Iva, prestazione di servizi, onerosità, nesso di corrispettività

Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22700 del 12/08/2024

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Iva, prestazione di servizi, onerosità, nesso di corrispettività

La prestazione di servizi, come definita dall'art. 2, punto 1, della sesta direttiva (che corrisponde all'art. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972), deve ritenersi onerosa e, quindi, imponibile ai fini IVA, purché sia ravvisabile un nesso di corrispettività tra il servizio reso e la somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività, sicché è irrilevante l'importo del corrispettivo, ossia che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell'ambito della fornitura della sua prestazione.

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Cassazione civile, sez. trib., ordinanza 12/08/2024 (ud. 30/05/2024) n. 22700

RILEVATO CHE


- La CTP di Torino accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla FGA Investimenti Spa (ora FCA Italy Holdings Spa) avverso l'avviso di accertamento, con il quale l'Agenzia delle entrate recuperava l'IVA relativa all'anno 2007 sulla base di tre rilievi: 1) indebita detrazione IVA per spese di servizi infragruppo; 2) indebita detrazione IVA per spese per distacco di personale; 3) indebita detrazione IVA per oneri finanziari e interessi passivi non inerenti e comunque afferenti operazioni di finanziamento esenti ex art. 10 del D.P.R. n. 633 del 1972, escludendo il secondo rilievo;

- con la sentenza in epigrafe indicata, la CTR del Piemonte accoglieva l'appello principale proposto dall'Agenzia delle entrate e rigettava quello incidentale proposto dalla contribuente, osservando, per quanto qui ancora rileva, che:

- la fattura emessa dalla Itca Tools nei confronti della contribuente per il pagamento del costo del prestito di manodopera costituiva, ai sensi dell'art. 8, comma 35, della I. n. 67 del 1988, solo un ribaltamento di costi e, in mancanza di prova circa la regolamentazione dei servizi da rendere presso il cliente per giustificare la loro resa con il pagamento del solo costo del personale, la prestazione non era assoggettabile ad IVA;

- in ordine alle spese infragruppo, a fronte della generica descrizione delle fatture emesse per "prestazioni di servizio", non era stata fornita dalla contribuente la prova specifica circa la natura, quantità e qualità dei servizi dedotti come effettuati, non essendo sufficiente il riferimento ad un generale accordo infragruppo, peraltro privo di data certa, occorrendo fornire la prova dell'effettività e dell'inerenza della spesa, soprattutto perché si trattava di costi ripartiti fra società dello stesso gruppo;

- la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, illustrati con memoria;

- l'Agenzia delle entrate resisteva con controricorso;

CONSIDERATO CHE

- Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 8, comma 35, della L. n. 67 del 1988, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel qualificare la prestazione eseguita nei confronti della contribuente dalla ITCA Tools Spa come prestito di personale, fuori campo IVA, solo sulla base del ribaltamento dei costi e delle spese del personale impiegato, pari alla retribuzione e agli oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante, senza verificare se fosse configurabile un prestito nell'accezione lavoristica di tale istituto;

- con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la CTR ha erroneamente attribuito alla contribuente l'onere di provare che non si era trattato di semplice distacco del personale, mentre detto onere gravava sull'Ufficio che aveva allegato il relativo fatto;

- i predetti motivi, che vanno esaminati unitariamente per connessione, sono fondati;

- la CTR ha ritenuto applicabile l'art. 8, comma 35, della L. n. 67 del 1988, con riferimento alle prestazioni fatturate dalla Itca Tools per il distacco di personale presso la contribuente, in quanto le somme pagate non comprendevano alcun margine di guadagno, ma costituivano una mera operazione di rimborso, in quanto tale non imponibile;

- la richiamata norma, secondo la quale "non sono da intendere rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo" va disapplicata, in base a quanto stabilito dalla Corte di giustizia UE, nella causa C-94/19 dell'11.03.2020 (San Domenico Vetraria Spa/Agenzia delle entrate), secondo la quale "L'articolo 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall'altro, si condizionino reciprocamente";

- i giudici unionali hanno, dunque, stabilito che la prestazione di servizi, come definita dall'art. 2, punto 1, della sesta direttiva (che corrisponde all'art. 3 del D.P.R. n. 633 del 1972), deve ritenersi onerosa e, quindi, imponibile ai fini IVA, purché sia ravvisabile un nesso di corrispettività tra il servizio reso e la somma ricevuta, anche in mancanza di lucratività, sicché è irrilevante l'importo del corrispettivo, ossia che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell'ambito della fornitura della sua prestazione (Cass. n. 529 del 14/01/2021);

- il giudice di rinvio dovrà, quindi, accertare se il pagamento da parte della contribuente degli importi fatturati dalla Itca Tools costituiva una condizione per il distacco del personale e se gli importi pagati rappresentavano solo il corrispettivo del distacco;

- con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la CTR esaminato quanto dedotto dalla contribuente fin dal ricorso introduttivo e nell'atto di appello sull'effettività e sull'inerenza dei costi relativi ai servizi infragruppo;

- il motivo è infondato, in quanto la CTR si è pronunciata sull'inerenza e sull'effettività dei costi relativi ai servizi infragruppo (da p. 11 a p. 13 della sentenza), sicché eventuali censure sul punto, laddove ammissibili, dovevano essere proposte, semmai, sotto altri profili;

- con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, 109 TUIR e 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la CTR ha errato nel ritenere che l'onere probatorio relativo ai costi infragruppo fosse più rigoroso rispetto ai costi sostenuti nei rapporti fra operatori indipendenti, senza indicare i fatti che avrebbero dovuto formare oggetto di detta ulteriore prova di inerenza, peraltro non richiesta nel corso dell'istruttoria svolta dalla Guardia di finanza; precisa che, per la natura dei servizi fruiti (costi amministrativi, di consulenza e di gestione), in assenza di una propria struttura amministrativa, l'inerenza era in re ipsa e il mero ribaltamento dei costi, senza margine di profitto, escludeva qualsiasi questione sulla loro congruità;

- con il quinto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, 109 TUIR e 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la CTR, sebbene fosse pacifico che i costi oggetto di riaddebito fossero inerenti ed effettivi, ha ritenuto erroneamente che la contribuente non avesse offerto la prova di un fatto che non solo non era ipotizzabile in astratto, alla stregua delle risultanze di causa, ma non è stato neppure individuato in concreto;

- con il sesto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972 e 109 TUIR, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere che il costo, per essere inerente, dovesse essere adeguatamente documentato, considerando insufficiente il contratto scritto di cost sharing per mancanza di data certa, senza tenere conto del principio di libertà delle forme;

- con il settimo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, 109 TUIR e 2704 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel ritenere che l'assenza della data certa sul contratto di cost sharing ne escludesse l'efficacia probatoria, atteso che nel caso in esame non era invocabile l'inopponibilità del contratto all'Amministrazione finanziaria solo per la mancanza di data certa, dovendosi dare rilievo al suo contenuto;

- il quarto, quinto, sesto e settimo motivo vanno trattati congiuntamente, in quanto connessi, riguardando tutti il primo rilievo (indebita detrazione IVA per spese dei servizi infragruppo), e sono infondati;

- secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, in materia di ripartizione dei costi c.d. infragruppo (che si verifica laddove la società capofila di un gruppo di imprese decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo, ripartendone i costi tra di esse), l'onere della prova in ordine all'esistenza ed all'inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un'effettiva utilità e che quest'ultima sia obiettivamente determinabile ed adeguatamente

documentata (ex multis, Cass. 6 luglio 2021, n. 19166; Cass. 14 dicembre 2018, n. 32422);

- la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali relativi ai servizi infragruppo (contratto di cost sharing) è, quindi, subordinata all'effettività ed inerenza della spesa in ordine all'attività di impresa esercitata dalla controllata ed al reale vantaggio che ne sia derivato a quest'ultima, non ritenendosi sufficiente l'esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi forniti dalla controllante alle controllate e la fatturazione dei corrispettivi (Cass. 22 marzo 2021, n. 8001; Cass. 18 luglio 2014, n. 16480), essendo richiesta la specifica allegazione di quegli elementi necessari per determinare l'utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio (Cass. n. 16480/2014; Cass. n. 14016/1999; Cass. 4 ottobre 2017, n. 23164);

- in altri termini, occorre verificare la sostanza aziendale ed economica dell'operazione intervenuta e metterla a confronto con analoghe operazioni realizzate, in circostanze comparabili, in condizioni di libero mercato tra soggetti indipendenti e di valutarne la conformità a queste e l'utilità obiettiva (Cass. n. 7745 del 9 marzo 2022), spettando al contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante, tra i quali l'effettiva utilità dei costi stessi per la controllata, anche se a quei costi non corrispondono direttamente ricavi in senso stretto (Cass. 5 dicembre 2018, n. 31405);

- a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall'imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l'importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, e risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all'oggetto dell'impresa (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21184; Cass. n. 9466/2017);

- dalla sentenza impugnata si evince che la contribuente si è limitata a produrre un contratto, privo di data certa, in cui le prestazioni erano descritte in modo generico; anche nelle fatture vi era una generica descrizione delle prestazioni, non essendo state precisate natura, quantità e qualità dei servizi;

- a fronte della specifica contestazione mossa dall'Ufficio, quindi, non vi è stata alcuna violazione della regola di distribuzione dell'onere probatorio, essendosi la contribuente limitata a produrre il contratto e le fatture, dai quali non era possibile evincere tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti, tra i quali, appunto, l'effettiva utilità degli stessi, secondo i criteri prima esposti;

- la società contribuente, peraltro, non aveva dato seguito alle richieste di esibizione di ulteriore documentazione, formulate dall'Agenzia delle entrate, come risulta dallo stralcio del PVC, riportato a p. 11 e ss. del controricorso ("in merito alle richieste formulate nel corso delle operazioni ispettive circa l'esistenza della documentazione prevista dall'art. 3 del contratto ossia la rendicontazione delle spese e l'accettazione delle stesse da parte della società verificata, la parte ha rappresentato di non aver formalizzato nulla a riguardo poiché implicitamente rendicontate ed accettate nell'ambito degli ordinari rapporti infra gruppo");

- risultano del tutto inconferenti, poi, i rilievi sulla libertà delle forme e sulla certezza della data con riferimento al contratto di cost sharing, rilevanti solo ai fini civilistici, laddove il contratto sottoscritto dalle società, per essere opponibile all'Amministrazione finanziaria, deve essere munito di data certa, ai sensi dell'art. 2704 cod. civ. , in quanto il legislatore ha inteso ampliare il concetto di terzo cui fa riferimento quest'ultima disposizione, comprendendovi anche l'Amministrazione finanziaria, titolare di un diritto di imposizione collegato al negozio documentato e suscettibile di pregiudizio per effetto di esso (Cass. 17 dicembre 2008, n. 29451, seppure relativa ad imposta di registro; Cass. 5 marzo 2021, n. 6159, in tema di lei; Cass. 19 febbraio 2014, n. 3937, sempre in tema di imposta di registro; Cass. n. 7745 del 2022 cit.);

- l'onere probatorio imposto in sede tributaria al contribuente, sia per la deducibilità dei costi che per la detraibilità dell'IVA, non può essere certamente soddisfatto invocando la libertà delle forme contrattuali con riferimento alle prestazioni di servizio ricevute o al bene acquistato;

- la CTR ha, dunque, correttamente concluso che la contribuente non aveva dimostrato l'effettività e l'inerenza dei costi infragruppo.

- in conclusione, vanno accolti i primi due motivi di ricorso e rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 30 maggio 2024.

Depositata in Cancelleria il 12 agosto 2024.

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