In tema di procedimento disciplinare, l'art. 227 c.c.n.l. del Terziario del 18/07/2008 stabilisce che il datore di lavoro deve comunicare il relativo provvedimento conclusivo entro un termine la cui decorrenza, sebbene collegata alla scadenza del termine assegnato al lavoratore per presentare le sue difese, non può essere estesa sino al punto da ricomprendere adempimenti di mera natura formale o amministrativa, come la trasmissione da parte del dipendente dell'indice della documentazione già depositata in sede di audizione. (Nella specie, la S.C. ha affermato che la volontà dichiarata del lavoratore di far pervenire detto indice, senza far riserva di produrre documenti o deduzioni difensive ulteriori, non poteva consentire al datore di lavoro di comunicare
il provvedimento conclusivo espulsivo dopo la scadenza del termine a tal fine stabilito dalla norma contrattuale).
Vedi anche:
Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 31/05/2024 (ud. 12/03/2024) n. 15324
RILEVATO CHE:
1. La Corte d'appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da Ma.Gi., confermando la sentenza di primo grado che, in riforma dell'ordinanza emessa all'esito della fase sommaria, aveva rigettato la domanda di illegittimità di licenziamento per giusta causa intimatogli da Aequa Roma Spa il 17 gennaio 2019.
2. La Corte territoriale ha premesso che il Ma.Gi., dipendente della società con qualifica di impiegato responsabile di back office, era addetto alla istruzione e al controllo delle pratiche di autotutela presentate dai contribuenti in relazione ad atti di accertamento e, specificamente, agli avvisi di accertamento "Tari"; che con una prima lettera del 7.12.2018 la società gli aveva contestato "48 casi di gravi irregolarità e violazione delle procedure aziendali…tali da creare un serio pregiudizio al corretto esercizio dell'attività di autotutela da parte dell'Ente impositore, con conseguente pregiudizio erariale nonché di immagine per l'Azienda"; che nel corso dell'audizione del 21.12.2018 il dipendente aveva reso giustificazioni e depositato ampia documentazione, riservandosi di "consegnare indice analitico della documentazione"; che con una successiva lettera dell'8 gennaio 2019 era stata mossa una seconda contestazione disciplinare per la "falsa asserzione resa in sede di audizione circa la provenienza del … fascicolo integrante il documento n. 15, il possesso e l'uso non autorizzati di documenti aziendali"; che nel corso della audizione dell'11.1.2019 il Ma.Gi. aveva reso giustificazioni sul secondo addebito e contestualmente consegnato l'indice analitico della documentazione già depositata in occasione della prima audizione; che con lettera del 17.1.2019 la società gli aveva intimato il licenziamento per entrambi gli addebiti contestati.
3. La sentenza impugnata ha escluso la nullità della notifica del ricorso in opposizione, tardivamente eseguita e rinnovata su disposizione del tribunale, con successiva costituzione dell'opposto e rispetto del termine a difesa; ha escluso che fosse decorso il termine di decadenza previsto dall'art. 227 c.c.n.l. per il licenziamento disciplinare, avendo individuato il dies a quo di detto termine nel momento di deposito dell'indice della documentazione che il lavoratore, nel corso della prima audizione, si era riservato di trasmettere; ha escluso la violazione del principio di tempestività della contestazione disciplinare in ragione della complessità delle verifiche, iniziate il 23.7.2018 e concluse il 29.11.2018, risultando il termine di 45 giorni, inizialmente fissato dalla società per la conclusione dei lavori della Commissione incaricata, privo di rilievo esterno; ha ritenuto che i fatti relativi ai procedimenti riportati nella tabella 1, oggetto della prima lettera di contestazione, fossero comprovati e tali da integrare una giusta causa di recesso.
4. Avverso tale sentenza Ma.Gi. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi. Aequa Roma Spa ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
5. Il Collegio si è riservato di depositare l'ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell'art. 380-bis 1 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 149 del 2022.
CONSIDERATO CHE:
6. Col primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 1, comma 52, legge n. 92 del 2012, con riguardo alla dedotta improcedibilità o inammissibilità dell'opposizione proposta dalla società per tardiva notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza.
7. Il motivo è infondato. Come statuito dalle S.U. di questa Corte (sentenza n. 14916 del 2016; v. di recente, Cass. n. 31085 del 2022), "l'inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui sia posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità".
8. Con riferimento al rito introdotto dalla legge n. 92 del 2012 sono stati ribaditi i principi affermati per ogni giudizio di tipo oppositorio o impugnatorio in cui la parte ha un tempo determinato per compiere l'attività di ulteriore impulso del procedimento, in difetto della quale si determina il consolidamento del provvedimento emesso nella fase precedente. In particolare, sul giudizio di opposizione si è statuito che "in caso di mancata notifica dell'opposizione ex art. 1, comma 51, della L. n. 92 del 2012, trova applicazione, per identità di ratio, il principio proprio del rito del lavoro secondo il quale l'appello…, pur tempestivamente depositato, è improcedibile ove ne sia stata omessa la notificazione unitamente al decreto di fissazione dell'udienza (purché questo sia stato ritualmente comunicato), senza che il giudice possa concedere la rimessione in termini, trattandosi di fase di natura eventuale, volta a confermare o modificare un precedente provvedimento giudiziario, idoneo al giudicato anche se emesso all'esito di una fase a cognizione semplificata, cui corrisponde l'interesse delle parti ad ottenere la stabilizzazione entro tempi prefissati, certi e ragionevolmente brevi, in coerenza con l'interesse dell'ordinamento alla certezza dei rapporti giuridici" (Cass. n. 17325 del 2016; n. 19243 del 2018; gli stessi principi sono affermati per le controversie di lavoro in grado di appello, v. Cass. n. 27079 del 2020; n. 6159 del 2018; n. 14839 del 2018).
9. I precedenti richiamati si riferiscono tutti a casi in cui la notifica del ricorso è stata del tutto omessa e tale omissione, determinando l'inesistenza della notifica, comporta l'improcedibilità dell'opposizione o dell'impugnazione.
Differente è l'ipotesi in cui, depositato tempestivamente il ricorso (in opposizione o in appello), la parte abbia eseguito la notifica, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, ma tardivamente, senza il rispetto del termine a difesa spettante alla controparte, oppure i casi in cui la notifica non sia andata a buon fine per causa non imputabile al notificante.
In tali ipotesi, l'irregolarità deve essere ricondotta alla categoria della nullità, con possibilità di concessione del termine per la rinnovazione e sanatoria della notifica stessa.
Questa Corte ha infatti chiarito che, in sede di notificazione del ricorso in opposizione, ex art. 1, comma 51, legge n. 92 del 2012, il mancato rispetto del termine a difesa non dà luogo ad inesistenza della notificazione, ma solo alla nullità della stessa, che la rende suscettibile di sanatoria o mediante la costituzione della parte appellata o mediante la sua rinnovazione ex art. 291 c.p.c. (v. Cass. n. 16154 del 2015; n. 27395 del 2016; n. 29427 del 2019, tutte in motivazione).
A tali principi si è uniformata la sentenza di secondo grado che si sottrae, pertanto, alle censure di violazione di legge oggetto del motivo di ricorso in esame.
10. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 227 del c.c.n.l., per non avere la Corte d'appello, in relazione alla prima contestazione disciplinare, dichiarato l'illegittimità del licenziamento in quanto intimato dopo la scadenza del termine previsto dalla contrattazione collettiva.
11. Con il terzo motivo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 7, legge n. 300 del 1970 per avere la Corte d'appello errato nell'escludere la violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, che attiene a operazioni risalenti anche a due anni prima (periodo dal 2.1.2016 al 31.7.2018) e, peraltro, già visionate e controllate dai superiori del Ma.Gi.
12. Per ragioni di priorità logica si esamina, anzitutto, il terzo motivo di ricorso. Esso è infondato.
13. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro (Cass. n. 19115 del 2013; Cass. n. 15649 del 2010; Cass. n. 19424 del 2005; Cass. n. 11100 del 2006) e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, esser compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente oppure per l'esistenza di una articolata organizzazione aziendale (Cass. n. 1248 del 2016; n. 281 del 2016; n. 15649 del 2010; Cass. n. 22066 del 2007), restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (Cass. n. 23346 del 2018; n. 16841 del 2018; n. 281 del 2016; n. 20719 del 2013 n. 19115 del 2013).
14. Si è inoltre sottolineato come il datore di lavoro abbia il potere, ma non l'obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti e di contestare loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge né desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicché la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell'infrazione ove avesse controllato assiduamente l'operato del dipendente, ma con riguardo all'epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza (così Cass. 10069 del 2016; v. anche Cass. n. 28974 del 2017; Cass. n. 21546 del 2007). Difatti, l'affidamento riposto nella correttezza del dipendente non può tradursi in un danno per il datore di lavoro né può equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità di conoscenza dell'illecito, ovvero supporsi una tolleranza dell'azienda a prescindere dalla conoscenza che essa abbia degli abusi del dipendente (in tal senso Cass. n. 5546 del 2010).
15. Va infine segnalato che la valutazione sulla tempestività della contestazione disciplinare costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato (Cass. n. 19115 del 2013 ed altre sopra citate).
16. La Corte appello si è attenuta ai principi di diritto enunciati da questa S.C. e, con accertamento in fatto non revisionabile in questa sede, ha ritenuto soddisfatto il requisito di tempestività della contestazione disciplinare avvenuta il 7.12.2018 rispetto ad una serie di irregolarità realizzate dal 2016 fino al 31.7.2018.
17. Il secondo motivo di ricorso, con cui si denuncia la violazione dell'art. 227 del c.c.n.l., per essere stato il licenziamento intimato dopo la scadenza del termine previsto dalla contrattazione collettiva, è fondato e deve trovare accoglimento.
18. L'articolo 227 del c.c.n.l. terziario prevede, al primo comma, che "l'eventuale adozione del provvedimento disciplinare dovrà essere comunicata al lavoratore con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o altro mezzo idoneo a certificare la data di ricevimento, entro 15 giorni dalla scadenza del termine assegnato al lavoratore stesso per presentare le sue controdeduzioni"; al secondo comma che "per esigenze dovute a difficoltà nella fase di valutazioni delle controdeduzioni e di decisione del merito, il termine di cui sopra può essere prorogato di 30 giorni, purché l'azienda dia preventiva comunicazione scritta al lavoratore interessato".
19. Con tale previsione il contratto collettivo introduce un termine perentorio per l'esercizio del potere disciplinare, ossia uno spatium deliberandi massimo fissato in una misura ben precisa - che va a tradurre e quantificare il criterio della tempestività dell'adozione del provvedimento disciplinare -perché il datore di lavoro possa valutare le eventuali giustificazioni addotte dal lavoratore incolpato (v. Cass. n. 5116 del 2012; n. 10802 del 2023, in motivazione).
20. Nel caso in esame, la prima contestazione disciplinare risale al 7.12.2018 e ad essa ha fatto seguito l'audizione del lavoratore in data 21.12.2018, nel corso della quale sono state rese le giustificazioni ed è stata depositata la documentazione a supporto delle stesse. Da questo momento decorreva il termine di 15 giorni per la comunicazione del provvedimento espulsivo (con scadenza 5.1.2019), salva la possibilità per parte datoriale di utilizzare la proroga prevista dal secondo comma dell'art. 227, decisione da comunicare prima dello spirare del termine da prorogare (in tal senso v. Cass. n. 22171 del 2017). La società si è avvalsa di tale facoltà, ma quando il termine di 15 giorni era già scaduto. Difatti, solo in data 16.1.2019 Aequa Roma Spa ha comunicato al lavoratore che avrebbe provveduto "ad assumere un'eventuale provvedimento disciplinare nei suoi confronti entro il termine di 30 giorni dalla avvenuta esplicitazione delle giustificazioni e dal deposito dell'allegata documentazione" ed ha motivato tale slittamento spiegando che la "complessità delle tematiche affrontate e la mole di documentazione prodotta ha determinato l'esigenza di convocare e riunire, una volta terminato il periodo natalizio di fine anno, la Commissione istituita con protocollo n. (omissis) per effettuare un'analisi tecnica delle addotte giustificazioni e della documentazione allegata, ai fini della valutazione delle medesime giustificazioni e della decisione nel merito dell'instaurando procedimento disciplinare".
21. La Corte d'appello ha interpretato l'art. 227 c.c.n.l. individuando il dies a quo, di decorrenza del termine (di 15 giorni) per la comunicazione del licenziamento, dal deposito ad opera del dipendente dell'indice relativo alla documentazione già consegnata nel corso della prima audizione. Ha ritenuto che fosse "intenzione delle parti stipulanti" individuare il citato dies a quo "nel completamento dell'audizione orale o, se successivi, con l'eventuale deposito di documentazione a discolpa o con altri eventuali adempimenti diretti ad agevolare, e quindi a completare, l'esercizio del diritto di difesa". Ha ritenuto che "la riserva di deposito di indice della documentazione già prodotta è stata il frutto di un'iniziativa del lavoratore, e non del datore di lavoro, destinata a garantire un più agevole ed approfondito esame, da parte di quest'ultimo, della documentazione stessa e quindi una più ponderata valutazione delle accuse. La attesa da parte del datore di lavoro ha, dunque, consentito un più completo esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore richiedente. L'adozione della sanzione disciplinare in epoca precedente avrebbe esposto il primo al rischio di declaratoria di nullità della sanzione stessa. Ne consegue che fare derivare, in via interpretativa, da tale attesa la decadenza dal potere di irrogare la sanzione disciplinare non sarebbe in linea non solo con la comune intenzione delle parti stipulanti, ma anche con i canoni di correttezza e buona fede vigenti nella gestione del rapporto di lavoro e della procedura disciplinare" (sentenza d'appello, p. 7).
22. L'interpretazione dell'art. 227 c.c.n.l. data dai giudici di appello non è condivisa da questa Corte (v. Cass. n. 6335 del 2014 e n. 13860 del 2019, sulla parificazione della violazione delle norme del contratto collettivo alla violazione di norme di diritto).
23. Il chiaro tenore letterale della disposizione in esame collega la decorrenza del termine di 15 giorni per la comunicazione del provvedimento disciplinare alla "scadenza del termine assegnato al lavoratore . per presentare le sue controdeduzioni" e certamente le "controdeduzioni" possono intendersi in senso ampio, come comprensivo di tutto quanto necessario all'esercizio del diritto di difesa, ma non possono ragionevolmente estendersi ad adempimenti di natura meramente formale o amministrativa, come la trasmissione (avvenuta l'11.1.2019) dell'"indice" della documentazione già depositata in sede di audizione. Nessuna riserva era stata fatta dal lavoratore di poter produrre o far pervenire ulteriore documentazione o deduzioni difensive. D'altra parte, la complessità delle verifiche da svolgere e la pluralità di documenti da esaminare sono evenienze espressamente contemplate dalla norma contrattuale che, proprio a fronte di ciò, attribuisce a parte datoriale la facoltà di avvalersi di una proroga di 30 giorni, purché la stessa sia comunicata al dipendente prima dello scadere dei 15 giorni, altrimenti vanificandosi la stessa previsione del termine di decadenza per l'adozione e comunicazione della decisione di recesso. E che la trasmissione dell'indice costituisse elemento non significativo ai fini delle valutazioni della società è confermato dalla lettera del 16.1.2019, con cui la stessa ha informato il lavoratore della intenzione di usufruire della proroga di 30 giorni illustrandone, sebbene non obbligata, le ragioni e senza fare alcun accenno all'indice della documentazione già depositata. Né può sostenersi che la seconda contestazione disciplinare abbia avuto l'effetto di riaprire i termini prescritti dall'art. 227 c.c.n.l., considerato, peraltro, che la decisione di primo grado e quella di appello hanno confermato la legittimità del licenziamento in riferimento agli addebiti oggetto della prima contestazione, giudicando superfluo l'esame delle condotte oggetto della seconda lettera di contestazione.
24. La decorrenza del termine stabilito dalla contrattazione collettiva per l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, che l'art. 227 c.c.n.l. Terziario collega alla "scadenza del termine assegnato al lavoratore per presentare le sue controdeduzioni" e quindi all'esercizio completo del diritto di difesa, comprensivo del deposito della documentazione, non può essere dilatata fino al punto da ricomprendere adempimenti di natura meramente formale o amministrativa, come la trasmissione da parte del lavoratore dell'indice della documentazione già depositata.
25. Sulle conseguenze della violazione in esame nell'ambito della disciplina dettata dalla legge n. 92 del 2012, questa Corte ha chiarito che "la violazione del termine per l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento disciplinare, stabilito dalla contrattazione collettiva, è idonea a integrare una violazione della procedura di cui all'art. 7 st. lav., tale da rendere operativa - ove la sanzione sia costituita da un licenziamento disciplinare - la tutela prevista dall'art. 18, comma 6, dello stesso Statuto, come modificato dalla L. n. 92 del 2012 purché il ritardo nella comunicazione del predetto licenziamento non risulti, con accertamento in fatto riservato al giudice di merito, notevole e ingiustificato, tale da ledere in senso non solo formale ma anche sostanziale il principio di tempestività, per l'affidamento in tal modo creato nel lavoratore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto e per la contrarietà del ritardo datoriale agli obblighi di correttezza e buona fede" (Cass. n. 10802 del 2023; Cass., S.U. n. 30985 del 2017; Cass. n. 17113 del 2016).
26. La fondatezza del secondo motivo di ricorso non esime questa Corte dall'esaminare i residui motivi in quanto essi sollevano censure che, ove fondate, renderebbero applicabile una tutela più ampia rispetto a quella prevista dall'art. 18, comma 6 cit. per la violazione della procedura di cui all'art. 7 St. Lav.
27. Difatti, nel regime dettato dalla legge n. 92 del 2012, la declaratoria di illegittimità del licenziamento per violazione della procedura di cui all'art. 7 St. Lav. (nella specie, per violazione del termine fissato dal contratto collettivo per l'adozione del provvedimento disciplinare), da cui consegue l'applicazione della tutela indennitaria attenuata, non può assorbire la domanda di illegittimità per difetto di giusta causa cui è connessa una tutela più ampia, reintegratoria attenuata (art. 18, comma 4) o indennitaria forte (art. 18, comma 5), né può configurarsi come un rigetto implicito della stessa, stante l'autonomia logico-giuridica delle questioni (v. Cass. n. 10802 del 2023; n. 12193 del 2020).
28. Con il quarto motivo si censura la sentenza, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per violazione o falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. in ordine alla sussistenza di una giusta causa di licenziamento nonché per omessa valutazione da parte del giudice dell'opposizione degli addebiti oggetto della seconda lettera di contestazione. Si fa presente che il licenziamento è stato adottato dall'azienda a definizione di entrambi i procedimenti disciplinari avviati nei confronti del dipendente e si assume che il giudice dell'opposizione e la Corte d'appello, nel momento in cui hanno valutato solo la prima contestazione, giudicandola assorbente ai fini della giusta causa di recesso, si sarebbero illegittimamente sostituiti al datore di lavoro.
29. Il motivo non è fondato.
30. È stato costantemente affermato da questa Corte che, in tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, l'esistenza della "causa" idonea a non consentire la prosecuzione del rapporto può essere individuata dal giudice - nell'ambito degli addebiti posti a fondamento del licenziamento dal datore di lavoro - anche solo in alcuni o in uno degli addebiti, se gli stessi presentino il carattere di grave inadempimento richiesto dall'art. 2119 c.c. (v. Cass. n. 2579 del 2009; n. 24574 del 2013; n. 18836 del 2017).
31. Con il quinto motivo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 5, legge n. 604 del 1966, dell'art. 2697 c.c., con riguardo all'onere di prova di sussistenza degli addebiti contestati, e dell'art. 2119 c.c. Si assume che il tribunale e la Corte d'appello abbiano ritenuto sussistenti gli addebiti oggetto della prima contestazione in base alle mere allegazioni avversarie, senza dar corso all'istruttoria, e attraverso un'erronea applicazione del principio di non contestazione.
32. Il motivo non può trovare accoglimento in quanto si risolve nella censura della selezione e valutazione dei dati probatori, come operata dai giudici del reclamo, non ammissibile in questa sede, tanto più in un'ipotesi di cd. doppia conforme. Neppure è ravvisabile la violazione delle regole sull'onere di prova avendo la Corte d'appello correttamente posto l'onere probatorio della giusta causa di recesso a carico di parte datoriale e considerato assolto lo stesso.
33. Neppure ricorre la violazione dell'art. 2119 c.c. poiché la sentenza impugnata si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa (cfr. Cass. n. 18715 del 2016; n. 6901 del 2016; n. 21214 del 2009; n. 7838 del 2005) e di proporzionalità della misura espulsiva (cfr. Cass. 18715 del 2016; Cass. n. 21965 del 2007; Cass., n. 25743 del 2007) ed ha motivatamente valutato la gravità della condotta posta a base del recesso perché "contraria agli artt. 225 e 220 del c.c.n.l. Terziario … gravemente violativa degli obblighi di osservanza, nel modo più scrupoloso, dei doveri di ufficio…idonea a far venire meno il rapporto di fiducia in considerazione: dell'alto grado di affidamento e responsabilità in ragione della rilevanza pubblica dell'attività svolta dalla società e del ruolo ricoperto dal lavoratore; della grave violazione dei doveri di diligenza, correttezza e buona fede gravanti sul lavoratore ex art. 2104 c.c. e 220 c.c.n.l., la cui primaria rilevanza per l'Azienda è attestata dalla predisposizione di apposite e dettagliate FAQ sulla presentazione di istanze in autotutela; del pregiudizio derivante all'immagine della società presso il committente; della reiterazione dei comportamenti; dell'entità del pregiudizio cagionato per euro 186.521,00 pari all'abbattimento operato nella tabella A1 allegata alla contestazione disciplinare" (sentenza d'appello, p. 13).
34. Con il sesto motivo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 18, comma 4, legge n. 300 del 1970 per essere la condotta contestata ("irregolarità e violazioni delle procedure aziendali") riconducibile alle ipotesi punite dal contratto collettivo con sanzioni conservative.
35. Il motivo è infondato atteso che gli argomenti adoperati nella sentenza a sostegno della ritenuta integrazione della giusta causa di recesso danno ampiamente conto della implicita esclusione della possibilità di sussumere la condotta addebitata al lavoratore, ben più ampia e complessa di una mera irregolare e negligente esecuzione del lavoro affidatogli, nella fattispecie invocata dal medesimo ("art. 225 n. 2 : il dipendente che esegua con negligenza il lavoro affidatogli") e punita dal contratto collettivo con una misura conservativa.
36. Con il settimo motivo è dedotta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, per avere la Corte erroneamente dichiarato sussistenti i presupposti per il raddoppio del contributo unificato benché l'appellante fosse esonerato dal relativo pagamento.
37. Il motivo è infondato. Come stabilito dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 4315 del 2020, "La debenza dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato (c.d. doppio contributo) pari a quello dovuto per l'impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall'adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell'attestazione resa dal giudice dell'impugnazione ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell'obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all'amministrazione giudiziaria". La Corte d'appello si è limitata a dare atto della esistenza dei presupposti processuali per il versamento del contributo, dipendenti dal tenore della pronuncia adottata, restando le condizioni soggettive della parte rimesse alla verifica da parte della cancelleria al momento della successiva eventuale attività di recupero, e ciò esclude la violazione di legge denunciata.
38. Per le ragioni finora esposte, accolto il secondo motivo di ricorso, rigettati i residui motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla medesima Corte d'appello, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame della fattispecie uniformandosi ai principi esposti al § 24, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 12 marzo 2024.
Depositata in Cancelleria il 31 maggio 2024.