Ai giudizi o ai procedimenti di revisione delle condizioni di separazione o di divorzio, nei quali si discuta del contributo di mantenimento o dell'assegno divorzile nelle varie forme, si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Ciò a meno che non ricorra il decreto di riconoscimento dell'urgenza della controversia (art. 92 ord. giud.) nel presupposto che la sua ritardata trattazione possa provocare grave pregiudizio alle parti.
Lo hanno ribadito le Sezioni Unite civili della Cassazione civile con la sentenza n. 12946, depositata il 13 maggio 2024.
La questione pregiudiziale era stata sollevata dalla Prima sezione civile riguardo alla tempestività di un ricorso notificato in ritardo, il che ha spinto a valutare l'applicabilità della sospensione feriale nelle cause di mantenimento per figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.
La legge n. 742 del 1969, in riferimento all'art. 92 ord. giud., prevede la sospensione come regola generale durante il periodo feriale per garantire il diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.). Tuttavia, esistono eccezioni, come le cause "relative ad alimenti" che non sono soggette a sospensione.
Il contrasto giurisprudenziale emerge in seguito all'ordinanza n. 18044 del 2023, con cui la Cassazione aveva stabilito che nelle cause di mantenimento del coniuge debole e dei minori non si applica la sospensione feriale, considerandole per definizione urgenti.
Le Sezioni Unite, risolvendo il contrasto, hanno precisato che l'ampliamento del concetto di obbligazione alimentare secondo il Regolamento CE n. 4/2009 non modifica l'applicabilità della sospensione dei termini feriali per i giudizi di diritto interno. Quindi, indipendentemente dalle definizioni di urgente e di alimenti, la sospensione feriale resta una protezione essenziale per la giustizia e la tutela dei diritti.
Cassazione civile, sez. un., sentenza 13/05/2024 (ud. 30/01/2024) n. 12946
FATTI DI CAUSA
Mo.Lu. ha chiesto, ai sensi dell'art. 9 legge div., di essere esonerato dall'obbligo di versare all'ex coniuge Te.De. l'assegno di mantenimento delle figlie, Si. e Lu., stabilito nel giudizio di divorzio in 5.000,00 EUR.
Il tribunale di Napoli ha respinto il ricorso osservando che le giovani, per quanto maggiorenni e laureate, erano ancora in una condizione di permanenza temporanea fuori sede, con conseguente conservazione della legittimazione della madre a ricevere l'assegno.
La decisione è stata riformata dalla corte d'appello di Napoli perché la mancanza di convivenza delle figlie con la madre aveva costituito una condizione determinativa del venir meno della di lei legittimazione a chiedere e ottenere, iure proprio, l'assegno.
Specificamente la corte d'appello ha ritenuto che l'età delle figlie, i percorsi intrapresi in conformità degli studi e le esperienze lavorative e professionali successivamente svolte fossero tali da sostenere la conclusione della possibilità di accesso ad altre esperienze lavorative qualificanti, in linea con le prospettive di ognuna, del contesto familiare e dell'ambiente socioeconomico nel quale esse erano inserite; sicché la residenza di entrambe a Milano doveva essere considerata come oramai non più temporanea. Era quindi venuto meno il presupposto della convivenza delle figlie con la madre e di conseguenza non poteva ritenersi esistente neppure la legittimazione di quest'ultima a pretendere l'assegno in nome delle stesse, salva rimanendo la loro eventuale iniziativa diretta.
La Te.De. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi.
Il Mo.Lu. ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 27514 del 2023 la Prima sezione civile di questa Corte ha chiesto l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite sulla pregiudiziale questione relativa alla tempestività del mezzo, perché il ricorso è stato notificato il 26-10-2021 a fronte di decreto a sua volta notificato, per ammissione della stessa parte, il 27-7-2021. Ne deriverebbe la necessità di stabilire se alle liti in materia di mantenimento per i figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti sia applicabile, o meno, la sospensione dei termini processuali prevista dagli artt. 3 della l. n. 742 del 1969 e 92, primo comma, dell'ord. giud.; soluzione condizionata dal significato da annettere alla locuzione "cause civili relative ad alimenti" prevista da tale seconda norma quanto agli affari civili da trattare in periodo feriale, perché sottratti alla sospensione dei termini.
A tal riguardo il collegio rimettente ha ravvisato l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza insorto per effetto di una recente ordinanza della stessa Prima sezione (la n. 18044 del 2023) che, mutando il quadro dei principi fin a ora espressi in modo all'apparenza consolidato, ha stabilito che nelle cause in materia di mantenimento del coniuge debole e dei minori non è più applicabile la sospensione feriale dei termini processuali; sicché tali cause sarebbero ormai tutte assimilabili a quelle in materia di alimenti, per definizione urgenti e non soggette a pause processuali obbligatorie.
La Prima Presidente ha disposto in conformità.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. - In esito alla citata recente decisione n. 18044-23, la Prima sezione ha chiesto che fosse riservata alle Sezioni Unite una questione divenuta di particolare importanza per due ordini di ragioni: perché correlata a un tentativo di mutamento di giurisprudenza ritenuto necessario dal tenore della normativa europea asseritamente rilevante (il regolamento CE n. 4 del 2009 del Consiglio in data 18-12-2008); e perché coinvolgente, negli effetti potenziali, un numero indeterminato di controversie familiari.
II. - L'ordinanza n. 18044-23 ha fissato il seguente principio: "in tema di obbligazioni alimentari come regolate dall'art. 1, comma 1, del Regolamento CE n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 (relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari), a norma dell'art. 83, comma 3, del d. l. n. 18 del 2020, convertito nella l. n. 27 del 2020, che della prima costituisce una derivazione, nelle cause in materia di mantenimento del coniuge debole e dei minori non è più applicabile la sospensione feriale dei termini processuali, di cui agli artt. 1 e 3 l. n. 742 del 1969; tali cause sono ormai tutte assimilabili a quelle in materia di alimenti, per definizione urgenti e non soggette a pause processuali obbligatorie; ove pertanto si controverta di siffatte obbligazioni, la sospensione dei termini non si applica parimenti ai casi in cui la causa comprenda, in connessione, anche altre questioni familiari o riguardanti i minori, pur se non espressamente contemplate dall'art. 92 del decreto regio n. 12/1941".
III. - In effetti il principio si pone in discontinuità rispetto a un panorama giurisprudenziale consolidato in senso opposto, incentrato sull'affermazione per cui al procedimento di revisione del contributo di mantenimento dei figli è applicabile la disciplina sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale in quanto il diritto dei figli al mantenimento da parte dei genitori, anche dopo la separazione o il divorzio, previsto rispettivamente dagli artt. 155 cod. civ. e 6 della l. n. 898 del 1970, non ha natura alimentare (ex artt. 433 e seg. cod. civ.), neppure per assimilazione (Cass. Sez. 1 n. 8417-00, Cass. Sez. 1 n. 8567-91, Cass. Sez. 1 n. 2050-88; e v. pure Cass. Sez. 1 n. 1874-19).
Poiché l'assegno divorzile non si può equiparare all'assegno alimentare, essendo diverse la natura e le finalità proprie dei due tipi di assegno, in nessuna delle controversie concernenti l'assegno divorzile può trovare applicazione - si dice - l'esclusione dalla sospensione dei termini durante il periodo feriale prevista dall'art. 3 della legge n. 742 del 1969, in relazione all'art. 92, primo comma, dell'ordinamento giudiziario, riguardo alle cause relative agli alimenti. Per dette controversie può escludersi la sospensione soltanto ove consegua, a norma del secondo comma dell'art. 92, il decreto di riconoscimento dell'urgenza della controversia, nel presupposto - previsto dallo stesso primo comma dell'art. 92 da intendersi richiamato dal citato art. 3 - che la ritardata trattazione possa provocare un grave pregiudizio alle parti (v. Cass. Sez. 1 n. 5862-99).
IV. - Occorre dire che nel solco del menzionato orientamento la rilevanza della distinzione è stata ribadita anche di recente, in relazione alla normativa emergenziale di contrasto all'epidemia da Covid-19.
A questa normativa ha fatto riferimento anche l'ordinanza n. 18044-23, per giungere (tuttavia) a una conclusione opposta.
Secondo la tesi prevalente, alle cause relative ad alimenti o a obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, considerate rilevanti ai fini dell'eccezione alla sospensione generalizzata dei termini processuali per effetto dell'art. 83, terzo comma, lett. a), del d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni in l. n. 27 del 2020, non possono essere equiparate le cause relative all'assegno divorzile, sempre per l'impossibilità di correlare l'assegno divorzile all'assegno alimentare, stante l'evidente diversità dei fini e della natura dei due assegni (Cass. Sez. 1 n. 539323, Cass. Sez. 1 n. 6639-23).
V. - L'ordinanza della Prima sezione n. 18044 del 2023 ha espresso il suo diverso convincimento sulla scorta dei seguenti passaggi argomentativi:
(i) l'art. 83, terzo comma, lett. a), del d.l. n. 18 del 2020 ai fini dell'emergenza pandemica ha distinto - è vero - le due fattispecie (quella delle cause relative agli alimenti, riferibile all'art. 433 e seg. cod. civ., e quella relativa all'obbligazione alimentare), ma le ha poi assoggettate alla medesima disciplina;
(ii) così facendo la norma ha recepito la più ampia accezione contemplata dall'art. 1, primo comma, del regolamento (CE) n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari;
(iii) la stessa relazione illustrativa del d.l. n. 18 del 2020 ha correlato la locuzione "cause relative ad alimenti o ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità" al significato che a essa viene dato nella normativa comunitaria, e in particolare nell'art. 1 del citato regolamento (CE) n. 4/2009;
(iv) quindi, anche ai fini interpretativi delle norme sulla sospensione dei termini processuali, la nozione di obbligazioni alimentari, siccome accolta nel diritto della UE, dovrebbe essere intesa nell'accezione "autonoma" declinata dal Considerando n. 11 del suddetto regolamento, con estensione a tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità, in senso comprensivo dei diversi istituti che coinvolgono le obbligazioni di mantenimento.
Ne deriverebbe la necessità di un mutamento radicale di assetti quanto agli indirizzi giurisprudenziali anteriori, perché "la norma sull'emergenza Covid-19, per il suo chiaro tenore letterale, sottrae entrambe le fattispecie alla sospensione dei termini processuali e stabilisce per le due tipologie di accertamento (concernenti l'alimentare puro e l'alimentare da mantenimento da valere nell'ambito familiare) una trattazione in sede giurisdizionale destinata ad operare anche durante la sospensione feriale e pur in un periodo segnato dalla necessità di contenimento del rischio pandemico".
La normativa emergenziale costituirebbe - così - un'espressione della discrezionalità del legislatore eurounitario volta a bilanciare gli interessi da tutelare mediante un'innovativa ratio, diretta ad accomunare, seppure ai fini della disciplina della sospensione dei termini processuali, due istituti (l'obbligazione alimentare e l'obbligazione di mantenimento) da sempre oggetto di differente regolamentazione per antica tradizione dommatica.
VI. - L'orientamento sostenuto dalla Prima sezione con l'ordinanza n. 18044-23 non può essere condiviso.
A composizione del contrasto va fissato, in coerenza con l'indirizzo tradizionale, il principio per cui ai giudizi o ai procedimenti di revisione delle condizioni di separazione o di divorzio, nei quali si discuta del contributo di mantenimento o dell'assegno divorzile nelle varie forme, resta applicabile la disciplina sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, salvo che non ricorra il decreto di riconoscimento dell'urgenza della controversia (art. 92 ord. giud.) nel presupposto che la sua ritardata trattazione possa provocare grave pregiudizio alle parti.
VII. - È necessario prender le mosse dalla ratio della sospensione feriale, che è strettamente correlata alla tutela giurisdizionale dei diritti.
L'istituto della sospensione dei termini processuali in periodo feriale costituisce un presidio della tutela giurisdizionale dei diritti.
Quando l'azione giudiziaria sia l'unico rimedio funzionale a far valere un diritto che si assuma leso, la sospensione dei termini in periodo feriale, per il tramite della necessità di assicurare riposo agli avvocati, garantisce altresì che non sia menomato il diritto alla tutela giurisdizionale secondo quanto previsto in generale dall'art. 24 cost. (v. tra le varie C. cost. n. 380 del 1992, C. cost. n. 61 del 1990, C. cost. n. 49 del 1990).
In guisa di tale ratio, la l. n. 742 del 1969 ha dettato come regola generale, in relazione all'art. 92 ord. giud., quella della sospensione degli affari civili in periodo feriale, salvo l'elenco tassativo dei casi (eccezionali) nei quali invece una certa tipologia di cause, specificamente indicate, va considerata urgente per definizione, così da risultare sottratta alla medesima regola (v. Cass. Sez. 1 n. 8567-91, Cass. Sez. 1 n. 12964-02).
VIII. - Nell'elenco delle cause alle quali la sospensione non è applicabile compaiono quelle "relative ad alimenti" (art. 92 ord. giud. come richiamato nell'art. 3 della l. n. 742 del 1969).
Codeste sono però distinte - ontologicamente - dalle cause di separazione o di divorzio nelle quali semplicemente si discuta dell'obbligazione alimentare o dell'assegno di mantenimento o divorzile.
Queste ultime attengono a obbligazioni avvinte dal fine di solidarietà familiare o post-familiare considerato rilevante nella crisi della famiglia. Le relative prestazioni possono certo rispondere alla necessità di sopperire ai bisogni di vita della persona, ma in un'accezione più ampia di (e indiscutibilmente differente da) quella sottesa alla prestazione alimentare strettamente intesa, non essendo necessario lo stato di indigenza o di bisogno al quale allude, invece, l'art. 438 cod. civ.
Simile constatazione distintiva è del tutto ovvia e non è punto messa in discussione dall'ordinanza n. 18044-23.
Essa d'altronde trova riscontro, per i giudizi divorzili o per quelli di cui all'art. 9 della legge div. che qui specificamente interessano, nella funzione polivalente riconosciuta all'assegno nelle sue varie declinazioni:
- natura assistenziale e anche perequativo-compensativa quanto all'ex-coniuge, diretta conseguenza del principio costituzionale di solidarietà, che conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale ad adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate (Cass. Sez. U n. 18287-18);
- concretizzazione, quanto al figlio, del diritto di ricevere dai genitori, sia se minore, sia se maggiorenne ma non economicamente indipendente, l'adempimento degli obblighi di mantenimento, istruzione, educazione e assistenza morale e materiale (artt. 147, artt. 155 e 337-bis e seg. cod. civ.).
Ciò vuol dire che, sempre in rapporto ai figli, al diritto ritenuto preminente fa da contraltare un obbligo che a sua volta si impone come dovere preminente: un dovere che sul genitore grava anche ove l'altro non possa o non voglia adempiere al proprio eguale dovere, nell'essenziale interesse dei figli stessi e onde far fronte comunque e per intero alle loro esigenze con tutte le sostanze patrimoniali e con la propria capacità di lavoro - salva la possibilità di convenire in giudizio l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui.
Con riguardo al contributo relativo alla prole, che nella presente causa interessa specificamente, questa constatazione prescinde in toto dal cd. stato di bisogno e - radicata nella giurisprudenza in modo pressoché costante - induce a precisare che l'ammontare del contributo dovuto dal genitore per il mantenimento dei figli, minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, implica semmai l'osservanza del principio di proporzionalità (art. 337-ter cod. civ.); il quale richiede la valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori nella considerazione non delle necessità di mera prestazione alimentare - art. 438 cod. civ. -, bensì delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (tra le più recenti Cass. Sez. 1 n. 4811-18; Cass. Sez. 1 n. 19299-20, Cass. Sez. 1 n. 32466-23).
IX. - Per incidens può osservarsi che il riscontro di una distinta e ben più articolata funzione di tutte le menzionate prestazioni, rispetto a quella alimentare in senso stretto, è al fondo della recente sottolineatura fatta da queste Sezioni Unite a proposito dell'operare della regola della condictio indebiti.
Per l'assegno di mantenimento nella separazione o per l'assegno divorzile, la condictio è stata riconosciuta come espressione di regola generale ove risulti accertata - nella sentenza di primo o di secondo grado - l'insussistenza ab origine, in capo all'avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo (ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica).
E tuttavia questa stessa regola può essere derogata, si è detto, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, nelle due ipotesi (a) dell'esclusione della debenza del contributo in virtù di una diversa valutazione con effetto ex tunc delle sole condizioni economiche dell'obbligato già esistenti al tempo della pronuncia e (b) della rimodulazione al ribasso di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell'ambito di somme modeste, presumibilmente destinate al consumo da un coniuge, o ex coniuge, in condizioni di debolezza economica (Cass. Sez. U n. 32914-22).
Nel dire questo è stata dalla giurisprudenza valorizzata proprio l'esistenza delle differenze funzionali (e in parte anche strutturali) tra ciò che costituisce oggetto di alimenti (nel presupposto unico e specifico dello stato di bisogno dell'avente diritto e dell'impossibilità di provvedere altrimenti a tale stato) e ciò che invece, in termini compositi, integra la cifra del diritto al mantenimento, sia del coniuge, o dell'ex coniuge, che della prole, e sia nella separazione che nel divorzio.
X. - Ora, da tale excursus ben può dirsi dimostrata la solida matrice di riferimento della tesi restrittiva a proposito del correlato ambito di applicazione dell'art. 3 della l. n. 742 del 1967 in relazione all'art. 92 ord. giud.
L'esigenza di certezza, che sempre si impone laddove si discuta di garanzie di difesa giurisdizionale, implica che quella matrice sia individuata nel testo di legge in rapporto alla constatata differenza tra le fattispecie, giacché il testo del richiamato art. 92, parlando di cause "relative ad alimenti", sottende un rinvio alla prestazione alimentare strettamente intesa, quella di cui agli artt. 433 e seg. cod. civ., così che un simile rinvio possa infine ritenersi refrattario a qualunque fraintendimento.
XI. - L'ordinanza n. 18044-23, senza porre in dubbio l'effettività della differenza tra le sottostanti fattispecie, ha ritenuto di individuare un diverso margine valutativo facendo leva su due argomenti: la normativa da Covid-19 e il regolamento (CE) n. 4 del 2009 al quale la prima si sarebbe ispirata.
Nessuno di essi è decisivo.
XII. - Non lo è innanzi tutto quello incentrato sulla normativa emergenziale da Covid-19.
È vero che codesta, ai fini dell'eccezione alla sospensione generalizzata dei termini processuali dopo la modifica dell'art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 fatta in sede di conversione, ha sostituito (a decorrere dal 30-6-2020) l'originaria formulazione, contemplante le "cause relative alla tutela dei minori, ad alimenti", con la frase "cause relative ai diritti delle persone minorenni, al diritto all'assegno di mantenimento, agli alimenti e all'assegno divorzile".
Ma non è ravvisabile una concreta incidenza di un simile fatto sull'assetto di principi che concernono la l. n. 742 del 1967.
Nel d.l. n. 18 del 2020 e nella relativa legge di conversione è da rinvenire niente altro che una disciplina temporanea (per la cui ricostruzione può rinviarsi a Cass. Sez. 1 n. 5393-23).
La disciplina è stata indirizzata a stabilire quali fossero, in relazione all'andamento dei contagi e delle misure di distanziamento sociale nelle varie fasi del contrasto alla pandemia, le eccezioni alla regola di sospensione generalizzata dell'attività giudiziaria; regola riguardante i procedimenti e i termini processuali in vista della medesima unica esigenza di contenimento degli effetti della diffusione epidemica.
S'è trattato dunque di una normativa specifica e a termine, non avente altre finalità che la tutela della salute pubblica in un contesto eccezionale e provvisorio - e peraltro cessato prima delle date essenziali che in questa sede interessano (e che - per vero - interessavano anche la fattispecie risolta da Cass. Sez. 1 n. 18044-23) per stabilire la tempestività del ricorso. Una normativa nella quale, oltre tutto, sebbene nell'ampliamento delle fattispecie sottratte alla sospensione generalizzata ex lege lì rilevante, risulta esplicitata la piena consapevolezza del legislatore in ordine alla diversità di ambito tra le cause relative agli alimenti in senso stretto (da un lato) e quelle relative alle prestazioni di mantenimento o alimentari nell'ambito dei giudizi di separazione e divorzio (dall'altro).
La menzionata diversità è stata tenuta da conto al punto da indurre infatti - pur nella logica dell'emergenza - all'estensione dei diritti processuali previsti dall'originaria formulazione dell'art. 83; estensione alla categoria delle prestazioni da assolvere nei giudizi di separazione o di divorzio, attraverso una modifica del testo altrimenti inspiegabile.
L'elemento di specialità insito nella normativa richiamata testimonia che nessun effetto è da attribuire al divenire delle formulazioni dell'art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 per ciò che riguarda l'esegesi degli artt. 3 della l. n. 742 del 1967 e 92 ord. giud. a proposito del diverso operare della regola da tali articoli desumibile.
XIII. - Quanto al regolamento (CE) n. 4 del 2009, si tratta in questo caso della fissazione in ambito UE delle regole relative alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari.
Anche qui è indubbiamente vero che il regolamento ha dotato una propria nozione di obbligazione alimentare; ed è vero che codesta non è rapportabile a quella sottesa agli artt. 433 e seg. cod. civ.
Ma, per quanto il regolamento già nel Considerando n. 11 (richiamato dall'ordinanza n. 18044-23) abbia enunciato che la nozione di obbligazione alimentare "dovrebbe essere interpretata in maniera autonoma", vi è che poi nell'art. 1.1 ha precisato che l'ambito di applicazione del testo è quello delle "obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità" solo in rapporto al fine.
Detto altrimenti: il complesso delle previsioni del regolamento, ivi compreso l'ambito delle definizioni, è da intendere circoscritto dal fine del regolamento stesso. E il fine è quello di "istituire specifiche norme procedurali comuni speciali per semplificare e accelerare la composizione delle cause transfrontaliere riguardanti in particolare i crediti alimentari".
Questa cosa è stata fatta mediante soppressione delle misure intermedie necessarie per permettere il riconoscimento e l'esecuzione nello Stato richiesto di una decisione emessa in un altro Stato membro, e in particolare una decisione riguardante - giustappunto - un credito alimentare (v. i Considerando 4 e 9).
Sicché in tal modo il regolamento citato ha perseguito lo scopo di consentire a un creditore di alimenti - qualunque ne sia il contesto e la fonte di diritto interno - "di ottenere facilmente in uno Stato membro una decisione che sia automaticamente esecutiva in un altro Stato membro senza ulteriori formalità", così preservando l'obiettivo mediante la creazione di uno strumento comunitario in materia di obbligazioni alimentari teso a raggruppare le disposizioni concernenti i conflitti di giurisdizione, i conflitti di leggi, il riconoscimento e l'esecutività, l'esecuzione, il patrocinio a spese dello Stato nonché la cooperazione tra le autorità centrali (v. il Considerando 10).
XIV. - Solo, quindi, in rapporto a questa specifica funzione si spiega la precisazione alla quale ha alluso l'ordinanza n. 18044 del 2023.
Erroneamente quella precisazione è stata valorizzata in modo assoluto.
L'ambito di applicazione del regolamento deve estendersi "a tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità". E però "al fine di garantire la parità di trattamento tra tutti i creditori di alimenti", onde preservare gli interessi dei creditori di alimenti e favorire la corretta amministrazione della giustizia all'interno dell'Unione europea, tanto da venir simultaneamente auspicato un adattamento delle stesse norme eurounitarie sulla competenza (pro tempore, il regolamento (CE) n. 44/2001).
Sicché la circostanza che un convenuto abbia la residenza abituale in uno Stato terzo non deve escludere - come ancora si dice nel regolamento n. 4 del 2009 - l'applicazione delle norme comunitarie in materia di competenza, così da non rendere necessario un ulteriore rinvio alle norme in materia di competenza contemplate dal diritto nazionale.
Per questo, e non per altro, nel Considerando n. 11 si rinviene la specificazione che "ai fini del presente regolamento", la nozione di "obbligazione alimentare" dovrebbe essere interpretata "in maniera autonoma".
XV. - Ne deriva che le previsioni del citato regolamento (CE) n. 4 del 2009 non incidono affatto sulle modalità con le quali le legislazioni dei singoli Stati (e tra queste in particolare la legislazione nazionale italiana) abbiano ritenuto - e ritengano - di disciplinare gli istituti di riferimento sul piano dei presupposti, degli effetti e delle modalità di tutela.
Il regolamento viene in considerazione solo ove si discuta del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni o della competenza in materia di obbligazioni alimentari.
L'ampliamento del concetto di obbligazione alimentare declinato dal regolamento non fuoriesce dai casi in cui sia in discussione il suo ambito specifico di applicazione. Ed è quindi ininfluente rispetto alla disciplina della sospensione dei termini feriali quanto ai giudizi di diritto interno. Ciò anche perché la stessa (sottesa) esigenza di una più celere definizione di tali giudizi è dagli istituti di diritto interno comunque assicurata, stante la possibilità offerta dall'art. 92 ord. giud. di dichiarare urgente - e come tale sottratta alla sospensione feriale - la singola causa quando la ritardata trattazione potrebbe provocare un grave pregiudizio alle parti.
XVI. - Nel caso concreto risulta che il decreto impugnato è stato notificato il 27-7-2021 e che il ricorso per cassazione a sua volta è stato notificato il 26-10-2021 a fronte della sospensione dei termini in periodo feriale.
Deve concludersi che il ricorso medesimo è ammissibile perché tempestivo.
XVII. - Fissato nel senso indicato al superiore punto VI il principio di diritto volto a comporre il contrasto di giurisprudenza, e stabilito che il ricorso è ammissibile, gli atti possono essere restituiti alla sezione rimettente per l'esame delle censure consegnate ai singoli motivi.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, dichiara ammissibile il ricorso e rimette gli atti alla Prima sezione civile per l'esame dei singoli motivi.
Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, addì 30 gennaio 2024.
Depositata in Cancelleria il 13 maggio 2024.