In quali casi e con quali limiti è possibile impugnare il matrimonio dell’interdetto?
La Prima sezione civile della Cassazione è recentemente tornata sulla questione con l'ordinanza n. 1770 del 17 gennaio 2024.
Il caso di specie riguardava una domanda di annullamento del matrimonio avanzata dal fratello dello sposo; quest'ultimo era stato interdetto per infermità di mente con sentenza pronunciata due mesi dopo le nozze.
La Suprema Corte ha richiamato l'art. 119, primo comma, cod. civ., secondo cui il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente “può essere impugnato dal tutore o dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo, se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se l'interdizione fu pronunziata posteriormente, ma l'infermità esisteva al tempo del matrimonio. Può essere impugnato, dopo revocata l'interdizione, anche dalla persona che era interdetta".
Tale norma prevede una facoltà e non un dovere di impugnazione del matrimonio. Questo vale sia nel caso in cui la sentenza di interdizione per infermità di mente sia già passata in giudicato al momento del matrimonio, sia nel caso in cui l'interdizione sia successiva al matrimonio "se l'infermità esisteva al momento del matrimonio".
Per quanto riguarda la prova del vizio della volontà ocorre distinugure due casi:
Pertanto, in assenza della pronuncia di interdizione passata in giudicato al momento del matrimonio, è da escludere che l'infermità di mente possa essere desunta direttamente dalla successiva pronuncia di interdizione. È richiesto un accertamento specifico e concreto sulla sua esistenza al momento del matrimonio.
Nella vicenda in esame, la Cassazione ha ritenuto corretta la motivazione della Corte d’Appello. Secondo questa, la volontà di sposarsi civilmente del fratello era coerente con il suo percorso di vita e le relazioni d'affetto intrattenute e non risultava irrimediabilmente e definitivamente incisa dal decadimento mentale progressivo, dovuto alla demenza dal quale era afflitto.
In assenza della pronuncia di interdizione passata in giudicato al momento del matrimonio, è da escludere che l'infermità di mente possa essere desunta direttamente dalla successiva pronuncia di interdizione in quanto è richiesto un accertamento specifico e in concreto sulla sua esistenza al momento del matrimonio.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 17/01/2024 (ud. 29/11/2023) n. 1770
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n.2075/2018, il Tribunale di Vicenza aveva annullato, su domanda proposta ai sensi dell'art.119 cod. civ. da Fe.Ma., fratello di Vi.Fe. (nato a Trento il Omissis), il matrimonio celebrato in data 18 maggio 2010 tra quest'ultimo e Fe.Ce.
In data 14/8/2013, nel corso del giudizio di primo grado Vi.Fe., interdetto e rappresentato da un curatore speciale, era deceduto e si erano costituiti gli ulteriori eredi del de ciuius, Al., Pa. e Vi.Fe. (nato l'Omissis). Il Tribunale aveva preliminarmente respinto l'eccezione di carenza di legittimazione attiva di Fe.Ma., avendo ravvisato il suo interesse ex art.119 cod. civ. a promuovere il giudizio, alla stregua delle sue aspettative successorie, del decesso intervenuto in corso di causa di Vi.Fe. e del fatto che la Fe.Ma. era divenuta, in conseguenza, erede del coniuge, ritenendo sufficiente che la legittimazione ad agire sussistesse al momento della decisione.
Aveva quindi accolto la domanda di annullamento del matrimonio ritenendo provato lo stato di infermità di mente di Vi.Fe. (nato a Trento il Omissis) al momento del matrimonio, anche se all'epoca della celebrazione non era stata ancora emessa e passata in giudicato la sentenza di interdizione n.1132, pronunciata nei suoi confronti il 3 giugno 2010.
La Corte di appello di Venezia, andando in contrario avviso, in accoglimento del gravame proposto da Fe.Ce., per quanto interessa, ha riformato la prima decisione e rigettato la domanda di annullamento del matrimonio di cui si discute.
Fe.Ma., Al.Fe., Pa.Fe. e Vi.Fe. (nato l'Omissis) hanno proposto ricorso chiedendo la cassazione della sentenza della Corte di appello di Venezia, pubblicata il 7 dicembre 2020, con un mezzo illustrato con memoria.
Fe.Ce. ha replicato con controricorso e memoria.
È stata disposta la trattazione con rito camerale ex art.380 bis. 1. cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. - Con l'unico motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt.119 e 2909 cod. civ., nonché dell'art.324 cod. proc. civ.
I ricorrenti deducono le violazioni di legge di cui sopra assumendo che la sentenza sarebbe frutto di un ragionamento perplesso perché il giudicante, sulla base della lettura del verbale contenente la trascrizione dell'esame dell'interdicendo ha affermato che questo "non porta a concludere che Fe.Ma., a causa di una infermità, non fosse libero di autodeterminarsi al momento delle nozze".
Sostengono che tale affermazione valorizza inspiegabilmente un atto processuale, trascurando che il processo si era concluso con la sentenza di interdizione, per cui - a loro parere - il dato di fatto dell'infermità di mente di Vi.Fe. (nato a Trento il Omissis) al momento della sentenza di interdizione non poteva essere contestato, stante l'irrevocabilità della sentenza stessa.
Si dolgono che gli argomenti spesi dalla Corte di merito siano solo una rilettura critica di emergenze proprie della causa di interdizione, non più possibile una volta che l'interdizione era stata pronunciata con effetto di giudicato, e rimarcano che il matrimonio venne celebrato otto giorni dopo l'esame dell'interdicendo e che la sentenza di interdizione venne emessa due mesi dopo il matrimonio.
Deducono che vi sarebbe una sostanziale corrispondenza temporale tra la sentenza di interdizione, il matrimonio e la preventiva valutazione di infermità rispetto alla data del matrimonio.
I ricorrenti criticano la decisione impugnata e sostengono che la Corte di appello erroneamente avrebbe rimesso in discussione la sentenza di interdizione, passata in giudicato, sulla base di presupposti errati, e cioè che l'infermità accertata dal Tribunale non fosse tale da impedire l'autodeterminazione dello sposo e che detta infermità fosse stata erroneamente accertata e si dolgono che da tali erronei presupposti la Corte di merito abbia ricavato la conclusione che gli attori non avevano fornito la prova della infermità di mente di Vi.Fe. (nato a Trento il Omissis) al momento del matrimonio, prospettando, quindi, l'esigenza di una prova ulteriore - a loro parere - impossibile.
3.1. - Il motivo è inammissibile.
3.2.- Invero, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass. n. 29404/2017; Cass. n. 19547/2017; Cass. 8758/2017; Cass. n. 16056/2016; Cass. n. 34476/2019; Cass. n. 5987/2021).
Nel presente caso la censura, pur svolta come violazione di legge, intende sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti e contestare l'accertamento e la valutazione dei fatti compiuto dalla Corte di merito, senza che tuttavia siano indicati fatti storici precisi oggetto del giudizio che avrebbero potuto condurre ad un differente esito, ove esaminati dalla Corte territoriale.
3.3.- Invero, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, non vi è stata violazione del giudicato costituito dalla sentenza di interdizione, ma retta applicazione dell'art.119 cod. civ. nell'esercizio dei poteri di valutazione delle emergenze istruttorie riservate alla Corte di merito.
La disciplina delle possibili ricadute sul matrimonio della incapacità di intendere e di volere, sia ove riconosciuta e ricondotta nell'ambito dell'interdizione giudiziale, sia ove manifestatasi come incapacità naturale è delineata negli artt.119 e 120 cod. civ.
È opportuno rammentare che l'art.119, primo comma, cod. civ. stabilisce che "Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore o dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo, se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se l'interdizione fu pronunziata posteriormente, ma l'infermità esisteva al tempo del matrimonio. Può essere impugnato, dopo revocata l'interdizione, anche dalla persona che era interdetta" e che l'art.120 cod. civ. prevede che "Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio".
Le due disposizioni presentano significative differenze.
L'art.119 cod. civ, applicabile al caso in esame, in quanto Vi.Fe. (nato a Trento il Omissis) venne interdetto giudizialmente, prevede:
una facoltà di impugnazione del matrimonio e non una doverosità;
una ampia platea dei legittimati all'impugnazione, individuati nel tutore, nel pubblico ministero e in tutti coloro che abbiano un interesse legittimo;
la facoltà di impugnazione del matrimonio sia nel caso in cui la sentenza di interdizione per infermità di mente sia già passata in giudicato al tempo del matrimonio, sia nel caso in cui l'interdizione sia successiva al matrimonio "se l'infermità esisteva al momento del matrimonio".
L'art.120 cod. civ., riguarda, invece, l'ipotesi di incapacità naturale di intendere e di volere e riserva la facoltà di impugnazione solo al coniuge che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere e di volere al momento della celebrazione del matrimonio.
Dall'esame combinato delle due disposizioni si evince che, ove ricorra la pronuncia di interdizione per infermità mentale passata in giudicato al momento del matrimonio, i legittimati all'impugnazione sono esonerati dalla prova del vizio della volontà; negli altri casi, invece, deve essere provata da chi impugna l'esistenza dell'infermità al momento del matrimonio (art.119 cod. civ.) o della incapacità di intendere e di volere (art.120 cod. civ.).
Quindi, in assenza della pronuncia di interdizione passata in giudicato al momento del matrimonio, è da escludere che l'infermità di mente possa essere desunta direttamente dalla successiva pronuncia di interdizione in quanto è richiesto un accertamento specifico e in concreto sulla sua esistenza al momento del matrimonio.
Così ricostruito il quadro normativo, va escluso che sia ravvisabile una violazione del giudicato rispetto alla sentenza di interdizione, poiché la Corte di appello non ha mai affermato che la successiva sentenza di interdizione non fosse stata rettamente pronunciata sulla scorta di un' accertata infermità, ma, in attuazione di quanto richiesto dall'art.119 cod. civ., ha verificato sulla scorta degli elementi probatori offerti dalle parti - tra cui, il verbale di esame dell'interdicendo svolto dinanzi al Tribunale chiamato a pronunciarsi sulla domanda di interdizione - se fosse stata raggiunta la prova dell'esistenza dell'infermità di mente al momento del matrimonio, ed ha compiuto un accertamento in fatto, come emerge dalla motivazione che è argomentata e immune da vizi logici e, quindi, incensurabile in sede di legittimità.
La Corte di appello, invero, ha ripercorso anche le vicende e le scelte di vita dell'interdicendo, connotate dalla pregressa celebrazione del matrimonio canonico con la Fe.Ce. e da una duratura convivenza prematrimoniale con la stessa, ed ha ritenuto che la volontà di sposarsi civilmente, manifestata dallo stesso Fe.Ma. in occasione dell'esame svolto nel giudizio di interdizione e sulla quale venne interrogato dettagliatamente, fosse coerente con il suo percorso di vita e le relazioni d'affetto intrattenute e non risultasse irrimediabilmente e definitivamente incisa dal decadimento mentale progressivo, dovuto alla demenza dal quale era afflitto.
Quindi, la censura ove prospetta la violazione dell'art.119 cod. civ. non coglie nel segno, in quanto trascura di considerare che era onere dell'impugnate il matrimonio provare la preesistenza dell'infermità di mente.
Ugualmente non coglie nel segno la censura ove prospetta una violazione del giudicato, essendo incontestato che la sentenza di interdizione venne emessa e passò in giudicato dopo il matrimonio.
La motivazione non è perplessa, ma dà conto della non univocità del complesso materiale probatorio, anzi ne deduce l'opposto e rileva che gli attori, su cui gravava l'onere probatorio anzidetto, non vi abbiano assolto.
L'apprezzamento compiuto dalla Corte di appello non è stato censurato se non deducendo la decisività della sentenza di interdizione ma, come è incontestato, questa venne non era passata in giudicato al momento del matrimonio, di guisa che non era applicabile la prima parte dell'art.119, primo comma.
Non risulta nemmeno che il PM avesse attivato il potere di sospendere il matrimonio ex art.85 cod. civ..
In conclusione, la censura mira a conseguire una rivalutazione del merito. La Corte d'Appello al riguardo ha svolto un'indagine approfondita, elencando la sequenza degli accertamenti e la non
decisività della ravvicinata corrispondenza temporale tra la sentenza d'interdizione ed il matrimonio, rimarcando anche che non svolta CTU in primo grado e che quella svolta nel giudizio di appello, poi annullato, non si era espressa sulla capacità di intendere e di volere al momento del matrimonio.
4.- Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in euro 6.000,00=, oltre euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 29 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2024.