Quando parliamo di contratti bancari, il divieto di anatocismo introdotto dal 1° dicembre 2014, secondo la nuova versione dell'art. 120, comma 2, del Testo Unico Bancario (D.Lgs. n. 342/1999), si applica anche in assenza delle disposizioni attuative del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR)?
La risposta arriva dalla Prima Sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 21344 del 30 luglio 2024, che ha stabilito in modo chiaro che il divieto di anatocismo è assoluto e non necessita di essere mediato o regolamentato dal CICR.
Quindi, cosa significa concretamente questa decisione?
La Suprema Corte ha affermato che le banche, dal 1° dicembre 2014, avrebbero dovuto evitare l'applicazione di interessi anatocistici nei contratti di conto corrente. Questo chiarimento elimina ogni dubbio: anche in assenza di una delibera specifica del CICR, il divieto di capitalizzazione degli interessi passivi era già operativo.
Nel caso di specie, l'Associazione Movimento Consumatori ha citato in giudizio alcune banche presso il Tribunale di Cuneo, contestando la pratica della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nei conti correnti e chiedendo la restituzione degli interessi anatocistici addebitati dopo il 1° gennaio 2014. Le banche hanno replicato sostenendo che l'applicazione del divieto dipendeva dall'emanazione di nuove disposizioni da parte del CICR.
Tuttavia, la Cassazione ha respinto questa interpretazione, sottolineando che il divieto di anatocismo previsto dalla legge è immediatamente operativo, indipendentemente da eventuali interventi del CICR. La Corte ha anche ribadito che il principio stabilito dal nuovo art. 120, comma 2, del TUB, secondo cui gli interessi non possono produrre ulteriori interessi, rappresenta una norma che vieta in radice qualsiasi forma di anatocismo.
In tema di contratti bancari, l'art. 120, comma 2, t.u.b., come sostituito dall'art. 1, comma 628, L. n. 147 del 2013, fa divieto di applicazione dell'anatocismo a far data dal 1 dicembre 2014 e tale prescrizione è da ritenersi operante indipendentemente dall'adozione, da parte del CICR, della delibera, prevista da tale norma, circa le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria.
Cassazione civile, sez. I, sentenza 30/07/2024 (ud. 12/06/2024) n. 21344
FATTI DI CAUSA
1. - L'Associazione Movimento Consumatori ha convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Cuneo, le banche in epigrafe indicate domandando: accertarsi che la condotta posta in essere dai predetti istituti di credito con l'attuazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi maturati nell'ambito dei contratti di conto corrente, o, comunque, con l'applicazione di interessi anatocistici successivamente al 1 gennaio 2014, data di entrata in vigore della nuova versione dell'art. 120, comma 2, t.u.b. (D.Lgs. n. 385/1993), risultante dall'art. 1, comma 629, L. n. 147/2013, doveva considerarsi illegittima e contraria agli interessi collettivi dei consumatori, oltre che alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali di cui all'art. 2, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 206/205; accertarsi che i consumatori titolari dei contratti di conto corrente accesi presso i predetti istituti di credito avevano diritto ad ottenere la restituzione degli interessi sugli interessi maturati sui saldi debitori dei propri conti correnti, o il ricalcolo del saldo dei medesimi conti, con eliminazione di ogni addebito di interessi anatocistici; inibirsi, a norma dell'art. 140, lett. a), c. cons. (D.Lgs. n. 206/2005), ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi maturati nell'ambito di tali contratti di conto corrente o, comunque, l'applicazione di interessi anatocistici, nonché la diffusione, l'utilizzo e l'applicazione delle clausole contrattuali ed economiche che prevedevano l'applicazione di interessi anatocistici; ordinarsi agli istituti di credito convenuti ex art. 140, lett. b), c. cons. di pubblicare sulla home page del proprio sito internet, oltre che di inviare a ciascun correntista, un avviso con il quale informare che, con decorrenza dal 1 gennaio 2014 era vietata, per tutti i contratti di conto corrente, qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi passivi e che ogni correntista aveva diritto a ripetere gli interessi anatocistici corrisposti e ad ottenere il ricalcolo del saldo del proprio conto corrente, eliminando ogni addebito di interessi sugli interessi maturati dopo il 1 gennaio 2014; ordinarsi la pubblicazione del dispositivo della sentenza su almeno tre quotidiani a diffusione nazionale; fissarsi un termine alle società convenute ex art. 140 c. cons., per l'adempimento di tutti gli obblighi imposti dal Tribunale determinando, altresì, in misura non inferiore a Euro 1.000,00, la somma da corrispondersi per ogni inadempimento ovvero per ogni giorno di ritardo.
Gli istituti di credito si sono costituiti chiedendo il rigetto delle domande proposte da parte attrice. Hanno dedotto il difetto di legittimazione dell'associazione attrice e la non immediata applicabilità della norma novellata nel 2014, in mancanza di provvedimenti attuativi del CICR (Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio); in subordine hanno richiesto che il Tribunale rimettesse alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, comma 629, L. n. 147/2013 e 1, comma 749, della medesima legge, per non essere previste norme transitorie, o per violazione del principio di necessaria ragionevolezza della legge; in via di ulteriore subordine, hanno chiesto di trasmettere gli atti alla Corte di giustizia dell'Unione europea affinché la stessa si pronunciasse, in via pregiudiziale, sulla compatibilità con l'ordinamento unionale dell'art. 120, comma 2, t.u.b., se interpretato nel senso di prevedere un divieto di anatocismo nel settore bancario.
Nel corso del giudizio di primo grado, a seguito dell'ulteriore modifica dell'art. 120, comma 2, t.u.b., ad opera dell'art. 17 bis, comma 1, D.Lgs. n. 18/2016, convertito, con modificazioni, in L. n. 49/2016, le banche hanno eccepito la cessazione dalla materia del contendere.
Con sentenza del 14 luglio 2017 il Tribunale di Cuneo ha respinto l'eccezione di difetto di legittimazione attiva dell'Associazione Movimento Consumatori; ha ritenuto che l'applicabilità della nuova disciplina fosse differita all'emanazione di nuova disciplina attuativa da parte del CICR; ha affermato, in particolare, che la nuova norma introduceva un divieto di capitalizzazione da attuarsi nei termini che fossero stati definiti dal predetto Comitato; ha osservato che l'art. 161, comma 5, t.u.b. era norma transitoria di carattere generale e che essa non consentiva alle banche di conteggiare gli interessi escludendo la capitalizzazione degli stessi; ha escluso la cessazione della materia del contendere per effetto della nuova formulazione dell'art. 120 t.u.b., rilevando come nei contratti di durata, in caso di successione delle diverse discipline normative, gli effetti delle pregresse disposizioni possono continuare a produrre effetti negativi per il consumatore ove non siano rimossi dalle norme successive.
2. - Avverso detta sentenza l'Associazione Movimento Consumatori ha proposto appello. Si sono costituite le banche vittoriose in primo grado, chiedendo dichiararsi inammissibile, e comunque rigettarsi, il gravame; la Cassa di Risparmio di Saluzzo ha spiegato appello incidentale.
Con sentenza del 26 marzo 2019 la Corte di appello di Torino ha respinto il gravame principale e il quinto motivo di impugnazione incidentale della Cassa di Risparmio di Saluzzo, dichiarando assorbiti gli altri.
3. - Contro quest'ultima pronuncia l'Associazione Movimento Consumatori ha proposto un ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Resistono con controricorso Banco di Credito P. Azzoaglio Spa, Cassa di Risparmio di Fossano Spa, Cassa di Risparmio di Savigliano Spa, Banco di Credito Cooperativo di Bene Vagienna s.c., Banca di Credito Cooperativo di Caraglio, del Cuneese e della Riviera dei Fiori s.c.r.l., Banca di Credito Cooperativo di Casalgrasso e Sant'Albano Stura s.c., Banca del Credito Cooperativo di Pianfei e Rocca de Baldi s.c., Cassa Rurale e Artigiana di Boves s.c., nonché BPER Banca Spa, quale incorporante Cassa di Risparmio di Saluzzo, che ha spiegato una impugnazione incidentale su di un motivo.
A seguito di accettazione e rinuncia, con decreto dell'11 gennaio 2022 è stato dichiarato estinto il giudizio limitatamente al rapporto processuale tra l'associazione attrice e BPER Banca.
Il giudizio, avviato alla trattazione camerale, è stato rimesso in pubblica udienza con ordinanza n. 5962 del 2023 di questa Corte.
Le parti hanno depositato memoria.
Il Pubblico Ministero ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - Il primo motivo di ricorso oppone la violazione e falsa applicazione dell'art. 120 t.u.b., come novellato dall'art. 1, comma 628, L. n. 147 del 2013, e dell'art. 12 delle preleggi. Il mezzo verte sul significato da attribuire alla disciplina modificata del secondo comma del cit. art. 120; si deduce che l'interpretazione letterale, teleologica e storico-sistematica confermerebbero che con la L. n. 147/2013 il legislatore abbia inteso introdurre il divieto di anatocismo.
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 120 t.u.b., novellato dall'art. 1, comma 628, L. n. 147 del 2013, e dell'art. 1283 c.c., anche con riferimento agli artt. 4, 12 e 15 preleggi. Si lamenta che la sentenza di appello abbia condizionato l'applicabilità del divieto di anatocismo all'emanazione della delibera del CICR, mancando di affermarne l'immediata applicabilità a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. n. 147/2013, ovvero dal 1 gennaio 2014.
Il terzo motivo prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 120 e 161, comma 5, t.u.b., anche con riferimento agli artt. 4, 12 e 15 preleggi, oltre che 73 Cost.. Assume l'Associazione ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, il cit. art. 161, comma 5, non si applica alle disposizioni del testo unico introdotte o modificate da una disposizione di legge successiva all'emanazione di tale testo normativo.
2. - Le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalle parti controricorrenti non hanno fondamento.
È escluso, anzitutto, che il ricorso per cassazione sia carente di autosufficienza: è bastevole rammentare, in proposito, che la verifica dell'osservanza di quanto prescritto dall'art. 366, comma 1, n. 6 c.p.c. deve compiersi con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione e che la mancata specifica indicazione (ed allegazione) dei documenti sui quali ciascuno di essi, eventualmente, si fondi può comportarne la declaratoria di inammissibilità solo quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè quando, senza l'esame di quell'atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonché la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili (Cass. Sez. U. 5 luglio 2013, n. 16887). Non è prospettata alcuna carenza nel senso indicato.
L'impugnazione non può dirsi nemmeno fondata su motivi carenti di specificità: il principio di specificità di cui all'art. 366, n. 4 c.p.c. richiede per ogni motivo l'indicazione della rubrica, la puntuale esposizione delle ragioni per cui è proposto, nonché l'illustrazione degli argomenti posti a sostegno della sentenza impugnata e l'analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo, come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della
pronuncia (Cass. 18 agosto 2020, n. 17224): condizioni, queste, che il ricorso per cassazione ampiamente soddisfa.
Né è a farsi questione, in questa sede, dell'asserita improponibilità delle domande di merito. L'eccezione, sollevata da Cassa di Risparmio di Saluzzo, circa la sopravvenuta assenza di presupposti dell'azione promossa dell'Associazione Movimento Consumatori, nulla ha a che vedere con l'ammissibilità del ricorso per cassazione. D'altro canto, la questione su cui è incentrata detta eccezione risulta essere estranea alla sentenza impugnata e, ove mai la Corte di appello si fosse pronunciata sul punto in senso sfavorevole alla controricorrente, questa sarebbe stata onerata di spiegare, sul punto, una impugnazione incidentale.
Da ultimo, l'ipotetica assenza delle condizioni per la pronuncia di cassazione con decisione della causa nel merito ex art. 384, comma 2, c.p.c. non integra affatto un'ipotesi di inammissibilità del ricorso per cassazione.
3. - I tre motivi di impugnazione, che si prestano a una trattazione congiunta, meritano accoglimento nei termini che si vengono a esporre.
3.1. - La storia del secondo comma dell'art. 120 t.u.b., che qui viene in esame, è particolarmente tormentata.
Nel testo originario il detto comma 2, introdotto dall'art. 25 del D.Lgs. n. 342/1999, prevedeva:
"Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori".
La disposizione è stata sostituita dall'art. 1, comma 629, della L. n. 147/2013 (legge di stabilità del 2014) - che interessa nella presente sede - con la norma che segue:
"Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale".
Con l'art. 31 D.L. n. 91/2014 il legislatore tornò sul testo della norma, disponendo, tra l'altro, che il CICR stabilisse "modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi" e prevedendo che fino a tale intervento continuasse ad applicarsi la delibera del CICR del 9 febbraio 2000 (la delibera che aveva dato attuazione all'art. 120, comma 2, per come modificato dal D.Lgs. n. 342 del 1999). In sede di conversione, ad opera della L. n. 116/2014, l'art. 31 del D.L. n. 91 del 2014 fu però soppresso, sicché il testo dell'art. 120, comma 2, per come novellato dalla legge di stabilità del 2014, rimase invariato.
La delibera del CICR che, in forza del dettato di tale norma, avrebbe dovuto emanarsi per stabilire "modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria" non vide mai la luce, anche se la Banca d'Italia predispose, nell'agosto 2015, una bozza da sottoporre al nominato Comitato interministeriale (in conformità della previsione generale contenuta nell'art. 4 t.u.b.): tale bozza conteneva un'articolata disciplina che comprendeva i metodi di contabilizzazione degli interessi maturati sulle aperture di credito in conto corrente e le soluzioni da adottare per agevolare il pagamento degli stessi, sul presupposto che gli interessi semplici, in base a una interpretazione "teleologica" della norma primaria (l'art. 120, comma 2, t.u.b.), non potessero generare interessi anatocistici.
Pochi mesi dopo l'emanazione di tale proposta, l'art. 120 t.u.b. fu nuovamente modificato per effetto dell'art. 17-bis D.L. n. 18 del 2016, inserito in sede di conversione dalla L. n. 49 del 2016. In tale definitiva versione la lett. b) del comma 2 del cit. art. 120 risulta essere stata novellata nei senso che "gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale"; sono state stabilite, poi, particolari regole per la contabilizzazione e l'addebito degli interessi maturati sulle aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento e per gli interessi che hanno titolo in sconfinamenti "in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido". Mette conto di aggiungere, per mera completezza, che il 3 agosto 2016 fu emanata la delibera del CICR attuativa di questa nuova disciplina legislativa.
3.2. - È noto il dibattito che si è acceso, in dottrina e in giurisprudenza, intorno al portato da attribuire alla novella del 2013: dibattito vertente su due temi tra loro strettamente correlati. Si è discusso, infatti, se la nuova disciplina avesse escluso la legittimità dell'anatocismo bancario (prima ammesso in presenza delle situazioni legittimanti indicate nella delibera CICR del 9 febbraio 2000) e se tale esclusione avesse effetto immediato o differito, dipendendo dall'adozione di una nuova delibera del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio avente ad oggetto la fissazione di "modalità e criteri per la produzione di interessi".
3.3. - La Corte di appello di Torino, nella sentenza impugnata, ha osservato che il legislatore, con la norma introdotta con la legge di stabilità, aveva stabilito, "quali principi ispiratori della normativa secondaria", la periodicità del conteggio degli interessi sia attivi che passivi e il meccanismo per cui gli interessi periodicamente capitalizzati non producevano ulteriori interessi; pertanto - ha concluso - sarebbe stata prevista una "prima " capitalizzazione e un divieto quanto alla produzione di "ulteriori" interessi da parte degli interessi periodicamente capitalizzati. Pur non negando che la modifica legislativa avesse la finalità di evitare la produzione di interessi sugli interessi (e quindi l'accredito e addebito di interessi anatocistici), la detta Corte ha evidenziato come il tenore letterale della norma fosse ambiguo e che ciò avesse indotto gli interpreti a forzare il dato letterale della norma.
Il Giudice distrettuale ha poi escluso che la mancata adozione della delibera da parte del CICR fosse irrilevante sul piano della regolamentazione della fattispecie; ha affermato, in particolare, che consentire agli operatori bancari di "procedere direttamente e in ordine sparso all'applicazione del divieto di anatocismo nei confronti degli utenti" avrebbe implicato l'attribuzione del potere dei singoli istituti bancari di sostituirsi al Comitato interministeriale, dando ingresso a "soluzioni foriere di disparità di trattamento, con presumibile proliferare di contenzioso". Sempre secondo la Corte di merito, assumerebbe rilievo, ai fini che interessano, il disposto dell'art. 161, comma 5, t.u.b., la cui finalità è stata individuata nell'evitare lacune normative in attesa della disciplina attuativa adottata dai soggetti specializzati di settore: finalità che non potrebbe considerarsi esaurita nel periodo che ha fatto seguito all'entrata in vigore del testo unico.
3.4. - La sentenza di appello lascia nell'ombra la questione circa il rapporto che sia possibile ravvisare, nel quadro dell'intervento legislativo del 2013, tra la nuova disciplina sull'anatocismo bancario e la regolamentazione attuativa che la norma primaria ha affidato al CICR.
È sicuramente nel giusto la Corte di appello laddove, pur rimarcando una certa ambiguità del dato normativo, riconosce come inerente alla nuova disposizione la finalità di evitare l'applicazione degli interessi anatocistici in materia bancaria.
Tale conclusione può trarsi, anzitutto, sul piano letterale, dalla diversa formulazione che presenta la prima parte del testo novellato dell'art. 120, comma 2, rispetto alla formulazione del testo corrispondente della disposizione anteriore. Mentre, infatti, nella norma del 1999 era previsto che il CICR stabilisse modalità e criteri per "la produzione di interessi sugli interessi" maturati nelle operazioni eseguite nell'esercizio dell'attività bancaria, la L. n. 147 del 2013 ha previsto che il Comitato per il credito ed il risparmio fissasse modalità e criteri "per la produzione di interessi" sulle dette operazioni. La norma del 2013 non contiene più, dunque, l'esplicito riferimento agli interessi anatocistici.
Il dato si combina con quanto è disposto, nella versione del 2013, alla successiva lettera b) del secondo comma dell'art. 120, ove è precisato, come si è anticipato, che il CICR debba comunque prevedere che "gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale". innegabile che tale dettato normativo sia involuto e impreciso. In particolare, mal si comprende il riferimento agli "interessi periodicamente capitalizzati": locuzione che sembra presumere l'applicazione, agli interessi stessi, di ulteriori interessi. Tuttavia, non pare possa approdarsi a una interpretazione diversa rispetto a quella, già suggerita dalla dominante dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di merito, secondo cui la disposizione vieta l'applicazione in radice dell'anatocismo. Per conferire un senso all'enunciato secondo cui gli interessi vanno calcolati sulla sola "sorte capitale" deve infatti credersi che il legislatore, nel parlare di "interessi periodicamente capitalizzati", abbia fatto uso di una dizione impropria, intendendo riferirsi agli interessi semplicemente contabilizzati, vale a dire a quegli interessi che, essendo maturati e da conteggiare a credito o a debito dell'una e dell'altra parte del rapporto bancario, debbano sommarsi al capitale, senza tuttavia confondersi con esso. Lo scenario delineato dalla norma è, in altri termini, quello in cui è escluso l'effetto della vera e propria capitalizzazione, attraverso cui gli interessi, divenuti capitale, generano, quali frutti civili di questo, ulteriori interessi (art. 820, comma 3, c.c.).
La tesi, accennata nella sentenza impugnata, secondo cui la norma potrebbe aver inteso escludere solo le capitalizzazioni successive alla prima - tesi che si fonda su di una lettura più restrittiva, sicuramente meno atecnica, della locuzione "interessi periodicamente capitalizzati" - trova del resto ostacolo nel dato testuale per cui, come si è visto, gli interessi stessi vanno comunque conteggiati "esclusivamente sulla sorte capitale". È da ritenere, inoltre, che il proposito del legislatore di colpire solo le capitalizzazioni "ulteriori" avrebbe trovato una diversa, e più precisa, declinazione espressiva; tale convincimento è nutrito da un preciso rilievo: quello per cui ove tale intento è stato realmente perseguito, il dato normativo ha assunto altra forma. Può pensarsi, in proposito, all'art. 2, comma 3, della delib. CICR del 9 febbraio 2000, che recita: "Il saldo risultante a seguito della chiusura definitiva del conto corrente può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica".
L'idea, poi, che la norma novellata nel 2013 vietasse ogni forma di anatocismo è coerente con la documentazione dei lavori parlamentari: la proposta di legge n. 1661 della XVII legislatura, da cui si originò il testo normativo che qui viene in discorso, venne illustrato muovendo dalla presa d'atto della capitalizzazione degli interessi da parte delle banche, dando conto dell'intendimento di "mettere la parola fine" a tale fenomeno, attraverso cui gli interessi capitalizzati in un dato periodo producono a loro volta interessi nei periodi successivi.
Può ritenersi, in definitiva, che la norma in esame rappresenti solo un'anticipazione, formulata lessicalmente in modo sicuramente poco felice, del precetto, assai più puntuale, della successiva versione dell'art. 120, comma 2: quella introdotta dalla L. n. 49 del 2016, di conversione del D.L. n. 18 dello stesso anno, per cui gli interessi debitori maturati "non possono produrre interessi ulteriori" e vanno "calcolati esclusivamente sulla sorte capitale". Conclusione - questa - consonante con l'interpretazione che la Banca d'Italia aveva dato del testo novellato nel 2013: secondo tale interpretazione, difatti, la norma cui il CICR doveva dare attuazione poneva "la regola fondamentale del divieto di produzione di interessi anatocistici" (documento per la consultazione relativo all'attuazione del cit. art. 120, sub art. 3).
3.5. - Una volta riconosciuto che l'art. 120, comma 2, t.u.b. novellato nel 2013 fa riferimento a qualsiasi forma di anatocismo (non solo a quella operante dopo una prima capitalizzazione), deve escludersi che le banche potessero continuare a capitalizzare interessi in conformità della delib. CICR del 9 febbraio 2000; tale pratica non poteva trovare attuazione, e ciò - va subito aggiunto - indipendentemente dall'intervento delle nuove disposizioni attuative che il CICR era incaricato di emanare.
Le banche controricorrenti sostengono che la modifica dell'art. 120 t.u.b. abbisognava di una norma regolamentare per trovare effettiva applicazione: ciò che ha avuto luogo con l'odierna formulazione della norma, introdotta a far tempo dal 14 febbraio 2016 (cfr. memoria depositata prima dell'odierna udienza, pag. 9).
In realtà, la delib. CICR del 9 febbraio 2000 dava attuazione alla versione del secondo comma dell'art. 120 t.u.b. che fu introdotta col D.Lgs. n. 342/1999: essa, come si è visto, era deputata a stabilire, secondo il preciso tenore della norma legislativa sopra richiamata, "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria".
Il cit. art. 120, comma 2, è stato "sostituito" - così si è espresso il legislatore, nella circostanza - dal comma 629 dell'art. 1 della L. n. 147 del 2013: quella versione della norma è stata dunque espunta dall'ordinamento e, in mancanza di alcuna disciplina transitoria, ha cessato di regolamentare la fattispecie da essa regolamentata. Ciò ha reso inoperante la delib. CICR del 9 febbraio del 2000: venuta meno la norma primaria che la legittimava, detta delibera non è stata più in grado di disciplinare i rapporti bancari per il periodo segnato dalla vigenza del nuovo quadro regolatorio. È escluso, dunque, che nel periodo successivo all'entrata in vigore del nuovo art. 120, comma 2 t.u.b. la detta delibera potesse continuare a trovare applicazione. Vero è, piuttosto, che con la L. n. 147 del 2013 venne rispristinato, anche con riguardo ai contratti bancari, il divieto codicistico, posto dall'art. 1283 c.c., di applicare interessi anatocistici.
3.6. - D'altro canto, la nuova norma primaria, nel demandare all'organo munito di potestà regolamentare di disciplinare il tema degli interessi bancari - stabilendo che questi non potessero produrre ulteriori interessi - rendeva di fatto superfluo l'intervento del CICR sul punto specifico, giustificandolo, semmai, su altri temi (che furono specificamente individuati dalla Banca d'Italia nella proposta di delibera formulata al CICR nel 2015): ciò in quanto la prescrizione proibitiva dell'anatocismo, in sé considerata, non necessitava di alcun completamento da parte del detto Comitato. Sotto tale aspetto l'intervento demandato al CICR in forza della precedente versione dell'art. 120, comma 2 (quella introdotta dal D.Lgs. n. 342 del 1999), aveva un ben diverso impatto sui rapporti bancari, in quanto la delega, ivi contenuta, a regolamentare le modalità e i criteri per la produzione di "interessi sugli interessi" implicava l'adozione di una disciplina di dettaglio improntata ad ampi margini di discrezionalità (avendo la norma primaria fissato il solo limite dell'applicazione, nelle operazioni in conto corrente, della stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori): talché era impensabile che le banche potessero praticare l'anatocismo prima che il CICR avesse adottato la relativa delibera. È in conclusione da rimarcare la profonda differenza esistente tra una norma intrinsecamente proibitiva della pratica anatocistica e una norma che demandi all'autorità regolamentare di settore il compito di stabilire le condizioni in presenza delle quali quella stessa pratica è autorizzata.
Né si coglie l'inconveniente che, secondo la Corte di appello, si annida nel negare che il divieto di anatocismo dovesse essere mediato dal CICR; infatti, stante il carattere assoluto del detto divieto, l'effetto, unitario, che le banche dovevano perseguire era quello di escludere l'applicazione di interessi anatocistici: e questo indipendentemente dagli accorgimenti che ogni istituto di credito era ovviamente libero di assumere per assicurare tale risultato.
3.7. - Appare poi privo di pertinenza il richiamo, operato dalla Corte di merito, al disposto dell'art. 161, comma 5. t.u.b.. Secondo tale norma "(l)e disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati" ai sensi del testo unico. L'articolo, inserito nel titolo IX del D.Lgs. n. 385 del 1993, dedicato alle disposizioni transitorie e finali, era evidentemente volto a definire gli effetti che conservavano, all'indomani dell'entrata in vigore del testo unico, le norme regolamentari in precedenza emanate: finalità della richiamata disposizione era infatti quella di evitare che, per effetto di abrogazioni di norme primarie, si creassero, a cascata, aree non regolate dalla normativa secondaria fino all'intervento di una nuova disciplina attuativa del predetto testo unico.
Né è risolutivo, sul punto, quanto disposto dal D.Lgs. n. 72/2015, evocato dalla Corte di appello, recante attuazione della dir. 2013/36/UE, in tema di accesso all'attività bancaria e di vigilanza sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento. L'art. 2, comma 2, di tale testo legislativo, dopo aver precisato che le delibere adottate dal CICR, i decreti emanati in via d'urgenza dal Ministro dell'economia e delle finanze - Presidente del CICR e i regolamenti emanati dallo stesso Ministro ai sensi di norme abrogate o modificate dal D.Lgs. n. 72 del 2015 continuano a essere applicati fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati dalla Banca d'Italia nelle corrispondenti materie, dispone che "(r)imane fermo" quanto disposto dall'art. 161, comma 5, t.u.b.. Anche a ritenere che con quest'ultima previsione il legislatore abbia inteso non già ribadire il portato precettivo del cit. art. 161, comma 5, quale disposizione transitoria atta a regolare la sorte delle prescrizioni emanate dalle autorità creditizie prima dell'entrata in vigore del testo unico, quanto, piuttosto, assegnare a quella stessa norma una vera e propria forza espansiva, ciò non condurrebbe all'esito interpretativo prospettato dalla Corte di appello. Se è infatti astrattamente ipotizzabile che l'intentio legis riferita al cit. art. 2, comma 2, vada individuata nella volontà di assegnare al precetto contenuto in tale articolo il particolare compito di governare il regime transitorio del D.Lgs. n. 72 del 2015, manca alcun indice del proposito legislativo di attribuire alla previsione una portata più estesa, riferendola ad altri ambiti normativi, e segnatamente a quello regolato dal novellato art. 120, comma 2, t.u.b.. La stessa circostanza per cui il legislatore del 2015 reputò necessario evocare espressamente l'art. 161, comma 5, per disciplinare una ipotesi specifica, non correlata all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 385 del 1993, fa comprendere come detta disposizione non sia in sé immediatamente applicabile ad ogni modifica normativa introdotta nella vigenza del testo unico bancario: e tanto meno a quelle modifiche intervenute prima ancora dell'emanazione del D.Lgs. n. 72/2015.
3.8. - Paiono, da ultimo, manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Cassa di Risparmio di Saluzzo: e ciò in quanto, per un verso, il divieto dell'anatocismo non può ritenersi in sé contrastante coi precetti di cui agli artt. 41 e 47 Cost. e, per altro verso, l'immediata operatività della norma non prospetta, in sé, profili di irragionevolezza. A fronte dei prospettati inconvenienti legati all'organizzazione dell'attività bancaria in assenza di una disciplina transitoria, è pur sempre da rimarcare che, nella vigenza della nuova normativa, l'effetto anatocistico applicato dalla banca agli interessi avrebbe potuto essere sempre eliminato in un secondo momento mediante storno della capitalizzazione già attuata.
4. - Con l'unico motivo di ricorso incidentale BPER Banca ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 e dell'art. 92, comma 2, c.p.c.. La censura investe il capo delle spese della sentenza impugnata; si rileva che dette spese non avrebbero dovuto compensarsi.
5. - Il ricorso incidentale è stato tuttavia rinunciato e sul punto è stata pronunciata estinzione: estinzione che è stata dichiarata anche con riguardo al ricorso principale proposto nei confronti della nominata banca, pure oggetto di rinuncia.
6. - In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto e nulla deve statuirsi su quello incidentale, già oggetto di definizione. La sentenza impugnata è cassata e la causa rinviata alla Corte di Torino che statuirà in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Il Giudice del rinvio dovrà fare applicazione del seguente principio di diritto: "In tema di contratti bancari, l'art. 120, comma 2, t.u.b., come sostituito dall'art. 1, comma 628, L. n. 147 del 2013, fa divieto di applicazione dell'anatocismo a far data dal 1 dicembre 2014 e tale prescrizione è da ritenersi operante indipendentemente dall'adozione, da parte del CICR, della delibera, prevista da tale norma, circa le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria".
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso proposto nei confronti delle banche di cui in epigrafe, con l'eccezione di BPER Banca Spa, già oggetto di estinzione, e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Torino che statuirà in diversa composizione e a cui è devoluta la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1a Sezione Civile, in data 12 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2024.