In tema di revisione dell’assegno di divorzio, qual è il valore degli accordi economici privati stipulati dagli ex ("a latere") che dispongano oltre quanto pattuito dal giudice?
Risponde la Sezione Prima civile della Cassazione con la sentenza n. 18843 del 10 luglio 2024.
La Suprema Corte ha precisato che, in sede di giudizio ex art. 9 L. 898/1970, il giudice, pur non potendo valutare tali accordi, deve tenerne conto “ai fini della determinazione delle condizioni economiche delle parti”.
Secondo l'art. 1321 del codice civile, gli accordi "a latere" sono considerati contratti validi ed efficaci. Tuttavia, la loro modifica diretta non è consentita durante il giudizio di revisione dell'assegno divorzile. Nonostante ciò, la loro esistenza e il contenuto sono rilevanti per valutare le condizioni economiche generali tra le parti, specialmente se questi accordi implicano obbligazioni finanziarie periodiche e continuative che si aggiungono all'assegno standard stabilito inizialmente.
Nel caso di specie, l'ex marito aveva firmato una scrittura privata che prevedeva il pagamento di una somma aggiuntiva alla sua ex moglie, oltre l'assegno di divorzio precedentemente determinato dal giudice. Questo accordo non era stato preso in considerazione durante una revisione dell'assegno, nonostante la cambiata situazione familiare dell'ex moglie.
La Cassazione ha ribadito che, sebbene tali accordi non possano essere modificati direttamente, devono essere considerati dal giudice per assicurare che tutte le componenti finanziarie rilevanti siano prese in considerazione nella determinazione dell'assegno.
Cassazione civile, sez. I, sentenza 10/07/2024 (ud. 28/06/2024) n. 18843
FATTI DI CAUSA
La Corte d'Appello di Milano, con decreto n. cronol. 30/2023, pubblicato il 10/1/23, ha respinto il reclamo avverso decisione di primo grado che, in giudizio promosso, nel maggio 2021, da Tr.Da. nei confronti di Mo.Fr., avente ad oggetto modifica, ex art. 9 L. 898/1970, delle condizioni di divorzio, fissate sia nella sentenza del novembre 2019 (con la quale era stato previsto, oltre un contributo paterno al mantenimento del figlio maggiorenne ma non autosufficiente economicamente, l'obbligo per l'ex marito di versare alla Mo.Fr. l'assegno divorzile di Euro 3.500,00, con decorrenza dall'ottobre 2019, nonché di corrispondere alla stessa, con decorrenza dall'anno 2020, la somma annua di Euro 16.000,00 "a titolo di rimborso spese per il ménage domestico") sia in una scrittura privata, contestuale al deposito del ricorso congiunto di divorzio (con la quale il Tr.Da. si impegnava a versare alla Mo.Fr. l'ulteriore somma di Euro 2.500,00 mensili ad integrazione di quella corrisposta a titolo di assegno divorzile, ex art. 4 delle condizioni di divorzio), aveva revocato, alla luce della raggiunta autosufficienza economica del figlio e della stabile convivenza con altro uomo intrapresa dalla Mo.Fr., l'assegno del figlio e il contributo annuale al ménage domestico ed aveva ridotto l'assegno divorzile ad Euro 3.000,00 mensili.
Si deve, in particolare, rilevare che il Tribunale, escluso che il Tr.Da. avesse subito un peggioramento del suo reddito, aveva ritenuto di dare rilievo al fatto sopravvenuto rappresentato dalla stabile convivenza della Mo.Fr. con altra persona: alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 32198/2021, la debenza dell'assegno divorzile sussisteva in
relazione alla componente compensativa dell'assegno, che doveva ritenersi già presa in considerazione dai coniugi, nel 2019, in sede di regolamentazione divorzile, stante il contributo significativo riconosciuto dovuto alla Mo.Fr., con conseguente non necessità per quest'ultima di dare prova del diritto a tale componente compensativa dell'assegno.
Il Tribunale riteneva di ridurre l'importo (determinato in sede di divorzio in "euro 3.500 + 1/12 di Euro 16.000,00") ad Euro 3.000,00 complessivi mensili, precisando di non potere prendere in considerazione l'accordo negoziale con cui le parti avevano integrato l'assegno di divorzio, accordo non richiamato dalla pur coeva sentenza di divorzio e di natura contrattuale, con la conseguenza che il Tribunale "non ha potere di modificarlo nel presente procedimento". Lo stesso valeva per gli obblighi di facere atipici (sottoscrizione di polizze assicurative) che il ricorrente aveva liberamente assunto, nella sentenza, pattuizioni accessorie atipiche.
I giudici di appello hanno ritenuto che: a) fosse anzitutto corretta la valutazione operata dal primo giudice circa la consistenza reddituale delle parti, sulla base di "una minuziosa analisi" della documentazione prodotta, anche perché modifiche, comunque minime, del patrimonio della Mo.Fr. erano inidonee a comportare la chiesta revoca dell'assegno di mantenimento (stante la natura composita dell'assegno divorzile, essendosi, peraltro, comunque ridimensionato il contributo dell'ex marito); b) il giudice, in sede di divorzio o di revisione delle condizioni economiche, non può entrare nel merito del negozio giuridico privato (non trasposto nella sentenza di divorzio) con il quale le parti avevano ritenuto di regolamentare, in via transattiva, il contributo divorzile, integrandolo, in quanto, trattandosi di un contratto, espressione dell'autonomia negoziale, esso potrà essere risolto secondo i modi previsti dalla legge; c) la sopravvenuta convivenza della reclamata con altra persona, alla luce delle Sezioni Unite n. 32198/2021 (secondo cui ciò non determina la perdita automatica del diritto all'assegno, che sopravvive per la componente compensativa), nell'ipotesi in cui essa intervenga quando l'assegno divorzile sia stato già previsto e debba solo essere revisionato, non comporta che il beneficiario, affinché persiste il diritto, dia prova dei presupposti di tale diritto e, comunque nella specie, correttamente il Tribunale aveva ritenuto assolto l'onere probatorio in punto di contributo (componente compensativa perequativa dell'assegno divorzile) dato dalla Mo.Fr. alla formazione e cura del nucleo familiare (essendo l'unione durata circa ventiquattro anni e avendo la coppia avuto due figli), anche alla luce del riconoscimento da parte del Tr.Da. "di un contributo non solo consistente ma anche accuratamente volto a contribuire ogni ambito della vita della Mo.Fr.", come evincibile dall'accordo privato raggiunto dalle parti insieme alla regolamentazione dei rapporti economici stabiliti in sede di separazione e confermati in sede di divorzio, e il contributo, opportunatamente ridotto, dovendo assolvere unicamente alla funzione perequativa-compensativa dell'assegno, non può risentire "delle mutazioni che ineriscono alle spese del beneficiario e in generale al suo costo della vita, in quanto il suo scopo è quello di soddisfare il sacrificio - o il contributo - vissuto in costanza di matrimonio e che guarda, dunque, unicamente al passato e in particolare al tempo trascorso insieme dai coniugi".
Avverso la suddetta pronuncia, Tr.Da. propone ricorso per cassazione, notificato il 23/1/2023, affidato a due motivi, nei confronti di Mo.Fr. (che resiste con controricorso).
Con ordinanza interlocutoria del 17/4/2024, questa Corte ha ritenuto che il primo motivo di ricorso, ponendo il tema della valenza degli accordi negoziali conclusi dai coniugi in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, c.d. accordi "a latere", in rapporto ad un giudizio di revisione delle condizioni di divorzio, presentasse profili di novità che rendevano opportuna la trattazione in pubblica udienza, ha rinviato la causa a Nuovo Ruolo per la trattazione in pubblica udienza. Entrambe le parti hanno depositato ulteriori memorie. All'udienza pubblica del 28 giugno 2024 sono stati sentiti i difensori delle due parti, che hanno illustrato anche oralmente i rispettivi atti, e il Procuratore Generale, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., dell'art. 9, comma 1, L. 898/1970, per avere la Corte d'Appello ritenuto di non potersi pronunciare sulla modifica dell'obbligo assunto dal Tr.Da., con la stipula di scrittura privata, coeva a quella poi trasfusa nel ricorso per cessazione degli effetti civili del matrimonio e nella sentenza di divorzio emessa dal Tribunale, pur trattandosi della stessa obbligazione economica. Con il secondo motivo, si lamenta poi la violazione, ex art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.115, 116 c.p.c. e 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente rideterminato l'assegno divorzile a carico del ricorrente nella misura di Euro 3.000,00 mensili, ritenendo che detto importo, unitamente a quello di 2.500,00 Euro mensili previsto nella scrittura privata, rappresentasse la componente compensativo-perequativa dell'assegno divorzile di cui la Mo.Fr. aveva diritto a continuare a beneficiare senza dover fornire la prova anche del contributo offerto alla vita familiare.
2. Entrambi i motivi di ricorso vanno accolti nei sensi di cui in motivazione.
2.1. Il ricorrente, in relazione al rigetto del proprio reclamo ex art. 739 c.p.c. (con il quale il medesimo aveva chiesto "revocare, dalla data della domanda, l'obbligo del Signor Tr.Da. di corrispondere alla Signora Mo.Fr. il contributo integrativo ad Euro 2.500,00 mensili, posto a suo carico in forza della scrittura privata "a latere"", nonché "rideterminare la misura dell'assegno divorzile in favore della Signora Mo.Fr. nella somma non superiore ad Euro 500,00 mensili, ovvero in quella ritenuta congrua"), contesta il mancato assoggettamento delle pattuizioni negoziali di natura economica, pur ritenute pienamente valide, al vaglio del Giudice della famiglia in sede di revisione ex art. 9 L. 898/1970, in quanto, se detti patti sono validi ed efficaci, nei limiti in cui non determinino una violazione dell'art. 160 c.c., "la parte che li ha sottoscritti, in caso di sopravvivenze, atte ad alterare l'assetto negoziale raggiunto, deve inevitabilmente poterli rimettere in discussione, anche tramite la procedura di modifica ex art. 9 L. 898/1970", dovendo il termine "disposizioni", utilizzato dall'art. 9 citato, essere interpretato "in modo elastico (e non restrittivo)", nel senso che possono essere oggetto di revisione anche le pattuizioni concomitanti (a latere) a quelle sottoposte al vaglio del Tribunale e recepite nella sentenza di divorzio, che abbiamo "sostanzialmente contenuto e natura analoga e concernenti obbligazioni periodiche e continuative (come il versamento del contributo integrativo dell'assegno divorzile) che unitamente a quelle recepite nella sentenza di divorzio formano "un unicum inscindibile". La Corte d'Appello avrebbe dovuto, quindi, valutare congiuntamente il contenuto della scrittura privata e quello delle intese recepite nella sentenza di divorzio emessa dal Tribunale, trattandosi della "stessa obbligazione economica" (formando "un unicum inscindibile"), periodica e continuativa, concordata dalle parti, contestualmente, in relazione al loro divorzio; anche gli accordi integrativi "a latere" hanno "concorso a formare quell'equilibrio economico raggiunto in sede di divorzio".
Inoltre, in ciò confutandosi quanto argomentato dalla Corte d'Appello, la risoluzione della scrittura privata contenente le pattuizioni integrative all'assegno divorzile, potrebbe avvenire, al più, solo per mutuo consenso, non potendo, essere fatta valere la risoluzione dell'accordo negoziale raggiunto in sede di divorzio -stando alla tesi della Corte - facendo valere "quei giustificati motivi" di cui parla l'art. 9 L. div. (come l'instaurazione di una convivenza da parte del soggetto beneficiario dell'assegno). E tanto non sarebbe possibile neppure in un giudizio di cognizione ordinario, attesa la causa di tale pattuizione, ancorata alla crisi coniugale.
Il che comporterebbe una durata indefinita dell'obbligo assunto. In memoria, si ribadisce che l'autonomia negoziale riconosciuta alle parti per definire, tramite i c.d. accordi a latere, gli aspetti patrimoniali oltre che personali della vita familiare in sede di separazione e/o divorzio, col solo limite dei diritti indisponibili, non può escludere o precludere il successivo eventuale intervento del Giudice della famiglia per la loro eventuale modifica o revisione e che il legislatore - prescrivendo nel dettato normativo dell'art. 9 della L. 898/1970 (oggi abrogato dalla "Riforma Cartabia", di cui al D.Lgs. n. 149/2022, e sostituito dall'art. 473-bis.29 c.p.c.) la necessità della sopravvenienza di "giustificati motivi" per poter procedere a una revisione delle condizioni di separazione o di divorzio - conferma e rafforza la sopravvenienza di nuove circostanze quale unico requisito necessario e imprescindibile per poter domandare la modifica, non subordinando espressamente la modificabilità degli accordi economici pattuiti dai coniugi in sede di divorzio al fatto che gli stessi siano anche stati recepiti nella sentenza divorzile. In sostanza, ai fini di cui all'art. 9 L. div, le allegate circostanze sopravvenute legittimanti la revisione consentono al giudice di entrare nel merito della "complessiva regolamentazione economica dei rapporti convenuta dai coniugi in sede di divorzio" a prescindere dalle modalità attuate (ricorso al Giudice o scrittura privata integrativa) per ottenerla.
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello abbia ritenuto che la Mo.Fr. debba continuare a beneficiare dell'assegno divorzile, ridotto ad Euro 3.000,00 mensili, oltre a quello di Euro 2.500,00 mensili previsto dalla scrittura privata inter partes, trattandosi della componente perequativa-compensativa dell'assegno divorzile, senza dovere anche fornire la prova del contributo offerto alla vita familiare, come invece affermato dalle Sezioni Unite nell'arresto del 2021 (in relazione al fatto sopravvenuto rappresentato dall'intrapresa convivenza del coniuge beneficiario con altra persona).
Deduce il ricorrente come "la prova dell'esistenza del contributo offerto in costanza di matrimonio alla cura della famiglia e dei figli debba essere fornita anche quando l'assegno divorzile sia già stato riconosciuto e lo stesso sia stato successivamente oggetto di richiesta di revisione da parte dell'ex coniuge, che eccepisca l'intervenuta convivenza, obbligato a corrisponderlo". Nella specie, alcun approfondimento istruttorio era stato compiuto per misurare la effettiva e reale incidenza sull'assegno della componente compensativa rispetto a quella assistenziale, avendo la Corte di merito quantificato arbitrariamente la parte compensativa-perequativa dell'assegno, facendo unicamente leva sulla sola consistenza degli sforzi economici compiuti dal Tr.Da. in favore della ex moglie al momento della stipula degli accordi di divorzio, sia privati sia dinanzi al giudice (vagliati questa volta in maniera complessiva, ossia comprensiva della scrittura integrativa), con violazione sia dei principi sull'onere della prova sia degli artt.115 e 116 c.p.c.
2.2. Premesso quanto precede, occorre anzitutto osservare che il divorzio congiunto - fattispecie ricorrente nella specie - non esclude la possibilità per le parti di sottoporre al giudice l'intervenuto mutamento delle circostanze, nelle forme di cui all'art. 9 L. 898/1970 (ex plurimis, Cass. 13424/2014).
Va poi, rilevato che, a differenza di quanto avviene nel procedimento di separazione consensuale, la domanda congiunta di divorzio dà luogo ad un procedimento che si conclude con una sentenza costitutiva, nell'ambito del quale l'accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva, con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale ex art. 3 della L. n. 898 del 1970, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, consentendo al Tribunale di intervenire su tali accordi nel caso in cui essi risultino contrari a norme inderogabili, con l'adozione di provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose (Cass. 19540/2018).
La domanda, ai sensi dell'art. 9 L. 898/1970, di revoca o riduzione dell'assegno divorzile, già disposto in favore dell'altro coniuge, può sopravvenire anche al giudicato, annoverato nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, in quanto soggetto al perdurante adeguamento alle situazioni sopravvenute, essendo il titolo esecutivo giudiziale in materia di famiglia assistito da definitività equiparabile al giudicato, ma trattandosi di un giudicato del tutto peculiare (fra le altre, Cass. 2 luglio 2019, n. 17689; Cass. 30 luglio 2015, n. 16173), riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare attraverso un procedimento ad hoc, quale nella specie dettato dell'art. 9 I. n. 898 del 1970 per il divorzio. Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. 20495/2022), ha di recente ribadito che, in sede di revisione dell'assegno divorzile, il giudice dovrà compiere la necessaria, complessiva, approfondita e comparativa valutazione tra le situazioni rilevanti di entrambi i coniugi, riferita a molteplici fattori, al fine dell'accertamento "di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, idoneo a modificare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale - integrante i "giustificati motivi" di cui è parola nell'art. 9 - necessario per procedere al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. 5 giugno 2020, n. 10647; Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119; Cass. 5 marzo 2019, n. 6386; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 13 gennaio 2017, n. 787; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. 25 agosto 2005, n. 17320)".
Si deve, dunque, verificare se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l'assetto patrimoniale in essere, nel qual caso il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, per il riconoscimento dell'assegno, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all'attualità, senza che possa ritenersi per converso, sufficiente ex se il solo mutamento di giurisprudenza sulla funzione dell'assegno divorzile, ove quelle circostanze di fatto non siano mutate (Cass. 1119/2020).
2.3. Il ricorso pone, in particolare, il tema della valenza degli accordi negoziali conclusi dai coniugi in sede di divorzio congiunto. In assenza di previsione normativa, con il termine accordi "a latere", si indicano genericamente tutte le pattuizioni che i coniugi stipulano a causa della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga trasfuso nell'omologa o nella sentenza. È stata via via valorizzata l'autonomia negoziale privata dei coniugi, anche nella fase patologica della crisi, essendosi riconosciuto ai coniugi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della crisi stessa (art. 4 L. n. 898/1970 e D.L. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014).
Secondo la giurisprudenza sino ad ora espressa da questa Corte, gli accordi c.d. precedenti o coevi sono validi se, rispetto al provvedimento giurisdizionale, si pongono in posizione di conclamata ed incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo del giudice, mentre quelli c.d. successivi sono validi se non contrastano con l'art. 160 c.c. e rispondono all'esigenza di adeguare i singoli aspetti degli accordi all'esperienza reale del nucleo familiare (Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2005 n. 20290: "In tema di separazione personale, le modificazioni pattuite dai coniugi successivamente all'omologazione, trovando fondamento nell'articolo 1322 del c.c., devono ritenersi valide ed efficaci, anche a prescindere dallo speciale procedimento disciplinato dagli articoli 710 e 711 del c.p.c., senz'altro limite che non sia quello di derogabilità consentito dall'articolo 160 del c.c. Le pattuizioni, invece, convenute dagli stessi coniugi antecedentemente o contemporaneamente al decreto di omologazione, e non trasfuse nell'accordo omologato, sono operanti soltanto se si collocano, rispetto a quest'ultimo, in posizione di non interferenza o in posizione di conclamata e incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo di cui all'articolo 158 del codice civile"; in senso conforme, Cass. civ., sez. I, 6 febbraio 2009 n. 2997; Cass. civ. 21 dicembre 2012, n. 23173). Il problema che si pone, nella fattispecie oggetto di esame in questa sede, è che l'intervento richiesto del giudice - ove ritenuto ammissibile - verrebbe ad esplicarsi su di un accordo, avente natura negoziale, che certamente non è contrario a norme inderogabili, trattandosi di un patto, contemporaneo al deposito dell'accordo di divorzio congiunto, con il quale il marito si obbligava a corrispondere alla moglie una somma aggiuntiva a quella stabilita dalle parti come assegno di divorzio.
E l'intervento del giudice dovrebbe esplicarsi - su richiesta di parte - in sede di giudizio di revisione ex art. 9 L. 898/1970. 2.4. Occorre, allora, distinguere.
È possibile che le parti - oltre agli accordi di divorzio congiunto, sui quali il giudice non opera alcuna valutazione, se non contrari a norme inderogabili - possano concludere accordi estranei all'oggetto del procedimento di divorzio congiunto, come trasferimenti di beni immobiliari o transazioni. Tali accordi sono certamente validi, ma, trattandosi di veri e propri contratti (art. 1321 c.c.), si sottraggono alla valutazione del giudice in sede di giudizio ex art. 9 L. 898/1970, salvo che per la loro considerazione ai fini della determinazione delle condizioni economiche delle parti.
L'accordo tra coniugi avente ad oggetto un trasferimento immobiliare, nell'ambito di un procedimento di divorzio a domanda congiunta, è soggetto - si è affermato - alle ordinarie impugnative negoziali a tutela delle parti o di terzi, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo recepisce, spiegando quest'ultima efficacia meramente dichiarativa, come tale non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo (Cass. 15169/2022, con riferimento ad un trasferimento immobiliare). Le clausole dell'accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni - mobili o immobili - o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli, al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c. (Cass. S. U. 21761/2021). Ed inoltre, l'accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di
separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto neppure al giudice per l'omologazione (Cass. 24621/2015) e questa Corte ha stabilito che la soluzione dei contrasti interpretativi, tra una pattuizione "a latere" ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetta al Giudice di merito ordinario, il quale dovrà fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti.
La natura di contratti estranei all'oggetto del giudizio di divorzio (status, assegno di mantenimento per il coniuge o per i figli, casa coniugale) - seppure aventi causa nella crisi coniugale - ne evidenzia la natura di contratti, impugnabili secondo le regole ordinarie, ma certamente non rivedibili in sé, ai sensi dell'art. 9 L. 898/1970.
2.5. Considerazioni peculiari vanno invece svolte con riferimento a quelle pattuizioni che, sebbene contenute in un patto aggiunto e contestuale all'accordo di divorzio congiunto, siano, tuttavia, strettamente connesse a questo, per volontà delle parti, e non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, o in contrasto con norme inderogabili.
Nella specie, in sede di scrittura privata, contestuale al deposito del divorzio congiunto, le parti stabilivano che "ad integrazione del contributo al mantenimento di Euro 3.500,00 mensili", di cui all'art. 4 delle condizioni del ricorso consensuale presentato, il Tr.Da. si obbligava a versare alla Mo.Fr. "la somma integrativa" di Euro 2.500,00 mensili.
Nel caso concreto, dunque, il patto aggiuntivo all'accordo congiunto era espressamente qualificato come patto "ad integrazione del contributo al mantenimento", sicché la natura di accordo integrativo degli altri accordi - coevi, anche se non contestuali -ascrivibile a tale patto risulta innegabile, con la conseguenza che la Corte d'Appello avrebbe dovuto tenerne conto, ai fini della revisione
dell'assegno divorzile, ai sensi dell'art. 9 L. 898/1970, una volta
accertata l'esistenza di una sopravvenienza, costituita dalla convivenza della moglie con altra persona. Tale patto, invero, non aveva solo causa nella crisi coniugale ma oggetto esulante dal giudizio divorzile, come i contratti autonomi succitati (Trasferimenti di beni, transazioni), ma a differenza da questi rientrava a pieno titolo nell'oggetto del giudizio divorzile, in quanto espressamente diretto ad integrare l'assegno di divorzio.
Nella specie, quindi, l'accordo stipulato contestualmente al deposito del ricorso congiunto di divorzio trovava non solo "causa" nel divorzio, ma era strettamente attinente all'oggetto di tale giudizio, attenendo all'adempimento dell'obbligo, rientrante nei doveri di solidarietà post coniugale, di versare l'assegno al coniuge economicamente più debole ad integrazione di quanto recepito nelle condizioni economiche della sentenza di divorzio, anche se esso, rientrando nella autonomia negoziale, non era assoggettato al rispetto dei criteri dettati dall'art. 5 L. n. 898/1970. 2.6. Allora, se è da ritenersi valido ed efficace detto accordo, nella interpretazione evolutiva di questa giurisprudenza di legittimità, esso deve poter rilevare ai fini della revisione ex art. 9 L. div. e di esso il giudice della famiglia deve tenere conto. E ciò nel senso che, pur non potendo il giudice intervenire direttamente sull'accordo contrattuale "a latere" operante inter partes, rimesso appunto alla libera determinazione negoziale delle parti, detto accordo, laddove non contenga espresse pattuizioni contrarie e sia strettamente connesso alle condizioni pattuite con il ricorso per divorzio congiunto, deve essere preso in considerazione dal giudice in sede di revisione delle condizioni economiche del divorzio ex art. 9 L. 898/1970.
Non viene, in tal modo, ad essere direttamente modificato quell'accordo negoziale (e sotto tale profilo le deduzioni, pure formulate dal ricorrente, non possono trovare accoglimento), ma la quantificazione del nuovo assegno divorzile, spettante alla ex moglie, oramai nella sua sola componente compensativa, per effetto della nuova stabile convivenza intrapresa dalla stessa con altra persona, a seguito del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite nel 2021, deve essere operata tenendo conto di quanto complessivamente il Tr.Da. è obbligato a versare alla Mo.Fr., sulla base dei provvedimenti contenuti nella sentenza di divorzio (che recepivano l'accordo tra le parti) e degli obblighi assunti nell'accordo contestuale a latere di carattere integrativo. 2.7. Anche la seconda doglianza va accolta, nel senso che il giudice del rinvio dovrà rideterminare l'assegno divorzile, tenendo conto del menzionato patto, della sopravvenienza suindicata, e dei principi esposti da Cass. Sez. Un. 32198/2021. Orbene, nella fattispecie, in sede di separazione consensuale, a maggio 2018 (omologata a giugno 2018, prima della pronuncia delle Sezioni unite n. 18287/2018 sulla natura dell'assegno divorzile ex art. 5, comma 6, L. div.), il marito aveva riconosciuto alla moglie un unico contributo al mantenimento, di Euro 3.500,00 mensili, mentre, in sede di divorzio, con sentenza del novembre 2019, emessa su conclusioni conformi delle parti, e con la scrittura privata dell'ottobre 2019 (contestuale al deposito del ricorso congiunto), il Tr.Da. aveva voluto riconoscere alla ex moglie un contributo al ménage domestico di Euro 16.000,00 annuali ed un assegno divorzile di Euro 3.500,00 mensili, integrato dalla pattuizione aggiuntiva di Euro 2.500,00 mensili.
La Corte d'Appello ha ritenuto, peraltro dando questa volta rilievo -dopo averne, in maniera contraddittoria, escluso la rilevanza ai fini del giudizio de quo - alla scrittura privata "a latere", che le parti, assistite dai rispettivi difensori, avessero inteso fare così richiamo ai vigenti principi giurisprudenziali sulla natura compositiva, assistenziale e anche perequativa-compensativa, dell'assegno divorzile, cosicché la nuova convivenza non era idonea a fondare una revoca totale dell'assegno, non potendo incidere sulla componente perequativa-compensativa, ritenuta espressamente o implicitamente, dalle parti nel divorzio su domanda congiunta, accompagnato da pattuizione "a latere", migliorativa per il coniuge parte debole, presa in considerazione, senza necessità di ulteriore prova da parte del coniuge beneficiario (peraltro, offerta).
Ma, al contrario, una volta ritenuta la sopravvenienza di un fatto idoneo alla revisione dell'assegno, si doveva verificare, alla luce delle Sezioni Unite del 2021, la permanenza del diritto all'assegno divorzile, in relazione alla componente perequativo-compensativa, che doveva essere verificata e quantificata, anche tenendo conto della pattuizione a latere.
3. Per tutto quanto sopra esposto, va accolto il ricorso e il decreto impugnato va cassato con rinvio alla Corte appello Milano in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, con rinvio della causa alla Corte appello Milano in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio del 28 giugno 2024.
Depositato in cancelleria il 10 luglio 2024.