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Assegnazione della casa familiare si estende a mobili e arredi

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.16691 del 17/06/2024

L'assegnazione della casa familiare si estende anche ai mobili ed arredi, essendo indissolubilmente legata alla collocazione dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti.

Lo ha precisato la Prima Sezione Civile della Cassazione con l’ordinanza n. 16691 del 17 giugno 2024.

Secondo la Suprema Corte infatti i figli hanno diritto di conservare l'habitat domestico nel quale sono nati o cresciuti, composto delle mura e degli arredi.

La Suprema Corte ha chiarito che, ai sensi dell'art. 155, comma 4, c.c., l'assegnazione non solo comprende l'immobile ma si estende anche a:

  • i mobili,
  • gli arredi,
  • gli elettrodomestici,
  • i servizi.

Tuttavia, la Corte ha anche precisato che rimangono esclusi dalla suddetta assegnazione i beni strettamente personali che non sono parte integrante dell'ambiente domestico comune, ma che soddisfano esigenze specifiche dell’altro ex coniuge (cfr. Cass., n. 5189/1998; Cass, n. 878/1986; Cass., n. 7303/1983).

L'importanza di mantenere un collegamento stabile e continuativo con l'ambiente familiare è stata sottolineata, specialmente in situazioni in cui i figli, per motivi di studio o altri impegni, possano non essere presenti quotidianamente nell'abitazione. Viene ribadita la necessità che il minore faccia ritorno periodicamente alla casa familiare, che deve rappresentare un punto di riferimento costante e predominante nel tempo.

Questo orientamento giurisprudenziale si inserisce in un quadro di tutela del benessere del minore, assicurando che il passaggio a seguito di eventi familiari critici, come una separazione, non comporti un distacco dal contesto abitativo familiare, ma che questo venga preservato come nucleo stabile e riconoscibile (cfr. Cass., n. 29977/2020, Cass., n. 16134/2019, Cass., n. 21749/2022).

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 17/06/2024 (ud. 07/03/2024) n. 16691

FATTI DI CAUSA

1. - Con sentenza n. 252/2022 del 16.5.2022 il Tribunale di Trieste, premesso che Br.Fa. e Pu.Ro. avevano contratto matrimonio il 4.9.1995, che dal matrimonio erano nati Br.Gi. il 18.2.1996 e Br.Go. il 13.5.1998, che i coniugi si erano separati legalmente il 6.10.2015, che il 14.1.2020 era stato dichiarato lo scioglimento del matrimonio, che sussistevano le condizioni per il riconoscimento di un assegno divorzile per il contributo dell'appellata alla vita professionale del marito ed all'andamento familiare e per la notevole differenza economica di reddito fra i coniugi, condannava Br.Fa. a versare la somma mensile di Euro 1.200 quale assegno divorzile, la somma mensile di Euro 2.000 quale contributo al mantenimento della figlia Br.Go., quella mensile di Euro 1.700 quale contributo al mantenimento del figlio Br.Gi., assegnava la casa coniugale a Pu.Ro. e compensava le spese di lite.

2. - Con ricorso 31.5.2022 Br.Fa. impugnava, dinanzi alla Corte di appello di Trieste, la decisione, chiedendone la riforma.

3. - L'adita Corte di Appello, con la sentenza impugnata accoglieva l'appello.

Per quanto qui di interesse la Corte di merito dagli esiti istruttori ha statuito che:

a) Br.Gi., sentito il 27.2.2023, dichiarava di avere preso servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato presso l'Agenzia delle Entrate di T. Tale circostanza, tenuto conto dell'età dell'interessato e del fatto che egli ha completato con la laurea il proprio percorso di studi, giustifica la revoca del contributo al mantenimento versatogli dal padre. La revoca del contributo decorre dalla data della presente decisione.

b) ugualmente fondata è l'impugnazione relativa all'assegnazione della casa familiare e ciò per il motivo insuperabile per cui la casa, già coniugale, è di proprietà di Pu.Ro., con il che le ragioni addotte dal Tribunale a sostegno dell'assegnazione stessa (vi sono gli arredi e, perciò, gli stessi vanno in qualche modo bloccati) è giuridicamente insostenibile, in quanto la pronuncia si risolverebbe in un'assegnazione degli arredi, legislativamente non prevista;

c) l'eventuale domanda di restituzione dei beni (nel caso gli arredi di proprietà dell'appellante) dovrà essere esaminata da altro Giudice il quale valuterà se vi è ancora necessità di preservare un ambiente "familiare" e se e quali arredi facciano (di conseguenza) parte necessaria dell'abitazione in cui vivono i figli della coppia interessata alla questione;

d) l'assegno divorzile è dovuto o nell'ipotesi in cui l'ex coniuge non sia economicamente autosufficiente o in quella in cui "il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale divenuto ingiustificato ex post dall'uno all'altro coniuge, spostamento patrimoniale che, in tal caso, e solo in tal caso, va corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa", e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali;

e) non vi è prova che la collaborazione alla vita professionale del marito abbia limitato o escluso le aspettative economiche e professionali dell'appellata, la quale è proprietaria dell'abitazione in cui vive, svolge l'attività di insegnante regolarmente retribuita ed è titolare di una buona partecipazione alla società del marito attraverso cui vengono svolte attività sanitarie. Inoltre, è consigliere Comunale al Comune di T e percepisce la relativa indennità.

Gode, quindi, di un reddito che la rende in grado di avere i mezzi adeguati; né può essere detto che ha sacrificato le sue aspettative per le esigenze della famiglia in modo talmente concreto da far valere la funzione compensativa o risarcitoria dell'assegno.

4. - Pu.Ro. ha presentato ricorso per cassazione con quattro motivi, controricorso al ricorso incidentale ed anche memoria.

Br.Fa., ha presentato controricorso e ricorso incidentale ed anche memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente deduce:

5. - Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 L. n. 898/1970, con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la sentenza impugnata revocato l'assegno divorzile imposto a Br.Fa. in favore di Pu.Ro.; La corte non ha effettuato l'analisi comparativa delle condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi richiesta esplicitamente dalla sentenza Cass. S.U. 1828/2018 ai fini della decisione sul diritto all'assegno di divorzio. Ha interpretato non correttamente la nozione di "mezzi adeguati" cui fa riferimento la Legge sul divorzio, che non devono essere considerati sic et simpliciter come la generica capacità di sostentarsi - ossia di provvedere ai "bisogni naturali e necessari", ma devono essere intesi come la capacità del coniuge richiedente l'assegno di procurarsi autonomamente i mezzi adeguati a vivere nel contesto sociale di appartenenza. In ogni caso, la valutazione circa l'adeguatezza dei mezzi di sostentamento non incide sul diritto all'assegno di divorzio. Laddove anche si ritenesse non sussistente la funzione assistenziale, il Giudicante ha comunque l'obbligo di valutare l'esistenza delle diverse e ulteriori componenti risarcitorie e perequative.

6. - Con il secondo motivo: Nullità della sentenza in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in dipendenza della violazione dell'art. dell'art. 5 L. n. 898/1970, in quanto la Corte territoriale ometteva di valutare il rilevante e provato contributo della moglie alla carriera del marito in termini di supporto materiale e contributivo, fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti;

6.1 - Il primo e il secondo motivo, vanno esaminati congiuntamente per l'intima connessione essendo diretti a contestare l'iter argomentativo che ha condotto al non riconoscimento dell'emolumento ritenuto non rispettoso dei criteri normativi codificati nell'art. 5, comma 6, L. 898/1970, così come interpretati dalle S.U. con la sentenza n. 18827 del 2018 Nel valutare l'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge che ne faccia richiesta, o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, si deve tener conto, utilizzando i criteri di cui all'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, sia della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest'ultimo e sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato, alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale. Lo squilibrio economico tra le parti al momento dello scioglimento del vincolo costituiscono una precondizione per l'accertamento della sussistenza dei criteri di attribuzione e determinazione dell'assegno. Una precondizione non volta alla ricostruzione del tenore di vita endomatrimoniale ma volta a verificare le cause dello squilibrio, ed in particolare il nesso causale tra la fotografia dell'assetto economico reddituale degli ex coniugi e le scelte endofamiliari relative alla definizione dei ruoli e dei compiti nel divenire della vita matrimoniale. (Cass., n. 21234/2019).

Non è centrale, di conseguenza, che l'ex coniuge richiedente sia autosufficiente economicamente, quando all'esito della valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali di entrambi, risulti che lo squilibrio possa essere collegato, anche mediante prova presuntiva, alla conduzione esclusiva o prevalente della vita familiare da parte del richiedente, tanto più quando, oltre a tale profilo, emerga anche la collaborazione diretta al raggiungimento degli obiettivi professionali, reddituali e professionali dell'ex coniuge. Questa indagine è del tutto mancata nella specie. La Corte d'Appello ha omesso, come sottolineato dalla parte ricorrente, sia la valutazione comparativa delle condizioni economico patrimoniali (la precondizione sopra illustrata) degli ex coniugi sia l''accertamento della riconducibilità anche non esclusiva alla conduzione della vita familiare dell'accertato squilibrio economico-patrimoniale, anche in relazione alla mancata affermazione professionale individuale da parte dell'ex coniuge richiedente (Cass., n. 1882/2019 e n.5603/2020).

Il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della (im)possibilità di procurarseli per ragioni oggettive può essere riferito anche alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, all'esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente) quando sia da applicare il criterio assistenziale, oppure in modo esclusivo od integrato, all'esigenza compensativa dell'ex coniuge più debole per avere fornito un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell'altro coniuge.

Ne consegue l'accoglimento dei primi due motivi.

7. - Con il terzo motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 337 sexies c.c., con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la sentenza impugnata deciso di revocare l'assegnazione della casa familiare a favore di Pu.Ro.; la Corte non ha considerato che la proprietà della casa familiare non deve rilevare al fine dell'assegnazione della casa all'interesse dei figli, e, in secondo luogo che gli arredi devono essere considerati parte integrante dell'habitat domestico tutelato dall'art. 337 sexies c.c.

8. - Con il quarto motivo: Nullità della sentenza in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in dipendenza della violazione dell'art. 337 sexies c.c., in quanto la Corte territoriale ometteva di valutare la non autosufficienza economica della figlia Br.Go., fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti. La corte avrebbe disatteso il principio secondo il quale la convivenza con la prole ai fini dell'assegnazione, non è messa in discussione nel caso in cui la permanenza nella abitazione non sia prevalente in termini temporali, ma resti in ogni caso "punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno".

8.1 - Il terzo e il quarto motivo possono essere trattati unitariamente e sono fondati. L'assegnazione della casa familiare si estende - anche a mobili ed arredi, essendo indissolubilmente legata alla collocazione dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, i quali hanno diritto di conservare l'habitat domestico nel quale sono nati o cresciuti, composto delle mura e degli arredi. L'assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi, ai sensi dell'art. 155, comma 4, c.c., ricomprende, per la finalità sopraindicate, non il solo immobile, ma anche i mobili, gli arredi, gli elettrodomestici ed i servizi, con l'eccezione dei beni strettamente personali che soddisfano esigenze peculiari dell'altro ex coniuge (Cass., n. 5189/1998; Cass, n. 878/1986; Cass., n. 7303/1983). Il logico collegamento tra immobile e mobili ai fini di tutelare l'interesse del minore alla conservazione dell'ambiente familiare va ribadito anche se la proprietà dell'immobile è di proprietà esclusiva del coniuge non proprietario dei beni mobili al fine di garantire al minore quel complesso di comfort e di servizi che durante la convivenza ha caratterizzato lo standard di vita familiare. In tale direzione è principio costantemente ribadito da questa Corte che il collegamento stabile con l'abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione anche non quotidiana ma compatibile con assenze giustificate da motivi riconducibili al percorso formativo, purché vi faccia ritorno periodicamente e sia accertato che la casa familiare sia luogo nel quale è conservato il proprio habitat domestico. Uno degli indici probatori può essere la circostanza che l'effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (Cass., n. 29977/2020; Cass., n. 16134/2019, Cass., n. 21749/2022).

Nella specie la Corte territoriale ha del tutto omesso di esaminare e porre in relazione con il diritto all'assegnazione della casa familiare nella sua completezza, la non autosufficienza economica della figlia maggiorenne delle parti, non oggetto di contestazione e la sua collocazione presso la predetta casa familiare.

Ne consegue l'accoglimento anche del terzo e quarto motivo.

9. - Br.Fa. nel ricorso incidentale ha dedotto:

10. - Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione dell'art. 4, comma 13, L. n. 898/70 in riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere il giudice territoriale - senza tener conto altresì dei principi affermati da questa Corte - indicato la decorrenza della revoca dell'assegno divorzile nella data della pronuncia di secondo grado e non già dal passaggio in giudicato della sentenza parziale del Tribunale di Trieste che ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio tra i sigg.ri Br.Fa. e Pu.Ro.

10.1 - Il motivo è assorbito dall'accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale, dovendo essere ridefinito l'intero assetto relativo all'attribuzione e determinazione dell'assegno divorzile.

11. - Con il secondo e terzo motivo: Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., dell'art. 6, 2° co., L. n. 898/70, con riferimento agli artt. 147 c.c., 315-bis c.c., 337-ter c.c., 337-septies c.c. e 4, 13° co., L. n. 898/70 nonché Omessa valutazione, ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., di un documentato fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, laddove la corte territoriale ha - anche in difformità con i principi dettati dai Giudici di legittimità - postdatato al dì della propria pronuncia il venir meno del dovere paterno di mantenere il figlio maggiorenne Br.Gi. divenuto, nelle more del giudizio, economicamente indipendente.

11.1 - Il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale possono essere trattati unitariamente. Sono entrambi inammissibili perché introducono elementi di fatto nuovi e diversi rispetto a quelli esaminati dalla Corte di Appello che ha ritenuto raggiunta la autosufficienza economica con la vittoria del concorso e non a partire dall'apprendistato. Vengono non solo prospettate circostanze nuove ma anche una complessiva rivisitazione del merito, del tutto inammissibile in sede di giudizio di legittimità.

La corte territoriale ha proceduto ad una revisione delle condizioni economiche della ricorrente e del figlio anche ai fini della decorrenza, non trascurando affatto, come afferma erroneamente il ricorrente incidentale, la condizione lavorativa. La decorrenza stabilita si è in conclusione fondato su un accurato esame del fatti acquisiti, non sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

12. - Per quanto esposto, il ricorso principale va accolto. Il primo motivo di ricorso incidentale deve essere assorbito, gli altri motivi devono essere dichiarati inammissibili. La sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione alle censure accolte, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà a quanto sopra indicato e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

L'assorbimento del primo motivo del ricorso incidentale porta ad escludere, il pagamento del doppio contributo da parte del ricorrente incidentale.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale; assorbe il primo motivo di ricorso incidentale e dichiara inammissibili i rimanenti motivi.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri elementi identificativi a norma dell'art. 52, comma 2, D.Lgs. 196/2003.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile il 7 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2024.

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