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Addebito della separazione, basta un unico episodio di violenza fisica

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22294 del 07/08/2024

È sufficiente un solo episodio di violenza fisica per giustificare l'addebito della separazione?

La Corte di Cassazione ha risposto a questa domanda con l’ordinanza n. 22294 del 7 agosto 2024, ribadendo che anche un singolo episodio di percosse è sufficiente per destabilizzare definitivamente l'equilibrio della coppia. Tale comportamento risulta lesivo della pari dignità personale, valore fondamentale nei rapporti coniugali.

La Suprema Corte, richiamando i precedenti in materia  (Cass. 817/2011; Cass. 433/2016), ha ricordato che le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore.

La Corte ha sottolineato che, in tali situazioni, il giudice di merito non è tenuto a confrontare i comportamenti del coniuge vittima delle violenze con quelli del coniuge autore della violenza. Inoltre, non è rilevante se le violenze siano avvenute successivamente all'inizio della crisi matrimoniale.

Infatti, gli atti violenti, per la loro estrema gravità, non possono essere paragonati a comportamenti meno gravi e, di conseguenza, hanno un'incidenza causale preminente rispetto ad altre cause preesistenti della crisi coniugale.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto dimostrato che le condotte violente e maltrattanti del marito sono state la causa determinante e irreversibile della crisi coniugale, portando alla separazione con addebito.

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Cassazione civile sez. I, ordinanza 07/08/2024 (ud. 14/05/2024) n. 22294

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n.3/2023 pubblicata il 2.1.2023, nel giudizio di separazione personale tra Ma.Ma. e Ve.St., il Tribunale di Urbino pronunciava la separazione personale dei coniugi, addebitando la stessa ad entrambi, rigettando la domanda di assegno di mantenimento della moglie e compensando interamente tra le parti le spese del giudizio.

2. Con sentenza n.811/2023 pubblicata il 17-5-2023 la Corte di Appello di Ancona accoglieva l'appello proposto da Ma.Ma. avverso la citata sentenza, addebitava la separazione a Ve.St. a causa delle condotte violente e reiterate dallo stesso tenute e poneva a carico di quest'ultimo il contributo di mantenimento della moglie, quantificato in Euro 2.000 mensili, condannando l'appellato alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.

3. Avverso tale sentenza Ve.St. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti di Ma.Ma., che resiste con controricorso.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4-quater, e 380 bis.1 c. p. c.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia: i) con il primo motivo la violazione degli articoli 151 c.c. 1 comma e 143 c.c. 2 comma, in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3, per avere la Corte di merito violato e fatto errata applicazione delle norme di condotta imperative, fissate negli articoli 143 c.c. comma 2 e 151 comma 2 c.c., che prevedono per i coniugi il reciproco obbligo di fedeltà, inderogabile ex art. 160 c.c., quale dovere derivante dal matrimonio; ad avviso del ricorrente la Corte d'Appello ha omesso di valutare i due piani su cui operano le condotte dei coniugi: da un lato le violenze, con i limiti sopra esposti, rappresenterebbero comunque violazione dei doveri coniugali, dall'altro l'infedeltà che si inserisce in un quadro autonomo rispetto alle violenze ed assume valenza causale idonea a determinare la fine del matrimonio; ii) con il secondo motivo l'omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c. n. 5, per non avere la Corte territoriale esaminato le dichiarazioni rese dalla moglie nel procedimento penale R.G.N.R 375/2019 celebrato a carico del Ve.St.; la Ma.Ma. aveva riferito di un unico episodio di violenze così affermando: "Io sono rientrata dopo il lavoro e mio marito è arrivato subito dopo... Era qualche giorno che era un po' agitato, un po' nervoso. Abbiamo cominciato subito a discutere, ha iniziato dicendo che voleva andarsene perché non era soddisfatto di come andavano le cose e poi sinceramente non ricordo neanche come, siamo arrivati ad azzuffarci. Naturalmente la sua stazza è più grossa, è più grande, quindi io ne ho prese più di quelle che ho dato" (proc. 375/2019 verbale d'udienza 21.11.2019 alle pag-5-6); da quanto sopra emerge, secondo il ricorrente, un clima familiare caratterizzato da situazioni di reciproca intolleranza sfociata in aggressioni della sfera personale di entrambi i coniugi, fatto che integra la condizione di omogeneità delle condotte aggressive; iii) con il terzo motivo la violazione o falsa applicazione dell'articolo 2735 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3, per avere la Corte d'Appello omesso di considerare che la testimonianza della sorella dell'ex moglie era de relato e quindi priva di valore probatorio; iv) con il quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3 per travisamento della prova, avendo la Corte d'Appello omesso di considerare le dichiarazioni rese dall'ex moglie nel procedimento penale di cui sopra e la relativa sentenza di assoluzione n. 32/2020 del Tribunale di Urbino emessa nel proc. 375/19 R.G.N.R. per maltrattamenti, da cui era risultata la non abitualità delle condotte violente; v) con il quinto motivo la violazione e falsa applicazione dell'art. 156 c.c. comma 1, in relazione all'art. 360 c.p.c. n. 3 per avere la Corte territoriale ritenuto sussistenti i presupposti per porre a carico dell'odierno ricorrente l'assegno di mantenimento in favore della moglie avuto riguardo alla insufficiente disponibilità reddituale della stessa in relazione al pregresso tenore di vita; deduce l'omessa considerazione del documento n. 3 allegato alla memoria di costituzione in appello, che attesta la distribuzione di utili societari avvenuta nel dicembre 2022 e, in ragione della consistente partecipazione societaria riconosciuta alla Ma.Ma., quest'ultima aveva ottenuto la somma di Euro 129.975,09; rileva che la ricostruzione delle situazioni reddituali dei coniugi costituisce travisamento del vero, anche perché pure l'ex moglie, in ragione della sua quota di partecipazione del 21%, può confidare sul fatto, evidenziato dalla Corte di merito, che la "società di famiglia..." (TK Holding) ha "... elevati accantonamenti per riserve straordinarie"; rimarca che l'ex moglie, in costanza di matrimonio, ha potuto realizzare un patrimonio immobiliare di esclusiva proprietà, acquisito con proventi provenienti dalle attività del ricorrente; deduce che è documentata l'esistenza di un patrimonio immobiliare di proprietà esclusiva della Ma.Ma. costituito da case e terreni, suscettibili di produrre reddito, oltreché da abitazioni in comproprietà con il ricorrente (certificazione catastale proprietà Ma.Ma. allegati nn. 5-7-9-10- al ricorso introduttivo di primo grado); vi) con il sesto motivo la violazione dell'art. 92 c.p.c. nella parte in cui la Corte di merito, pur avendo rilevato la parziale soccombenza dell'appellante, ha onerato l'appellato delle spese di entrambi i gradi di giudizio; deduce che il secondo comma dell'articolo 92 c.p.c. statuisce che il giudice può compensare le spese fra le parti parzialmente o per intero nel caso di contrasto- mutamento di giurisprudenza e richiama la pronuncia di questa Corte (Cass. 3923/2018), che aveva statuito l'idoneità dell'infedeltà successiva alla violenza a fondare l'addebito della separazione ad entrambi i coniugi.

2. I motivi primo, secondo, terzo e quarto, da esaminare congiuntamente per la loro stretta connessione in quanto tutti involgenti la questione dell'addebito della separazione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.

3. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che il Collegio intende qui convintamente ribadire, in tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall'altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l'equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona (Cass. 817/2011; Cass. 433/2016). È stato altresì precisato che le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole - quand'anche concretantisi in un unico episodio di percosse-, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l'intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all'autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell'adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale (Cass. 7388/2017; Cass. 35249/2023). Le violenze, infatti, integrano atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei e pertanto ad esse va riconnessa incidenza causale preminente rispetto a preesistenti cause di crisi dell'affectio coniugalis (Cass.3925/2018; Cass.31351/2022).

4. Nel caso di specie, la Corte di merito si è attenuta ai suesposti principi, e ha ritenuto dimostrato, con motivazione congrua, che le condotte violente e maltrattanti del marito fossero state la causa scatenante dell'irreversibilità della crisi coniugale.

La Corte d'Appello ha riportato nella sentenza impugnata le allegazioni anche in fatto svolte dall'appellante e odierna controricorrente, secondo cui quest'ultima "ammette la violazione dell'obbligo di fedeltà, ma deduce, da un lato che tale violazione era dovuta alla situazione di crisi preesistente, in gran parte ascrivibile al comportamento possessivo del marito, spesso assente ed interamente assorbito dagli impegni lavorativi, dall'altro che era successivamente intervenuta tra i coniugi una piena riappacificazione, per circa un anno, cui erano seguite condotte violente ed aggressive del marito, con percosse e minacce di morte, che avevano reso intollerabile la convivenza, costringendola ad allontanarsi da casa e porre fine alla convivenza".

Posto che il fatto della piena riappacificazione dei coniugi dopo l'infedeltà della moglie per un periodo duraturo non era messo in discussione dal ricorrente, il quale nei giudizi di merito assumeva che, tuttavia, l'infedeltà precedente avesse inciso causalmente sulla crisi familiare, la Corte di merito ha, dunque, scrutinato le risultanze probatorie relative ai successivi episodi di violenze perpetrate in danno della moglie e ha concluso ritenendole provate "oltre che dalle denunce e dagli atti istruttori dei procedimenti penali, dalla certificazione medica del P.S. di Pesaro del 31.3.2019 ove vengono riscontrate alla signora Ma.Ma. ecchimosi in varie parti del corpo ("una vasta ecchimosi rosso violacea a gluteo e bacino sinistro..., ecchimosi rosso violacee peri-orbitaria destra ed ala nasale destra, alcune ecchimosi dolenti di gamba bilaterali), nonché dalle riproduzioni fotografiche in atti che attestano le lesioni cagionate dall'appellato. Gli episodi di violenza risultano altresì confermati dalle dichiarazioni rese in sede penale dalla sorella dell'appellante Ma.Mi., la quale ha riferito di aver ricevuto le confidenze della sorella in ordine ai maltrattamenti subiti dal marito per motivi di gelosia ed ha riferito di averla soccorsa in occasione dell'aggressione subita in data 29.3.2019, allorquando l'appellante, dopo essere stata picchiata violentemente dal marito, era salita immediatamente in macchina ed appariva terrorizzata ed in stato di shock. Anche la figlia Lu., sentita all'udienza del 6 maggio 2023, ha confermato i comportamenti aggressivi e violenti del padre, riferendo di aver notato più volte lividi sul corpo della madre e di aver perfettamente compreso le origini degli stessi".

Alla stregua di detto contesto probatorio, la Corte di merito ha, dunque, concluso affermando che le condotte violente e maltrattanti del marito fossero state la causa scatenante dell'irreversibilità della crisi coniugale, facendo corretta applicazione dei principi suesposti, secondo cui, come si è detto, resta irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale, indipendentemente dalle ragioni determinanti la prima criticità. Ciò a maggior ragione nel caso di specie, in cui risulta accertato, e neppure posto in discussione dal ricorrente, che l'iniziale crisi dovuta all'infedeltà della moglie era stata superata con una riconciliazione protrattasi per un periodo duraturo, sì da elidere ogni nesso causale con la crisi successiva e irreversibile.

5. A fronte del percorso motivazionale appena riassunto, non ricorrono le violazioni di legge denunciate, né il vizio di omesso esame di fatti decisivi o "travisamento della prova" in violazione dell'art.115 c.p.c.

Nel ricorso si rimarcano sotto plurimi profili le risultanze del giudizio penale per il reato di maltrattamenti svoltosi davanti al Tribunale di Urbino e conclusosi con l'assoluzione dell'odierno ricorrente, con ampi riferimenti alla sentenza penale n.32/2020 di detto Tribunale, allegata al ricorso, della quale non si deduce compiutamente, né si documenta il passaggio in giudicato (dalla copia della sentenza in atti, il cui esame è consentito a questa Corte per la valenza anche processuale che le attribuisce il ricorrente, risulta anzi attestata l'impugnazione del P.M.).

In disparte i rilievi che, per un verso, in linea astratta anche un solo episodio di violenza riveste rilevanza, ai fini dell'addebito, secondo la giurisprudenza di questa Corte richiamata, e che, per altro verso, con la citata pronuncia penale (pag.16), si dà conto di tre episodi di violenza, che tuttavia si ritengono "non accomunati in termini di abitualità da quel regime di vita oggettivamente vessatorio che caratterizza il delitto di maltrattamenti", le risultanze del processo penale sono state esaminate e richiamate dalla Corte territoriale e la valutazione probatoria, comprensiva anche degli altri elementi istruttori indicati nella sentenza impugnata, che ne è conseguita non è sindacabile in questa sede, ove, come nella specie, supportata da congrua motivazione.

Occorre, inoltre, ribadire che l'omesso esame di elementi istruttori (in tesi le dichiarazioni rese nel processo penale dall'odierna controricorrente) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa (nella specie le condotte violente del marito e la loro incidenza causale determinante la crisi coniugale irreversibile), siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. tra le tante Cass. S.U. 8053/2014; Cass.27415/2018). Va ribadito che, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. È, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il "peso probatorio" di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. 21187/2019).

Contrariamente a quanto adduce il ricorrente (pag.9 ricorso), poi, non sono all'evidenza configurabili come "fatti", il cui esame si assume omesso, "l'assenza di una sentenza di condanna e comunque del giudicato sulle asserite condotte violente attribuite all'odierno Ricorrente e la successiva decisione di non doversi procedere per il reato di lesioni personali", né tantomeno "costituiscono violazione di legge". L'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d. L. n. 83 del 2012, conv. dalla L. n. 143 del 2012, prevede T'omesso esame" come riferito ad "un fatto decisivo per il giudizio" ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico - naturalistico (Cass. 26305/2018).

Le censure sono, inoltre, inammissibili, nella parte in cui si risolvono, in realtà, nel sostenere, tramite l'apparente denuncia di vizi di violazione di legge o di omesso esame di fatti decisivi, un'alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (da ultimo Cass.10927/2024).

Neppure coglie nel segno la denuncia di travisamento della prova, che, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c., postula che l'errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova (demonstrandum), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demonstratum), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre (Cass. 9507/2023), il che non è nella specie. A ciò si aggiunga che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, il che, ancora una volta, non è nella specie.

Come si è detto, il ricorrente insiste, in buona sostanza, nel sostenere che sarebbe emerso dalle risultanze del giudizio penale un clima di reciproca intolleranza tra i coniugi (secondo motivo), che sarebbe priva di valore probatorio, perché de relato, la testimonianza della sorella della moglie che l'aveva soccorsa nell'immediatezza di un episodio di violenza (terzo motivo) e che il Tribunale penale di Urbino avrebbe accertato la non abitualità delle condotte maltrattanti (quarto motivo), così svolgendo doglianze che, in relazione ai plurimi profili suesposti, non superano il vaglio di ammissibilità.

6. Il quinto motivo è inammissibile.

L'articolata censura, concernente la capacità reddituale della moglie, asseritamente sottovalutata dalla Corte d'Appello, è meritale perché impropriamente volta alla rivalutazione delle risultanze probatorie, a fronte di una congrua motivazione sul punto della sentenza impugnata, che dà atto, in dettaglio, della percezione di utili e dividendi anche da parte della controricorrente, ma anche della notevole disparità con la situazione economico-patrimoniale del marito, nonché della lunga durata della convivenza matrimoniale e del pregresso tenore di vita elevato della coppia, facendo così il giudice di merito correttamente riferimento ad ogni aspetto di rilevanza ai fini della quantificazione dell'assegno separativo.

7. Il sesto motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

La valutazione della prevalente soccombenza dell'odierno ricorrente rispetto a quella della controparte, che ha ottenuto l'accoglimento della domanda di addebito e anche di quella di riconoscimento dell'assegno separativo, solo ridotto nel quantum rispetto alla pretesa azionata, è esercizio di un potere discrezionale della Corte d'Appello fondato sul principio di causalità (Cass. 3438/2016), nella specie rispettato.

Inoltre, come si è detto, la Corte di merito ha fatto applicazione del consolidato orientamento di questa Corte in tema di addebito della separazione in fattispecie di condotte violente e maltrattanti di un coniuge. La pronuncia di questa Corte n.3923/2018, che, peraltro, ove intesa come si sostiene in ricorso, sarebbe un precedente isolato, non rileva, in realtà, nel senso invocato, perché concerne essenzialmente la questione dell'onere della prova dell'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, in una fattispecie fattuale diversa da quella ora in esame e in cui impropriamente si sollecitava il riesame del merito sulla dimostrazione del nesso causale tra le condotte, recenti, di infedeltà e l'irreversibilità della crisi coniugale.

8. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.

9. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Va, infine, disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 7 agosto 2024.

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