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Mutui, clausola Euribor nulla solo se c’è consapevolezza dell’istituto

Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.12007 del 03/05/2024

Il riferimento all’Euribor in un contratto di mutuo diventa illecito solo se le parti, o almeno una di esse, sono consapevoli di riferirsi a un parametro alterato da pratiche anticoncorrenziali. Se non vi è coinvolgimento o consapevolezza dell'istituto, la clausola non è nulla; tuttavia, può essere considerata parzialmente nulla se l'alterazione del parametro ha inciso sul contratto specifico e il tasso "genuino" non è ricostruibile.

Lo ha stabilito la Terza Sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 12007 depositata il 3 maggio 2024, richiamando la precedente ordinanza n. 34889 del 13 dicembre 2023.

In assenza di prova della consapevolezza di tali intese e/o pratiche anticoncorrenziali, non si può considerare il contratto come stipulato in "applicazione" di tali intese, escludendo quindi la nullità delle clausole che fanno riferimento all’Euribor. La sentenza stabilisce anche che le clausole possono essere viziate da parziale nullità qualora sia dimostrato che l'Euribor sia stato alterato da pratiche illecite per un certo periodo, impedendo così una determinazione effettiva del parametro come presupposto dal contratto.

Inoltre, la Corte ha affermato che in caso di un accordo negoziale complesso in cui la somma concessa a mutuo sia immediatamente restituita alla mutuante, non sussiste un'obbligazione attuale di restituzione da parte del mutuatario fino a quando la somma non sia svincolata a suo favore, rendendo necessario un ulteriore atto formale per l’esecuzione.

Questi principi servono a proteggere i contraenti e le regole della libera concorrenza, adeguatamente bilanciando gli interessi legali e contrattuali nel contesto di pratiche anticoncorrenziali nel settore bancario.

Contratti di mutuo, clausole relative al tasso Euribor, necessità della conoscenza di intese illecite restrittive e della volontà di conformare il contratto a dette pratiche, assenza dei detti requisiti, conseguenze

I contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell’intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in “applicazione” delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE.

Le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l’impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell’Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal contratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell’oggetto della clausola sul tasso di interesse.

In tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l’Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l’alterazione concreta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore “genuino”, cioè depurato dell’abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell’ordinamento.

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Cassazione civile, sez. III, sentenza 03/05/2024 (ud. 27/03/2024) n.12007

FATTI DI CAUSA

Elrond NPL 2017 Srl, rappresentata da Cerved Credit Management Spa, ha intimato a Neemias Srl precetto di pagamento dell'importo di Euro 119.079,64, sulla base di un contratto di mutuo ipotecario originariamente stipulato dalla società intimata con il Credito Valtellinese S.c.r.l., assumendo di essersi resa cessionaria del relativo credito.

La società intimata ha proposto opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c.

L'opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Busto Arsizio.

La Corte d'appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre Neemias Srl, sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso Elrond NPL 2017 Srl, rappresentata da Cerved Credit Management Spa

A seguito di adunanza camerale tenuta in data 25 ottobre 2023, è stata disposta la trattazione in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria n. 30610 del 3 novembre 2023.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia "Violazione di legge ai sensi dell'articolo 360 primo comma n. 3 c.p.c. degli articoli 111,113 e 115 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c.; inidoneità dell'avviso generale di cessione del credito per agire contro il singolo debitore".

La società ricorrente contesta "la sentenza del giudice di primo grado confermata dalla Corte di appello di Milano ... ... nella parte in cui ritiene sufficiente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'intervenuta cessione di un blocco di crediti senza la specifica individuazione del rapporto oggetto di contestazione pur in presenza di specifica contestazione sul punto".

Il motivo è inammissibile.

1.1 L'oggetto del motivo di appello che era stato avanzato dalla Neemias Srl, avverso la sentenza di primo grado, è così da questa sintetizzato nelle conclusioni rassegnate davanti al giudice di secondo grado (che sono riportate nella sentenza impugnata): "Carenza di titolarità, in capo alla società Elrond NPL 2017 Srl e per essa Cerved Credit Management Spa, del diritto azionato per le ragioni esposte in atto di citazione in appello. L'avviso di cessione del credito non ha l'efficacia (per agire contro debitore) della prova dell'esistenza del contratto formale di cessione. Elementi probatori insufficienti".

La corte d'appello precisa che, con il suo gravame, la società appellante aveva dedotto che "i documenti esibiti da Cerved Credit Management Spa a prova della titolarità del diritto di credito e/o della legittimazione attiva in capo a Elrond NPL 2017 Srl non sarebbero sufficienti a dare prova dell'avvenuta cessione di quello specifico credito", precisando che "in particolare l'appellante ha richiamato l'attenzione della Corte sull'argomento, ripreso diffusamente nell'atto conclusionale, secondo cui l'avviso di cessione dei crediti in blocco risponde unicamente alla funzione di sostituzione della notifica prevista dall'art. 1264 c.c. allo scopo di impedire l'eventualità di pagamenti liberatori, per il caso che il ceduto versi, nonostante la sopravvenuta cessione, la propria prestazione nelle mani del cedente, mentre non assolve la funzione di attestare la legittimazione attiva del preteso cessionario di crediti in blocco".

Secondo la corte d'appello, peraltro, "risulta provata la retro-cessione dei crediti da Quadrivio Finance a Credito Valtellinese Spa del 28 maggio 2015 con la produzione della G.U. n. 72 del 25.06.2015 e la cessione del credito da Credito Valtellinese Spa a Elrond NPL 2017 Srl con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 80 datata 8 luglio 2017. Ai sensi dell'art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell'avviso di pubblica-zione sulla Gazzetta Ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco ... ...".

In particolare, nella decisione impugnata si fa presente che "la valutazione dei dati documentali operata dal primo Giudice sotto questo profilo non è stata specificamente confutata dalla parte appellante ... ..." e che "nessun utile argomento a contrasto è stato prospettato di valenza inficiante i seguenti passaggi motivazionali contenuti nell'impugnata sentenza ... ..."; nello sviluppo motivazionale segue la puntuale indicazione delle ra-gioni poste a base della decisione di primo grado in ordine all'accertamento di fatto relativo all'effettiva inclusione del credito per cui è causa tra quelli oggetto della cessione in favore della società opposta.

La corte d'appello, in altri termini, ha rilevato che, con l'atto di appello, non era stata specificamente contestata la sentenza di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva considerato adeguatamente provata l'avvenuta stipulazione del contratto di cessione dei crediti in blocco in favore di Elrond NPL 2017 Srl, ma esclusivamente in relazione alla ritenuta sussistenza della prova che, nell'ambito di tale cessione, rientrasse il credito per cui è causa e, in particolare, la sussistenza della prova della classificazione a sofferenza di detto debito al momento della cessione – desunta dai giudici del merito dalla circostanza che alla società opponente fossero già stati revocati gli affidamenti – nonché la coerenza dei riferimenti al numero identificativo della posizione debitoria, contenuto negli elenchi richiamati dall'atto di cessione.

Secondo la ricorrente, infatti, la revoca degli affidamenti non coinciderebbe con la segnalazione a sofferenza dei relativi crediti, trattandosi di due fatti diversi ed autonomi, mentre i numeri identificativi dei rapporti obbligatori ceduti, contenuti nei documenti prodotti dalla società opposta, non sarebbero univoci.

1.2 Tanto premesso in fatto, in diritto va dato seguito ai principi affermati da questa Corte, secondo i quali "in tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993, ove il debitore ceduto contesti l'esistenza dei contratti, ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell'art. 58 del citato D.Lgs., dovendo il giudice procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell'ambito del quale la citata notifica-zione può rivestire, peraltro, un valore indiziario, specialmente allorquando avvenuta su iniziativa della parte cedente" (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 17944 del 22/06/2023, Rv. 668451 – 01, nella cui motivazione si chiarisce, peraltro, che "in caso di ces-sione di crediti individuabili blocco ai sensi dell'art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l'esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l'inclusione dello specifico credito controverso nell'ambito di quelli rientranti nell'operazione conclusa dagli istituti bancari, l'indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell'avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell'avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell'operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete").

1.3 Orbene, nel motivo di ricorso in esame non vi sono adeguate censure in relazione all'espresso rilievo formulato dalla corte d'appello sulla mancanza di una puntuale contestazione, in sede di gravame, con riguardo all'accertamento della sussistenza di una sufficiente prova dell'effettiva stipulazione di un contratto di cessione di crediti in blocco tra la società originaria creditrice (che di tali crediti aveva riacquistato la disponibilità dopo una prima cessione in favore di altro soggetto) e la Elrond NPL 2017 Srl

Dunque, nella specie, deve ritenersi non (più) in contestazione l'esistenza del contratto di cessione di crediti, ma solo l'inclusione dello specifico credito controverso nell'ambito di quelli rientranti nell'operazione conclusa dagli istituti bancari.

Le censure formulate dalla ricorrente nella presente sede riguardano, cioè, esclusivamente gli accertamenti di fatto relativi alla prova dell'inclusione del credito per cui è causa tra quelli oggetto di tale cessione.

1.4 Sotto il profilo appena indicato è, però, agevole osservare che le contestazioni hanno ad oggetto un accertamento di fatto operato dai giudici di merito all'esito della prudente valutazione degli elementi di prova disponibili, sostenuto da adeguata motivazione, non apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede.

Il motivo di ricorso in esame si risolve, in altri termini, nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.

1.5 È, infine, appena il caso di precisare che la questione rela-tiva alla legittimazione ad agire in via esecutiva della società cessionaria e di quella incaricata della riscossione dei crediti og-getto di cessione, ai sensi dell'art. 106 del T.U.B., per la dedotta mancanza del requisito dell'iscrizione nello speciale albo tenuto dalla Banca d'Italia, è stata sollevata dalla ricorrente solo nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c. nella presente fase del giudizio e, quindi, tardivamente.

Né si tratta di questione in merito alla quale è possibile operare il richiesto rilievo di ufficio, in quanto essa comporta la necessità di accertamenti di fatto non ammissibili nella presente sede.

Tanto esime dal rilievo che questa Corte si è, comunque, sul punto pronunciata in senso contrario alla tesi di parte ricorrente, statuendo, condivisibilmente, che "il conferimento dell'incarico di recupero dei crediti cartolarizzati ad un soggetto non iscritto nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. e i conseguenti atti di riscossione da questo compiuti non sono affetti da inva-lidità, in quanto l'art. 2, comma 6, della L. n. 130 del 1999 non ha immediata valenza civilistica, ma attiene, piuttosto, alla regolamentazione amministrativa del settore bancario e finanziario, la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri, anche sanzionatori, facenti capo all'autorità di vigilanza e presidiati da norme penali, con la conseguenza che l'omessa iscrizione nel menzionato albo può assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con la predetta autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici" (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 7243 del 18/03/2024, Rv. 670579 – 01).

2. Con il secondo motivo si denunzia "Violazione di legge ai sensi dell'articolo 360 primo comma n. 3 c.p.c. dell'art. 474 c.p.c. Il contratto di mutuo condizionato non vale come titolo esecutivo".

La società ricorrente contesta "la sentenza del giudice di primo grado confermata dalla Corte di appello di Milano ... ... nella parte in cui ritiene che il contratto di mutuo costituisca valido titolo per l'esecuzione forzata nonostante che la somma mutuata sia stata trattenuta dalla stessa banca in un deposito infruttifero sino alla costituzione di idonea garanzia ipotecaria sull'immobile".

Il motivo è fondato, per quanto di ragione.

2.1 La corte d'appello, premesso che "la realità del contratto di mutuo non viene comunque meno allorché, in luogo della consegna materiale della somma data in prestito, si svolgano altre forme di trasferimento della disponibilità ritenute equipollenti alla consegna materiale" e, in ogni caso, che "nella specie il contratto di mutuo si è perfezionato, come si evince dalla clausola dell'art. 12, laddove il notaio rogante ha attestato, con fede privilegiata ex art. 2700 c.c., la circostanza, avvenuta in sua presenza, dell'erogazione alla società Neemias Srl dell'intera somma di Euro 250.000,00 mediante consegna di assegno circolare non trasferibile", ha affermato: "il fatto che l'importo mutuato sia stato depositato su un conto infruttifero a garanzia delle obbligazioni assunte non può valere come sintomo della ineffettività della messa a disposizione della somma mutuata".

In altri termini, la corte d'appello ha ritenuto:

a) che il contratto di mutuo tra la banca mutuante e la società mutuataria si era regolarmente perfezionato con la messa a disposizione della somma mutuata in favore della seconda, non potendo ritenersi rilevante, in senso contrario, la circostanza che tale somma fosse stata successivamente depositata presso la stessa banca mutuataria, su un conto infruttifero vincolato all'ordine di quest'ultima;

b) che ciò fosse di per sé sufficiente affinché potesse riconoscersi efficacia di titolo esecutivo all'atto pubblico posto a base dell'atto di precetto opposto, ai sensi dell'art. 474 c.p.c.

2.2 Va, in primo luogo, rilevato che l'ottica in cui si è posta la corte d'appello non è corretta sul piano giuridico, in considera-zione dell'oggetto dell'opposizione.

Essa, infatti, si è limitata a valutare se il contratto di mutuo (considerato reale e non obbligatorio) potesse ritenersi regolarmente perfezionato in virtù della consegna e della messa a disposizione della somma mutuata in favore della mutuataria: ed è giunta – fino a questo punto del tutto correttamente ed in conformità ai consolidati principi di diritto affermati in materia da questa stessa Corte (cfr., per tutte, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 37654 del 30/11/2021, Rv. 663324 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 23149 del 25/07/2022, Rv. 665427 - 01) – alla conclusione positiva, in quanto, sotto il profilo del regolare perfezionamento del contratto di mutuo, ha ritenuto irrilevante il fatto che la società mutuataria, una volta che la somma mutuata fosse entrata nel suo patrimonio giuridico in virtù del mutuo, sia pure mediante un accredito contabile e non mediante la consegna materiale del danaro, ne avesse ulteriormente disposto, depositandola a sua volta presso la stessa banca mutuante su un conto di deposito vincolato all'ordine di quest'ultima.

Poiché, però, la questione di diritto da risolvere, nella specie, non riguardava semplicemente la sussistenza e la validità del contratto di mutuo, ma l'efficacia di titolo esecutivo dell'atto pubblico notarile posto dalla società procedente alla base dell'azione esecutiva minacciata con il precetto opposto, e poi-ché tale atto pubblico conteneva ulteriori pattuizioni tra le parti, oltre alla mera stipulazione del contratto di mutuo, la corte d'appello non avrebbe dovuto limitarsi ad accertare il regolare perfezionamento, l'esistenza e la validità del contratto di mutuo, ma avrebbe dovuto verificare se, sulla base del complessivo rapporto negoziale posto in essere dalle parti ed emergente dall'atto pubblico fatto valere come titolo esecutivo, sussistesse o meno una obbligazione attuale di pagamento di una somma di danaro a carico della società mutuataria ed in favore della banca mutuante, come richiesto dall'art. 474 c.p.c., ovvero se l'eventuale obbligazione della suddetta società mutuataria non fosse attuale, in quanto essa sarebbe sorta solo al verificarsi di determinate condizioni, successive alla stipulazione ed estranee ai documenti in base ai quali il mutuo era stato – pure correttamente – ricostruito come concluso, come sostenuto dalla società opponente.

2.3 A tal fine, naturalmente, non poteva essere sufficiente ve-rificare se fosse stato stipulato tra le parti un valido contratto di mutuo (anche di carattere reale e non meramente obbliga-torio o condizionato), ma sarebbe stato necessario tener conto di tutte le ulteriori pattuizioni negoziali e, comunque, di tutto quanto convenuto nell'atto pubblico fatto valere come titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 474 c.p.c.

Ora, dagli accordi contenuti in tale atto pubblico (la circostanza è pacifica) emerge che la somma mutuata, effettivamente ricevuta dalla società mutuataria, era stata da quest'ultima nuovamente trasferita alla banca mutuante, mediante il suo deposito su un conto corrente vincolato presso la stessa.

In proposito, è appena il caso di sottolineare che il deposito bancario ha natura di deposito irregolare e, di conseguenza, fa acquistare al depositario la proprietà della somma di denaro depositata (art. 1834 c.c.), con obbligo di quest'ultimo di restituirla nella stessa specie monetaria: tale obbligo, nel caso in esame, viene indicato dalle parti come "svincolo" della somma depositata e risulta subordinato al verificarsi di talune condizioni indicate nello stesso contratto di mutuo (sostanzialmente, il consolidarsi della garanzia ipotecaria, nonché le altre condizioni specificamente indicate).

Dunque, lo "svincolo" della somma concessa in mutuo ma immediatamente depositata presso la banca mutuante e, quindi, rientrata nel patrimonio della stessa, richiedeva un successivo atto volontario di quest'ultima, che determinasse il nuovo trasferimento della sua proprietà in favore della parte mutuataria, affinché sorgesse l'obbligazione di restituzione di essa a carico di quest'ultima.

La somma mutuata, sulla base di quanto emerge incontestabil-mente dal complessivo contenuto delle pattuizioni negoziali,

oltre ad essere giuridicamente tornata nel patrimonio della banca in virtù del suo deposito irregolare, non risultava, infatti, più in alcun modo nella disponibilità della società mutuataria, ma esclusivamente nella disponibilità della stessa banca: fino al momento del suo svincolo (subordinato al verificarsi delle condizioni indicate nel contratto), infatti, di tale somma la mutuataria non poteva disporre, mentre ne poteva disporre esclusivamente la banca, sia in quanto depositaria in virtù di deposito irregolare, quindi comunque proprietaria del denaro, sia in quanto alla stessa banca era attribuito il diritto potestativo di disporne lo "svincolo" (cioè il trasferimento della proprietà) in favore della mutuataria stessa, in virtù di un proprio successivo atto di volontà non coercibile, a seguito di una autonoma valutazione in ordine all'avvenuto verificarsi o meno delle condizioni indicate nel contratto.

2.4 Va precisato che, nella descritta situazione, lo "svincolo" della somma mutuata (vale a dire, il nuovo trasferimento della proprietà di tale somma, già erogata alla parte mutuataria, ma subito da questa ritrasferita alla banca, mediante il suo riaccredito su un conto nella libera disponibilità della mutuataria) è da ritenersi certamente obbligatorio, al verificarsi delle condizioni previste, secondo gli accordi negoziali trasfusi nell'atto pubblico.

Ma, altrettanto certamente, fino a tale momento, non solo sulla parte mutuataria non può ritenersi gravare alcuna obbligazione di restituzione della predetta somma, che si trova in realtà già nel patrimonio giuridico della banca, ma, addirittura, al contrario, è la banca che risulta obbligata (al verificarsi delle condizioni convenzionalmente previste) a trasferirla alla mutuataria.

Stando così le cose, non possono considerarsi decisive, ai fini della risoluzione della questione posta nella presente controversia, le considerazioni sulla equipollenza delle forme alternative di trasferimento della disponibilità del denaro dato in prestito, in luogo della sua consegna materiale, equipollenza da sempre affermata da questa Corte (e che va senz'altro pienamente ribadita, come già visto): tali valide forme alternative di trasferimento del denaro mutuato implicano, appunto, che, in luogo della consegna materiale, ne sia trasferita la disponibilità.

Nella specie, non è, invero, contestabile che, ai fini del perfezionamento del contratto di mutuo (considerato reale e non meramente obbligatorio), la disponibilità della somma fosse stata effettivamente trasferita alla società mutuataria, tanto è vero che questa ne aveva potuto ulteriormente disporre, versandola sul conto vincolato infruttifero presso la stessa banca mutuataria; è, però, altrettanto vero che non solo il mutuo, ma anche tale ulteriore successiva operazione di deposito rientra nel contenuto degli accordi negoziali consacrati nell'atto pubblico posto a base dell'esecuzione.

2.5 Di tali ulteriori pattuizioni, che vanno al di là della mera esistenza di un contratto di mutuo (reale e non meramente obbligatorio) regolarmente perfezionatosi, avrebbe, quindi, certamente dovuto tenersi conto, per stabilire ciò che ha rilievo ai fini dell'efficacia di titolo esecutivo dell'atto fatto valere come tale, ai sensi dell'art. 474 c.p.c., e cioè se dal complesso di tutte le pattuizioni negoziali consacrate nell'atto pubblico in questione risultasse o meno una obbligazione attuale di pagamento di una somma di danaro a carico della debitrice intimata.

E, in proposito, non vi è dubbio che, fino al momento dell'effettivo "svincolo" delle somme depositate sul conto infruttifero presso la banca mutuante, non potrebbe dirsi esistente alcuna obbligazione restitutoria in capo alla società mutuataria, in quanto:

a) le somme date a mutuo, dopo il perfezionamento del relativo contratto, erano tornate immediatamente ed integralmente nella disponibilità della banca mutuante;

b) la società mutuataria non ne aveva, quindi, più la disponibilità, per averle trasferite alla banca mutuante.

La corte d'appello non avrebbe dovuto, pertanto, limitarsi a verificare se era stato concluso un contratto, anche reale e non meramente obbligatorio, di mutuo, ma valutare anche tutte le ulteriori pattuizioni contenute nel complessivo accordo stipulato dalle parti mediante l'atto pubblico costituente il preteso titolo esecutivo, comprese quelle che regolavano i rapporti tra le parti successivamente al perfezionamento del mutuo.

A tal fine, avrebbe dovuto, in primo luogo, accertare chi era il soggetto che, in base a tutte le pattuizioni negoziali contenute nell'atto pubblico, avesse la effettiva "disponibilità" in concreto di quella somma, e nel cui patrimonio, quindi, tale somma si trovava, al momento della conclusione di quell'atto pubblico.

Laddove, come risulta evidente in base al contenuto della complessiva regolamentazione negoziale in questione, fosse emerso che la somma mutuata, dopo essere entrata nel patrimonio della mutuataria, era stata immediatamente ed integralmente ritrasferita alla mutuante mediante il suo deposito (irregolare) ed era pertanto tornata, dal punto di vista giuridico, nel patrimonio di quest'ultima, la corte territoriale avrebbe do-vuto concludere che la sussistenza di una obbligazione attuale di restituirla alla banca era subordinata al preventivo svincolo del deposito in suo favore (e ciò, quindi, non semplicemente valutando se si era perfezionato il contratto di mutuo, ma in base al più ampio e complesso rapporto negoziale emergente dall'atto pubblico stipulato dalle parti).

Se avesse accertato che, fino al momento dello "svincolo" della somma depositata, di questa poteva disporre esclusivamente la banca, poiché la circostanza di fatto dell'avvenuto svincolo certamente non emerge direttamente dall'atto pubblico, ma richiede l'accertamento di un fatto ulteriore, non consacrato in detto atto, avrebbe dovuto escludere che il contratto notarile utilizzato come titolo esecutivo fosse, di per sé, tale, ai sensi dell'art. 474 c.p.c., in quanto da solo non sufficiente a costituire fonte dell'obbligazione azionata e avrebbe, pertanto, dovuto verificare se vi era un atto integrativo che attestasse l'effettivo svincolo della somma mutuata in favore della società mutuata-ria, dotato anch'esso della necessaria forma richiesta dall'art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata).

In mancanza, avrebbe dovuto accogliere l'opposizione, negando al mero atto pubblico notarile posto alla base del precetto opposto valore di titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c., per insussistenza di un'attuale obbligazione di restitu-zione di somme di denaro.

2.6 Pare opportuno osservare che le censure formulate con il motivo di ricorso in esame colgono adeguatamente le questioni di diritto sin qui esposte: la ricorrente ha, infatti, specifica-mente contestato l'efficacia di titolo esecutivo del contratto fatto valere come tale; e lo ha fatto proprio deducendo la cir-costanza di fatto che, in base al contratto stesso, la somma mutuata si trovava nella disponibilità della banca e non nella propria disponibilità, laddove ha allegato che "la sentenza del giudice di primo grado confermata dalla Corte di appello di Milano non appare condivisibile nella parte in cui ritiene che il contratto di mutuo in lite costituisca valido titolo per l'esecuzione forzata nonostante che la somma mutuata sia stata trattenuta dalla stessa banca in un deposito infruttifero sino alla costituzione di idonea garanzia ipotecaria sull'immobile" e ha richiamato a sostegno di tale censura proprio l'art. 12 del contratto (del seguente tenore: "Essendo il presente contratto di mutuo soggetto alla condizione che l'ipoteca seguito di esso costituita sia valida e che la stessa non sia preceduta da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli, la parte mutuataria deposita la somma datale a mutuo in conto infruttifero presso la Banca, accetta e riconosce che tale somma verrà dalla Banca messa a sua libera disposizione secondo le modalità (che) saranno indicate dalla parte mutuataria stessa soltanto dopo che – iscritta l'ipoteca di cui al presente contratto – sarà provato che la stessa non sia preceduta da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli e saranno state adempiute le altre condizioni stabilite nel pre-sente contratto di mutuo. In caso contrario e comunque decorsi trenta giorni da oggi senza la presentazione della documenta-zione prevista, la Banca si riserva di applicare le modalità di risoluzione del contratto previste dall'art. 1 del capitolato"), nonché il documento di sintesi allegato al mutuo e/o Capitolato delle Condizioni Generali dei Contratti di Mutuo (del seguente tenore: "Consegna della somma concessa a mutuo e condizioni per lo svincolo del deposito cauzionale. La somma concessa a mutuo viene consegnata alla Parte mutuataria all'atto della stipulazione del contratto di mutuo e da questa riversata alla Banca in deposito cauzionale infruttifero ...").

La ricorrente ha, inoltre, sostenuto che "la somma invece di essere erogata e lasciata nella disponibilità del mutuatario è stata accreditata su un conto infruttifero acceso presso l'istituto mutuante in attesa dell'avveramento delle condizioni sopra individuate. Pertanto, seppur apparentemente la somma mutuata viene erogata a favore del mutuatario al momento dell'atto di mutuo nel concreto la stessa rimane nella sfera di disponibilità dell'istituto bancario il quale solo a seguito della previa verifica dell'avveramento delle condizioni e precisamente l'assenza di trascrizioni pregiudizievoli sull'immobile po-trebbero pregiudicare o limitare il suo diritto di garanzia, ne trasmette la piena disponibilità alla società mutuataria".

Tali censure, sulla base di quanto in precedenza esposto, devono ritenersi fondate, per quanto di ragione.

2.7 In definitiva, va affermato il seguente principio di diritto: "nel caso in cui venga stipulato un complesso accordo negoziale in cui una banca concede una somma a mutuo e la eroghi effettivamente al mutuatario (anche mediante semplice accredito, senza consegna materiale del danaro), ma, al tempo stesso, si convenga altresì che tale somma sia immediatamente ed integralmente restituita dal mutuatario alla mutuante (e se ne dia atto nel contratto), con l'intesa che essa sarà svincolata in favore del mutuatario stesso solo al verificarsi di determinate condizioni, benché debba riconoscersi come regolarmente perfezionato un contratto reale di mutuo, deve però escludersi, ai sensi dell'art. 474 c.p.c., che dal complessivo accordo negoziale stipulato tra le parti risulti una obbligazione attuale, in capo al mutuatario, di restituzione della somma stessa (che è già rientrata nel patrimonio della mutuante), in quanto tale obbligazione sorge – per volontà delle parti stesse – solo nel momento in cui la somma in questione sia successivamente svincolata in suo favore ed entri nuovamente nel suo patrimonio; di conse-guenza, deve altresì escludersi che un siffatto contratto costi-tuisca, da solo, titolo esecutivo, essendo necessario un ulteriore atto, necessariamente consacrato nelle forme richieste dall'art. 474 c.p.c. (atto pubblico o scrittura privata autenticata) che attesti l'effettivo svincolo della somma già mutuata (e ritrasferita alla mutuante) in favore della parte mutuataria, solo in seguito a quest'ultimo risorgendo, in capo a questa, l'obbligazione di restituzione di quella somma".

Va opportunamente precisato, inoltre, che, in mancanza del verificarsi delle condizioni stabilite, la banca potrà trattenere e non svincolare la somma già mutuata (ed eventualmente chiedere al mutuatario la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, per il mancato guadagno derivante dall'operazione creditizia), ma non chiedere, né ottenere la restituzione di una somma che si trova già nella sua disponibilità.

L'errore di diritto commesso dalla corte d'appello è consistito, dunque, nell'essersi limitata a valutare – esclusivamente – se potesse dirsi perfezionato un contratto di mutuo, senza invece valutare, come avrebbe dovuto, il più ampio contenuto e l'oggetto complessivo degli accordi negoziali consacrati nel contratto fatto valere dalla banca come titolo esecutivo.

Ai fini dell'art. 474 c.p.c., essa avrebbe dovuto effettuare tale ulteriore accertamento, onde stabilire se, sulla base di quel complessivo regolamento negoziale (cioè, anche sulla base delle pattuizioni accessorie e successive al perfezionamento del mutuo), emergesse dal contratto l'esistenza attuale di una ob-bligazione restitutoria della società mutuataria nei confronti della banca, ovvero, al contrario, se tale obbligazione fosse condizionata al verificarsi di ulteriori circostanze di fatto non attestate nel contratto.

E, in mancanza, avrebbe dovuto accertare se lo svincolo, in favore della parte mutuataria della somma già a questa concessa in mutuo e poi ritrasferita nella disponibilità della banca mutuante, risultasse documentata con un ulteriore atto pubblico o una ulteriore scrittura privata autenticata, come richiesto dall'art. 474 c.p.c.

Ciò in quanto, per avere valore di titolo esecutivo, l'atto pubblico notarile di cui si discute, avrebbe dovuto essere integrato da una quietanza (in forma pubblica o, almeno, in forma di scrittura privata autenticata, ai sensi dell'art. 474 c.p.c.) attestante l'avvenuto svincolo delle somme depositate sul conto infruttifero vincolato.

A tali accertamenti di fatto, sulla base dei principi di diritto enunciati, previa cassazione sul punto della decisione impugnata, dovrà provvedersi in sede di rinvio.

3. Con il terzo motivo si denunzia "Violazione di legge ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. della L. n. 287 del 1990 e dell'art. 101 TFUE. Nullità della clausola del contratto di mutuo relativa al tasso Euribor per il periodo 2005 – 2008".

La società ricorrente contesta "la sentenza del giudice di primo grado confermata dalla Corte di appello di Milano ... ... nella parte in cui ritiene che la Decisione della Commissione Europea del 04.12.2013 non incida in alcun modo nel contratto in lite anche alla luce del fatto che i destinatari delle norme eventualmente violate sono esclusivamente gli imprenditori commerciali e non i singoli utenti".

Il motivo è inammissibile.

3.1 Sulla questione oggetto del motivo di ricorso in esame, la sentenza impugnata contiene la seguente motivazione:

"L'appellante nelle pagg. 27-31 dell'atto di appello ribadisce l'eccezione di nullità della clausola del contratto di mutuo relativa al tasso Euribor per il periodo 2005 – 2008, senza avere in alcun modo impugnato specificamente, né confutato, come previsto dall'art. 342 c.p.c., la motivazione del Tribunale sulla decisione dell'eccezione formulata dall'opponente di nullità e/o annullabilità del contratto di mutuo a causa dell'indeterminatezza della clausola relativa alla pattuizione di interessi corrispettivi in misura variabile parametrati al tasso Euribor, per essere stato tale parametro oggetto di manipolazione ... ... Nessun argomento di contrasto è stato opposto dalla parte appellante alla motivazione del Tribunale che, con riferimento all'art. 3 del contratto ... ... ha ritenuto il richiamo all'Euribor non integrare la violazione dell'art. 2 L. n. 287 del 1990 ... ... in quanto: l'Euribor è un indice medio, calcolato sulla scorta di dati che si as-sumono oggettivi ... ...; il meccanismo di calcolo garantisce che tassi anomali non ne falsino il valore ... ...; non è possibile af-fermare che il corrispettivo per il mutuo ... ... sia frutto di una intesa ... Rileva poi la Corte ... ... " (seguono ulteriori considera-zioni sulla validità della clausola controversa).

La corte d'appello ha, in altri termini, ritenuto:

a) che, nella sentenza di primo grado, vi fosse una espressa statuizione sulla validità della clausola determinativa del tasso di interesse del mutuo parametrato sull'Euribor, di cui era stata dedotta la nullità per violazione della disciplina sulla concorrenza, essendo stata accertata dalla Commissione Europea (con decisione in data 4 dicembre 2013) una condotta di violazione della relativa normativa, da parte di alcune banche, peraltro diverse da quella che aveva stipulato il mutuo, volta ad alterare il suddetto tasso (si rileva che, effettivamente, una siffatta statuizione è certamente presente nella sentenza di primo grado, e la stessa risulta ampiamente motivata, esattamente nei termini sintetizzati dalla corte d'appello);

b) che tale decisione non fosse stata oggetto di una ammissibile censura in sede di gravame, in quanto la società appellante si era limitata a ribadire la sua eccezione di nullità della clausola, ma senza preoccuparsi di confutare in modo specifico le motivazioni con le quali il tribunale aveva rigettato detta eccezione, in violazione dell'art. 342 c.p.c.

La censura avente ad oggetto la statuizione con la quale era stata dichiarata, in primo grado, la validità della cd. "clausola Euribor" in ordine al tasso degli interessi, è stata, dunque ritenuta inammissibile per violazione dell'art. 342 c.p.c.

3.2 Tanto premesso, è agevole osservare che:

a) il motivo di ricorso in esame non contiene adeguate censure, con riguardo alla statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, di inammissibilità del motivo di appello relativo alla cd. "clausola Euribor" sul tasso degli interessi; la ricorrente si limita a sostenere che la clausola in questione sarebbe nulla: non vi è dubbio, pertanto, che le censure formulate non colgano adeguatamente l'effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, sul punto;

b) d'altronde, anche a volere – per assurdo e solo per un momento – ipotizzare che fosse stata effettivamente contestata la predetta decisione di inammissibilità del gravame, si tratterebbe, comunque, di una censura manifestamente priva di specificità, in violazione dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., perché non viene richiamato in alcun modo (né direttamente, né indirettamente) il contenuto dell'atto di appello sulla predetta questione, il che non consentirebbe alla Corte di verificare se effettivamente il rilievo dell'inammissibilità del motivo di gra-vame per difetto di specificità, operato dalla corte territoriale, sia corretto o meno.

3.3 Quanto appena osservato comporta inevitabilmente che, sul punto oggetto delle censure formulate con il motivo di ricorso in esame, si è formato il giudicato interno, esattamente come se la statuizione di primo grado sulla validità della cd. "clausola Euribor" sul tasso degli interessi non fosse mai stata impugnata.

Né vi sarebbe spazio per un rilievo di ufficio della pretesa nullità di tale clausola, essendo tale rilievo, evidentemente, impedito dal giudicato esplicito interno.

3.4 È opportuno ulteriormente osservare, in proposito, che non possono mutare il quadro sin qui esposto le considerazioni oprate dalla corte d'appello (successivamente al rilievo dell'inammissibilità del motivo di gravame, per violazione dell'art. 342 c.p.c.) sul merito della questione, con l'illustrazione di ulteriori ragioni per cui la clausola contestata sarebbe da ritenersi va-lida, considerazioni significativamente introdotte dall'espressione "Rileva poi la Corte ... ...".

Si tratta, infatti, di considerazioni che devono ritenersi espresse ad abundantiam e del tutto inconferenti, essendosi la stessa corte d'appello già spogliata della potestas iudicandi in relazione al merito della questione con la dichiarazione di inammissibilità del relativo motivo di gravame, ed alle quali, pertanto, non può riconoscersi alcun effettivo rilievo quale fondamento della statuizione finale, onde va escluso lo stesso interesse della parte soccombente ad impugnarle (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 – 01: "qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, o declinatoria di giurisdizione o di competenza, con la quale si è spogliato della "potestas iudicandi" in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l'impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta "ad abundantiam" nella sentenza gravata"; conformi, ex multis e tra le più recenti: Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 11675 del 16/06/2020, Rv. 657952 – 01; Sez. U, Sentenza n. 2155 del 01/02/2021, Rv. 660428 – 02).

3.5 È, in definitiva, inevitabile concludere che, con riguardo alla validità della cd. "clausola Euribor" sul tasso degli interessi, la decisione contenuta nella sentenza impugnata sia di carattere meramente processuale e che, con essa, sia stato semplicemente dichiarato inammissibile il motivo di gravame avverso la decisione di primo grado che aveva accertato la validità di tale clausola, per difetto di specificità, in violazione dell'art. 342 c.p.c., così determinandone il passaggio in giudicato.

Il terzo motivo di ricorso, che non contiene censure dirette specificamente a contestare tale decisione di natura meramente processuale, di conseguenza, è irrimediabilmente inammissibile.

4. La Corte ritiene, peraltro, che il motivo in questione abbia ad oggetto una questione di particolare importanza e vi siano, quindi, le condizioni per pronunciare in proposito i principi di diritto nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363 c.p.c.: istituto che è ricostruito quale espressione della funzione di nomofilachia e comporta che – in relazione a questioni la cui par-ticolare importanza sia desumibile non solo dal punto di vista normativo, ma anche da elementi di fatto – la Corte di cassazione possa eccezionalmente pronunciare una regola di giudizio che, sebbene non influente nella concreta vicenda processuale, serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili (per tutte, v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 27187 del 28/12/2007, Rv. 600347 - 01).

L'odierna trattazione in pubblica udienza risulta, infatti, fissata proprio in considerazione del rilievo, sia giuridico che sociale, della predetta questione, sulla quale questa Corte – e, in parti-colare, questa Sezione – non ha avuto ancora modo di pronun-ciarsi in tale forma solenne, risultando esclusivamente pubblicato un precedente, adottato peraltro con mera ordinanza a seguito di adunanza camerale (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34889 del 13/12/2023, Rv. 669588 – 01), con il quale è stata cassata una decisione di merito che aveva escluso in radice la possibilità di ritenere nulla la clausola di un contratto di leasing che prevedeva un tasso di interesse parametrato all'Euribor, nonostante fosse stata accertata da una decisione della Commissione Europea l'avvenuta violazione dell'art. 101 del TFUE, per l'esistenza di un cartello tra otto delle principali banche europee finalizzato alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il suddetto Euribor.

In virtù dell'articolata requisitoria del Procuratore Generale e dei contributi offerti dalle parti anche nella discussione orale, che hanno consentito un più adeguato approfondimento delle questioni rilevanti, la Corte ritiene doveroso affrontare la tematica in questa sede, almeno in relazione ai contratti del tipo di quello oggi in esame, pure in considerazione del suddetto pre-cedente, riguardo al quale, circoscrittane la rimeditazione ad una delle premesse, può giungersi ad una ulteriore specifica-zione nei sensi di cui appresso e, quindi, senza necessità di una più approfondita elaborazione in sedi diverse.

5. Va, in primo luogo, escluso che possa qualificarsi conforme a diritto l'affermazione della corte d'appello secondo la quale la nullità delle intese in violazione delle norme sulla concorrenza potrebbe essere invocata solo dalle imprese in concorrenza e non dagli "utenti finali".

Sul punto, deve, al contrario, ribadirsi che "la legge "antitrust" 10 ottobre 1990 n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un'intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall'altro, che il cosid-detto contratto "a valle" costituisce lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti; pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall'ordina-mento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto "ex" art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce danno da una contrattazione che non ammette alternative per l'effetto di una collusione "a monte", ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l'azione di accertamento della nullità dell'intesa e di risarcimento del danno di cui all'art. 33 della L. n. 287 del 1990, azione la cui cognizione è rimessa da quest'ultima norma alla competenza esclusiva, in unico grado di merito, della corte d'appello" (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2207 del 04/02/2005, Rv. 579019 – 01; conf.: Sez. 1, Sentenza n. 14238 del 06/07/2005, Rv. 583536 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 14716 del 13/07/2005, Rv. 583044 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 20919 del 27/10/2005, Rv. 583839 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11759 del 19/05/2006, Rv. 591227 – 01; Sez. U, Sentenza n. 13896 del 14/06/2007, Rv. 598015 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 993 del 21/01/2010, Rv. 611386 – 01).

6. Tanto premesso, la questione di diritto da esaminare ha ad oggetto la validità delle clausole contrattuali che, al fine di determinare il tasso di interesse, moratorio o convenzionale, relativo ad obbligazioni assunte dalle parti, facciano espresso riferimento (in tutto o in parte) al parametro costituito dall'Euribor (EURo Inter-Bank Offered Rate: Tasso interbancario di of-ferta in Euro; si tratta di un tasso di riferimento per i mercati finanziari, calcolato giornalmente, che indica il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in Euro tra le principali banche europee; non ha rilievo, ai fini della presente decisione, illustrare in dettaglio i complessi meccanismi previsti per la sua concreta determinazione).

Occorre stabilire:

a) se i contratti di mutuo che fissano tassi di interesse con rinvio al parametro costituito dall'Euribor, possano considerarsi contratti cd. "a valle" rispetto alle intese (o, più precisamente, alle pratiche) restrittive della concorrenza dirette ad alterare l'Euribor poste in essere dalle banche sanzionate con la già richiamata decisione della Commissione Europea del 2013, cui ha fatto seguito quella, analoga, del 2016; più precisamente, se le clausole contrattuali in questione costituiscano una "applicazione" di tali intese, in analogia a quanto già in passato stabilito da questa stessa Corte, a Sezioni Unite, con riguardo alle clau-sole dei "contratti di fideiussione "a valle" di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante" in quanto riproducenti "quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vie-tata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza" e, quindi, "contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE" (Cass., Sez. U, Sentenza n. 41994 del 30/12/2021, Rv. 663507 - 01);

b) se, altrimenti e quanto meno, possa comunque aver rilievo, sulla validità del regolamento negoziale, il fatto che il parame-tro di riferimento per la determinazione del tasso degli interessi voluto concordemente dalle parti, possa aver subito una even-tuale alterazione, a causa di condotte illecite di terzi.

6.1 In merito alla prima questione, la Corte ritiene che la rispo-sta non possa essere affermativa in termini assoluti: e che, in tal senso, non sia possibile condividere le premesse da cui parte la già richiamata Cass. n. 34889 del 2023 in ordine al tasso stabilito per i contratti di leasing.

Infatti, per restare nell'ambito dello schema tracciato anche di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 41994 del 2021, più sopra richiamata, affinché possa ritenersi che, in un contratto (cd. "a valle" dell'intesa), sia fatta "applicazione" di una illecita intesa (o pratica non negoziale) restrittiva della concorrenza esistente "a monte", occorre quanto meno che uno dei contraenti sia a conoscenza dell'esistenza di quella determinata intesa (o pratica non negoziale) con un determinato oggetto e un determinato scopo e intenda avvalersi del risultato oggettivo della stessa.

Ciò, con riguardo ai contratti di mutuo stipulati da istituti bancari, richiederebbe, dunque, l'allegazione e la prova che la banca stipulante, al momento della conclusione del contratto, fosse o direttamente partecipe di quell'intesa o, almeno, fosse consapevole della sussistenza di una intesa tra altre banche volta ad alterare il valore dell'Euribor o di una effettiva pratica non negoziale in tal senso ed abbia inteso avvalersi dei risultati di questa.

Non vi è dubbio che il mero riferimento, in un contratto, al pa-rametro dell'Euribor, sull'intuitivo sottinteso presupposto che esso sia correttamente determinato e, quindi, non alterato in modo illecito, sia del tutto legittimo: esso potrebbe, allora ed in ipotesi, assumere carattere illecito, quale manifestazione di una alterazione della libera concorrenza, solo laddove si sia inteso consapevolmente far riferimento al parametro "alterato" da pratiche anticoncorrenziali, o almeno abbia inteso farlo uno dei contraenti.

Ma, perché ciò avvenga e ridondi immediatamente in modo negativo sull'assetto del sinallagma del singolo contratto, è necessario che le parti (o una di esse) siano per lo meno consapevoli dell'alterazione del parametro e dei suoi effetti e intendano avvalersene nella determinazione del contenuto di tale contratto.

In mancanza, il contratto non potrebbe in alcun modo ritenersi, di per sé, una consapevole o volontaria "applicazione" di intese illecite dirette ad alterarlo (cioè, un contratto cd. "a valle" di siffatte intese illecite, nel senso fatto proprio dalla già richiamata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 41994 del 2021).

Non può, peraltro, trascurarsi che, anche se le parti del singolo contratto non siano consapevoli delle intese o pratiche illecite di terzi volte ad alterare il parametro esterno costituito dall'Euribor, qualora tali intese o pratiche abbiano effettivamente raggiunto, in concreto, il risultato dell'effetto manipolativo perseguito, applicando ugualmente quel parametro, nel suo valore "falsato", il concreto regolamento di interessi resterebbe alterato, a danno di uno dei contraenti.

Potrebbe allora ritenersi che ciò determini comunque, in qualche modo, una oggettiva applicazione degli effetti dell'illecita intesa (o pratica non negoziale) restrittiva della libera concorrenza nell'ambito di quel singolo contratto, in danno di uno dei contraenti, in contrasto con le norme dirette a vietare siffatte intese o pratiche.

In realtà, anche in tal caso, ad evitare gli effetti distorsivi del mercato derivanti dalle intese o pratiche illecite volte ad alterare l'Euribor, deve ritenersi che siano sufficienti i rimedi negoziali dell'ordinamento interno (cfr. sul punto, in motivazione, la già richiamata sentenza n. 41994 del 2021 delle Sezioni Unite di questa Corte, laddove si afferma che "... la sede naturale per la regolamentazione della sorte dei contratti a valle è quella dell'ordinamento interno degli Stati membri, non essendovi nessuna lettura obbligata dell'art. 101 del Trattato sul funzionamento della UE, che consenta di far rientrare – auto-maticamente – nella nozione di intesa vietata la contrattazione a valle").

Di conseguenza, non è necessario invocare i rimedi apprestati dall'ordinamento di origine sovranazionale in tema di concorrenza e, in particolare, quelli di cui all'art. 2 della L. n. 287 del 1990 ed all'art. 101 TFUE.

6.2 Può, infatti, darsi risposta affermativa, secondo la Corte, ed entro i limiti che seguono, al quesito se possa avere rilievo sul regolamento contrattuale, applicando gli ordinari rimedi apprestati dall'ordinamento interno e, quindi, al di là della possi-bilità di considerare nulle le clausole contrattuali di riferimento all'Euribor ai sensi della normativa di origine sovranazionale sulla tutela della concorrenza, il fatto che, comunque, il parametro di riferimento per la determinazione del tasso di interesse, voluto concordemente dalle parti, abbia subito una alterazione a causa di condotte illecite di terzi che, oggettivamente, ne abbiano falsato il contenuto, rendendo pertanto quel riferimento non più rispondente all'effettivo assetto di interessi vo-luto dalle parti e consacrato nell'accordo contrattuale.

6.2.1 Devono prendersi le mosse dalla considerazione che, nelle ipotesi in esame, il concreto assetto di autoregolamentazione degli interessi delle parti è integrato, secondo la loro stessa volontà, dal riferimento ad un parametro esterno, non del tutto casuale e non totalmente aleatorio, ma di cui è noto il meccanismo ordinario di determinazione che, in tal modo, as-sume la natura di un vero e proprio presupposto del regolamento contrattuale, in quanto idoneo a individuare l'og-getto della clausola di determinazione del corrispettivo (o quello di una penale), benché non ne sia prevedibile ex ante il risultato finale concreto.

Si tratta di una clausola certamente valida, sotto il profilo della regolare formazione della volontà negoziale e della liceità, possibilità e determinabilità dell'oggetto del contratto.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, "la convenzione relativa agli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto dell'art. 1284, comma 3, c.c., quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri oggettivamente indicati" (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13823 del 23/09/2002, Rv. 557507 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 26173 del 18/10/2018, Rv. 650780 – 01; Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 8028 del 30/03/2018, Rv. 647904 – 01: "in tema di contratto di mutuo, affinché una clausola di determinazione degli interessi cor-rispettivi sulle rate di ammortamento scadute sia validamente stipulata ai sensi dell'art. 1346 c.c., è sufficiente che la stessa – nel regime anteriore all'entrata in vigore della L. n. 154 del 1992 – contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed ele-menti estrinseci, purché obiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse; a tal fine occorre che quest'ultimo sia desumibile dal contratto con l'ordinaria diligenza, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all'istituto mutuante, non rilevando la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale, né la perizia richiesta per la sua esecuzione"; Sez. 1, Ordinanza n. 17110 del 26/06/2019, Rv. 654281 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 96 del 04/01/2022, Rv. 663501 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 28824 del 17/10/2023, Rv. 669019 – 01; con specifico riferi-mento ad un tasso interbancario determinato su scala europea, con caratteristiche analoghe a quelle dell'Euribor: Sez. 2, Sen-tenza n. 36026 del 27/12/2023, Rv. 669821 – 01: "in tema di contratto di mutuo, l'indicizzazione al parametro rappresentato dal tasso interbancario Libor, che sia stata approvata per iscritto dal cliente, è collegata a dati oggettivi di agevole e pubblico riscontro calcolati in modo unitario su scala europea, sicché essa è conforme al principio della determinatezza o deter-minabilità dell'oggetto del contratto ex art. 1346 c.c.").

Laddove, però, si accerti che il parametro richiamato sia stato alterato da una attività illecita posta in essere da terzi, viene meno il risultato, almeno parzialmente prevedibile, del meccanismo costituente il presupposto del riferimento al parametro esterno voluto dalle parti: è inevitabile, allora, concludere che esso non potrebbe ritenersi più in grado di esprimere la effettiva volontà negoziale delle parti stesse, almeno con riguardo alla specifica clausola che prevede il richiamo al parametro in questione, per tutto il tempo in cui l'alterazione del meccanismo esterno di determinazione del corrispettivo dell'operazione ha prodotto i suoi effetti.

Non possono esservi dubbi sul fatto che, qualora sia stipulato un contratto che faccia riferimento, per un parametro quantitativo rilevante del regolamento negoziale quale l'oggetto del corrispettivo o una penale, ad un determinato valore "esterno", che le parti sanno essere determinato in virtù di specifici e noti meccanismi operativi concreti e che viene ufficializzato da determinati organismi istituzionali sovranazionali e, in particolare, europei (parametro che costituisce, quindi, un "dato oggettivo di agevole e pubblico riscontro calcolato in modo unitario su scala europea"), il dato di riferimento deve intendersi richiamato nel regolamento negoziale in virtù di tali sue oggettive caratteristiche, onde, laddove quel parametro venga meno (nel senso che non sia più disponibile, perché, ad esempio, non più rilevato e reso pubblico), esso, ovviamente, non potrà essere utilizzato per la determinazione del contenuto delle obbligazioni oggetto del contratto (la questione si è posta, in concreto, ad esempio, con riguardo al tasso ufficiale di sconto e poi al tasso ufficiale di riferimento, non più determinati dopo una certa data).

In tal caso, si porrà il problema della eventuale possibilità di sostituzione del parametro richiamato dalla clausola contrattuale con un altro valore, sulla base dei principi generali dell'ordinamento; in mancanza di tale possibilità, la clausola contrattuale dovrà ritenersi non più efficace, a causa della sua parziale nullità sopravvenuta, per l'impossibilità di determinazione del relativo oggetto.

A giudizio della Corte, deve dirsi lo stesso laddove il parametro esterno richiamato nel contratto, invece di venire oggettivamente meno, perché in radice non più esistente, divenga sostanzialmente inidoneo a costituire l'espressione della volontà negoziale delle parti (eventualmente anche solo per un determinato periodo), perché alterato nella sua sostanza, a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi, che siano tali da privarlo in radice delle caratteristiche per le quali le parti lo avevano richiamato nel contratto, quale presupposto del loro regolamento di interessi: in siffatta situazione, l'oggetto della clausola con-trattuale, se il valore "genuino" e non alterato del dato di riferimento esterno non sia ricostruibile, sarà di impossibile deter-minazione e la clausola stessa dovrà ritenersi viziata da parziale nullità (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), limita-tamente al periodo in cui manchi il predetto dato.

D'altra parte, applicare il parametro illecitamente alterato sarebbe palesemente contrario all'effettivo regolamento degli interessi voluto dalle parti, che hanno fatto riferimento a quel parametro proprio in virtù del suo ordinario – e non alterato – meccanismo di determinazione.

Laddove fosse possibile ricostruire la misura di tale tasso, "depurandola" dagli effetti delle pratiche illecite che lo hanno alterato, sarebbe quella la misura da applicare nei rapporti tra le parti.

Se, invece, ciò non sia possibile, la situazione deve ritenersi equiparabile a quella che si verificherebbe se il tasso richiamato, in quel limitato periodo di tempo in cui sia stato oggetto di effettiva alterazione, non fosse stato affatto rilevato e fissato (estranea all'oggetto del presente ricorso è, peraltro, la questione delle modalità di sostituzione del tasso di interesse indicato nel contratto con riferimento al parametro esterno, nella specie l'Euribor, laddove quest'ultimo si riveli assolutamente non disponibile, a causa dell'accertata alterazione, nell'impossibilità di ricostruire il suo valore "genuino", cioè depurato dell'alterazione).

6.2.2 È evidente che tale impostazione differisce da quella per cui, in siffatta situazione, sarebbe in ogni caso ravvisabile una nullità direttamente derivante dalla natura del singolo contratto stipulato con riferimento all'Euribor, quale "contratto "a valle" dell'intesa restrittiva della concorrenza", cioè quale "applicazione" di quell'intesa.

Può, però, giungersi ad una conclusione che tuteli ugualmente in modo adeguato i contraenti e le regole della libera concorrenza sul mercato, rilevandosi, in conformità ai principi generali dell'ordinamento interno relativi agli elementi essenziali del contratto, che, quando una clausola negoziale contenga un riferimento ad un parametro quantitativo esterno, in ragione del meccanismo di determinazione di tale parametro, e quel parametro esterno venga illecitamente alterato da un'intesa restrittiva della concorrenza, si verifica una nullità parziale (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), per impossibilità di determinazione dell'oggetto della clausola stessa, per il periodo in cui è stata in concreto sussistente l'alterazione illecita (ciò che è ben possibile nei contratti di durata e quando il parametro di riferimento è istituzionalmente soggetto ad una evoluzione nel tempo).

Il parametro alterato, infatti, non corrisponde a quello che nel contratto le parti hanno inteso richiamare e non è possibile la determinazione del parametro effettivamente richiamato (cioè, quello non alterato), se la sua misura, depurata dell'illecita alterazione, non sia ricostruibile.

6.2.3 In definitiva, la corretta impostazione da adottare per risolvere le questioni legate alla stipulazione di clausole contrattuali contenenti riferimenti all'Euribor, in applicazione dei prin-cipi sull'esistenza, la possibilità, la liceità e la determinabilità dell'oggetto del contratto, implica che la cd. "clausola Euribor" – anche in caso di accertamento di pratiche illecite dirette ad alterare il suo valore – non può dirsi di per sé nulla, in generale, perché costituente "applicazione" di un'intesa illecita e vietata restrittiva della concorrenza (salvo il solo caso in cui almeno uno dei contraenti abbia consapevolmente inteso avvalersi degli effetti dell'illecita alterazione, al momento della stipula).

Essa, però, potrebbe risultare viziata da parziale nullità per impossibilità di determinazione del suo oggetto, se ed in quanto l'intesa illecita vietata abbia in sostanza ed in concreto fatto venir meno o, se non altro, reso incompatibile con l'autoregolamentazione degli interessi delle parti oggetto del contratto stipulato, il parametro esterno di riferimento da queste effettivamente voluto (cioè, quello "genuino" e non quello "alterato") e nei limiti in cui il parametro genuino non sia ricostruibile.

D'altra parte, anche in virtù del principio generale della complementarietà degli strumenti di tutela del contraente (ma la questione esula, con ogni evidenza, dalla tematica oggetto della presente fattispecie), nel caso in cui si dimostri che le pratiche illecite abbiano determinato un'alterazione dei tassi di interesse pagati o ricevuti (rispettivamente in aumento o in diminuzione) dalle parti dei contratti contenenti clausole di richiamo del tasso alterato, resta ferma la possibilità, per il contraente danneggiato, di esercitare le opportune azioni risarcitorie nei confronti dei soggetti responsabili, a qualunque titolo, del danno, ricorrendone – beninteso – tutti i presupposti.

6.3 Sulla base delle premesse fin qui esposte, deve, in particolare, concludersi che, affinché possano avere ingresso tutte le valutazioni richiamate in merito alla validità ed efficacia delle clausole contrattuali contenenti il richiamo al parametro dell'Euribor, occorre sempre necessariamente, in primo luogo, che sia fornita (evidentemente da chi allega la invalidità della clausola) la prova, non solo dell'esistenza di una intesa o di una pratica volta ad alterare il parametro in questione, ma anche del fatto che tale intesa o pratica abbia raggiunto il suo obbiettivo e, quindi, quel parametro sia stato effettivamente "alterato" in concreto, a causa della illecita manipolazione subita e, di conseguenza, non sia utilizzabile nei rapporti tra le parti, non corrispondendo all'oggetto del contratto, come determinato secondo la volontà delle parti.

Tale accertamento, poi, deve essere compiuto non in astratto ed in generale, ma caso per caso ed in relazione al tempo in cui le pratiche illecite hanno avuto un effettivo riflesso sul mercato di riferimento del contratto, valutando: a) se le pratiche manipolative anticoncorrenziali poste in essere dal cartello (nella specie, quello delle banche sanzionate dalla Commissione Europea) abbiano alterato effettivamente l'Euribor e non siano rimaste a livello di mero tentativo (senza, cioè, raggiungere lo scopo di alterare in concreto quel tasso, come infine fissato); b) se e per quale tempo ed in quale misura tale alterazione abbia inciso in modo significativo sulla determinazione del tasso di interesse previsto dalle parti nel singolo contratto; c) quali siano le conseguenze della eventuale nullità parziale delle relative clausole sul complessivo assetto negoziale e sulla possibilità di una sostituzione automatica – ed in quali termini – con previsioni minimali di legge.

L'approdo della richiamata Cass. n. 34889 del 2023, per il quale la decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013 assurge certamente a prova privilegiata di un'intesa illecita, può allora condividersi, evidentemente quale punto di partenza: invero, una volta così conseguita la prova di tale intesa, sarà poi indispensabile che la parte che se ne assuma danneggiata per la perturbazione del sinallagma contrattuale fornisca quegli ulteriori elementi probatori, sopra descritti come necessari per qualificare appunto inefficace, per tutto il periodo in cui ha prodotto conseguenze l'intesa illecita, la clausola negoziale contenente il riferimento al parametro esterno alterato, che ha reso l'oggetto del contratto non determinabile secondo la volontà delle parti.

Orbene, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare che que-ste prove certamente non sono state fornite o, quanto meno, la corte d'appello e, ancor prima, il tribunale, le hanno ritenute insufficienti (avendo tra l'altro affermato che, per l'Euribor, "il meccanismo di calcolo garantisce che tassi anomali non ne falsino il valore"), sulla base di motivazione adeguata, onde il relativo motivo di ricorso, anche se fosse stato ammissibile, non avrebbe potuto dirsi fondato.

6.4 Vanno, in conclusione affermati, ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c., i seguenti principi di diritto:

"i contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d'interesse, fanno riferimento all'Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell'intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in "applicazione" delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all'Euribor, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell'art. 101 TFUE";

"le clausole dei contratti di mutuo che, al fine di determinare la misura di un tasso d'interesse, fanno riferimento all'Euribor, possono ritenersi viziate da parziale nullità (originaria o sopravvenuta), per l'impossibilità anche solo temporanea di determinazione del loro oggetto, laddove sia provato che la determinazione dell'Euribor sia stata oggetto, per un certo periodo, di intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza poste in essere da terzi e volte a manipolare detto indice; a tal fine è necessario che sia fornita la prova che quel parametro, almeno per un determinato periodo, sia stato oggettivamente, effettivamente e significativamente alterato in concreto, rispetto al meccanismo ordinario di determinazione presupposto dal con-tratto, in virtù delle condotte illecite dei terzi, al punto da non potere svolgere la funzione obbiettiva ad esso assegnata, nel regolamento contrattuale dei rispettivi interessi delle parti, di efficace determinazione dell'oggetto della clausola sul tasso di interesse";

"in tale ultimo caso (ferme, ricorrendone tutti i presupposti, le eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei responsabili del danno, da parte del contraente in concreto danneggiato), le conseguenze della parziale nullità della clausola che richiama l'Euribor per impossibilità di determinazione del suo oggetto (limitatamente al periodo in cui sia accertata l'alterazione con-creta di quel parametro) e, prima fra quelle, la possibilità di una sua sostituzione in via normativa, laddove non sia possibile ricostruirne il valore "genuino", cioè depurato dell'abusiva alterazione, andranno valutate secondo i principi generali dell'ordinamento".

7. È rigettato il primo motivo del ricorso e dichiarato inammissibile il terzo, con enunciazione dei principi di diritto, ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c., specificati al paragrafo 6.4; è accolto il secondo motivo e la sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

- rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il terzo, enunciando i principi di diritto ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c., come in motivazione; accoglie il secondo motivo e cassa, in relazione alla sola censura accolta, la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 27 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2024.

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