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Guard rail difettoso, in quali casi risponde la Pa?

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.11950 del 03/05/2024

La pubblica amministrazione è responsabile in caso di danni causati da un guard rail in un sinistro stradale?

Sulla questione interviene la Sezione Seconda civile della Casazione con l'ordinanza n. 11950 del 3 maggio 2024.

Il caso in esame riguarda un incidente stradale in cui un’automobile ha perso il controllo a causa dell'elevata velocità e si è scontrata con un guardrail difettoso. Gli eredi del conducente citato in giudizio l'Anas Spa, sostenendo che il difetto del guardrail ha contribuito significativamente al sinistro e alle tragiche conseguenze.

La Suprema Corte ricorda che la pubblica amministrazione è responsabile per i danni causati da difetti nella manutenzione delle strade se non verifica e mantiene adeguatamente le barriere stradali, come i guardrail. La responsabilità può derivare sia dalla violazione di norme specifiche che impongono standard di sicurezza per le barriere stradali, sia dalla violazione delle regole generali di prudenza. Inoltre, la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada si estende anche agli elementi accessori, come i guardrail. La loro presenza adeguata può prevenire o attenuare gli incidenti.

Nella vicenda in oggetto, la Corte d'Appello di Bologna ha dichiarato la corresponsabilità di Anas Spa nella misura del 30% nella causazione del sinistro, condannando l'ente a risarcire i danni. La corte ha stabilito che il guardrail, privo della parte terminale arrotondata e discontinuo, ha aggravato le conseguenze dell'incidente. Anas Spa ha contestato la decisione sostenendo che il tratto di strada fosse di proprietà del Comune e che la condotta del conducente fosse l'unica causa dell'incidente. Tuttavia, la Cassazione ha respinto il ricorso, evidenziando che la mancanza di adeguata manutenzione e la discontinuità del guardrail hanno avuto un ruolo determinante nell'incidente.

In conclusione la Cassazione ha confermato che la pubblica amministrazione è corresponsabile per i danni derivanti dalla mancata manutenzione delle barriere stradali. La decisione sottolinea l'importanza di rispettare sia le norme specifiche che le regole generali di prudenza per garantire la sicurezza degli utenti della strada. In questo caso, l’ente pubblico ha violato i suoi doveri di manutenzione, contribuendo così al tragico esito dell’incidente.

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Cassazione civile, sez. III, ordinanza 03/05/2024 (ud. 24/04/2024) n. 11950

FATTI DI CAUSA


1. Pe.Pa., Pe.El., Pe.Im. e Pi.An. (rispettivamente genitori e sorelle di Pe.Sa.) convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale civile di Modena, l'Anas Spa, per sentirne accertare la responsabilità nella misura del 30-35% nella causazione del sinistro stradale occorso in data 5 marzo 2000 sulla tangenziale M, nei pressi dell'uscita n. (Omissis), nel quale avevano perso la vita Pe.Sa. e Be.Pa. ed era rimasta ferita un'altra trasportata. Esponevano gli attori che l'incidente si era verificato a causa dell'elevata velocità cui procedeva l'autovettura, condotta da Pe.Sa., ma che concausa del tragico evento era stata l'anomalia della barriera guardrail in quel tratto di strada - priva della parte terminale arrotondata e non continua - che era penetrata nell'abitacolo dell'autovettura provocando la morte dei due che occupavano i sedili anteriori.

Si costituiva in giudizio Anas Spa, domandando il rigetto della domanda attorea sulla base dell'asserita responsabilità esclusiva del conducente, che, non avendo osservato il limite di velocità presente su quel tratto di strada rettilinea, aveva causato da solo l'incidente e le nefaste conseguenze derivate.

Acquisito in originale il rapporto redatto dalla Polizia Municipale del Comune di M (e relativi rilievi fotografici) e respinte le istanze istruttorie articolate dalle parti, il giudice di primo grado, con sentenza n. 1295/09, respingeva la domanda attorea.

Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponevano impugnazione gli eredi di Pe.Sa.

Si costituiva in giudizio Anas Spa, ribadendo le considerazioni già svolte in primo grado.

La corte territoriale disponeva c.t.u. demandando al perito di accertare quale fosse, anche in via di approssimazione, la velocità dell'autovettura condotta dal Pe.Sa. al momento del sinistro e di accertarne la dinamica ipotizzabile in via presuntiva ove in loco fosse stato presente un guardrail privo dell'interruzione esistente all'epoca dei fatti.

A seguito dell'acquisizione della documentazione trasmessa dall'Anas al perito, l'ente sollevava eccezione di carenza di legittimazione passiva, sul rilievo che la barriera guardrail in contestazione insisteva su un tratto di strada di proprietà (non di Anas Spa, ma) del Comune di M. Tale eccezione veniva riproposta in sede di comparsa conclusionale nel giudizio di appello.

La Corte d'appello di Bologna, con sentenza n. 2624/2020, respinta l'eccezione di carenza di legittimazione passiva, in parziale accoglimento dell'appello, dichiarava la corresponsabilità a carico della convenuta Anas nella misura del 30% nella causazione del sinistro e condannava l'ente a corrispondere, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subito, la somma di complessive Euro 99.824,09, in favore di ciascuno dei genitori, la somma di complessive Euro 31.943,71, in favore di Pe.Im. e la somma di complessive Euro 15.971,85 in favore di Pe.El., oltre interessi legali dalla data della decisione all'effettivo soddisfo ed oltre alle spese processuali e di ctu.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso Anas Spa

Hanno resistito con controricorso gli originari attori, eredi di Pe.Sa.

Per l'odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre i Difensori di entrambe le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive ragioni.

Il Collegio si è riservato di depositare la motivazione della decisione entro il termine di sessanta giorni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Alla disamina dei motivi di ricorso si premette quanto segue.

1.1. In punto di fatto, è risultato accertato nel giudizio di merito che lo sfortunato "...Pe.Sa., procedendo lungo la tangenziale Sud, con direzione S-M, in prossimità dell'uscita n. (Omissis) per C, perdeva il controllo del mezzo a causa della velocità e, sbandando verso destra, collideva: dapprima, con lo spigolo destro, contro la parte terminale del primo tratto di guardrail, proseguendo la sua corsa lungo il varco esistente nella barriera guardrail, ed impattava con la fiancata sinistra, all'altezza della portiera anteriore sinistra, contro la parte iniziale del secondo tratto di guardrail, la cui lamiera penetrava all'interno dell'abitacolo del veicolo, fuoriuscendo in diagonale all'altezza della portiera posteriore destra".

1.2. In punto di diritto, come è noto, i guardrail (detti anche barriere stradali o barriere di contenimento stradale) sono dispositivi di sicurezza stradale che: possono presentarsi in diversi formati a seconda delle necessità del luogo in cui vengono installati; sono classificabili in diverse categorie a seconda della loro destinazione e ubicazione; ma hanno sempre come funzione fondamentale: da un lato, di impedire a un veicolo di uscire dalla carreggiata, agendo come una barriera protettiva; dall'altro, di evitare collisioni frontali, prevenendo la possibilità che i veicoli sbandino nella corsia opposta. Nel nostro ordinamento, la progettazione, la validazione e l'installazione delle barriere stradali di sicurezza ha formato oggetto, dapprima, del D.M. n. 223 del 1992 e, poi, dal D.M. n. 2367 del 2004, successivamente integrato da diverse circolari. Attualmente, i guardrail installati in Italia e in tutta l'Unione Europea sono tenuti al rispetto dei criteri stabiliti dalla norma armonizzata UNI EN 1317.

In tema di responsabilità civile della pubblica amministrazione per la manutenzione di una strada, sotto il profilo dell'omessa predisposizione delle opere accessorie laterali alla sede stradale, questa Corte ha precisato che:

- le regole di comune prudenza e le disposizioni regolamentari in tema di manutenzione delle strade pubbliche non impongono al gestore, in base al rapporto di custodia, o comunque al principio del neminem laedere, l'apposizione di una recinzione dell'intera rete viaria, mediante guardrail, anche nei tratti oggettivamente non pericolosi, al fine di neutralizzare qualsivoglia anomalia nella condotta di guida degli utenti (Cass. n. 15723/2011);

- la circostanza che l'adozione di specifiche misure di sicurezza non sia prevista da alcuna norma astrattamente riferibile ad una determinata strada non esime la P.A. medesima dal valutare comunque, in concreto, ai sensi dell'art. 14 del codice della strada, se quella strada possa costituire un rischio per l'incolumità degli utenti, atteso che la colpa della prima può consistere sia nell'inosservanza di specifiche norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole generali di prudenza e di perizia (colpa generica) (Cass. n. 10916/2017);

- la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende anche agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale, sicché, ove si lamenti un danno derivante dalla loro assenza (o inadeguatezza), la circostanza che alla causazione dello stesso abbia contribuito la condotta colposa dell'utente della strada non è idonea ad integrare il caso fortuito, occorrendo accertare giudizialmente la resistenza che la presenza di un'adeguata barriera avrebbe potuto opporre all'urto da parte del mezzo (Cass. n. 26527/2020).

Questa Corte ha altresì precisato che: a) la P.A. che, pur avendo collocato una barriera laterale di contenimento per diminuire la pericolosità di un tratto stradale, non curi di verificare che la stessa non abbia assunto nel tempo una conformazione tale da costituire un pericolo per gli utenti ed ometta di intervenire con adeguati interventi manutentivi al fine di ripristinarne le condizioni di sicurezza, viola sia le norme specifiche che le impongono di collocare barriere stradali nel rispetto di determinati standard di sicurezza, sia i principi generali in tema di responsabilità civile (Cass. n. 22801/2017); b) la responsabilità della pubblica amministrazione per una res che presenti un vizio costruttivo o manutentivo che la renda inidonea alla funzione protettiva cui dovrebbe assolvere può derivare non solo dall'inosservanza di specifiche norme prescrittive di standard di sicurezza, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza (Cass. n. 25925/2019).

2. Ciò posto, Anas Spa articola in ricorso tre motivi.

2.1. Con il primo motivo l'ente ricorrente denuncia. " Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. per avere la Corte di Appello di Bologna dapprima non esaminato le prove documentali ritualmente prodotte dalla società appellata, acquisite in atti, e poi rigettato l'eccezione sulla carenza della legittimazione passiva dell'Anas Spa, per essere il tratto stradale di proprietà del Comune di M, ritenendo che l'eccezione in questione fosse riferita al merito e dunque inammissibile perché nuova".

Si duole che la corte territoriale ha rigettato la sua eccezione di carenza di legittimazione passiva sul rilievo che: "...la questione sollevata è relativa alla titolarità del rapporto dedotto in causa, non alla legittimazione ad agire e, attenendo al merito, avrebbe dovuto essere oggetto di allegazioni e difese delle parti" per aggiungere che l'Ente avrebbe implicitamente "affermato la titolarità passiva del rapporto giuridico oggetto di causa".

Sostiene che: a) siffatta prospettazione è del tutto erronea ed in evidente contrasto con il principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 2951/2016, secondo la quale il difetto di titolarità dal lato passivo del rapporto controverso è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio; b) la corte territoriale avrebbe incomprensibilmente ed erroneamente ritenuto inammissibili, perché nuove, le difese da esso svolte nel giudizio di appello; c) la stessa corte avrebbe erroneamente omesso di esaminare la documentazione acquisita a seguito della ctu espletata in grado di appello, dalla quale (il riferimento era ad una delibera consiliare, a tre delibere della giunta comunale, nonché alla missiva 8 agosto 2019 del Dirigente del Comune di M) era risultato che il tratto stradale, teatro del sinistro, fosse di proprietà (non di esso ente, ma) del Comune di M (il quale, accollandosi tutti i relativi oneri, ne aveva acquisito la proprietà mediante esproprio ed aveva installato le barriere di protezione, delle quali, tuttavia, solo in data successiva al sinistro, aveva deliberato l'adeguamento).

Il motivo è infondato.

In primo luogo, la Corte territoriale, nel respingere l'eccezione preliminare di carenza di legittimazione dell'Anas, non ha omesso l'esame di alcun fatto storico, principale o secondario, controverso tra le parti e decisivo per il giudizio; ma ha esaminato l'eccezione sollevata dall'Anas, definendola in rito ed osservando che la questione, sottesa all'eccezione, contrariamente a quanto sostenuto dall'ente, non era relativa alla legittimazione ad agire, ma era relativa alla titolarità passiva del rapporto dedotto in causa.

D'altronde, la corte di merito ha osservato che la suddetta questione, in quanto atteneva al merito (cioè alla fondatezza della domanda attorea), avrebbe dovuto essere oggetto di allegazione e difesa fin dal giudizio di primo grado; mentre in quel giudizio l'ente non aveva contestato la sussistenza del rapporto di custodia (presupposto dall'art. 2051 c.c.), ma aveva soltanto contestato l'imputabilità del sinistro stradale (con riferimento specifico alla insussistenza del nesso causale tra il fatto addebitato ed il danno), dando per presupposto e quindi incontestato il rapporto di custodia e, con esso, la titolarità passiva del rapporto giuridico oggetto di causa (e, dunque, sostenendo una difesa incompatibile con la negazione della proprietà della strada).

Tale ratio inammissibilmente non è stata censurata dall'ente ricorrente.

Infondata, se ed in quanto non preclusa dal visto dirimente e non efficacemente contestato rilievo di inammissibilità da tardività, è anche la censura concernente l'omesso esame della documentazione acquisita dal ctu.

Occorre al riguardo rilevare che, come di recente statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 3086/2022), il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, ma non può acquisire documenti diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare, come per l'appunto la documentazione attestante la proprietà della strada e, nel caso, quella idonea ad inficiare quella che, fino a quel momento, sul punto era stata l'univoca impostazione di entrambe le parti, compresa quella interessata a contestarla.

Tale documentazione, pertanto, correttamente non è stata presa in considerazione dalla corte territoriale.

2.2. Con il secondo motivo, che articola in via gradata e subordinata, per l'ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo di ricorso, l'ente ricorrente denuncia: "Nullità della sentenza o del procedimento per omessa motivazione della decisione impugnata per violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Costituzione in relazione all'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. per omesso esame, in seno alla motivazione addotta dal Giudice a quo, di elementi di prova aventi natura documentale e di contenuto incompatibile con la decisione assunta.

Illogicità manifesta e contraddittorietà della motivazione resa dalla Corte di Appello di Roma sempre in relazione agli artt. 132 c.p.c., 111 Costituzione e 360 co. 1 n. 4 c.p.c., per avere il Giudice a quo posto a fondamento della propria decisione un assunto contrastante con la decisione assunta".

Censura la sentenza impugnata per essere la stessa priva di una reale motivazione, nella parte in cui ha affermato che: "doveva escludersi ... che la causa remota, costituita dalla condotta di guida tenuta dal Pe.Sa. (velocità ed impatto contro il guardrail) fosse connotata da peculiarità tali da porsi come antecedente imprevedibile né da sola era idonea a determinare l'evento, che non si sarebbe verificato se, ove la barriera di protezione fosse stata continua ed in buono stato di manutenzione".

Sottolinea che dall'espletata attività istruttoria è risultato provato che: a) il sinistro si era verificato per colpa del defunto che viaggiava ad una velocità più che eccessiva (125/130 km/h in un tratto stradale in cui vigeva il limite dei 70 km/h); b) come correttamente osservato dal giudice di primo grado, la velocità abnorme della vettura aveva assunto una esclusiva rilevanza causale rispetto all'evento "ed interrompe, come causa sopravvenuta, il nesso causale tra la ipotetica anomala installazione o interruzione della barriera di protezione e le tragiche conseguenze dell'evento stesso"; c) "il sinistro è avvenuto in un tratto rettilineo della tangenziale (quindi non pericoloso)".

Osserva che, come precisato da questa Corte (Cass. n. 15723/2011, ribadita da Cass. n. 13187/2015 e da Cass. n. 9315/2019), "le regole di comune prudenza e le disposizioni regolamentari in tema di manutenzione delle strade pubbliche non impongono al gestore ... l'apposizione di una recinzione dell'intera rete viaria, mediante guardrail, anche nei tratti oggettivamente non pericolosi, al fine di neutralizzare qualsivoglia anomalia nella condotta di guida degli utenti".

Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto sostiene dal ricorrente, la Corte territoriale, ben lungi dall'incorrere nel denunciato difetto motivazionale, è pervenuta ad accogliere l'appello degli eredi dello sfortunato Pe.Sa. ad esito di un articolato iter motivazionale, scevro da vizi logici e giuridici.

La corte di merito, invero, "avuto riguardo alla preponderante gravità della condotta di guida tenuta da Pe.Sa., considerata l'entità del superamento dei limiti di velocità consentiti nel tratto di strada", teatro del sinistro, è giunta ad affermare la corresponsabilità dell'ente convenuto, argomentando sul fatto che: "La discontinuità del guardrail, costituito da due segmenti separati da un ampio varco di circa 8/9 metri e le caratteristiche della barriera di protezione in questione, priva in particolare di arrotondamento nella parte iniziale nel secondo tratto, hanno concorso in modo evidente nella causazione del sinistro: a causa dell'interruzione della barriera stradale, questa non solo non è stata in grado di assolvere alla funzione contenitiva, ma è divenuta essa stessa causa diretta dell'evento mortale, determinando l'intrusione del segmento del secondo tratto di guardrail nell'abitacolo del veicolo".

E tanto è stato affermato sulla base di un giudizio di fatto non implausibile, né viziato (nei termini precisati dalla Sezioni Unite con sentenza n. 8053/14) e quindi incensurabile nel presente giudizio di legittimità.

In definitiva, nel solco tracciato dalla giurisprudenza sopra richiamata, il ricorso viene quindi deciso sulla base dei seguenti principi di diritto:

"La P.A. che, pur avendo collocato una barriera laterale di contenimento per diminuire la pericolosità di un tratto stradale, non curi di verificare che la stessa non abbia assunto nel tempo una conformazione tale da costituire un pericolo per gli utenti ed ometta di intervenire con adeguati interventi manutentivi al fine di ripristinarne le condizioni di sicurezza, viola sia le norme specifiche che le impongono di collocare barriere stradali nel rispetto di determinati standard di sicurezza, sia i principi generali in tema di responsabilità civile".

2.3. Con il terzo motivo, che indica connesso al primo, l'ente ricorrente denuncia: "Violazione o falsa applicazione dell'art. 2051 cc in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per avere il Giudice d'appello erroneamente interpretato ed applicato la disciplina di cui ai danni cagionati dalle cose in custodia" anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni.

L'ente ricorrente, ribadito che la condotta di guida abnorme del Pe.Sa. doveva considerarsi quale evento non prevedibile secondo una valutazione prognostica ex ante, appare ineccepibile, richiama il principio di diritto (affermato da Cass. n. 6516/2004 e da Cass. n. 15710/2002), secondo il quale "per aversi responsabilità civile della p. a. nella manutenzione di una strada... occorre l'oggettiva imprevedibilità ed invisibilità del pericolo... e ciò rimane senz'altro escluso in presenza di una condotta abnorme dell'utente della strada, come... un errore di guida da atteggiarsi a fortuito, che altera il normale sviluppo della regolarità causale, tale da assumere efficienza causale esclusiva nella determinazione dell'evento dannoso".

Quanto al valore del posizionamento del guardrail successivo al sinistro, richiama quanto esposto dal giudice di primo grado, secondo il quale (pag. 6) "tale comportamento, anche qualora effettivamente posto in essere (non vi sono riscontri alla osservazione del consulente di parte), non appare costituire espressione di tardiva ammissione di propria responsabilità da parte dell'ente convenuto, quanto piuttosto espressione della volontà di impedire che in futuro possano ripetersi sinistri quali quello che ci occupa, in ordine ai quali - attesa la esistenza di un precedente - non avrebbe potuto invocarsi la esimente della imprevedibilità del fatto".

Il motivo è infondato.

Questa Corte, con ordinanza 01/02/2018, n. 2482 (e, nello stesso senso, con ordinanze nn. 2479 e 2480 del 2018) ha avuto modo di precisare che:

"In tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost., sicché, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l'esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro".

Tale principio di diritto - successivamente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 27724/2018; n. 20312/2019; n. 38089/2021; n. 35429/2022; nn. 14228 e 21675/2023), anche a Sezioni Unite (Cass. n. 20943/2022) - è stato poi ancor più di recente riaffermato, statuendosi (Cass. n. 11152/23) che la responsabilità ex art. 2051 c.c. ha natura oggettiva - in quanto si fonda unicamente sulla dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, non già su una presunzione di colpa del custode - e può essere esclusa:

a) dalla prova del caso fortuito (che appartiene alla categoria dei fatti giuridici), senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure

b) dalla dimostrazione della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo (rientranti nella categoria dei fatti umani), caratterizzate, rispettivamente, la prima dalla colpa ex art. 1227 c.c. (bastando la colpa del leso: Cass. n. 21675/2023) o, indefettibilmente, la seconda dalle oggettive imprevedibilità e imprevenibilità rispetto all'evento pregiudizievole.

In particolare, questi ultimi concetti vanno intesi, come già chiarito, non nel senso della assoluta impossibilità di prevedere l'eventualità di una condotta imprudente, negligente o imperita della vittima (che è, ovviamente, sempre possibile), ma nel senso del rilievo delle sole condotte "oggettivamente" non prevedibili secondo la normale regolarità causale, nelle condizioni date, in quanto costituenti violazione dei doveri minimi di cautela la cui osservanza è normalmente prevedibile (oltre che esigibile) da parte della generalità dei consociati e la cui violazione, di conseguenza, è da considerarsi, sul piano puramente oggettivo della regolarità causale (non quindi, con riferimento al piano soggettivo del custode), non prevedibile né prevenibile.

I principi di diritto sin qui esposti risultano, nella loro sostanza, espressamente richiamati, condivisi e fatti propri dalla corte d'appello, nella decisione impugnata.

Invero, la corte - dopo aver rilevato che non può essere condotta abnorme quella del conducente che impatta violentemente contro il guardrail, il quale è funzionalmente posto ad attutire le conseguenze degli impatti violenti; e che, come accertato dal ctu, "è più probabile che non" che l'autovettura non potesse sfondare un guardrail in buono stato di manutenzione e continuo, per cui "diverse sarebbero state le conseguenze derivanti dall'urto contro una barriera integra e in buono stato di manutenzione" - facendo buon governo dei principi affermati da questa Corte in tema di concorso di cause, da un lato, ha affermato che: "la mancanza di continuità della barriera guardrail nel tratto di strada interessato ha consentito il verificarsi del sinistro, aggravando in concreto le conseguenze dannose, ponendosi, dunque, come condizione necessaria dell'evento" e, dall'altro, ha escluso che "la causa remota, costituita dalla condotta di guida tenuta dal Pe.Sa. (velocità ed impatto contro il guardrail), fosse connotata da peculiarità tali da porsi come antecedente imprevedibile né da sola era idonea a determinare l'evento, che, non si sarebbe verificato, ove la barriera di protezione fosse stata continua e in buono stato di manutenzione".

La piena conformità della conclusione della corte territoriale ai principi sopra ricordati, applicati in esito a ricostruzioni fattuali non sindacabili in quanto tali nella presente sede di legittimità (siccome scevre da evidenti vizi logici o giuridici), conduce alla conclusione di infondatezza delle doglianze dell'ente ricorrente.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, secondo la complessiva liquidazione in favore dei controricorrenti operata in dispositivo, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell'importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

La Corte:

- rigetta il ricorso;

- condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in complessivi Euro 6600 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge;

- ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto;

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2024, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2024.

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