È necessaria la dimostrazione del dolo o della colpa per rispondere delle violazioni tributarie?
La Sezione tributaria della Cassazione, con l’ordinanza n. 21546 del 31 luglio 2024, chiarisce che non è così.
La responsabilità del contribuente per la violazione di norme tributarie, infatti, “postula soltanto l'esistenza di una condotta cosciente e volontaria,” senza che sia richiesto, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, di dimostrare in concreto il dolo, la colpa, o un intento fraudolento. Non è necessario, inoltre, provare una volontà di evasione dell'imposta, neanche come mero tentativo.
Questa posizione trova il suo fondamento nell’art. 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997, che stabilisce una presunzione di colpa a carico di chi abbia compiuto l'atto vietato. In altre parole, è il contribuente a dover fornire la prova contraria per sottrarsi alla responsabilità.
Nella specie un contribuente contestava la possibilità di fondare la responsabilità amministrativa su una mera presunzione di capacità di spesa introdotta dal redditometro, sostenendo che ciò violasse il divieto di doppie presunzioni.
Tuttavia, la Suprema Corte ha chiarito che “non esiste nell'ordinamento un divieto di doppia presunzione (cd. ‘praesumptio de praesumpto’)”, poiché questa non è riconducibile né agli artt. 2697 e 2729 c.c., né a qualsiasi altra norma. Pertanto, un fatto noto, accertato in via presuntiva, può benissimo costituire la base per una successiva presunzione idonea a fondare l'accertamento di un fatto ignoto.
Cassazione civile, sez. trib., ordinanza 31/07/2024 (ud. 08/05/2024) n. 21546
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale II di Milano dell'Agenzia delle Entrate notificava a Sa.Ra. due distinti avvisi di accertamento mediante i quali determinava con metodo sintetico, ai sensi dell'art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, in base agli indici di capacità di spesa previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e del 19 novembre 1992 (cd. "vecchio redditometro"), il reddito complessivo netto del contribuente da sottoporre a tassazione ai fini dell'IRPEF relativamente agli anni 2007 e 2008.
Il Sa.Ra. contestava le pretese erariali proponendo separate impugnazioni avverso i singoli atti impositivi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale, riuniti i procedimenti, accoglieva parzialmente i ricorsi, rideterminando il reddito complessivo netto da sottoporre a tassazione in 75.000 Euro per ciascuno dei due anni d'imposta oggetto di accertamento.
La decisione veniva appellata da ambo le parti davanti alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale, con sentenza n. 4080/2014 del 23 luglio 2014, accoglieva l'appello principale dell'Amministrazione Finanziaria e respingeva quello incidentale della parte privata; per l'effetto, in riforma della pronuncia di prime cure, rigettava gli originari ricorsi del contribuente.
Rilevava il collegio di secondo grado, per quanto qui ancora interessa: - che l'atto di appello era stato validamente sottoscritto dal capo del team legale dell'ufficio finanziario in virtù di delega conferitagli dal direttore provinciale dell'Agenzia delle Entrate; - che il contribuente non aveva "affatto dimostrato che le spese di gestione dei vari beni posseduti" - fra i quali anche una barca a vela - e gli incrementi patrimoniali ottenuti (fosser)o stati finanziati da disinvestimenti patrimoniali o da redditi esenti goduti nel periodo degli accertamenti, per potersi annullare o ridurre i redditi accertati dall'Ufficio".
Avverso quest'ultima sentenza il Sa.Ra. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, del menzionato articolo il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Va anzitutto rilevato che nella memoria illustrativa ex art. 380-bis.1, comma 1, terzo periodo, c.p.c. il Sa.Ra. ha reso noto di aver aderito alla definizione agevolata dei carichi pendenti di cui all'art. 6 del D.L. n. 193 del 2016, convertito in L. n. 225 del 2016, con riferimento alle cartelle esattoriali nn. (Omissis), e di aver interamente versato le somme dovute per il perfezionamento della procedura di "rottamazione", così come quantificate dall'agente della riscossione nella comunicazione inviatagli a mente del comma 3 dello stesso articolo.
Nel "ribadire la propria volontà di rinunciare ad ogni precedente azione avviata nei confronti dei due atti N. (Omissis)", già manifestata con la dichiarazione di adesione presentata ai sensi del comma 2 dell'art. 6 innanzi citato, e nell'evidenziare che, per effetto di ciò, "sembra doversi provvedere alla declaratoria di estinzione della controversia quanto meno per la parte relativa ai due carichi in parola", il ricorrente ha chiesto "di voler disporre... la estinzione del giudizio per cui è causa per cessata materia del contendere".
1.1 L'istanza non può essere accolta, in quanto:
(a) il Sa.Ra. non ha manifestato in modo chiaro ed esplicito, con apposita dichiarazione resa nelle forme di cui all'art. 390, comma 2, c.p.c., la volontà di rinunciare alla proposta impugnazione, avendo, anzi, adoperato espressioni dubitative ("sembra doversi provvedere alla declaratoria di estinzione della controversia...") e di incerto contenuto ("... quanto meno per la parte relativa ai due carichi in parola");
(b) la domanda di adesione alla definizione agevolata dei carichi pendenti, da lui presentata a norma dell'art. 6, comma 2, del D.L. n. 193 del 2016, si riferisce a cartelle di pagamento che, sulla scorta della documentazione versata in atti, non è possibile ricollegare agli avvisi di accertamento impugnati nel presente giudizio.
1.2 Tanto premesso, con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., vengono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 12, comma 3, 18, comma 3, e 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
1.3 Si contesta alla CTR di aver erroneamente disatteso la sollevata eccezione di inammissibilità dell'atto di appello dell'Amministrazione, sottoscritto da un funzionario asseritamente incaricato in virtù di delega del direttore provinciale dell'Agenzia delle Entrate mai prodotta in atti.
2. Con il secondo motivo, proposto a norma dell'art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è lamentata la violazione dell'art. 112 c.p.c.
2.1 Viene rimproverato al collegio d'appello di aver omesso di statuire sul motivo di gravame del contribuente inteso a denunciare l'illegittimità degli impugnati avvisi di accertamento per inosservanza del principio del contraddittorio preventivo.
3. Con il terzo e il quarto mezzo, introdotti ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell'art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 2697 e 2727 c.c.
3.1 Si sostiene che gli atti impositivi per cui è causa sarebbero stati illegittimamente confermati dal collegio di secondo grado, sebbene l'Agenzia delle Entrate non avesse offerto ulteriori elementi probatori atti a corroborare la presunzione "semplice" di capacità contributiva fondata sulla disponibilità dei beni-indice previsti dal cd. "vecchio redditometro".
3.2 Viene, altresì, dedotto che la sentenza gravata non avrebbe adeguatamente valutato la documentazione prodotta dal contribuente, la quale dimostrava l'erroneità della determinazione del reddito effettuata dall'Ufficio con metodo sintetico.
3.3 Il solo terzo motivo denuncia, inoltre, l'illegittimità degli avvisi di accertamento per violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale.
4. Con il quinto motivo, ricondotto al paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è nuovamente contestata l'inosservanza dell'art. 112 c.p.c.
4.1 Si ascrive alla CTR di non aver statuito sul motivo di appello con il quale il Sa.Ra. si era doluto dell'omessa pronuncia del primo giudice sulla sollevata eccezione di nullità della sanzione amministrativa irrogata dall'Ufficio, in quanto disposta in violazione dei principi di legalità, tipicità e colpevolezza.
5. Con il sesto mezzo, formulato in via subordinata e ricondotto allo schema dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono contestate la violazione e la falsa applicazione dell'art. 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997 e degli artt. 2697 e 2727 c.c.
5.1 Per l'ipotesi in cui non fosse ritenuto configurabile il vizio di omessa pronuncia denunciato con il motivo precedente, viene lamentata l'erroneità della statuizione di implicito rigetto resa dalla CTR, obiettandosi che la responsabilità amministrativa del contribuente non può trovare fondamento nella mera presunzione di capacità di spesa introdotta dalla disciplina del redditometro, pena la violazione del divieto di doppie presunzioni.
6. Il primo motivo è infondato, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, al quale va data ulteriore continuità, secondo cui deve ritenersi validamente apposta la sottoscrizione dell'atto di appello dell'ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all'ufficio appellante o, comunque, l'usurpazione del potere di impugnare la sentenza (cfr. Cass. n. 23010/2022, Cass. n. 36685/2021, Cass. n. 2138/2019, Cass. n. 16211/2018, Cass. n. 6691/2014).
7. Il secondo e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto accomunati dalla denuncia del medesimo vizio processuale.
7.1 Essi sono infondati.
7.2 Per costante insegnamento giurisprudenziale di legittimità, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando, pur in mancanza di un'espressa statuizione sul punto, la decisione adottata dal giudice comporta l'implicito rigetto delle questioni non trattate, presupponendo come suo necessario antecedente logico-giuridico il riconoscimento della loro irrilevanza o infondatezza (cfr. Cass. n. 12476/2024, Cass. n. 24667/2021, Cass. n. 20718/2018, Cass. n. 29191/2017).
7.3 Nel caso di specie, i motivi di appello in ordine ai quali si assume essere stata omessa ogni statuizione nella qui impugnata sentenza devono ritenersi implicitamente disattesi dalla CTR, la quale, avendo confermato in toto gli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente, ne ha chiaramente e necessariamente riconosciuto la piena legittimità.
7.4 Peraltro, non risulta formulata in questa sede una specifica censura volta a denunciare l'assoluta mancanza o la mera apparenza della motivazione sottesa all'implicita pronuncia di rigetto adottata dal giudice a quo.
8. Il quarto motivo e la prima censura sviluppata con il terzo mezzo, suscettibili di scrutinio congiunto per la loro intima connessione, sono in parte infondati, in parte inammissibili: infondati laddove lamentano la violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., atteso che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale iuris tantum di capacità contributiva, a fronte della quale il giudice, lungi dal poter svalutare la rilevanza degli indici presuntivi individuati dal legislatore, deve solo limitarsi a valutare la prova contraria eventualmente offerta dal contribuente (cfr. Cass. n. 3183/2024, Cass. n. 10378/2022, Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 26672/2019); inammissibili per il resto, poiché, dietro l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, mirano, in realtà, a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze processuali rispetto a quello operato dal giudice di merito.
8.1 Il secondo profilo di censura articolato nel contesto del terzo motivo è infondato.
8.2 A partire dall'arresto delle Sezioni Unite n. 24823/2015, la giurisprudenza di questo Supremo Collegio è ormai univoca nell'affermare che l'esistenza di un obbligo generalizzato dell'Amministrazione Finanziaria di instaurare il contraddittorio endoprocedimentale nei confronti del contribuente è predicabile soltanto nel settore dei tributi cd. "armonizzati", ovvero quelli soggetti alla diretta applicazione del diritto dell'Unione Europea (cfr., ex plurimis, Cass. n. 36992/2022, Cass. n. 16374/2022, Cass. n. 9991/2022, Cass. n. 33000/2021, Cass. n. 25266/2020, Cass. n. 6708/2019); per contro, in materia di tributi cd. "non armonizzati" - fra i quali rientra l'IRPEF (cfr. Cass. n. 25778/2023, Cass. n. 27471/2020, Cass. n. 26681/2018) -, l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio preventivo, a pena di invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti espressamente sancito (si pensi, ad esempio, agli artt. 36-bis, comma 3, e 36-ter, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, riguardanti, rispettivamente, il controllo automatizzato e quello formale della dichiarazione dei redditi; all'art. 10, comma 3-bis, della L. n. 146 del 1998 sugli studi di settore; all'art. 10-bis, commi 6, 7 e 8, della L. n. 212 del 2000 concernente l'accertamento di operazioni abusive: cfr. Cass. n. 33349/2023, Cass. n. 2585/2023, Cass. n. 36992/2022, Cass. n. 30211/2022).
8.3 Nessuna delle dette ipotesi ricorre nel caso di specie, sicché la lagnanza in esame si appalesa priva di consistenza.
8.4 D'altro canto, se è pur vero che l'attuale testo dell'art. 38, comma 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall'art. 22, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010, impone all'Ufficio procedente alla determinazione sintetica del reddito l'obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento, è nondimeno vero che tale norma non è applicabile agli accertamenti di cui trattasi, soggetti alla disciplina previgente.
9. Il sesto motivo è anch'esso privo di fondamento.
9.1 Ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997, l'affermazione della responsabilità del contribuente per la violazione di norme tributarie postula soltanto l'esistenza di una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra, da parte dell'Amministrazione Finanziaria, la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), o ancora di una volontà di evasione dell'imposta, anche a mero titolo di tentativo: ciò in quanto la norma stabilisce una presunzione di colpa a carico di colui che abbia posto in essere l'atto vietato, gravandolo dell'onere della prova contraria (cfr. Cass. n. 16463/2020, Cass. n. 25057/2019, Cass. n. 22329/2018, Cass. n. 13068/2011).
9.2 Giova soggiungere, a confutazione dell'assunto del ricorrente e in linea con un diffuso indirizzo giurisprudenziale di legittimità, che non esiste nell'ordinamento un divieto di doppia presunzione (cd. "praesumptio de praesumpto"), non essendo lo stesso riconducibile agli artt. 2697 e 2729 c.c., né a qualsiasi altra norma, e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un'ulteriore presunzione idonea, a sua volta, a fondare l'accertamento del fatto ignoto (cfr. Cass. n. 7145/2023, Cass. n. 37352/2022, Cass. n. 23860/2020, Cass. n. 20748/2019).
10. In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
11. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
12. Visto l'esito dell'impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l'attestazione di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all'Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.600 Euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 8 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2024.