Quali sono le conseguenze derivanti dalla mancata indicazione del regime di ammortamento c.d. "alla francese" nel contratto di mutuo bancario?
Sul punto intervengono le Sezioni Unite civili della Cassazione con la sentenza n. 15340 depositata il 29 maggio 2024.
Gli orientamenti sulla mancata indicazione del regime di ammortamento sono due:
La Suprema Corte condivide il primo orientamento giurisprudenziale.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno rilevato che:
In tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento "alla francese" di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione "composto" degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti.
Cassazione civile sez. un., sentenza 29/05/2024 (ud. 27/02/2024) n. 15130
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - La signora Po.Ga. chiese al Tribunale di Salerno di far dichiarare la nullità parziale di un contratto di mutuo ipotecario bancario stipulato, a tasso fisso, con la Banca nazionale del lavoro Spa (BNL) in data 20 dicembre 2007, a causa della mancata pattuizione e indicazione della modalità di ammortamento (c.d. "alla francese") e delle modalità di calcolo degli interessi passivi, in violazione di numerose disposizioni normative, e di far condannare la banca a rimborsare i maggiori interessi "indebitamente" riscossi, pari alla differenza tra gli interessi convenzionali e il tasso minimo dei Bot nell'anno precedente alla stipula del contratto, o alla minore o maggiore somma da accertare in giudizio.
Nella prospettazione attorea la clausola contrattuale relativa agli interessi passivi sarebbe affetta da nullità strutturale per indeterminatezza e/o indeterminabilità dell'oggetto (artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c.), essendo pattiziamente indicato solo il tasso di interesse e non anche il regime ("composto") di Da capitalizzazione degli interessi passivi, aspetto quest'ultimo che si assume dirimente anche nell'ottica della trasparenza contrattuale (art. 117, comma 4, D.Lgs. n. 395 del 1993, d'ora in avanti T.u.b.).
La Banca convenuta si costituì in giudizio deducendo che il piano di ammortamento "alla francese" non integra violazione del divieto di anatocismo di cui all'art. 1283 c.c. e che, in ogni caso, l'omessa esplicitazione della modalità di calcolo degli interessi sarebbe irrilevante, poiché tale informazione sarebbe implicita nel piano di ammortamento allegato al contratto che, indicando il numero delle rate, il loro ammontare e la loro composizione con la distinta indicazione della sorte capitale e degli interessi, fornirebbe una dettagliata rappresentazione dei costi del finanziamento e delle modalità di restituzione del prestito, oltre a recare l'indicazione del TAN (tasso annuo nominale), del TAEG (tasso annuo effettivo globale) e dell'ISC (indicatore sintetico di costo).
2. - Il Tribunale, con ordinanza del 19 luglio 2023, ha disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., dopo avere riferito che il testo contrattuale non indica espressamente che il piano di ammortamento è quello c.d. "alla francese" né che è applicato il regime di capitalizzazione "composto" degli interessi, ma indica l'importo mutuato (Euro 80000,00), la durata del prestito (quindici anni), il numero delle "rate costanti" da restituire con la specificazione della quota per capitale e della quota per interessi, il TAN (tasso annuo nominale) e il TAE (tasso annuo effettivo, "maggiore del TAN"). Il rinvio è stato disposto per la risoluzione della questione di diritto concernente "l'interpretazione delle conseguenze giuridiche derivanti dalla omessa indicazione, all'interno di un contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione "composto" degli interessi debitori, pure a fronte della previsione per iscritto del Tasso Annuo Nominale (TAN), nonché della modalità di ammortamento c.d. alla francese, cioè se tale carenza di espressa previsione negoziale possa comportare la indeterminatezza e/o indeterminabilità del relativo oggetto, con conseguente nullità strutturale in forza del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c., nonché ... la violazione delle norme in tema di trasparenza e, segnatamente, dell'art. 117, comma 4, T.u.b. che impone, a pena di nullità, che "i contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizioni praticate, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora", con conseguente rideterminazione del piano di ammortamento applicando il tasso sostitutivo "B.O.T." (art. 117, comma 7, T.u.b.)" (a pag. 4-5 dell'ordinanza).
Il Tribunale ha evidenziato la necessità di risolvere la suddetta questione, ritenuta "esclusivamente di diritto", per la definizione anche parziale del giudizio, per le gravi difficoltà interpretative in presenza di diverse interpretazioni possibili e la possibilità che essa si ponga in numerosi giudizi.
3. - L'ordinanza ha superato il vaglio preliminare previsto dall'art. 363-bis, comma 3, c.p.c., avendo la Prima Presidente ammesso il rinvio pregiudiziale con decreto del 23 settembre 2023, nel quale ha ritenuto ricorrenti le condizioni oggettive richieste dall'art. 363-bis, comma 1, c.p.c. "non apparendo, la questione posta, e salvi ulteriori approfondimenti da parte del Collegio, assorbita da una ragione più liquida, che consenta di decidere la controversia a prescindere dalla questione controversa".
Gli "ulteriori approfondimenti" rimessi al Collegio riguardano, in particolare, le conseguenze della mancata attivazione del contraddittorio sulla intenzione del Tribunale di effettuare il rinvio pregiudiziale, tempestivamente segnalata con nota rivolta alla Corte, depositata il 2 agosto 2023, con cui la Banca ha chiesto di dichiarare la nullità dell'ordinanza di rinvio pregiudiziale per violazione dell'art. 363-bis, comma 1, c.p.c. ("Il giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale...").
Il decreto poc'anzi menzionato, dopo avere riferito le varie posizioni emerse al riguardo in dottrina, ha ritenuto "opportuno rimettere al Collegio la valutazione delle conseguenze dell'omessa attivazione del contraddittorio dinanzi al giudice a quo", senza quindi "precludere ... l'ingresso del rinvio in ragione di un vizio occorso nel procedimento di adozione dell'ordinanza da parte del giudice di merito".
4. - La Procura Generale ha concluso nel senso della inammissibilità del rinvio pregiudiziale in esame, in quanto disposto senza avere prima doverosamente udito le parti sull'intenzione del giudice di merito di attivare il predetto strumento di nomofilachia preventiva introdotto dalla legge n. 149 del 2022.
Il Collegio è di diverso avviso.
5. - Potrebbe richiamarsi l'orientamento che, in relazione al divieto delle sentenze della c.d. "terza via" violative del principio del contraddittorio, esclude conseguenze invalidanti quando la decisione del giudice sia di puro diritto, non potendo le parti dolersi di una violazione del diritto di difesa o di un c.d. "effetto sorpresa" quando il giudice, disponendo il rinvio pregiudiziale su questioni "esclusivamente di diritto", non abbia fatto altro che esercitare il potere che la legge stessa gli attribuisce (jura novit curia), ai sensi dell'art. 363-bis, comma 1, c.p.c., diversamente da quanto accade quando il giudice abbia deciso su rilievo officioso (senza avere previamente consentito il contraddittorio delle parti) su questioni di fatto o "miste" di fatto e diritto, giacché in tal caso le parti devono necessariamente concorrere alla delimitazione del thema decidendum (cfr. Cass. n. 21314/2023, 3543/2023, 1617/2022).
Queste considerazioni, invero, non sarebbero sufficienti a scalfire le acute considerazioni della Procura Generale, la quale ha evidenziato che il principio generale del contraddittorio ex art. 101 c.p.c. (tra l'altro, elevato al rango costituzionale dall'art. 111, comma 2, Costituzione) assume una connotazione specifica nell'istituto del rinvio pregiudiziale, visto che l'art. 363-bis, comma 1, c.p.c. ne prescrive espressamente l'attuazione nella fase di merito e in via preventiva rispetto alla decisione di investire la Corte di cassazione sulla questione controversa. Inoltre, la previa audizione delle parti è in funzione anche della necessità di evitare che le parti subiscano la sospensione del procedimento a quo (ex art. 363-bis, comma 2) che sarebbe "a sorpresa" e per un tempo indefinito per l'attesa della pronuncia della Corte, "di qui la attività di filtro immediato affidata "prima facie" al Primo Presidente".
Le ragioni che inducono il Collegio ad aderire, entro certi limiti, al diverso orientamento secondo cui i diritti delle parti non sarebbero effettivamente (e giuridicamente) compromessi dalla loro omessa preventiva audizione, vanno ricercate altrove.
In particolare, affermare la inammissibilità del rinvio pregiudiziale nel caso in cui il giudice remittente non abbia "sentito le parti" presuppone che l'ordinanza di rinvio sia viziata per ragioni di nullità, nel qual caso il regime giuridico applicabile sarebbe quello previsto dall'art. 156 ss. c.p.c., sempre che ne sussistano le condizioni.
Detto regime prevede che la nullità non può essere dichiarata se non è comminata espressamente dalla legge (comma 1) - e nella specie non lo è - e quando l'atto abbia i requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (comma 2), e non vi è ragione di escludere che ciò possa avvenire ed essere oggetto di verifica della Corte di cassazione, potendosi al contraddittorio mancante nella prima fase sopperirsi nella fase successiva, nella quale le parti possono depositare le memorie e discutere in udienza pubblica (comma 4) ogni aspetto di loro interesse riguardante la questione devoluta dal Tribunale.
Lo scopo dell'atto, in relazione al quale va verificata la possibilità di recupero ex post del contraddittorio, concerne evidentemente la sussistenza delle condizioni oggettive previste dall'art. 363-bis, comma 1, c.p.c. (natura esclusivamente di diritto della questione, novità e necessità della stessa ai fini della definizione del giudizio, gravi difficoltà interpretative, ripetibilità della questione in numerosi giudizi) ma anche la rilevanza e attualità della questione, potendo dal contraddittorio tra le parti in vista della (e durante la) udienza pubblica emergere che sulla questione la Corte di cassazione si è già espressa con decisioni prima ignorate o successive all'ordinanza di rinvio o che la stessa non è esclusivamente di diritto o non è più idonea a definire totalmente o parzialmente il giudizio, a seguito delle precisazioni, modificazioni e dei chiarimenti resi dalle parti (riguardanti anche eventuali profili fattuali presupposti) o a seguito della possibile rinuncia alla domanda o alle eccezioni sottese alla questione giuridica controversa.
Il rinvio pregiudiziale è inammissibile se all'esito del contraddittorio ex-post emerga la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni oggettive previste dalla legge; altrimenti il rinvio è ammissibile, nel qual caso l'interesse delle parti a non subire la sospensione del procedimento a quo non può dirsi giuridicamente apprezzabile, essendo la sospensione prevista dalla legge al ricorrere di condizioni oggettive effettivamente sussistenti. L'interesse alla rapida definizione del giudizio di merito recede rispetto all'esigenza di risolvere la questione di diritto rimessa alla Corte di legittimità in presenza delle condizioni normativamente fissate.
La parte interessata può rinunciare all'eccezione di nullità dell'atto processuale (rinvio pregiudiziale) anche tacitamente (art. 157, comma 3, c.p.c.) in presenza di comportamenti incompatibili con la volontà di avvalersi dell'eccezione, come è avvenuto nella specie, avendo la Banca spiegato ampia attività difensiva sulla questione posta dal giudice rimettente sia nella memoria che nella discussione orale, nel corso della quale ha infine rinunciato espressamente all'eccezione proposta di nullità e inammissibilità del rinvio.
Non si intende svalutare l'importanza del contraddittorio preventivo delle parti - che deve sempre essere attivato dal giudice di merito - ai fini della verifica delle condizioni oggettive di ammissibilità del rinvio pregiudiziale, ma ammettere che il contraddittorio può realizzarsi anche nella successiva fase dinanzi alla Corte di cassazione, ove le parti possono illustrare profili di inammissibilità del rinvio non potuti illustrare nella precedente fase e per questo non valutati dal giudice rimettente, che potranno essere posti dalla Corte a sostegno della declaratoria di inammissibilità del rinvio o, qualora non condivisi, a conferma della ammissibilità già valutata dalla Prima Presidente "prima facie" se sussistono le condizioni previste dall'art. 363-bis c.p.c.
In presenza di dette condizioni non v'è ragione di negare l'ammissibilità del rinvio pregiudiziale per la mancanza del contraddittorio preventivo che verrebbe a configurarsi come violazione meramente formale, inidonea a determinare una effettiva lesione del diritto di difesa o altri pregiudizi alla parte interessata.
La soluzione qui condivisa è anche in sintonia con la norma di chiusura del sistema delle nullità (l'art. 162, comma 1, c.p.c: "Il giudice che pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti") che, lungi dal correlare la nullità alla impossibilità giuridica di produzione di effetti dell'atto nullo, ammette al contrario la correlazione della prima con la possibilità giuridica dell'atto (nullo), al fine di favorirne il raggiungimento dello scopo, ove possibile, mediante una regola di autorettificazione del processo orientata a favorire la statuizione di merito.
In conclusione sul punto, va affermato il principio secondo cui, in tema di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., l'ordinanza di rinvio emessa dal giudice di merito senza avere sentito le parti sul proposito di investire la Corte di cassazione, in violazione del primo comma dell'art. 363-bis (il giudice "sentite le parti costituite" può disporre il rinvio), non è automaticamente nulla né rende di per sé inammissibile il rinvio, potendo il contraddittorio preventivo essere recuperato nella fase dinanzi alla Corte di cassazione con le memorie in vista della pubblica udienza e con la discussione orale dinanzi alla Corte; all'esito di tali attività l'ammissibilità del rinvio, già valutata dal Primo Presidente "prima facie", potrà avere conferma se il Collegio riterrà che sussistono le condizioni oggettive previste dalla medesima disposizione (natura esclusivamente di diritto della questione, novità e necessità della stessa ai fini della definizione del giudizio, gravi difficoltà interpretative, ripetibilità della questione in numerosi giudizi) o smentita, nel qual caso il rinvio sarà dichiarato inammissibile.
6. - Venendo ad esaminare la questione sulla quale verte il rinvio pregiudiziale, il Tribunale ha evidenziato l'esistenza di diverse interpretazioni in ordine alle conseguenze derivanti dalla mancata indicazione del regime di ammortamento c.d. "alla francese" nel contratto di mutuo bancario, riguardanti le modalità con cui vengono composte le singole rate di rimborso e determinati gli interessi in relazione al capitale.
Secondo una prima interpretazione, non deriverebbero conseguenze di sorta né in punto di determinatezza e/o determinabilità dell'oggetto del contratto, né di rispetto della trasparenza bancaria, avendo riguardo all'art. 117, comma 4 T.u.b. che prescrive l'indicazione del tasso di interesse e di ogni altro prezzo e condizioni praticate dalla banca.
Secondo "un'altra ricostruzione ermeneutica", implicitamente condivisa dal Tribunale rimettente, la mancata indicazione del regime di ammortamento (c.d. "alla francese") inciderebbe sul contratto di mutuo in termini di validità. Si assume che sarebbe una soluzione difficilmente praticabile in concreto quella di ritenere che sia rispettato il requisito di determinatezza e/o determinabilità del suo oggetto solo perché il sistema di ammortamento sia astrattamente evincibile dalla tabella consegnata al cliente e dalle singole clausole recanti le condizioni economiche del prestito.
In quest'ottica si fa leva sul principio di trasparenza bancaria e sul diritto del cliente-mutuatario di ricevere una corretta e trasparente informazione - essendo egli "contraente debole" normalmente privo del necessario bagaglio di conoscenze tecniche necessarie per comprendere il meccanismo di composizione delle rate di rimborso e la reale portata economica delle singole clausole che va a sottoscrivere -, diversamente dall'istituto di credito che, quale "bonus argentarius", ha l'obbligo di rendere edotti i clienti in modo chiaro e comprensibile di quelli che sono il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, così da mettere gli stessi in condizione di comprendere la portata giuridica e soprattutto economica delle loro determinazioni negoziali.
Il metodo di ammortamento "alla francese" - che prevede la corresponsione di rate costanti di rimborso in cui la quota parte degli interessi è progressivamente decrescente e quella della sorte capitale è progressivamente crescente, essendo dapprima corrisposti prevalentemente gli interessi e poi il capitale via via residuo - può determinare, infatti, un significativo incremento del costo complessivo del denaro preso a prestito per effetto del regime "composto" di capitalizzazione degli interessi, cioè un ulteriore "prezzo" da esplicitare chiaramente nel contratto, poiché "l'interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta interessi" (ordinanza, pag. 7-8).
Secondo questa ricostruzione, la mancata esplicitazione nel contratto del regime ("alla francese") di capitalizzazione degli interessi renderebbe indeterminato il tasso e ciò comporterebbe una violazione del requisito della forma adsubstantiam e, quindi, la nullità (parziale) del contratto, ai sensi degli artt. 1346, 1418, comma 2, e 117, commi 2 e 4, T.u.b.; la conseguenza proposta dal giudice remittente è l'applicazione del meccanismo sanzionatorio dei tassi sostitutivi dei buoni ordinari del tesoro, ai sensi del comma 7 dell'art. 117 citato.
7. - In sintesi, le questioni di diritto formulate dal giudice rimettente sono le seguenti: se, in presenza di un mutuo a tasso fisso con piano di ammortamento c.d. "alla francese" allegato al contratto (nella specie, interamente onorato dalla debitrice e concluso), il contratto debba contenere, a pena di nullità, anche l'esplicitazione del regime di ammortamento, cioè delle modalità di rimborso del prestito (mediante rate fisse costanti comprensive di quote capitali crescenti e di quote interessi decrescenti nel tempo) e della eventuale maggiore onerosità del suddetto piano rispetto ad altri piani di ammortamento; se, in mancanza di detta indicazione, il contratto sia affetto da nullità parziale per indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto del contratto (art. 1346 c.c.) e/o per violazione della trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra banca e clienti (art. 117 T.u.b.); quali siano le eventuali conseguenze di una simile nullità.
Le regulae iuris invocate dal giudice remittente sono necessarie a definire il giudizio di merito pendente, attenendo alla possibile nullità del contratto dedotta in causa e rilevabile anche d'ufficio.
8. - Si premette che queste Sezioni Unite non sono chiamate a pronunciarsi con riferimento ai piani di ammortamento relativi ai contratti di mutuo a tasso variabile né sul tema, introdotto dalla difesa Po.Ga. nella memoria, dell'anticipata estinzione del rapporto di mutuo per scelta volontaria del mutuatario, che è estraneo ai quesiti pregiudiziali e alla materia del contendere, risultando astratto in quanto privo di rilevanza ai fini della definizione del giudizio di merito; neppure sono chiamate a pronunciarsi sul tema relativo alle eventuali conseguenze della mancata allegazione o inserzione del piano di ammortamento nel contratto.
9. - Si devono preliminarmente illustrare, nei limiti del necessario, le caratteristiche del piano di ammortamento "alla francese", definito come il "più diffuso in Italia" nelle disposizioni della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 in tema di "Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari" (allegato 3).
Esso è caratterizzato dal fatto che il rimborso del capitale e degli interessi avviene secondo un piano che prevede il pagamento del debito a "rate costanti" comprensive di una quota capitale (crescente) e di una quota interessi (decrescente). Il mutuatario si obbliga a pagare rate di importo sempre identico composte dagli interessi, calcolati sin da subito sull'intero capitale erogato e via via sul capitale residuo, e da frazioni di capitale quantificate in misura pari alla differenza tra l'importo concordato della rata costante e l'ammontare della quota interessi. I matematici finanziari hanno chiarito che il piano di ammortamento in questione si sviluppa a partire dal calcolo della quota interessi e deducendo per differenza la quota capitale e non viceversa.
Il rimborso delle frazioni di capitale conglobate nella rata in scadenza produce l'abbattimento del capitale (debito) residuo e la riduzione del montante sul quale sono calcolati gli interessi (maturati nell'anno), determinando così la progressiva diminuzione della quota (della rata successiva) ascrivibile agli interessi e il corrispondente aumento della quota ascrivibile a capitale e così via.
10. - L'ordinanza di rinvio, dubitando della validità e trasparenza del sistema di ammortamento "alla francese", pone l'accento critico sul sistema di capitalizzazione "composto" degli interessi, in base al quale afferma che "l'interesse prodotto in ogni periodo si somma al capitale e produce a sua volta interessi" (pag. 8). Si afferma che "il regime di capitalizzazione "composto" implica una maggiore onerosità del costo del denaro preso a prestito... in quanto la produzione di interessi su interessi costituisce, di per sé, un maggior costo" (pag. 11) poiché "il "montante" è calcolato con una formula in cui il tempo è posto in esponente" (pag. 8), al contrario di quanto accade nel regime di capitalizzazione semplice - che si assume "fisiologico" ai sensi dell'art. 821, comma 3, c.c. (pag. 11) - nel quale detto "esponente. manca, invece." e "gli interessi non producono a loro volta interessi e si sommano semplicemente (e) progressivamente al capitale iniziale"" o "non vengono mai moltiplicati per sé stessi, al contrario di quanto accade ove vi sia la capitalizzazione "composta"" (pag. 8).
In definitiva, ad avviso del Tribunale, la mancata esplicitazione del regime (semplice o composto) di capitalizzazione sarebbe causa di nullità parziale del contratto per indeterminatezza dell'oggetto, ex art. 1346 e 1418, comma 2, c.c., e per difetto di trasparenza, ex art. 117 t.u.b. (pag. 11-12).
11. - Nell'ottica dell'ordinanza di rinvio il regime di capitalizzazione assume rilievo decisivo, assumendosi che nel regime "composto" gli interessi si calcolano sugli interessi mentre nel regime "semplice" gli interessi si calcolano solo sul capitale.
Invero tale impostazione non collima del tutto con quella della difesa Po.Ga. che nella memoria ha affermato che è possibile anche "il calcolo dell'ammortamento alla francese con capitalizzazione semplice", ciò innescando una questione fattuale implicante l'accertamento - che non compete a questa Corte -della tipologia di capitalizzazione applicata in concreto nel contratto di mutuo stipulato tra le parti.
Ciononostante il Collegio reputa di doversi pronunciare sulle questioni poste dal Tribunale remittente, enunciando la regula iuris con riferimento ai piani di ammortamento "alla francese" standardizzati tradizionali, assumendo in questi termini le suddette questioni natura "esclusivamente di diritto", in conformità all'art. 363-bis, comma 1, c.p.c.
12. - Nell'ordinanza si precisa ancora che "non si controverte in questo giudizio di violazione del divieto di anatocismo" che "non viene qui in gioco" (pag. 8, 10).
In effetti, non si riscontra un effetto anatocistico vietato se si ha riguardo alla fisiologia dei rapporti di mutuo a restituzione frazionata, riferendosi il divieto ex art. 1283 c.c. (comunque superabile alle condizioni ivi previste) al momento patologico del rapporto, cioè alla pattuizione (anticipata) avente ad oggetto la produzione di interessi su interessi "scaduti" cioè non pagati alla scadenza, mentre nella specie il contratto è stato interamente onorato.
Una dottrina ha ammesso l'estraneità dell'ammortamento "alla francese" alla tematica dell'anatocismo, rilevando che tale sistema non fa incrementare il montante complessivo ma - ha osservato criticamente - non permette di farlo scendere nonostante gli avvenuti pagamenti, deprivando in via istituzionale la forza restitutoria dei pagamenti.
Nella motivazione del Tribunale si dà per acquisito il fatto che nei piani di ammortamento "alla francese" gli interessi (seppur non anatocistici in senso tecnico) producano comunque, a loro volta, interessi con conseguente moltiplicazione degli stessi, aspetto quest'ultimo decisivo ma sul quale il Tribunale non ha svolto alcun accertamento fattuale. Le affermazioni della parte attrice in memoria (pag. 12 e 13) - secondo cui "il capitale viene trattenuto dal finanziato in misura quantitativamente maggiore di quanto avverrebbe rispetto ad un piano che preveda un proporzionale versamento di capitale e interessi" e "per di più la imputazione dei versamenti da parte del mutuatario a capitale o a interessi avviene in modo non proporzionale" - ugualmente non spiegano dove e in che modo si anniderebbe la produzione di interessi su interessi.
Al riguardo sono pertinenti le considerazioni di questa Corte secondo cui "non può ritenersi sufficientemente specifica la censura sollevata denunciando soltanto, e del tutto astrattamente, la pretesa realizzazione, mediante l'utilizzo del sistema di ammortamento cd. "alla francese", di un risultato anatocistico, senza che tale asserzione sia accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l'avvenuta concreta produzione, nella specie, di un tale risultato. Le argomentazioni del motivo, inoltre, in nessun modo si confrontano con l'ulteriore affermazione della corte distrettuale secondo cui "Va aggiunto, come evidenziato nella sentenza impugnata, che gli interessi dovuti sull'intero finanziamento vengono ripartiti nelle singole rate e sono calcolati sul capitale residuo, non ancora restituito, senza quindi che si verifichi l'addebito di interessi sugli interessi maturati, che è l'ipotesi disciplinata dall'art. 1283 cod. civ."" (Cass. n. 13144/2023).
Facendo riferimento ai piani di ammortamento "alla francese" standardizzati, la questione se in un piano di ammortamento, come quello pattuito dalle parti in causa, gli interessi (non scaduti) generino ulteriori interessi è comunque ineludibile, poiché, ad avviso del Tribunale, la produzione di interessi su interessi - benché "non. vietata. sic et simpliciter" (ord. pag. 8) o, in altri termini, consentita a certe condizioni (cfr. delibera CICR del febbraio 2000) - sarebbe all'origine di un prezzo o di un costo occulto del prestito per il mutuatario, rilevante sia sul piano della determinatezza dell'oggetto del contratto sia sul piano della trasparenza bancaria.
13. - Deve escludersi che la quota di interessi in ciascuna rata sia il risultato di un calcolo che li determini sugli interessi relativi al periodo precedente o che generi a sua volta la produzione di interessi nel periodo successivo.
Come osservato dalla Procura Generale, "l'ammortamento alla francese prevede che l'obbligazione per interessi sia calcolata sin da subito sull'intero capitale erogato benché quest'ultimo non sia ancora integralmente esigibile" - come accade anche in altri sistemi di ammortamento, come quello c.d. "all'italiana" in cui la quota di interessi è calcolata sin da subito sull'intero importo mutuato e non su quello residuo - "ma non prevede che sugli interessi scaduti (e, si potrebbe aggiungere, non scaduti) maturino altri interessi. Il metodo alla francese è, piuttosto, costruito in modo tale che ad ogni rata il debito per interessi si estingue a condizione ovviamente che il pagamento sia avvenuto nel termine prestabilito. È, perciò, anche solo astrattamente inipotizzabile che siffatto ammortamento sia fondato su un meccanismo che trasforma l'obbligazione per interessi. in base di calcolo di successivi ulteriori interessi".
Una opposta conclusione non potrebbe argomentarsi rilevando semplicemente che nel mutuo "alla francese" la capitalizzazione avviene in regime "composto" che è una espressione descrittiva del fenomeno per cui la quota capitale è incrementata con gli interessi generati, però, non (necessariamente) su altri interessi ma sul capitale (debito) residuo, né destinati (necessariamente) a generare a loro volta (diventando parte della somma fruttifera di) ulteriori interessi nel periodo successivo (quantomeno nel regime di ammortamento "alla francese" standard e nella dinamica fisiologica del rapporto).
Se ne ha conferma nella giurisprudenza di legittimità: "nessuna contraddizione ... può essere ravvisata fra l'utilizzo (da parte del giudice di merito) dell'aggettivo "composto", da intendersi come evocato in correlazione con la natura del mutuo in esame, e il successivo rilievo del fatto che la quota di interessi dovuta per ciascuna rata "è calcolata applicando il tasso convenuto solo sul capitale residuo, il che esclude l'anatocismo"" (Cass. n. 34677/2022); "la capitalizzazione composta è quindi, nel caso di specie, del tutto eterogenea rispetto all'anatocismo ed è solo un modo per calcolare la somma dovuta da una parte all'altra in esecuzione del contratto concluso tra loro; è, in altre parole, una forma di quantificazione di una prestazione o una modalità di espressione del tasso di interesse applicabile a un capitale dato" (Cass. n. 27823/2023 in materia fiscale);
Tra gli studiosi della matematica applicata è acquisito che il regime composto è uno dei regimi finanziari più utilizzati perché permette di determinare l'equivalenza tra importi di capitale esigibili in tempi diversi, in attuazione del principio di equità finanziaria che postula la necessità di rendere omogenee grandezze o valori disomogenei perché riferiti a momenti temporali diversi, rendendo indifferente il tempo (ciò si verifica, ad esempio, nei mutui di denaro ove la remunerazione del capitale sia periodica, essendo i frutti acquisiti dal mutuante non tutti alla fine dell'operazione ma periodicamente, o quando si deve quantificare l'importo al tempo presente corrispondente alla somma dei valori attuali di tutte le rate future della rendita vitalizia in caso di riscatto, ex art. 1866 c.c.).
Non potrebbe escludersi in astratto che l'operazione di finanziamento si realizzi mediante la produzione di interessi su interessi per effetto della quale il tasso effettivo risulti maggiore di quello nominale e sfugga alla rilevazione nel TAEG, ma tale evenienza sarebbe una patologia da affrontare caso per caso, nel quadro delle domande ed eccezioni delle parti, attraverso indagini contabili volte a verificare se nella singola fattispecie siano pretesi o siano stati pagati interessi superiori a quelli pattuiti (è coerente l'affermazione per cui stabilire in concreto se vi sia, o no, produzione di interessi su interessi, è questione di fatto incensurabile in sede di legittimità, cfr. Cass. n. 9237/2020, n. 8382/2022, n. 13144/2023 cit.). Pertanto, al principio che si chiede di enunciare, nel senso di dichiarare in generale la invalidità dei piani di ammortamento "alla francese", può rispondersi avendo riguardo ai piani standardizzati tradizionali, rispetto ai quali deve escludersi che si verifichi la situazione patologica poc'anzi descritta.
14. - Ci si deve confrontare con gli argomenti critici utilizzati da una parte della dottrina che contesta, in definitiva, la validità dell'ammortamento "alla francese" sotto il profilo della meritevolezza dell'interesse perseguito e della causa concreta del negozio, sebbene il controllo di meritevolezza di cui all'art. 1322, comma 2, c.c. non sia previsto, invero, per i contratti tipici, qual è il mutuo bancario, e sia controversa la possibilità (cfr. in senso affermativo SU n. 22437/2018, n. 12981/2022) di introdurre un analogo controllo attraverso la verifica della rispondenza del tipo (come conformato in concreto) ai limiti imposti dalla legge, ex art. 1322, comma 1, c.c.
a) Il principale argomento critico utilizzato è che tale sistema di ammortamento comporta - come riflesso ex ante della programmata imputazione dei pagamenti a interessi in misura maggiore che al capitale - che il debito da (cioè una certa quantità di) interessi diventa esigibile prima che diventi esigibile il capitale cui è correlato e per una misura superiore alla quota di capitale nel contempo divenuto esigibile, il che si assume non essere consentito dall'art. 821, comma 3, c.c.
Si può tuttavia replicare osservando che lo scarto temporale tra il godimento immediato e il rimborso del capitale da parte del mutuatario non può andare a detrimento del creditore mutuante, come dimostra proprio l'art. 821, comma 3, che prevede che gli interessi "maturano giorno per giorno in ragione della durata del diritto" del creditore per il godimento del capitale di cui beneficia il debitore.
Se è vero che la maturazione (o il sorgere) del credito per interessi e la sua esigibilità non coincidono poiché gli interessi maturano già al momento della consegna del bene fruttifero ma diventano esigibili alla scadenza del debito principale in cui diviene esigibile il capitale (salvo, appunto, diverso accordo tra le parti), si deve inoltre considerare che ciascuna rata comprende anche una frazione di capitale che diventa esigibile progressivamente rendendo esigibili anche gli interessi calcolati "in ragione d'anno" (art. 1284, comma 1, c.c.) e parametrati -per accordo tra le parti sancito nel contratto cui il piano è allegato - al debito (capitale) residuo, come accade anche nel sistema di ammortamento c.d. "all'italiana".
Il mutuatario acquista la proprietà della somma mutuata (e il vantaggio della liquidità) ed è tenuto al pagamento degli interessi "compensativi" anche se si sia trovato, per causa di forza maggiore, nella condizione di non potere concretamente usare la somma mutuata (Cass. n. 199/1962). La natura compensativa degli interessi fa sì che essi decorrano sul capitale "anche se questo non è ancora (o non interamente) esigibile" (cfr. art. 1499 c.c.). Ciò è coerente con la onerosità del mutuo di danaro nel quale l'interesse è il corrispettivo della disponibilità per un certo periodo di tempo della somma mutuata o, più precisamente, della parte non ancora rimborsata e cioè del debito residuo ("sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia", art. 820, comma 3, c.c.).
Condizionare la esigibilità degli interessi alla esigibilità dell'intero capitale, con la conseguenza che il creditore potrebbe ritrarre i frutti tutti in una volta alla fine dell'operazione, metterebbe in crisi il funzionamento della regola, coerente con l'ordinato svolgimento della vita economica e sociale, della remunerazione periodica del capitale e della conseguente esigibilità periodica degli interessi, a favore di una regola - diversa da quella negozialmente assunta -che non potrebbe essere unilateralmente imposta al creditore ex post. La regola della esigibilità periodica degli interessi - che fonda la piena libertà delle parti di concordarla - è ulteriormente dimostrata dall'accostamento nell'art 820, comma 3, c.c. degli interessi a ogni tipo di rendita e ai corrispettivi delle locazioni cioè a prestazioni con cadenza tipicamente periodica.
Come rilevato in dottrina, che gli interessi possano essere esigibili anche quando maturati su un capitale non ancora (o non interamente) esigibile è, invero, confermato dall'art. 1820 c.c. che prevede che il contratto di mutuo possa essere risolto per inadempimento della obbligazione per interessi, ciò dimostrando che la scadenza degli interessi non coincide necessariamente con la scadenza del capitale. L'obbligazione degli interessi è definita come "accessoria" per indicare che il vincolo è genetico nel senso che dipende nella sua vicenda costitutiva dalla obbligazione principale ma, una volta venuta ad esistenza, si stacca dalla sua causa genetica e assume una propria autonomia.
b) L'art. 1282, comma 1, c.c. ammette che il credito non esigibile possa produrre interessi in base al titolo (qui negoziale) e non varrebbe obiettare che la suddetta disposizione governa la diversa materia del risarcimento del danno da inadempimento dell'obbligazione pecuniaria che è, invece, governata dall'art. 1224 c.c., mentre l'art. 1282 c.c. è norma generale sugli "interessi nelle obbligazioni pecuniarie".
c) Non varrebbe invocare l'art. 1185, comma 2, c.c. che consente al debitore che ha pagato nell'ignoranza del fatto che l'obbligazione non era ancora esigibile di ripetere, nei limiti della perdita subita, ciò di cui il creditore si è arricchito per effetto di un pagamento "anticipato" che, tuttavia, tale non è in presenza di un rimborso rateale a scadenze fisse, cui consegue la esigibilità del credito per frazioni di capitale e per gli interessi calcolati sulla base del piano di ammortamento con il quale le parti hanno concordato la fissazione dei termini del rimborso fissati a favore di entrambe le parti (art. 1816 c.c.).
d) Una smentita alla ricostruzione sin qui accolta non proviene neppure dagli artt. 1193 e 1194 c.c. che, lungi dal fondare un diritto del debitore di imputare il pagamento al capitale anziché agli interessi, pongono la regola opposta della prioritaria imputazione del pagamento agli interessi (in mancanza del consenso del creditore), cui le parti non hanno derogato, avendola confermata pattuendo un piano di rimborso che prevede l'imputazione prioritaria e prevalente dei versamenti iniziali agli interessi determinati in misura decrescente.
Come rilevato dalla Procura Generale, è quindi senz'altro legittimo che gli interessi diventino convenzionalmente esigibili prima che diventi esigibile (in tutto o in parte) il capitale, potendo le parti convenzionalmente stabilire che gli interessi si versino nel corso del rapporto prima del capitale o in un'unica soluzione alla fine del rapporto contestualmente al rimborso del capitale (artt. 1815 e 1820 c.c.).
15. - Il primo profilo in cui è articolato il quesito pregiudiziale è il seguente: se l'omessa indicazione del regime di capitalizzazione "composto" degli interessi e della modalità di ammortamento "alla francese" comporti la indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto e, di conseguenza, la nullità (parziale) del contratto di mutuo bancario, ai sensi degli artt. 1346 e 1418, comma 2, c.c.
L'indagine sulla determinatezza dell'oggetto del contratto attiene alla costruzione strutturale dell'operazione negoziale, cioè è volta a verificare che essa abbia confini ben definiti con riguardo all'an e al quantum degli interessi (non legali) che devono essere pattuiti sulla base di criteri oggettivi e insuscettibili di dare luogo a margini di incertezza, non sulla base di elementi indefiniti o rimessi alla discrezionalità di uno dei contraenti (ex plurimis, in tema di determinazione del tasso di interesse mediante rinvio agli usi o a parametri incerti, Cass. n. 28824 e 36026/2023, n. 17110/2019, n. 8028/2018, n. 25205/2014).
Alla suddetta questione è agevole rispondere in senso negativo quando il contratto di mutuo contenga le indicazioni proprie del tipo legale (art. 1813 ss. c.c.), cioè la chiara e inequivoca indicazione dell'importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso e del tasso di interesse predeterminato. Nel piano di ammortamento allegato al contratto nel caso che ha dato luogo al rinvio pregiudiziale erano indicati anche il numero e la composizione delle rate costanti di rimborso con la ripartizione delle quote per capitale e per interessi; quindi era soddisfatta la possibilità per il mutuatario di ricavare agevolmente l'importo totale del rimborso con una semplice sommatoria. Tra l'altro, come riferito nell'ordinanza di rinvio (pag. 2), era indicato nel contratto anche il (maggior) tasso annuo effettivo globale (TAEG) ma ciò, diversamente da quanto affermato, non rivela (necessariamente) la capitalizzazione infrannuale degli interessi debitori nel significato (recepito dal Tribunale) di produzione di interessi su interessi, potendo essere il TAEG più alto del TAN perché comprensivo di spese e costi aggiuntivi, il che sarebbe del tutto fisiologico.
La difesa Po.Ga. ha insistito sulla scarsa comprensibilità del piano di ammortamento con riguardo al suo effetto di rendere il prestito maggiormente oneroso rispetto ad altri piani, comprensibilità che si assume non sarebbe soddisfatta neppure dalla (eventuale e mancata) comunicazione della formula matematica applicata per lo sviluppo del piano né dalla indicazione che l'ammortamento è "alla francese". Tali considerazioni orientano l'interpretazione del quesito pregiudiziale nel senso che l'indeterminatezza dell'oggetto del contratto è dedotta come effetto della sua opacità o scarsa trasparenza per la presenza di un costo o "prezzo" occulto che avrebbe dovuto essere indicato nel contratto, ex art. 117, comma 4, T.u.b.
Questa impostazione non è condivisibile alla luce delle seguenti considerazioni.
a) La doglianza concernente la mancata esplicitazione nel contratto del maggior costo del prestito come effetto del sistema "composto" di capitalizzazione degli interessi non evidenzia un problema di determinatezza o indeterminatezza dell'oggetto del contratto ma, in ipotesi, di eventuale mancanza di un elemento tipizzante del contratto, previsto dall'art. 117, comma 4, T.u.b. ("I contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizioni praticati"), che darebbe luogo, semmai, a nullità testuale per la mancata indicazione di un "prezzo" o costo aggiuntivo del prestito e all'applicazione del tasso sostitutivo (comma 7).
b) L'indagine sulla determinatezza o indeterminatezza dell'oggetto del contratto non va compiuta con riferimento alla convenienza del contratto e delle sue clausole che è profilo non rilevante ai fini del giudizio sulla validità del contratto con riguardo sia alla sua struttura (artt. 1325 e 1346 c.c.) e alla integrità del consenso negoziale (cfr., in tema di intermediazione finanziaria, Cass. n. 13446/2023, 18039/2012), sia al controllo di meritevolezza del contratto (cfr., in tema di leasing traslativo, Cass. SU n. 5657/2023). Pertanto la doglianza, facendo leva sulla maggiore onerosità e, quindi, sulla minore convenienza del (regime finanziario del) prestito per il mutuatario rispetto ad altri possibili piani di ammortamento (tuttavia) non concordati dalle parti (sulla natura negoziale dei suddetti piani cfr. Cass. n. 5703/2002), non è pertinente rispetto alla censura di indeterminatezza dell'oggetto del contratto.
c) Il maggior carico di interessi del prestito non dipende - e comunque non è stato accertato dal giudice di merito in causa e non è una caratteristica propria dei piani di ammortamento "alla francese" standardizzati - da un fenomeno di produzione di "interessi su interessi", cioè di calcolo degli interessi sul capitale incrementato di interessi né su interessi "scaduti" (propriamente anatocistici), ma dal fatto che nel piano concordato tra le parti la restituzione del capitale è ritardata per la necessità di assicurare la rata costante (calmierata nei primi anni) in equilibrio finanziario, il che comporta la debenza di più interessi corrispettivi da parte del mutuatario a favore del mutuante per il differimento del termine per la restituzione dell'equivalente del capitale ricevuto.
In mancanza di un fenomeno di produzione di interessi su interessi, la tipologia di ammortamento adottato non incide di per sé sul tasso annuo (TAN) che dev'essere (ed è stato) esplicitato nel contratto né sul tasso annuo effettivo globale (TAEG) anch'esso esplicitato. Peraltro, la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 4597, 17187 e 34889/2023, n. 39169/2021) ritiene che il TAEG sia solo un indicatore sintetico del costo complessivo del finanziamento e non rientri nel novero dei tassi, prezzi e altre condizioni di cui all'art. 117, comma 4, T.u.b., sicché l'eventuale mancata previsione del TAEG non determina, di per sé, una maggiore onerosità del finanziamento, ma solo l'erronea rappresentazione del suo costo globale, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencate in contratto (l'obbligo di indicare l'ISC/TAEG fu esteso ai mutui nel 2003 con le "Istruzioni di vigilanza per le banche in tema di trasparenza" adottate dalla Banca d'Italia il 25 luglio 2003, attuative della delibera CICR del 4 marzo 2003; disposizioni specifiche al riguardo sono presenti nella legislazione più recente: nell'art. 121, commi 1, lett. m, e 3, T.u.b. in tema di "credito ai consumatori" e negli artt. 120-quinquies, comma 1, lett. m, e 3; 120-octies, comma 2, lett. e, e 120-decies, comma 3, T.u.b. in tema di "credito immobiliare ai consumatori").
In conclusione sul punto, deve escludersi che la mancata indicazione nel contratto di mutuo bancario, a tasso fisso, della modalità di ammortamento c.d. "alla francese" e del regime di capitalizzazione "composto" degli interessi incida negativamente sui requisiti di determinatezza e determinabilità dell'oggetto del contratto causandone la nullità parziale.
16. - Venendo al secondo profilo del quesito pregiudiziale, riguardante l'eventuale incidenza di tale mancanza sulla trasparenza delle condizioni contrattuali (Titolo VI del T.u.b.), il Tribunale rimettente chiede di verificare se la maggior quota di interessi complessamente dovuti in presenza di ammortamento "alla francese" rispetto a quello "all'italiana" costituisca un prezzo ulteriore e occulto che rende il tasso d'interesse effettivo maggiore di quello nominale (TAN) e del TAEG dichiarati nel contratto, di cui il cliente dovrebbe essere informato, con conseguente nullità parziale della relativa clausola contrattuale per violazione dell'art. 117, comma 4, T.u.b.
Prescindendo dal caso in cui l'istituto di credito abbia espressamente pubblicizzato la concessione di finanziamenti con piani di ammortamento diversi da quello praticato (art. 117, comma 6, ultima parte, T.u.b.), che è evenienza non ricorrente della specie, la verifica è negativa.
Come puntualmente osservato dalla Procura Generale, la differenza tra i due piani di ammortamento non dipende dal fatto che il tasso di interesse effettivo nel caso di ammortamento "alla francese" sia complessivamente maggiore di quello nominale, quanto piuttosto dall'essere tale effetto riconducibile alla scelta concordata del tempo e del modo del rimborso del capitale, in cui le rate iniziali prevedono interessi più elevati perché è più elevato il capitale (non ancora restituito) di cui il debitore ha beneficiato; detta differenza è, invero, ascrivibile alla circostanza che nell'ammortamento "all'italiana" si abbatte più velocemente il capitale (con pagamento di rate iniziali più alte) e, quindi, gli interessi che maturano sul capitale residuo inferiore sono inevitabilmente più bassi.
Come si è detto, il maggior carico di interessi derivante dalla tipologia di ammortamento in questione non deriva da un fenomeno di moltiplicazione in senso tecnico degli interessi che non maturano su altri interessi e non si traduce in una maggiore voce di costo, prezzo o esborso da esplicitare nel contratto, non incidendo sul TAN e sul TAEG, ma costituisce il naturale effetto della scelta concordata di prevedere che il piano di rimborso si articoli nel pagamento di una rata costante (inizialmente calmierata) e non decrescente.
Indicazioni in senso diverso non provengono dalla normativa primaria e secondaria vigenti ratione temporis (all'epoca di stipulazione del contratto nel 2007) e successivamente.
Con riguardo alla prima, l'art. 117 T.u.b. non richiedeva e non richiede tuttora (a fortiori a pena di nullità) l'esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto e analogamente, a livello sistematico, non la richiede la normativa più recente: in tema di "credito immobiliare ai consumatori" (art. 120-quinquies ss. e, in particolare, 120-novies T.u.b., in attuazione, con D.Lgs. n. 72 del 2016, della Direttiva 2014/17/UE) e di "credito ai consumatori" (art. 121 ss. T.u.b., in attuazione, con D.Lgs. n. 141 del 2010, della Direttiva 2008/48/CE), la quale ultima prevede (sulla falsariga dell'art. 117, comma 4) l'indicazione nel contratto, a pena di nullità, degli "interessi e (di) tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili..." (art. 125-bis, comma 6, in relazione all'art. 121, comma 1, lett. e, T.u.b.), voci tra le quali non potrebbe farsi rientrare il regime di ammortamento (sulla stessa linea è la Direttiva 2023/2225/UE in tema di "credito ai consumatori" che, all'art. 21, comma 2, prevede che "il creditore mette a disposizione del consumatore, senza spese e in qualsiasi momento dell'intera durata del contratto di credito, un estratto sotto forma di tabella di ammortamento (che) indica gli importi dovuti nonché i periodi e le condizioni di pagamento di tali importi (e) contiene inoltre la ripartizione di ciascun rimborso periodico specificando l'ammortamento del capitale, gli interessi calcolati sulla base del tasso debitore e, se del caso, gli eventuali costi aggiuntivi").
Analogamente, la normativa secondaria non richiede l'indicazione del regime di ammortamento nel contratto. La delibera CICR 9 febbraio 2000 (in relazione all'art. 120, comma 2, T.u.b.), in tema di trasparenza contrattuale, non è utile alla tesi della difesa Po.Ga. che la invoca, riguardando "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti" o la produzione di "interessi sugli interessi" come effetto eventuale della capitalizzazione (art. 6) - con conseguente incidenza sul tasso effettivo - cioè situazioni che non si verificano nel regime di ammortamento criticato (indicazioni contrastanti con la conclusione condivisa dal Collegio non si ricavano neppure dalle disposizioni della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 in tema di "Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari" e dai decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, in qualità di presidente del CICR, del 3 agosto 2016 sulle "modalità e criteri per la produzione degli interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria" e del 29 settembre 2016 in tema di "disposizioni sul credito immobiliare ai consumatori").
Un piano di rimborso come quello controverso nel giudizio di merito contiene, come s'è detto, in modo dettagliato, la chiara e inequivoca indicazione dell'importo erogato, della durata del prestito, del tasso di interesse nominale (TAN) ed effettivo (TAEG), della periodicità (numero e composizione) delle rate di rimborso con la loro ripartizione per quote di capitale e di interessi. Ciò è conforme alle menzionate disposizioni della Banca d'Italia del 29 luglio 2009 che impongono agli istituti di credito di fornire l'informativa precontrattuale ai clienti mediante riepilogo puntuale delle somme dovute alle varie scadenze tramite un piano redatto in modo chiaro e comprensibile che indichi la periodicità e composizione delle rate, precisando se si prevede il rimborso periodico del solo capitale, dei soli interessi o di entrambi, anziché mediante ricorso a formule lessicali o a espressioni matematiche che vorrebbero spiegare le modalità di calcolo degli interessi ma la cui esigenza di precisione si scontra con un livello di tecnicismo che sfugge alla comprensione dei più (l'allegato 4E delle suddette "disposizioni" contiene il "Prospetto Informativo Europeo Standardizzato" con una tabella di ammortamento che indica, appunto, le rate da corrispondere, la loro frequenza e composizione per interessi e capitale rimborsato e le spese).
Risulta, in tal modo, soddisfatta la possibilità per il mutuatario di conoscere agevolmente l'importo totale del rimborso mediante una semplice sommatoria, conoscenza che egli difficilmente potrebbe avere sviluppando autonomamente una complessa formula matematica attraverso la quale il piano di ammortamento è sviluppato, una volta scelta la rata sostenibile e determinato il tasso di interesse. Una indiretta conferma proviene dalla giurisprudenza Europea che, in relazione all'art. 4, paragrafo 2, della Direttiva 1993/13/CEE, ha ritenuto che la presenza di un'equazione matematica priva degli elementi necessari a effettuare il calcolo del costo del credito (analogamente potrebbe dirsi per la presenza di una espressione indicativa del metodo "alla francese" di ammortamento) non sarebbe idonea a rendere chiara e comprensibile la clausola di un contratto di credito al consumo che non indichi il tasso di interesse effettivo (Corte di Giustizia, 20 settembre 2018, C-448/17).
Ed allora, se il contratto "trasparente" è quello che lascia intuire o prevedere il livello di rischio o di spesa del contratto (cfr. Cass. n. 28824/2023), consentendo al consumatore di avere piena contezza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione, e di essere in possesso di tutti gli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno (Corte di Giustizia, 20 settembre 2018, cit., p. 63 e 67), tale è quello di cui si discute, avendo l'istituto di credito assolto agli obblighi informativi a suo carico tramite il piano di ammortamento allegato al contratto, in base al quale al cliente è assicurata la possibilità di verificare la rispondenza dell'offerta alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria e di valutarne la convenienza confrontandola con altre offerte presenti eventualmente sul mercato.
Tale possibilità di raffronto tra prodotti diversi è, in definitiva, lo scopo della trasparenza (una indicazione in tal senso, a livello sistematico, proviene dall'art. 124, comma 1, T.u.b. che, in tema di "credito ai consumatori", prevede tra gli obblighi precontrattuali a carico del finanziatore o intermediario quello di dare al consumatore "le informazioni necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato"; cfr. anche l'art. 120-novies, comma 2, T.u.b. in tema di "credito immobiliare ai consumatori"). Diversamente opinando, cioè ipotizzando in astratto che tra gli obblighi comportamentali dell'istituto di credito vi sia anche quello di esplicitare nel contratto il regime di ammortamento o la modalità di capitalizzazione degli interessi, ne potrebbero discendere, semmai, in caso di violazione, eventuali conseguenze sul piano della responsabilità dell'istituto di credito e non della validità del contratto (cfr. Cass. SU n. 26724/2007).
A una opposta conclusione non potrebbe pervenirsi alla luce della normativa consumeristica di derivazione comunitaria in tema di contratti conclusi tra professionista e consumatore (Direttiva 1993/13/CEE), secondo la quale le clausole redatte in modo non chiaro e comprensibile possono essere considerate vessatorie o abusive, e pertanto nulle, anche nel caso in cui riguardino la determinazione dell'oggetto del contratto o l'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, a condizione che determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ex art. 34, comma 2, cod. cons. (Cass. n. 30556/2023, n. 23655/2021), essendo da escludere nella fattispecie in esame sia un deficit di chiarezza del piano di ammortamento in questione sia l'insorgenza di un significativo squilibrio dei diritti e obblighi tra le parti derivanti dal contratto.
La disciplina di settore intende contemperare gli obblighi di condotta degli istituti di credito con l'esigenza di lasciare al cliente la libertà di scegliere l'istituto che gli offre un piano di rimborso più confacente alle proprie esigenze e condizioni, ma non si spinge ad esigere che gli istituti si sostituiscano a lui nella valutazione, in definitiva, della adeguatezza e convenienza dell'operazione, a differenza di quanto accade, solo in parte, in altri settori nei quali gli obblighi informativi sono configurati in termini più stringenti, anche in considerazione dei profili di rischio che ivi si manifestano.
Eventuali dubbi sulla comprensione del meccanismo di funzionamento del piano allegato al contratto e dei suoi effetti potrebbero essere espressi al momento della stipulazione del contratto che è la sede in cui il cliente potrebbe esigere dall'istituto bancario ogni eventuale chiarimento al riguardo.
Indicazioni contrastanti con quanto si è sinora argomentato non provengono dalla giurisprudenza Eurounitaria citata dalla difesa Po.Ga. che riguarda rapporti di credito non comparabili con un mutuo a tasso fisso cui sia allegato un piano di ammortamento com'è quello di cui si discute, nei quali il tasso è variabile e ancorato a indici individuati con rinvio a elementi incerti o aleatori (cfr. Corte di Giustizia UE, 13 luglio 2023, C-265/22; 3 marzo 2020, C-125/18 e, con riferimento a casi in cui il credito sia espresso in valuta estera con meccanismi di conversione valutaria comportanti il rischio di cambio, Corte di Giustizia, 26 gennaio 2017, C-421/14, cui si può aggiungere la sentenza 10 giugno 2021, C-609/19).
Non può essere accolta l'istanza di rinvio degli atti alla Corte di Giustizia formulata, ai sensi dell'art. 267 TFUE, con riferimento agli artt. 4 e 5 della Direttiva n. 1993/13/CEE, concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, la cui corretta interpretazione, ai fini della enunciazione della regola di diritto nel caso concreto, s'impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi, non sollecitati dalla difesa Po.Ga. che ha richiamato precedenti giurisprudenziali riferibili a fattispecie non assimilabili a quella di cui è causa.
Deve quindi darsi risposta negativa anche al secondo profilo in cui è articolato il rinvio pregiudiziale, dovendosi escludere che la mancata indicazione nel contratto di mutuo bancario, a tasso fisso, della modalità di ammortamento c.d. "alla francese" e del regime di capitalizzazione "composto" degli interessi sia causa di nullità del contratto di mutuo per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti.
17.- In conclusione, la questione sollevata dall'ordinanza di rimessione va risolta in senso adesivo alle conclusioni della Procura Generale, attraverso l'enunciazione del principio di diritto riportato nel dispositivo.
18.- Sul regolamento delle spese processuali relative alla presente fase provvederà il giudice di merito.
P.Q.M.
Le Sezioni Unite, pronunciando sul rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Salerno con ordinanza del 19 luglio 2023, ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., enuncia il seguente principio di diritto: in tema di mutuo bancario, a tasso fisso, con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento "alla francese" di tipo standardizzato tradizionale, non è causa di nullità parziale del contratto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione "composto" degli interessi debitori, per indeterminatezza o indeterminabilità dell'oggetto del contratto né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti.
Dispone la restituzione degli atti al Tribunale di Salerno che dovrà provvedere anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 27 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2024.