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Telepass, il datore può usarlo per controllare il lavoratore?

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.15391 del 03/06/2024

Il datore di lavoro può utilizzare i dati raccolti dal Telepass collocato su auto aziendali per controllare il lavoratore?

Questa è la questione al centro di una recente decisione della Sezione lavoro della Cassazione con l’ordinanza n. 15391 depositata il 3 giugno 2024.

La normativa di riferimento è rappresentata dal comma 2 dell’art. 4 della L. 20 maggio 1970 n. 300, che regola i controlli a distanza sul posto di lavoro.

Nel caso specifico, un dipendente è stato licenziato per inadempimenti legati al suo orario e luogo di lavoro, dati acquisiti attraverso il Telepass. Il Tribunale di Fermo ha inizialmente convalidato il licenziamento, ma la Corte d'Appello di Ancona ha ribaltato questa decisione, considerando i dati del Telepass inutilizzabili per mancanza di una specifica informativa sul suo uso a fini di controllo.

L’applicazione di questa norma ha portato la Cassazione a precisare che il Telepass, qualora installato su auto aziendali adibite a specifici servizi, assume la funzione di strumento di lavoro. Tuttavia, le informazioni raccolte tramite il dispositivo sono utilizzabili per fini disciplinari solo se il lavoratore è stato adeguatamente informato su come il dispositivo sarà usato per monitorare le sue attività.

La Cassazione distingue tra i "controlli difensivi" – indirizzati alla tutela dei beni aziendali e alla prevenzione di comportamenti illeciti, che possono essere attivati solo in presenza di un fondato sospetto e devono essere proporzionati e non invasivi – e l'uso normale di strumenti tecnologici come il Telepass, che, seppur potenzialmente utilizzabile per controlli, necessita di specifica informativa.

In conclusione, se il datore di lavoro vuole utilizzare il Telepass per monitorare le attività del dipendente, deve prima informare il dipendente in modo chiaro e dettagliato. In assenza di tale informativa, i dati raccolti non sono ammissibili per giustificare decisioni disciplinari come un licenziamento.

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Cassazione civile, sez. lav., ordinanza 03/06/2024 (ud. 03/04/2024) n. 15391

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Ancona accoglieva l'appello proposto da Ni.An. contro la sentenza del Tribunale di Fermo n. 62/2020 e, in riforma di tale decisione, annullava il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore dalla Sigma Spa in data 1.3.2019, dichiarava l'estinzione del rapporto di lavoro da tale data e condannava la società al pagamento in favore del Ni.An. di un'indennità risarcitoria liquidata in misura pari a otto mensilità dell'ultima retribuzione utile per il calcolo del T.F.R.

2. Premetteva la Corte territoriale: che il primo giudice - a fronte delle richieste del lavoratore, volte ad ottenere la declaratoria d'illegittimità di due licenziamenti irrogatigli per motivi disciplinari dalla società, il secondo condizionato all'eventuale pronuncia di annullamento del primo -, aveva ritenuto la legittimità del primo licenziamento sia da un punto di vista formale che da un punto di vista sostanziale, sicché aveva giudicato superfluo analizzare il secondo recesso, adottato dalla società in data 18.4.2019.

2.1. Riteneva, poi, che dalla complessiva lettura dell'atto di appello non emergevano nuove domande ed eccezioni, che non fossero state già proposte in primo grado, potendo ammettersi nel processo di appello la possibilità che la parte arricchisca di ulteriori argomentazioni e particolari le difese già esposte in primo grado, senza incorrere nella violazione di cui all'art. 437 c.p.c.

3. La Corte di merito, quindi, nell'esaminare congiuntamente il primo ed il secondo motivo di gravame, rilevava che la contestazione disciplinare, che aveva portato

l'azienda, in data 1.3.2019, ad irrogare il licenziamento, era contenuta nella lettera del 14.2.2019 inviata dalla società al lavoratore, attraverso la quale, utilizzando i dati acquisiti per mezzo del sistema informatico in uso al Ni.An. per l'espletamento della prestazione lavorativa, nonché i riscontri dei pedaggi autostradali forniti dal sistema telepass installato sul mezzo affidatogli, aveva rilevato una serie di mancanze commesse nelle giornate lavorative del 4 e del 5 febbraio 2019.

3.1. Considerava, allora, che, rispetto al disposto di cui all'art. 4 L. n. 300/1970, come modificato dall'art. 23 D.Lgs. n. 151/2015, mentre erano utilizzabili i dati derivanti dalla geolocalizzazione conseguente all'utilizzo del computer palmare in uso al dipendente, con mansioni di tecnico trasfertista, avendo l'azienda dimostrato, attraverso la produzione documentale, il rispetto della disposizione di cui al comma 3 dell'art. 4 cit., lo stesso non poteva dirsi in ordine a quelli acquisiti per mezzo del telepass.

3.2. Relativamente a tale strumento, infatti, notava la Corte che la società non aveva dato prova di aver rispettato gli adempimenti indicati nella disposizione citata.

4. Secondo la Corte risultavano, perciò, inutilizzabili i dati acquisiti dalla Sigma in seguito all'uso del telepass da parte del lavoratore, con la conseguenza che non potevano avere alcun rilievo, a fini disciplinari, i punti della contestazione che facevano riferimento agli spostamenti con il mezzo ricavati da detti dati.

5. Quanto agli altri punti della contestazione disciplinare, rilevava che il datore di lavoro, dalle verifiche del sistema informatico, nelle giornate del 4 e del 5 febbraio 2019 aveva

riscontrato alcuni ritardi nell'esecuzione della prestazione lavorativa ed alcune inesattezze nella redazione dei rapporti riguardanti gli interventi effettuati.

5.1. Considerava, tuttavia, che dall'attenta analisi di tali punti della contestazione disciplinare non si individuavano violazioni tali da configurare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, necessario affinché si possa recedere dal rapporto ai sensi dell'art. 3 L. n. 604/1966, e ciò sia in relazione alla tempistica degli interventi effettuati presso i clienti della società sia riguardo alla sintetica descrizione dei lavori espletati.

6. Conclusivamente, la Corte d'appello riteneva che, non ricorrendo gli estremi del giustificato motivo soggettivo, il recesso doveva essere annullato e che, in applicazione dell'art. 3, comma 1, D.Lgs. n. 23/2015 e di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sent. n. 194/2018, il rapporto di lavoro doveva essere dichiarato estinto alla data del licenziamento e che la società doveva essere condannata al pagamento dell'indennità risarcitoria nei termini specificati in dispositivo.

7. Avverso tale decisione la Sigma Spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

8. Ha resistito l'intimato con controricorso.

9. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Sigma Spa denuncia ex art. 360 n. 3) c.p.c. "Violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 4, co. 1 e 2, L. 300/70. Erroneo giudizio tecnico". Secondo la ricorrente è erroneo un primo assunto dell'impugnata sentenza (quello circa "i riscontri dei pedaggi autostradali forniti dal sistema telepass installato sul mezzo affidatogli"), poiché i dati del transito autostradale non sono forniti direttamente alla Sigma Spa dal dispositivo Telepass installato sull'autovettura ma vengono ricavati dal documento cartaceo allegato alla fattura mensile, che riporta il dettaglio dei consumi dei singoli apparati.

1.2. Per la Sigma, un altro assunto erroneo è nel punto in cui la Corte d'appello assume che "... la mail del 27.04.2014, alla quale sono allegate le informazioni relative all'utilizzo del palmare e la normativa sulla privacy, non contiene alcun riferimento al telepass sistemato sull'autovettura in dotazione al Ni.An.", perché nessuna disposizione normativa, tantomeno quelle poste a tutela dei dati personali degli interessati, impone all'azienda di fornire al dipendente chiarimenti sui dispositivi che hanno la finalità di effettuare i pagamenti necessari per l'espletamento della prestazione lavorativa, trattandosi di metodo alternativo al rimborso spese a piè di lista che agevola il dipendente, evitando che debba anticipare le somme necessarie a tale scopo.

1.3. Inoltre, secondo la stessa, la conclusione cui era pervenuta la Corte di merito era viziata in radice da un'erronea valutazione tecnica del dispositivo e da un equivoco sulla provenienza dei dati, che risultano acquisiti legittimamente dall'azienda, in quanto contenuti in documentazione contabile prodotta da un soggetto terzo ai fini di fatturazione dei pedaggi.

2. Con un secondo motivo denuncia ex art. 360 n. 3) c.p.c. "violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 4 L. 300/1970". La ricorrente, facendo riferimento a quanto considerato in Cass. pen., sez. III, n. 3255/2021, assume non essere dubbio che i controlli eseguiti dagli uffici amministrativi della Sigma Spa sui rendiconti degli apparati Telepass, sui contratti con i clienti, sui rapporti di servizio e sui conseguenti addebiti, siano finalizzati anche a prevenire un abuso di tali apparati da parte dei dipendenti.

3. Con un terzo motivo denuncia ex art. 360 n. 3) c.p.c. "violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 437 c.p.c.". Secondo la ricorrente quanto considerato dalla Corte d'appello a pag. 3 della propria pronuncia non era condivisibile, perché "le nuove argomentazioni esposte dal Ni.An. si basano su documenti che, pur essendo disponibili e noti alla parte già in occasione del giudizio di primo grado, non erano stati prodotti e sui quali, pertanto, non poteva basarsi la decisione della Corte di Appello". In ogni caso, sempre secondo la ricorrente, "anche una diversa lettura ed interpretazione delle argomentazioni ed eccezioni sollevate durante il giudizio di prime cure, modifica il thema decidendum e, assieme alle nuove produzioni, viola il principio di autosufficienza del ricorso introduttivo del giudizio. Del tutto disattesa, inoltre, appare l'eccezione relativa alla indispensabilità delle nuove produzioni, sollevata dalla Sigma Spa nella comparsa di costituzione nel giudice di appello (all. 6)".

4. Con un quarto motivo denuncia ex art. 360 n. 4) c.p.c. la "Nullità della sentenza impugnata in quanto corredata da motivazione apparente". Censura il punto di motivazione in cui la Corte di merito si è espressa sui "tempi di svolgimento dei lavoro e di spostamento da un luogo ad un altro", sostenendo che il Ni.An., non solo non ha puntualmente giustificato le anomalie rilevate, ma ha pacificamente ammesso di non aver registrato alcuni interventi o di averli registrati solo alcuni giorni dopo averli eseguiti, riconoscendo anche di aver utilizzato i beni aziendali per fini personali, estranei alle mansioni lavorative. Secondo la ricorrente, mentre il giudice di prime cure ha puntualmente argomentato sulle ragioni per cui riteneva legittimo il licenziamento, sottolineando anche la peculiarità del rapporto tra l'azienda ed il dipendente trasfertista, sottratto al controllo diretto del datore di lavoro e perciò gravato da un onere di rendicontazione ben più incisivo di quello di un collega che si reca ogni mattina presso la sede di assegnazione, la Corte di appello di Ancona si limita ritenere non sufficienti le argomentazioni poste a base del licenziamento, per irrogare la massima sanzione prevista dalla disciplina di settore, senza tuttavia specificare su quali parametri sia fondato tale ragionamento.

5. Occorre muovere dall'esame del quarto motivo di ricorso, in ipotesi dirimente in quanto, se fondato, comporterebbe la nullità dell'intera sentenza gravata.

6. Esso, tuttavia, è privo di fondamento.

6.1. Secondo le Sezioni unite di questa Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrare con le più varie, ipotetiche congetture (così, tra le altre, Cass., sez. un., 9.10.2019, n. 25392; id., 3.11.2016, n. 22232).

6.2. Ebbene, la motivazione resa dalla Corte territoriale è perfettamente comprensibile, e certamente non apparente.

E' piuttosto la ricorrente a non prenderla in considerazione in modo completo, mancando di cogliere la chiara ratio decidendi dell'impugnata sentenza.

6.3. Più nello specifico, come già riferito in narrativa, la Corte distrettuale, da un lato, ha reputato inutilizzabili a fini probatori i dati acquisiti dalla Sigma attraverso l'apparecchio telepass installato sull'automezzo affidatogli per lo svolgimento delle proprie incombenze di tecnico c.d. trasfertista, e quindi irrilevanti sul piano disciplinare i punti della contestazione mossagli, riferentisi agli spostamenti con tale mezzo ricavati da tali dati; e, dall'altro, quanto agli ulteriori punti della stessa contestazione, pur credendo utilizzabili le emergenze del sistema informatico cui era collegato il palmare pure utilizzato dal dipendente, non ha individuato violazioni tali da configurare un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali; e tanto non soltanto in base alla quota di motivazione censurata dalla ricorrente (cfr. pag. 14 del ricorso), ma in base ad ulteriori considerazioni, riferite anche ai "rapporti registrati" (cfr. in extenso pag. 5 della decisione gravata).

7. Del resto, nota il Collegio che il vizio di motivazione apparente, dedotto dalla ricorrente, in realtà s'incentra su una critica dell'apprezzamento probatorio operato dalla Corte di merito.

7.1. A sua volta, tale critica si basa sulla preferenza data dalla ricorrente alla motivazione di rigetto fornita dal primo giudice e sul contenuto delle difese della Sigma in appello (cfr. pagg. 15-34 del ricorso), non considerandosi che il ragionamento decisorio dei giudici di secondo grado, indubbiamente argomentato, si fonda, tra l'altro, sulla ritenuta inutilizzabilità dei dati attinti tramite l'apparecchio telepass.

8. Inammissibile è il terzo motivo.

9. Infatti, si giudica la ricorrente priva d'interesse a sollevare le censure raccolte in tale motivo, tenendo conto che la stessa Sigma non deduce che le argomentazioni e i nuovi documenti della controparte che assume introdotti in violazione dell'art. 437 c.p.c. sarebbero stati considerati dalla Corte d'appello nella sua valutazione del caso.

Dal testo della sentenza impugnata, inoltre, risulta che la stessa Corte ha formato il suo convincimento su deduzioni e documenti già acquisiti, in particolare, quanto a questi ultimi, prodotti soprattutto dalla Sigma (segnatamente quelli sub doc. 14 e 15 del fascicolo di quest'ultima) e in parte anche dal Ni.An. (cfr. pagg. 4-5 della sentenza gravata), ma non rientranti tra quelli indicati dalla ricorrente come "nuovi" in grado d'appello (cfr. fine di pag. 12 del ricorso).

Mette conto aggiungere che la Corte d'appello aveva evidenziato che nell'ambito del proprio secondo motivo d'appello il lavoratore lamentava, tra l'altro, che il Tribunale aveva "omesso ogni considerazione sull'eccezione di inutilizzabilità, a fini disciplinari, dei dati acquisiti dal datore di lavoro con gli strumenti di localizzazione" (cfr. pag. 2 della sua sentenza).

10. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente per connessione, sono privi di fondamento.

11. Giova premettere che per "controlli difensivi" sui dipendenti s'intendono i controlli diretti ad comportamenti estranei al rapporto di lavoro illeciti o lesivi dè1taf patrimonio e dell'immagine aziendale e dunque non volti ad accertare l'inadempimento delle ordinarie obbligazioni contrattuali (cfr. Cass., sez. lav., 5.10.2016, n. 19922). Cass. pen., sez. III, n. 3255/2020, richiamata dalla ricorrente, come peraltro altre decisioni di questa Corte in sede penale, si riferisce per l'appunto a tali controlli difensivi.

11.1. E, secondo un ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di ed. sistemi difensivi, sono consentiti, anche dopo la modifica dell'art. 4 st. lav., ad opera dell'art. 23 del D.Lgs. n. 151 del 2015, i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o ad evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto (in tal senso Cass., sez. lav., 12.11.2021, n. 34092; idsez. lav., 22.9.2021, n. 25732). Confermandosi che la legittimità dei controlli ed. difensivi in senso stretto presuppone il "fondato sospetto" del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più dipendenti, è stato, quindi, specificato che spetta al datore di lavoro l'onere di allegare, prima, e di provare, poi, le specifiche circostanze che l'hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico ex post, sia perché solo il predetto sospetto consente l'azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell'art. 4 st. lav., sia perché, in via generale, incombe sul datore, ex art. 5 L. n. 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento (Cass., sez. lav., 26.6.2023, n. 18168).

11.2. Ebbene, nel secondo motivo la ricorrente assume essere indubbio "che i controlli eseguiti dagli uffici amministrativi della Sigma Spa sui rendiconti degli apparati Telepass, sui contratti con i clienti, sui rapporti di servizio e sui conseguenti addebiti, siano finalizzati anche a prevenire un abuso di tali apparati da parte dei dipendenti".

11.3. Al riguardo, risulta dirimente il rilievo che non emerge assolutamente dallo stesso contenuto del ricorso per cassazione, oltre che dalla sentenza impugnata, che nel corso dei gradi di merito la datrice di lavoro avesse allegato che l'installazione dell'apparecchio telepass sull'autovettura aziendale utilizzata dal lavoratore per l'esecuzione delle proprie prestazioni rientrasse tra i ed. controlli difensivi nei termini dianzi chiariti, e tantomeno che la stessa avesse allegato e chiesto di provare le specifiche circostanze che l'avevano indotta ad attivare quel controllo tecnologico.

11.4. Pertanto, la censura introduce in questa sede di legittimità un nuovo tema d'indagine, non trattato nei gradi di merito, il che induce l'inammissibilità del relativo profilo di doglianza.

12. Le restanti deduzioni della ricorrente sono, comunque, prive di fondamento, e si basano su una imprecisa messa a fuoco della ratio decidendi in fatto e in diritto della Corte territoriale.

Quest'ultima, infatti, non ha affermato che il Telepass sia "uno strumento di geolocalizzazione, idoneo al controllo a distanza del dipendente", ma ha parlato di "geolocalizzazione" solo a proposito dei dati da quest'ultima derivanti per "l'utilizzo del computer palmare in uso al dipendente". E rispetto a tali dati ha, però, constatato il rispetto della previsione di cui al comma 3 dell'art. 4 L. n. 300/1970 novellato in base alla produzione documentale della società datrice di lavoro.

12.1. Per contro, circa il telepass ha osservato che: "la società non ha dato prova di aver rispettato gli adempimenti indicati" nella medesima disposizione, "in quanto la mail del 27.4.2014, alla quale sono allegate le informazioni relative all'utilizzo del palmare e la normativa sulla privacy, non contiene alcun riferimento al telepass sistemato sull'autovettura in dotazione al Ni.An. Né può sostenersi che l'informazione già fornita al lavoratore per uno degli strumenti consegnati sia sufficiente per tutti quelli ulteriori affidati al lavoratore, che, sebbene necessari per la prestazione lavorativa, ne permettono il controllo degli spostamenti: a giudizio del Collegio, proprio in ragione all'eccezionale deroga che la norma prevede in tema di utilizzabilità dei dati acquisiti con tali strumenti per "tutti i fini connessi ai rapporto di lavoro", è necessario che la condizione indicata dalla norma sia attuata per ciascuno strumento".

12.2. Pertanto, è ben chiaro che la Corte di merito per il telepass ha ritenuto non osservata la disposizione di cui all'art. 4, comma 3, L. n. 300/1970, facendone discendere l'inutilizzabilità dei dati attinti attraverso tale apparecchio che consegue al non aver assolto l'obbligo di adeguata informazione del lavoratore ivi sancito.

13. La censura di cui al primo motivo presenta, poi, profili d'inammissibilità, per la parte in cui si addebita alla Corte d'appello, non già la violazione o falsa applicazione dell'unica norma di diritto indicata, ossia, l'art. 4 L. n. 300/1970, ma un'errata valutazione tecnica del funzionamento di tale dispositivo e di quale ne sia la natura (a suo dire, di strumento di pagamento).

Peraltro, le "spiegazioni" che a riguardo propone la ricorrente (cfr. pagg. 3-4 del ricorso) esulano dall'accertamento fattuale operato dai giudici di secondo grado.

14. Tanto considerato, la tesi della ricorrente per cassazione è comunque infondata sul piano giuridico.

14.1. Il comma 1 dell'art. 4 L. n. 300/1970, come novellato nel 2015, si riferisce ora agli "impianti audiovisivi" e agli "altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori".

La Corte di merito ha constatato in fatto che i dati acquisiti attraverso il funzionamento dell'apparecchio telepass installato sull'autovettura in dotazione al lavoratore erano stati utilizzati ai fini della contestazione disciplinare, in difetto della copertura normativa di cui s'è detto.

14.2. Orbene, la ricorrente evidenzia una serie di dati giuridicamente ininfluenti.

E' anzitutto irrilevante il fatto che i dati dei transiti autostradali non siano forniti direttamente alla Sigma Spa dal dispositivo Telepass installato sull'autovettura, ma vengano ricavati dal documento cartaceo allegato alla fattura mensile, che riporta il dettaglio dei consumi dei singoli apparati.

Non assume, infatti, rilievo che quei dati non siano acquisiti dalla datrice di lavoro direttamente (ma dal soggetto terzo che fornisce a pagamento tale servizio) e, per così dire, in tempo reale (come potrebbe essere per i dati di un sistema di cd. geolocalizzazione o satellitare GPS: v. Cass. n. 19922/2016 cit.).

Ciò non toglie che l'apparecchio telepass installato per iniziativa datoriale sull'autovettura pure messa a disposizione del lavoratore per lo svolgimento delle sue prestazioni di tecnico trasfertista consente all'atto dei transiti autostradali (in entrata e in uscita) la registrazione dei relativi dati, che, una volta forniti al datore di lavoro da chi gestisce il sistema telepass, consentono un controllo a distanza, sebbene postumo, dell'attività del lavoratore.

Del resto, è proprio questo tipo di controllo che è sotteso alla contestazione disciplinare, e lo riconosce la stessa ricorrente nel secondo motivo di ricorso, dove si ammette che pure il controllo sui rendiconti relativi all'apparato Telepass era finalizzato anche a prevenire abusi del dipendente; tanto però in una chiave "difensiva" neppure trattata in secondo grado, come già notato.

14.3. Oltre che non accertato in sede di merito, è in ogni caso ininfluente l'ulteriore assunto della ricorrente che il Ni.An. avrebbe potuto disattivare il dispositivo Telepass, "togliendolo dal parabrezza dell'autovettura e collocandolo in un cassetto o, più semplicemente, non utilizzando, al casello, la corsia munita di ricevitore ma una di quelle abilitate all'erogazione del tagliando e al pagamento manuale".

E' di tutta evidenza, infatti, che la teorica o concreta possibilità in capo al lavoratore di sottrarsi al controllo tecnologico a distanza della sua attività non può rendere utilizzabili i dati risultati da un tale controllo in ordine al quale il lavoratore non è stato previamente e adeguatamente informato "delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196", come sancito dal comma 3 dell'art. 4

15. Inesatto è, ancora, l'argomento della ricorrente per cui "i dati di uno strumento di lavoro (l'autovettura) assegnato al dipendente (base giuridica per il trattamento è il contratto di lavoro), per cui non è necessario alcun consenso per il suo utilizzo".

15.1. Per vero i dati giudicati inutilizzabili dalla Corte territoriale non riguardano l'autovettura messa a disposizione del lavoratore, bensì afferiscono agli spostamenti con essa del lavoratore e sono stati attinti dalla datrice di lavoro, sia pure mediatamente e a posteriori, solo attraverso le registrazioni dell'apparecchio telepass sulla stessa auto installato.

15.2. Inoltre, parte della dottrina specialistica è del parere che il telepass, se installato su auto aziendali destinate allo svolgimento di specifici servizi, si deve considerare uno strumento direttamente funzionale all'efficienza della singola prestazione, oltre che ormai fortemente compenetrato con essa nell'odierna pratica lavorativa, sicché il telepass così contestualizzato rientra nell'ambito applicativo del comma 2 dell'art. 4 L. n. 300/1970 novellato.

Tuttavia, le informazioni, così "raccolte" a mente appunto di quest'ultima previsione, giusta il successivo comma 3, sono "utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro" (e quindi anche, ma non soltanto, ai fini disciplinari) solo "a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli", oltre che "nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196".

16. Infine, a fronte di quanto specificamente previsto dal comma 3 dell'art. 4 L. n. 300/1970, è irrilevante la "consapevolezza del dipendente sulla presenza dell'apparato Telepass sull'autovettura e sulle corrette modalità di uso dello stesso", essendo necessaria invece tale precipua informativa al lavoratore, della quale i giudici di secondo grado nella specie hanno constatato l'assenza.

17. La ricorrente, in quanto soccombente, dev'essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma il 3 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 giugno 2024.

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