (G.U. n. 3 del 5.1.1977, Suppl. ord.); 24.11.1990, n. 392 (G.U. n. 297 del 21.12.1990).

Dinanzi all'espressa previsione secondo cui l'avvocato aveva diritto al compenso "da parte dei clienti", in passato questa Corte ritenne che l'avvocato il quale avesse assistito più parti, ma esaminando "situazioni particolari in fatto e diritto", avesse diritto "a separati compensi" da ciascun cliente: e dunque a tanti compensi quanti fossero stati i clienti, tutti però ridotti del 30% (Sez. 3, Sentenza n. 4563 del 07/12/1976).

4.11.4. Oggi, tuttavia, la disciplina della fattispecie è significativamente mutata in tre punti.

In primo luogo, a partire dalla Tariffa approvata con d.m. 5.10.1994, n. 585 (art. 5, comma 5) è scomparso il complemento d'agente "da parte dei clienti", sostituito dalla previsione per cui l'avvocato che assiste più parti, e che abbia dovuto esaminare "situazioni particolari", ha diritto al compenso "secondo tariffa".

In secondo luogo, sempre a partire dalla Tariffa approvata col d.m. 5.10.1994 n. 585, la diminuzione del compenso è prevista non più nel caso in cui l'avvocato, difendendo più parti, non abbia dovuto esaminare situazioni particolari di fatto "o" di diritto, ma solo nel caso in cui l'avvocato, difendendo più parti, non abbia dovuto esaminare situazioni particolari di fatto "e" di diritto.

In terzo luogo, con il d.m. 10.3.2014 n. 55, oggi vigente, la previsione per cui il compenso dovuto al difensore di più parti non va ridotto se l'avvocato abbia dovuto esaminare "situazioni particolari", è stata sostituita dalla ben diversa previsione - sempre evincibile a contrario, come s'è detto, dall'art. 4, comma 4 - secondo cui il compenso non va ridotto soltanto se l'avvocato abbia dovuto esaminare "specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto".

Queste modifiche escludono che possa darsi continuità al vecchio orientamento sopra ricordato (secondo cui l'avvocato il quale difenda più parti aventi identica posizione ha diritto a tanti compensi quanti sono i clienti, ridotti del 30%).

Le modifiche appena indicate inducono invece a ritenere che:

-) la regola generale è quella di cui all'art. 4, comma 2, d.m. 55/14: l'avvocato che difende più parti aventi la stessa veste processuale (tutti attori, tutti convenuti, ecc.), ma la cui difesa impone lo studio di questioni giuridiche e fattuali non coincidenti, ha diritto al compenso previsto per una sola parte aumentato nella misura ivi prevista;

-) l'eccezione a tale regola generale è prevista dall'art. 4, comma 4, d.m. 55/14: tale eccezione si verifica quando l'avvocato assiste più parti aventi la medesima posizione processuale (tutti attori, tutti convenuti, ecc.), e la cui difesa comporta lo studio di identiche questioni di fatto e di diritto.

Quest'ultima ipotesi, sul piano della disciplina del processo civile, finisce per coincidere con quella prevista dall'art. 103, primo, comma, ultima parte, c.p.c.: e cioè con la figura della c.d. connessione impropria.

Questa, dunque, una volta che si condivida l'esegesi sopra proposta della figura della identica posizione processuale, è l'unica situazione di cumulo soggettivo che finisce per essere sottratta alla regola dell'art. 4, comma 2, d.m. 55/14.

4.12. Dall'evoluzione normativa e dalla ricostruzione sistematica sin qui esposta si traggono i seguenti principi:

a) l'avvocato che assiste più parti aventi la medesima posizione processuale ha diritto ad un solo compenso, ma maggiorato ex art. 4, comma 2, d.m. 55/14, anche quando le pretese dei suoi assistiti siano esattamente coincidenti; la difesa di più parti, infatti, anche nel caso di identità di pretese comporta pur sempre l'onere di raccogliere plurime procure, fornire plurime informazioni, compilare plurime anagrafiche, ecc.;

b) la suddetta maggiorazione è obbligatoria per le prestazioni professionali concluse dopo il 23.10.2023, facoltativa per quelle concluse prima;

c) quel che cambia tra l'ipotesi in cui vi sia identità, e quella in cui vi sia differenza tra le pretese dei vari assistiti, è la misura del compenso standard su cui applicare la maggiorazioni previste dall'art. 4, comma 2, d.m. 55/14;

d) se le pretese dei vari assistiti sono diverse, a base del calcolo va posto il compenso che si sarebbe dovuto comunque liquidare per una sola parte, maggiorato del 30% per i primi dieci clienti, e del 10% dall'undicesimo al trentesimo;

e) se le pretese dei vari assistiti sono identiche in fatto ed in diritto, a base del calcolo va posto il compenso che si sarebbe dovuto comunque liquidare per una sola parte, ridotto del 30%, e quindi maggiorato come indicato sopra, sub (c); tale ipotesi si identifica, come s'è detto, con la c.d. connessione impropria di cui all'art. 103, primo comma, inciso finale, c.p.c.;

g) sia ai fini dell'applicazione del comma 2 che del comma 4, il valore della causa da porre a base del calcolo sarà dato non dalla sommatoria delle domande, ma dal valore della domanda più elevata.

5. Alla luce dei principi esposti nei par che precedono deve affermarsi la parziale fondatezza del quarto motivo di ricorso.

5.1. I ricorrenti hanno torto nel pretendere che le spese di lite dovessero liquidarsi assumendo quale valore della causa il cumulo delle condanne pronunciate dalla Corte d'appello.

Per quanto detto al par 4.6, infatti, il presente giudizio ha ad oggetto una ipotesi di litisconsorzio facoltativo iniziale, disciplinata dall'art. 103 c.p.c., sicché il valore della causa non andava determinato sommando le varie domande, ex art. 10, secondo comma, c.p.c., ma corrispondeva alla domanda (od alla condanna) di più elevato importo.

Inoltre, è palese che nell'ipotesi di vittime del medesimo fatto illecito che domandino il ristoro di danni, e che possono differenziarsi solo nel quantum, l'esistenza di una ragione di connessione per il titolo colloca la fattispecie nell'ambito del comma 2 dell'art. 4.

5.2. Nel caso di specie la condanna più elevata pronunciata dalla Corte d'appello è stata di euro 116.131,35, oltre interessi e rivalutazione dal 29.12.1993 (la decorrenza non è impugnata).

Il credito più elevato ascende dunque, cumulato degli accessori, ad euro 168.808,76.

Per una causa di tale valore il minimo tariffario ratione temporis applicabile era di euro:

-) 7.795,00 per il primo grado; -) 7.642,00 per l'appello.

5.3. La Corte d'appello ha determinato le spese del primo grado in euro 12.678,00 compensandone la metà, ed accordando agli attori il restante (euro 6.339,00). Una liquidazione dunque ben superiore al minimo.

5.4. Per il secondo grado la Corte d'appello ha determinato le spese di soccombenza in euro 6.780,00 compensandone la metà, ed accordando agli attori il restante (euro 3.390,00). In questo caso dunque la liquidazione è stata inferiore al minimo tabellare.

5.5. E' altresì fondata la censura prospettata nel quarto motivo di ricorso, nella parte in cui lamenta la mancata applicazione della maggiorazione in considerazione del numero delle parti.

Per quanto detto, infatti, l'art. 4, comma 2, d.m. 55/14 nel testo applicabile ratione temporis prevedeva che l'aumento costituisse la regola: sicché il giudice di merito non avrebbe potuto negarlo immotivatamente.

6. La ritenuta fondatezza del quarto motivo di ricorso non impone la Cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, liquidando per il secondo grado di giudizio a titolo di spese giudiziali la somma di euro 13.635,00, così determinata: -) valore della causa: 168.000,00 euro; -) compenso medio: 13.635,00 euro;

-) maggiorazione del 20% per ciascuna delle quattro parti oltre la prima, e dunque dell'80%.

Il totale è 24.543,00, che andrà ridotto della metà per effetto della compensazione del 50% disposta dal giudice di merito, con statuizione che non è stata impugnata in questa sede. Il risultato è dunque di euro 12.271,5.

7. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti, in considerazione sia del rilevante divario tra petitum e decisum, sia delle oscillazioni giurisprudenziali sull'interpretazione dell'art. 4 d.m. 55/14, sopra ricordate.

P.Q.M.

rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso;

accoglie il quarto motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna Nu.Do. (n. il (Omissis)), Nu.Do. (n. il (Omissis)) e la Darag Italia Spa, in solido, al pagamento in favore dei ricorrenti in solido del 50% delle spese del giudizio d'appello, importo che si liquida (già dimidiato) nella somma di euro 12.271,5, oltre contributo unificato, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55; tale importo si distrae in favore dell'avv. Giovanni Iozzo ex art. 93 c.p.c., come richiesto;

compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 20 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2024.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472