Il pubblico funzionario ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti e responsabilità dell'ufficio ha diritto, ai sensi dell'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997, al rimborso delle spese sostenute per la sua difesa, la cui entità va riconosciuta nei limiti dello "strettamente necessario" secondo il parere di congruità, di natura consultiva, dell'Avvocatura erariale, il quale, nella prospettiva di un contemperamento tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del dipendente, non può limitarsi ad una applicazione pedissequa delle tariffe forensi, ancorata ai minimi tariffari, né mirare a tenere indenne da ogni costo l'interessato, ma, nel valutare le necessità difensive del funzionario in relazione alle accuse mosse ed ai rischi del processo, nonché la conformità della parcella del difensore alla tariffa professionale o ai parametri vigenti, deve considerare ogni elemento nel rispetto di principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione (Cfr. Cass., Sez. Un., 6/07/2015, n. 13861).
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 05/08/2024 (ud. 23/04/2024) n. 21947
FATTI DI CAUSA
1. Bo.Gu., già Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, propose ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, per sentir annullare il provvedimento con cui il Ministero dello sviluppo economico gli aveva parzialmente negato il rimborso delle spese legali sostenute per difendersi nel giudizio di responsabilità erariale intentatogli dinanzi alla Corte dei conti in relazione a provvedimenti ministeriali da lui emanati per la dismissione delle centrali nucleari dell'Enel e per la sospensione dei lavori di costruzione di altre centrali nucleari, a seguito del referendum abrogativo svoltosi nell'anno 1987.
Premesso che il giudizio si era concluso in senso a lui favorevole con sentenza del 31 agosto 2004, emessa dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale centrale di appello, in sede di rinvio, sostenne di aver diritto al rimborso degli onorari e dei diritti relativi alla fase istruttoria, al giudizio di primo grado e al giudizio di appello.
1.1. Con sentenza del 6 luglio 2007, il Tar dichiarò il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo.
2. Il giudizio fu pertanto riassunto dinanzi al Tribunale di Roma, Sezione lavoro, e successivamente rimesso alla Seconda Sezione civile del medesimo Tribunale.
Si costituirono il Ministero e l'Avvocatura generale dello Stato, che eccepirono il difetto di legittimazione di quest'ultima e l'infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.
2.1. Con sentenza del 29 maggio 2014, il Tribunale di Roma dichiarò il difetto di legittimazione passiva dell'Avvocatura generale dello Stato ed accolse parzialmente la domanda proposta nei confronti del Ministero, condannandolo al pagamento della somma di Euro 1.528.819,11 per onorari ed Euro 2.633,93 per diritti, oltre al 10% per spese generali ed agl'interessi legali.
3. L'impugnazione proposta dal Ministero è stata parzialmente accolta dalla Corte d'Appello di Roma, che con sentenza del 6 maggio 2020 ha dichiarato inammissibile l'appello incidentale proposto dal Bo.Gu., rigettando le domande da quest'ultimo proposte.
A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato innanzitutto la tardività dell'appello incidentale, osservando che l'appellato si era costituito il 17 gennaio 2015, mentre l'udienza di comparizione era stata fissata per il 30 gennaio 2015.
Nel merito, la Corte ha ritenuto che il rimborso delle spese legali non fosse precluso dalla mancata liquidazione delle stesse ad opera della Corte dei conti, osservando che l'art. 10-bis, comma 10, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con modificazioni dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, nell'imporre al Giudice contabile, in caso di proscioglimento, di porre le spese legali a carico dell'Amministrazione soccombente, non costituiva norma d'interpretazione autentica dell'art. 3, comma 2-bis, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito con modificazioni dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, ma aveva portata innovativa, e non era quindi applicabile alla fattispecie in esame, giacché la pronuncia di proscioglimento era stata emessa nell'anno 2004.
Ha escluso tuttavia il diritto al rimborso delle spese relative alla fase istruttoria, osservando che evidenti ragioni di contenimento della spesa pubblica entro i confini della ragionevolezza imponevano di circoscrivere il rimborso alle sole spese necessarie, e rilevando che, in quanto avente natura meramente endoprocedimentale, l'attività istruttoria dinanzi alla Procura regionale della Corte dei conti non richiedeva obbligatoriamente il patrocinio tecnico.
Ha ritenuto non dovuto anche il rimborso dei diritti di avvocato relativi al giudizio di appello, rilevando che la liquidazione degli stessi non è espressamente prevista dalla legge, ed aggiungendo che, in quanto avente ad oggetto il patrocinio dinanzi ad una magistratura superiore, l'attività svolta dal procuratore nei giudizi dinanzi alla Sezione centrale della Corte dei conti è assimilabile a quella svolta dinanzi alla Corte di cassazione, per la quale non è prevista la liquidazione dei diritti.
Quanto, infine, al rimborso degli onorari relativi al primo ed al secondo grado del giudizio, ha ritenuto adeguata la liquidazione in via equitativa risultante dal parere di congruità dell'Avvocatura generale dello Stato, escludendo che l'obbligatorietà di tale parere comporti la necessità di fare riferimento ai minimi tariffari previsti dal D.M. n. 585 del 5 ottobre 1994: premesso infatti che la ratio dell'art. 18 del D.L. 25 marzo 1997, n. 67, convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, consiste nel tenere indenni i funzionari pubblici che abbiano agito nell'interesse dell'Amministrazione, sollevandoli dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all'espletamento delle loro attività istituzionali, ha osservato che il legislatore ha dovuto contemperare tale esigenza con quelle di finanza pubblica, che impongono di non far carico all'erario di oneri eccedenti quanto è necessario per soddisfare gl'interessi generali, sottoponendo gli oneri di difesa da imputare all'Amministrazione ad un vaglio di congruità da parte dell'Avvocatura dello Stato, la quale è chiamata a sindacare non solo la conformità della parcella alla tariffa, ma anche la qualità della prestazione professionale resa.
4. Avverso la predetta sentenza il Bo.Gu. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero ha resistito con controricorso, anch'esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo d'impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell'art. 3, comma 2-bis, del D.L. n. 543 del 1996 e dell'art. 1720 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha negato il diritto al rimborso delle spese sostenute per la fase istruttoria del giudizio di responsabilità, senza considerare che il carattere non obbligatorio della difesa tecnica nella predetta fase non esclude la necessità di avvalersi dell'assistenza di un avvocato, ai fini della valutazione della documentazione richiamata nell'invito a dedurre e della predisposizione di adeguate deduzioni.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente insiste sulla violazione e la falsa applicazione dell'art. 3, comma 2-bis, del D.L. n. 543 del 1996 e dell'art. 1720 cod. civ., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto congrua la liquidazione degli onorari relativi al primo e al secondo grado di giudizio, effettuata in misura inferiore al 10% dei minimi tariffari. Premesso che la funzione del parere di congruità consiste nel correlare i parametri normativi e tariffari ai tratti salienti della vicenda giudiziaria riguardata nella sua obiettività, sostiene che l'Avvocatura dello Stato non poteva compiere una valutazione equitativa, ammessa soltanto quando risulti impossibile procedere altrimenti alla liquidazione, ma avrebbe dovuto fare riferimento al D.M. n. 585 del 1994, che prevede l'inderogabilità dei minimi tariffari, ed agli onorari indicati nella tabella A allo stesso allegata, la cui applicabilità non escludeva peraltro la congruità di una liquidazione superiore ai minimi tariffari.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 166 e 343, primo comma, cod. proc. civ., rilevando che, nel ritenere tardivo l'appello incidentale, la sentenza impugnata non ha considerato che la costituzione in giudizi di esso appellato aveva avuto luogo non già il 17 gennaio 2015, ma il 7 gennaio 2015.
4. Il primo motivo, avente ad oggetto il rimborso delle spese relative alla fase istruttoria del giudizio di responsabilità, è fondato.
In proposito, la sentenza impugnata ha correttamente richiamato il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il pubblico funzionario ingiustamente accusato per fatti inerenti a compiti e responsabilità dell'ufficio ha diritto, ai sensi dell'art. 18 del D.L. n. 67 del 1997, al rimborso delle spese sostenute per la sua difesa, la cui entità va riconosciuta nei limiti dello "strettamente necessario" secondo il parere di congruità, di natura consultiva, dell'Avvocatura erariale, il quale, nella prospettiva di un contemperamento tra le esigenze di salvaguardia della spesa pubblica e di protezione del dipendente, non può limitarsi ad una applicazione pedissequa delle tariffe forensi, ancorata ai minimi tariffari, né mirare a tenere indenne da ogni costo l'interessato, ma, nel valutare le necessità difensive del funzionario in relazione alle accuse mosse ed ai rischi del processo, nonché la conformità della parcella del difensore alla tariffa professionale o ai parametri vigenti, deve considerare ogni elemento nel rispetto di principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione (cfr. Cass., Sez. Un., 6/07/2015, n. 13861).
Nell'applicazione di tale principio, la Corte territoriale non ne ha fatto tuttavia buon governo, avendo ritenuto che il giusto contemperamento, considerato necessario da questa Corte, tra gli interessi personali e generali coinvolti nella vicenda imponesse di escludere senz'altro il diritto al rimborso delle spese sostenute per la fase istruttoria svoltasi dinanzi alla Procura regionale della Corte dei conti, in considerazione della natura meramente endoprocedimentale della stessa, non assimilabile a quella delle indagini preliminari nel processo penale, e della non obbligatorietà del patrocinio tecnico, che consente all'interessato di difendersi personalmente.
Benvero, nell'enunciare il predetto principio, le Sezioni Unite hanno ritenuto improponibile un'equiparazione tra il debito di protezione del dipendente, posto a carico dello Stato, e quello del cliente verso il professionista, il quale risponde al soggettivo andamento da lui impresso al rapporto professionale, di cui non può farsi carico l'Amministrazione, venendo altrimenti meno qualsiasi rilevanza pubblicistica della spesa e dei relativi doveri di governo. Hanno quindi affermato che "nel formulare il parere, l'Avvocatura non può avere quale riferimento esclusivo né… l'interesse del dipendente a risultare sempre e in ogni caso indenne da ogni costo difensivo, né quello della Amministrazione a minimizzare la spesa, poiché il parere deve essere reso in termini di congruità", ma deve ispirarsi ai principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione, valutando "sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli erano state mosse ed ai presupposti, alla rilevanza e all'andamento del giudizio, sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale o ai compensi contemplati secondo i vigenti parametri". Hanno inoltre chiarito che il riferimento al limite di quanto "strettamente necessario", contenuto in una precedente pronuncia di legittimità (cfr. Cass., Sez. lav., 23/01/2007, n. 1418), se inteso pedissequamente, "traduce male, e rischia di tradire, il concetto di contemperamento dell'esigenza di salvaguardia della prudenza nell'erogazione della spesa pubblica e di protezione del dipendente infondatamente accusato, che è però ben spiegata dai riferimenti, che si rinvengono già nella pronuncia suddetta e nei precedenti giurisprudenziali noti, ai principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione".
Quest'ultima puntualizzazione, posta anche in relazione con l'elencazione esemplificativa delle scelte difensive del funzionario non trasferibili a carico dell'Amministrazione, in quanto corrispondenti all'andamento soggettivo da lui impresso al rapporto professionale (impostazione difensiva prescelta; frequenza delle consultazioni richieste al legale; scritti difensivi non indispensabili, ma sollecitati e prodotti per sola cautela; spese vive eventualmente concordate per trasferte e partecipazione a ogni tipo di udienze), contribuisce ad evidenziare la portata non esclusiva da attribuirsi alle esigenze di salvaguardia dell'equilibrio dei conti pubblici, la cui valorizzazione, nel confronto con le necessità difensive del funzionario, non può mai andare a detrimento dell'effettività della tutela dei diritti di quest'ultimo.
In quest'ottica, la mera circostanza che nella disciplina del giudizio di responsabilità erariale la fase dell'istruttoria non richieda obbligatoriamente il patrocinio tecnico non può essere ritenuta aprioristicamente idonea ad escludere l'ammissibilità del rimborso delle relative spese, dovendosi valutare in concreto la capacità dell'interessato di difendersi personalmente e d'interloquire adeguatamente in ordine all'invito a dedurre, in relazione alle competenze tecnico-giuridiche di cui dispone, alla rilevanza degl'interessi economici coinvolti e alla complessità delle questioni di fatto e di diritto da affrontare, nonché alla consistenza ed al contenuto della documentazione da esaminare e alla strategia processuale da seguire: tale valutazione è stata completamente omessa dalla sentenza impugnata, la quale ha desunto l'estraneità del patrocinio tecnico a quanto "strettamente necessario" per difendersi dal mero dato giuridico della non obbligatorietà dello stesso nella fase istruttoria del giudizio di responsabilità, senza interrogarsi in alcun modo sull'opportunità e la convenienza per l'attore di avvalersi dell'assistenza di un difensore, al fine di poter far valere efficacemente le proprie ragioni prima dell'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del Procuratore regionale.
5. È altresì fondato il secondo motivo, riguardante il rispetto dei minimi tariffari.
Non può infatti condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, dissentendo dalla valutazione compiuta dal Giudice di primo grado, che aveva escluso la congruità della liquidazione effettuata dall'Amministrazione in via equitativa, in considerazione della possibilità di applicare i valori minimi previsti dalla tariffa forense, aventi carattere inderogabile, ha ritenuto che la necessità di contemperare le esigenze difensive dell'interessato con quelle di contenimento della spesa pubblica consentisse di prescindere da un rigoroso ed inderogabile riferimento ai minimi delle tariffe professionali, le quali, pur costituendo il parametro di riferimento e di partenza per la valutazione di congruità del rimborso, non precludevano all'Amministrazione un sindacato, connotato da discrezionalità tecnica, in ordine non solo alla conformità della parcella alla tariffa, ma anche alla qualità della prestazione professionale resa.
Tale affermazione, che ha indotto la Corte territoriale a ritenere congrua una liquidazione effettuata in misura largamente inferiore ai valori minimi previsti dal D.M. n. 585 del 1994, presuppone infatti il travisamento dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, ed in particolare della precisazione, contenuta nella richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, secondo cui l'esigenza di contenere il rimborso entro il limite di quanto "strettamente necessario" per la difesa dell'interessato non va intesa pedissequamente, soprattutto dopo il venir meno del "sistema" delle tariffe forensi, nel senso cioè di ritenere legittima solo l'applicazione dei minimi tariffari, ma nel senso di contemperare l'esigenza di salvaguardia della prudenza nell'erogazione della spesa pubblica con quella di protezione del dipendente infondatamente accusato.
Tale puntualizzazione, chiarendo che i minimi tariffari hanno carattere non esclusivo soltanto nel senso di non precludere la liquidazione di un importo più elevato, ove ritenuto congruo in relazione alle necessità difensive dell'istante e compatibile con le esigenze di contenimento della spesa pubblica, si pone in contrasto con la tesi sostenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la valutazione delle predette esigenze, posta anche in relazione con quella della qualità della prestazione professionale e dell'importanza e della delicatezza della causa, può giustificare la liquidazione di un importo inferiore a quello minimo inderogabilmente previsto dalla tariffa. Per un verso, infatti, il riferimento all'intervenuta abolizione del sistema delle tariffe forensi non può essere ritenuto idoneo ad autorizzare una liquidazione dell'onorario in misura inferiore ai minimi anche per il periodo antecedente all'entrata in vigore del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, che in conformi Dftfpubblicfzi0n 9 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, ha introdotto i c.d. parametri, trovando applicazione il principio d'inderogabilità dei minimi tariffari, espressamente sancito dall'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794 e ribadito dall'art. 4, comma primo, del D.M. n. 585 del 1994 (e dagli altri decreti che lo hanno preceduto e seguito), che ne imponeva il rispetto anche nei rapporti tra il cliente e l'avvocato, in funzione della duplice esigenza di garantire il corretto esercizio dell'attività forense, impedendo la sleale concorrenza tra professionisti, e di tutelare la dignità della categoria professionale (cfr. Cass., Sez. lav., 29/11/1988, n. 6449; Cass., Sez. II, 7/03/1983, n. 1680; 28/05/1968, n. 1619). Per altro verso, la riduzione dell'onorario al di sotto dei minimi indicati nelle tabelle presuppone, ai sensi del comma secondo dell'art. 4 cit., una manifesta sproporzione tra gli stessi e le prestazioni rese dall'avvocato, il cui riconoscimento esige una specifica motivazione, che tenga conto della complessità tecnica della controversia, della diligenza richiesta al legale e della quantità e della qualità delle prestazioni rese dallo stesso (cfr. Cass., Sez. II, 13/04/ 2023, n. 9815; 5/05/2022, n. 14198; Cass., Sez. III, 13/07/2021, n. 19989): tale motivazione risulta completamente assente nella sentenza impugnata, la quale ha omesso di spiegare le ragioni per cui, anche a fronte dell'elevatissimo valore della causa, del numero dei soggetti coinvolti e della delicatezza delle questioni affrontate, riguardanti determinazioni assunte al massimo livello politico-amministrativo, ha ritenuto che le prestazioni del difensore si collocassero ictu oculi a un livello inferiore a quello che legittima il riconoscimento dell'onorario minimo liquidabile a termini di tariffa.
6. È invece inammissibile il terzo motivo, riflettente la tempestività dello appello incidentale.
In quanto consistente nell'errata individuazione della data di deposito della comparsa di costituzione in appello, il cui accertamento non ha costituito un punto controverso in ordine al quale la sentenza impugnata ha avuto a pronunciare, essendo stata assunta dalla Corte territoriale come sicura base del suo ragionamento, il vizio denunciato dal ricorrente non è infatti qualificabile come un errore di valutazione, deducibile come motivo di ricorso per cassazione, configurandosi piuttosto come un'inesatta percezione della realtà processuale, e quindi come un errore di fatto, idoneo a legittimare l'impugnazione per revocazione ai sensi dell'art. 395 n. 4 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. III, 29/11/2018, n. 30850; Cass., Sez. lav., 9/02/2016, n. 2529; Cass., Sez. I, 3/08/2007, n. 17057).
7. La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dall'accoglimento dei primi due motivi d'impugnazione, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara inammissibile il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2024.