Procedimento disciplinare, difesa del lavoratore, decorrenza del termine, carattere perentorio, dies a quo

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.1164 del 11/01/2024

Procedimento disciplinare, difesa del lavoratore, decorrenza del termine, carattere perentorio, dies a quo

Al fine di garantire la difesa del lavoratore incolpato e la trasparenza dell'attività della Amministrazione datrice di lavoro, il termine per concludere il procedimento disciplinare inizia a decorrere dalla data in cui l'infrazione è stata acquisita per la prima volta dall'ufficio dei procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. Tale termine è di carattere perentorio, fissa il dies a quo per concludere il procedimento disciplinare e qualora venga superato, si verifica la decadenza dall'azione disciplinare.

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Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 11/01/2024 (ud. 19/10/2023) n. 1164

FATTI DI CAUSA


Il ricorrente si rivolse al Tribunale di Firenze, in funzione di giudice del lavoro, impugnando la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi, inflittagli da ESTAV CENTRO, alle cui dipendenze lavorava quale direttore dell'"area tecnica e patrimonio" e dal quale aveva ricevuto l'incarico di RUP (Responsabile Unico del Procedimento) in relazione all'acquisto di un compendio immobiliare che doveva essere previamente ristrutturato dalla società venditrice. Secondo il lavoratore, la sanzione disciplinare era da considerare illegittima, e quindi nulla, sia per vizi formali (mancato rispetto di termini decadenziali), sia per l'infondatezza degli addebiti mossigli dal datore di lavoro.

Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse la domanda del lavoratore, annullando la sanzione, ritenuta illegittima sotto entrambi i profili.

ESTAR - Ente di Supporto Tecnico - Amministrativo Regionale (nel frattempo subentrato a ESTAV CENTRO) propose appello, che venne respinto dalla Corte d'Appello di Firenze, ritenendo decisivo e assorbente il mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, del termine perentorio di legge per la conclusione del procedimento disciplinare.

Contro la sentenza della Corte territoriale ESTAR ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Il lavoratore si è difeso con controricorso. Entrambe le parti hanno altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis. 1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., "violazione e/o errata applicazione dell'art. 55-bis del D.Lgs. n. 165/2001: sulla individuazione del dies a quo per il computo del termine per la conclusione del procedimento disciplinare".

La Corte d'Appello di Firenze ha ritenuto irrilevante, perché non perentorio, il preciso rispetto del termine per la trasmissione degli atti all'Ufficio per il Procedimento Disciplinare (UPD) da parte del responsabile della struttura in cui lavora il dipendente incolpato. Ha invece concentrato la sua attenzione sul termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento, di cui ha accertato il mancato rispetto, sia considerando come data della "prima acquisizione della notizia dell'infrazione" (e quindi come dies a quo) il 20.12.2012, data in cui pervenne al responsabile della struttura una prima segnalazione del possibile illecito, sia spostando la data al giorno 28.1.2013, in cui il responsabile della struttura ricevette le relazioni tecniche disposte per verificare la fondatezza dei rilievi mossi sull'andamento dei lavori di ristrutturazione dell'immobile.

Per quanto riguarda la seconda ipotesi di decorrenza, poiché la sanzione disciplinare venne disposta il 30.5.2013, la Corte d'Appello ha correttamente conteggiato in 122 giorni la durata del procedimento disciplinare con "decorrenza … fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora" (così l'art. 52-bis, comma 4, del D.Lgs. n. 165 del 2001, nel testo all'epoca vigente).

Il ricorrente, da un lato, ribadisce che la prima notizia del possibile illecito non può essere fatta risalire alla segnalazione del 20.12.2012; dall'altro lato, sostiene che dies a quo per il calcolo del termine per la conclusione del procedimento disciplinare non può essere individuato neanche nel 28.1.2013, ma va ulteriormente spostato al 31.1.2013, data in cui il responsabile della struttura - nei tempi tecnici necessari per l'esame della cospicua documentazione pervenuta - trasmise gli atti all'UPD.

1.1. Il motivo è infondato.

1.1.1. Va innanzitutto precisato che trova applicazione, nel caso di specie, l'art. 55-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 nel testo vigente all'epoca dei fatti, prima delle modifiche apportate dall'art. 13 del D.Lgs. n. 75 del 2017, che - in forza dell'art. 22, comma 13, del medesimo decreto legislativo - si applicano agli illeciti disciplinari commessi successivamente all'entrata in vigore della modifica legislativa.

La disposizione di legge rilevante è dunque contenuta nell'ultima parte del testo previgente del comma 4 dell'art. 55-bis: "... la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora. La violazione dei termini di cui al presente comma comporta, per l'amministrazione, la decadenza dall'azione disciplinare …".

1.1.2. Trascurate, perché irrilevanti, le argomentazioni volte a negare che la "prima acquisizione della notizia dell'infrazione" possa essere fatta risalire al 30.12.2012, la questione di diritto che pone il ricorrente è se il dies a quo per la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento disciplinare vada individuato nel giorno in cui il responsabile della struttura in cui lavora il dipendente riceve tutta la documentazione necessaria per avere piena contezza della notizia dell'infrazione oppure solo dopo il tempo necessario al responsabile della struttura per completare l'esame di quella documentazione.

La tesi del ricorrente è infatti che il dies a quo vada spostato dal 28 al 31.1.2013, data in cui il responsabile della struttura trasmise gli atti all'UPD, perché quei tre giorni furono necessari al responsabile della struttura per leggere le relazioni dei periti ed esprimere a ragion veduta la propria valutazione in ordine alla rilevanza disciplinare dei fatti denunciati.

1.1.3. La tesi proposta dal ricorrente non può essere condivisa. Il testo della disposizione di legge è chiaro nel fare riferimento "alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione" e non a una diversa data in cui i documenti acquisiti vengono valutati dal responsabile della struttura.

A parte il dato testuale, la Corte d'appello ha giustamente osservato che "non si può certo valorizzare il momento in cui il Direttore Generale ha esaminato tali relazioni trattandosi di un dato del tutto soggettivo e non verificabile" (oltre a rilevare, in fatto, che il dipendente venne sollevato dall'incarico di RUP già il 29 gennaio, il che "induce a ritenere che certamente il 28 gennaio 2013 il datore di lavoro abbia avuto piena conoscenza dei fatti disciplinarmente rilevanti, non essendo in alcun modo chiarito e specificato quali ulteriori acquisizioni o indagini siano state compiute nei giorni successivi, fino al 31 gennaio 2013").

L'interpretazione proposta dal ricorrente comporterebbe una inaccettabile incertezza nell'individuazione del dies a quo, essendo del tutto soggettivo il giudizio sul tempo necessario per la valutazione della documentazione in cui è contenuta la "prima … notizia dell'infrazione". Infatti, il ricorrente - non essendoci altro criterio oggettivo - propone di fissare la data certa dell'effettiva conoscenza della notizia dell'illecito disciplinare nello stesso giorno della trasmissione degli atti dal responsabile della struttura all'UPD. Con il che, però, si giungerebbe a una sorta di  interpretatio abrogans della disposizione di legge che esprime chiaramente la volontà di distinguere la decorrenza del termine "per la contestazione dell'addebito", fissata nella data di ricezione degli atti da parte dell'UPD, dalla decorrenza del termine per la conclusione del procedimento, che "resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora".

1.1.4. Poiché si tratta di individuare solo il dies a quo del termine di 120 giorni per concludere il procedimento disciplinare e non il dies ad quem per la trasmissione degli atti all'UPD, la difficoltà, o anche l'impossibilità, per il responsabile della struttura di esaminare immediatamente, nello stesso giorno di ricezione, tutta la documentazione pervenuta non determina alcun problema di irrazionalità della decorrenza del termine perché impone adempimenti troppo gravosi od oggettivamente ineseguibili.

1.1.5. L'interpretazione qui preferita è in linea con quanto già statuito da questa Corte nel precedente citato dal ricorrente (Cass. n. 16900/2016), in cui è precisato che "le esigenze di celerità del procedimento funzionali alla difesa del lavoratore incolpato, e … la trasparenza dell'attività della Amministrazione datrice di lavoro ... sono garantite dal fatto che, ai sensi del comma 4 dell'art. 55-bis "la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento resta comunque fissata alla data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora"" (punto 22 della motivazione). E, ancora, che "la data di prima acquisizione della notizia dell'infrazione - dalla quale decorre il termine entro il quale deve concludersi, a pena di decadenza dall'azione disciplinare, il relativo procedimento - coincide con quella in cui la notizia è pervenuta all'ufficio per i procedimenti disciplinari o, se anteriore, con la data in cui la notizia medesima è pervenuta al responsabile della struttura in cui il dipendente lavora" (punto 35 della motivazione).

L'affermazione, in quella sentenza, che "il momento in cui la contestazione è effettuata coincide con il momento in cui la Amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza ed alla consistenza disciplinare della notizia e la consolida nell'atto di contestazione" (punto 54 della motivazione) si riferisce al ben distinto problema della individuazione del dies ad quem del diverso termine per l'emissione dell'atto di contestazione ed è volta a sancire il principio secondo cui la "comunicazione al lavoratore (dell'atto di contestazione) risulta, nel dettato della legge, estranea al potere dell'Amministrazione di adottare l'atto di contestazione entro il termine previsto, ed è stata collocata al di fuori della fase subprocedimentale che culmina, appunto, nella contestazione degli addebiti" (ivi).

In sostanza, la comunicazione dell'atto di contestazione al lavoratore interessato può intervenire anche dopo la scadenza del termine perentorio fissato per l'emanazione di quell'atto. Principio che non ha evidentemente nulla a che vedere con il diverso tema - qui in discussione - della fissazione del dies a quo del termine perentorio per concludere il procedimento disciplinare.

2. Il secondo motivo censura, sempre quale vizio da inquadrare nell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., "violazione e/o errata applicazione dell'art. 55-bis del D.Lgs. n. 165/2001, sotto altro profilo (illogicità manifesta); violazione dell'art. 2729 c.c.".

Il motivo è volto a contestare l'argomento, in fatto, con cui la Corte d'Appello ha ritenuto comunque provata la piena acquisizione della notizia di infrazione nel momento in cui il lavoratore venne rimosso dall'incarico di RUP (29.1.2013).

2.1. Il motivo è inammissibile, sia perché - ad onta dell'intitolazione sub art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - è volto a contestare un accertamento sul fatto, che compete al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità; sia perché il fatto contestato non è decisivo ai fini dell'esito del giudizio, essendo a tal fine sufficiente ed assorbente quanto osservato dalla Corte d'Appello, e qui avallato rigettando il primo motivo, in ordine alla corretta interpretazione della disposizione di legge che individua nella data di "prima acquisizione della notizia dell'infrazione" il dies a quo del termine per concludere il procedimento disciplinare.

3. Il terzo motivo è così rubricato: "art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e/o errata applicazione della legge n. 241/1990, dell'art. 10 del D.Lgs. n. 163/2006 e dell'art. 10 del D.P.R. 207/2010".

4. Infine, il quarto motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., "violazione e/o errata applicazione dell'art. 8 del CCNL 6.5.2010 Area dirigenza SPTA; sul criterio di proporzionalità".

5. Questi due ultimi motivi sono diretti a censurare la sentenza del Tribunale di Firenze, nella parte in cui ha annullato la sanzione disciplinare, non solo per motivi formali, ma anche per avere ritenuto infondate le contestazioni disciplinari mosse al lavoratore.

Vanno quindi trattati congiuntamente e dichiarati inammissibili, per effetto dell'esito sfavorevole dei primi due motivi, che preclude un nuovo esame della fondatezza nel merito della sanzione disciplinare. Ciò fermo restando che, non essendosi pronunciata sul punto la Corte d'Appello (che ha ritenuto assorbita la relativa questione), la parte soccombente non era tenuta (né legittimata) a ricorrere per cassazione in parte qua, perché l'eventuale accoglimento del ricorso sui motivi formali avrebbe comportato il rinvio al giudice del merito su ogni aspetto della controversia, anche sulle questioni dichiarate assorbite, sulle quali non può formarsi il giudicato (Cass. nn. 15583/2014, 11371/2006, 4424/2001).

6. Respinto il ricorso, le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

7. Si dà atto che, in base all'esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito;

ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria l'11 gennaio 2024.

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