Minori, provvedimenti relativi a modifica delle modalità di frequentazione e visita, ricorribilità per Cassazione, principio della bigenitorialità

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.2297 del 23/01/2024

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Minori, provvedimenti relativi a modifica delle modalità di frequentazione e visita, ricorribilità per Cassazione, principio della bigenitorialità

I provvedimenti giudiziali relativi alla modifica delle modalità di frequentazione e visita dei minori sono ricorribili per Cassazione, con superamento del filtro dell'inammissibilità per difetto di decisorietà, nel rilievo assunto dall'errore di diritto per violazione del principio della bigenitorialità, che riceve tutela nell'art. 337 ter c.c. e nell'art. 8 CEDU. (Conforme a Cass. n. 4796/2022 e Cass. n. 32013/2023).

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Cassazione civile, sez. I, ordinanza 23/01/2024, (ud. 29/11/2023, dep. 23/01/2024), n.2297

FATTI DI CAUSA


1.II Tribunale di Trieste, con la sentenza 28.9 -7.10.2020 n. 412/20 con cui pronunciava lo scioglimento del matrimonio tra Ca.Mo. e Va.Ma., assegnava la casa familiare a Ca.Mo., affidava congiuntamente i figli ad entrambi i genitori con collocamento alternato settimanalmente dal venerdì al termine della scuola alla domenica nella settimana in cui il weekend e di pertinenza dell'altro, nonché prevedeva che le festività fossero "...trascorse in maniera alternata tra i due genitori. Le vacanze estive: due settimane consecutive con ciascun genitore da concordare entro il 30 maggio di ciascun anno". Determinava il contributo per il mantenimento dei figli minori a carico di Va.Ma. nella misura di euro 350,00 cadauno mensili annualmente rivalutabili, oltre al 65% delle spese straordinarie secondo Protocollo Tribunale di Trieste, e poneva a suo carico assegno divorzile in favore di Ca.Mo. di euro 100,00 mensili annualmente rivalutabili, compensando tra le parti le spese di lite del giudizio.

2. Con sentenza n. 223/2021, pubblicata il 3-9-2021, la Corte d'appello di Trieste, pronunciando sull'appello principale proposto da Va.Ma. e sull'appello incidentale proposto da Ca.Mo. avverso la citata sentenza, in parziale accoglimento dell'appello principale e di quello incidentale ed in riforma dell'appellata sentenza, quantificava in euro 200,00 l'assegno divorzile in favore di Ca.Mo. ed a carico di Va.Ma., nonché disponeva il collocamento paritario alternato per meta settimana presso ciascuno dei genitori, con le modalità indicate nella motivazione della stessa sentenza, confermando nel residuo integralmente l'appellata sentenza e compensando le spese di lite del grado. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto che, fermo l'affido condiviso, il collocamento paritario alternato dei minori, con suddivisione a metà di ogni settimana, fosse non solo conforme alla normativa attualmente in vigore, ma soprattutto fosse rispettoso dei desiderata espressi con chiarezza da entrambi i ragazzi, oltre che del loro superiore interesse, e pertanto ha disposto che i figli trascorressero alternativamente meta settimana con ciascuno di essi dall'uscita da scuola del lunedì e sino all'entrata a scuola del mercoledì mattina successivo e con l'altro dall'uscita da scuola del mercoledì pomeriggio sino all'ingesso a scuola del sabato e viceversa nella settimana susseguente ed ancora con alternanza dei figli presso ciascun genitore nei fine settimana, dal termine della scuola del sabato sino all'ingresso a scuola del lunedì, demandando ad entrambi i genitori di organizzare inoltre analogamente il calendario estivo dopo la fine delle lezioni scolastiche entro e non oltre il giorno 30 del mese di maggio di ciascun anno, confermando nel resto tutte le ulteriori modalità disposte dal Tribunale per i periodi festivi ed estivi. Quanto all'assegno divorzile, la Corte di merito ha affermato che: a) era provato che l'appellata Ca.Mo. svolgeva da alcuni anni attività lavorativa quale "inserviente", mentre durante il matrimonio accudiva la famiglia e provvedeva alla cura dei figli ed inoltre studiava psicologia all'Università, godendo all'attualità di un reddito accertato dal primo giudice pari ad un quarto appena di quello dell'appellante e che era quasi ai limiti dell'indigenza, pur tenuto conto della contrazione dei di lui redditi dopo il pensionamento, peraltro proprietario anche di una villa in zona agreste con terreni in Muggia, di recente ristrutturata ed ove abitava; b) la scelta della moglie di non lavorare durante il matrimonio ed il suo essersi iscritta all'Università, oltre a curare la conduzione familiare, era frutto evidente di una decisione voluta e condivisa dai coniugi; c) non era dimostrato che l'appellata svolgesse e traesse qualsivoglia reddito dalla presunta attività di "sessuologa", poiché i suoi redditi erano solo quelli relativi al lavoro di inserviente e l'appellata non si era ancora laureata in psicologia, benché dovesse sostenere solo quattro esami per laurearsi; d) in tale quadro probatorio, il Tribunale aveva dato, invero, corretta applicazione al consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di assegno divorzile (Cass. s.u. n. 18287 del 2018 e successive conformi) e nella specie l'importo mensile più congruo era da ritenersi pari ad euro 200,00, tenuto conto del globale contributo apportato dall'appellata in ambito familiare, della durata del rapporto di coniugio, delle rispettive potenzialità e professionalità degli ex coniugi e dell'età dei medesimi; e) all'esito delle valutazioni globalmente svolte, sulla base di tutte le risultanze probatorie acquisite in atti, oggettivamente emergeva un innegabile "rilevante squilibrio" economico tra i medesimi, essendo ampiamente sussistenti i requisiti relativi all'aspetto perequativo -assistenziale -compensativo, e l'importo dovuto, aumentato a euro 200,00 mensili, era quantificato in considerazione dei modestissimi redditi dell'appellata.

3. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione Va.Ma., affidato a due motivi, resistito con controricorso da Ca.Mo..

4. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorrente denuncia con il primo motivo "l'omessa/insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e violazione di legge con riferimento all'art. 112 cod. proc. civ.", per avere la Corte di merito omesso di provvedere in ordine alla prima doglianza svolta in appello dall'odierno ricorrente, che riguardava il collocamento dei figli, di ormai 16 e 12 anni, in merito al quale egli aveva chiesto, oltre ad un aumento delle loro permanenze presso di lui, anche il ripristino della clausola, già prevista in sede presidenziale, ma omessa dal Tribunale -senza alcuna motivazione in merito-, secondo la quale i figli avrebbero potuto modificare il programma di collocamento a seconda dei loro desideri ed esigenze ("nei termini graditi ai due minori e compatibilmente con le loro esigenze"), affinché essi potessero meglio gestire i propri impegni familiari, sportivi e scolastici, senza sentirsi obbligati al rispetto rigoroso del calendario predisposto. 6. Con il secondo motivo denuncia la "violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., dell'art. 5 comma 6 della L. n. 898/1970 e dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.; omessa valutazione di domande e di fatti decisivi ai fini della decisione ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.; motivazione omessa, apparente e contraddittoria" per avere la Corte d'appello, in ordine all'assegno divorzile, ritenuto di aumentarlo da euro 100 ad euro 200 mensili. Deduce che non sussisteva un rilevante squilibrio economico tra le parti, né ricorrevano i presupposti per il riconoscimento dell'assegno di divorzio. In particolare la Ca.Mo., in sede di interrogatorio svolto in data 3.3.2020 -nell'ambito di un procedimento penale promosso nei suoi confronti dal marito per molestie-, si dichiarava già "laureata in psicologia", a far data dal 30.9.2019, aveva preso in locazione una stanza per due giorni e mezzo alla settimana (ad un canone di euro 140 al mese) per esercitare l'attività -pubblicizzata tramite Facebook e biglietti da visita (all. 12 e 13, già docc. E, F)- di consulente sessuologa (come dalla medesima dichiarato all'udienza del 20.11.2019). Deduce inoltre che l'ex moglie non aveva provato di aver chiesto di essere assunta a tempo pieno e di essersi attivata per reperire un'occupazione più remunerativa, e ciò per continuare a giustificare l'incasso di un assegno divorzile per un'asserita "indigenza", dovuta, pero, ad una sua scelta deliberata e non certo ad un fatto ineludibile, considerata la sua età (di 48 anni). Deduce che neppure era stato dimostrato da parte dell'ex moglie l'asserito suo sacrificio della crescita personale/professionale in favore della famiglia, né ella aveva contribuito alla ricchezza familiare, poiché, prima del matrimonio, non lavorava, né studiava, mentre il ricorrente era imprenditore e, con i suoi familiari, già proprietario di diversi immobili. Rimarca, anzi, il ricorrente che dall'audizione dei testimoni in sede penale, era emerso che, proprio grazie al sostegno morale ed economico del marito durante il matrimonio, la Ca.Mo. aveva potuto iscriversi all'università, frequentarla per i corsi tutte le mattine e, infine, laurearsi, sacrificando la cura dei familiari e della casa, come pure assume emerso in ambito penale. Deduce, altresì, che era incompleta la documentazione reddituale depositata dalla Ca.Mo. ed utilizzata dalla Corte per la comparazione dei redditi delle parti, poiché le buste paga 2019 prodotte non riportavano più l'entità degli assegni familiari percepiti e mancavano, tra le buste paga per il 2020, quelle relative alla tredicesima e alla quattordicesima, sicché rimaneva ignota l'entità complessiva del reddito percepito dalla medesima nel 2020, essendo ella anche assegnataria della casa familiare per la quale non pagava alcun onere, se non le utenze correnti. Ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, ad avviso del ricorrente, la Corte d'Appello non aveva tenuto in alcun conto della querela proposta dall'ex moglie nei confronti dell'odierno ricorrente e sfociata in un procedimento penale conclusosi con l'assoluzione con formula piena dello stesso, accusato del reato di cui all'art. 572 c.p. "perché, volontariamente, sottoponeva a continui e ripetuti maltrattamenti, quali ingiurie, percosse, minacce, prevaricazioni, vessazioni e umiliazioni" la moglie, asseritamente anche davanti ai bambini-, come da sentenza n. 1006/2020 del 30.10.2020 (irrevocabile dal 15.3.2021, all. 11). Sotto ulteriore profilo, afferma il ricorrente che non era stata esaminata la sua situazione reddituale, che assume di molto peggiorata rispetto alla fase della separazione, momento in cui percepiva un reddito annuo di 90.000 euro (all. 3, già doc. 11A), di cui al netto euro 56.851, corrispondente a euro 4.737,58 mensili; mentre nel 2019, invece, egli aveva percepito (tra pensione Inps e rendita Inail) un reddito pari ad euro 33.693,81 (all. 4, già doc. 135) -al netto dei 944 euro ricevuti a titolo di rimborso Irpef e risultanti nel cedolino del settembre 2019 (pag. 9 all. 4)- e pertanto il suo reddito netto era pari a soli 2.807,82 euro mensili. A parere del ricorrente, risultava illogico che, pur a fronte di una diminuzione mensile di 1.900 euro, l'assegno per i figli fosse stato aumentato da 400 a 700 euro complessivi, poiché quando egli percepiva 4.700 euro, era tenuto a versare 400 euro per i figli, più 100 per la moglie, mentre, all'attualità, benché percepisca somme mensili inferiori (euro 3.280 lordi), e tenuto a versare somme maggiori per i figli e per l'ex moglie. Invece, i redditi dell'ex moglie, dal 2016 in poi, erano risultati in continuo aumento, arrivando, nel 2018, ad euro 7.500 annui (all. 18, già doc. Ca.Mo. B), nel 2019 a euro 8.170,00 (all. 5, già doc. Ca.Mo. D) e nel 2020 a euro 11.135 -al netto di 13ma e 14ma non documentate, a cui aggiungere gli assegni familiari-, ossia con un incremento, nell'ultimo anno in esame, di oltre il 30% rispetto al precedente.

7. Il primo motivo è inammissibile.

Premesso che è cessata la materia del contendere in ordine ai provvedimenti concernenti il figlio Lo., divenuto maggiorenne pochi giorni prima della notifica del ricorso per cassazione, come eccepito dalla controricorrente e confermato dal ricorrente nella memoria illustrativa, occorre osservare che, secondo l'orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, "i provvedimenti giudiziali relativi alla modifica delle modalità di frequentazione e visita dei minori sono ricorribili per Cassazione, con superamento del filtro dell'inammissibilità per difetto di decisorietà, nel rilievo assunto dall'errore di diritto per violazione del principio della bigenitorialità, che riceve tutela nell'art. 337 ter c.c. e nell'art. 8 CEDU" (Cass. 4796/2022).

Nella specie, la doglianza, cosi come formulata, non concerne specificamente la lesione della bigenitorialità, il che ne determina l'inammissibilità.

Sotto ulteriori profili, ad ogni buon conto, va rilevato che non è più vizio denunciabile ex art. 360 n.5 cod. proc. civ. la motivazione insufficiente (Cass. S.U. 8053/2014), né il vizio di motivazione omessa equivale a quello di omissione di pronuncia ex art.112 cod. proc. civ., contrariamente a quanto si deduce in ricorso, in disparte il rilievo, altrettanto dirimente, che la motivazione sulle modalità di collocamento presso i genitori dei figli, nella specie, non e stata affatto omessa, poiché la Corte d'appello ha dato conto, esplicitando in modo idoneo le ragioni della relativa statuizione, di avere recepito proprio i desideri dei figli, modificando in conformità ad essi i provvedimenti del Tribunale. 8. Anche il secondo motivo e inammissibile.

Occorre ribadire che la riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, e denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione (Cass. S. U. 8053/2014 citata). In particolare, la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull'esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111 comma 6 Cost. (tra le tante Cass. 13248/2020).

Orbene, la Corte di merito, circa la quantificazione del contributo di mantenimento dovuto dall'odierno ricorrente per i due figli di anni 12 e 16 (350 euro per ciascuno), con motivazione idonea che certamente attinge il "minimo costituzionale", ha valutato la situazione patrimoniale e reddituale di ciascuno dei genitori, ha rimarcato le "maggiorate" esigenze ludiche/sportive/relazionali dei minori, entrambi buoni studenti e impegnati nello sport ed entrambi in età adolescenziale, ed ha considerato anche il loro collocamento paritario alternato presso entrambi i genitori con gli aspetti economici correlati, confermando la misura del contributo per il mantenimento dei figli disposta dal Tribunale. Quanto all'assegno divorzile, la Corte d'appello, con motivazione idonea che parimenti attinge il "minimo costituzionale", ha valorizzato la sperequazione tra le condizioni economico-patrimoniali tra gli ex coniugi, considerandola notevole (il reddito dell'ex moglie, quasi ai limiti dell'indigenza, pari ad un quarto appena di quello dell'ex marito, peraltro proprietario anche di una villa in zona agreste con terreni in Muggia, di recente ristrutturata ed ove abitava, pur considerata la contrazione dei di lui redditi dopo il pensionamento), ed ha altresì ritenuto sussistente il "globale contributo apportato dall'appellata in ambito familiare", valutate, altresì, la durata del rapporto di coniugio, le rispettive potenzialità e professionalità avute dagli ex coniugi e l'età dei medesimi.

Per contro, il ricorrente si limita principalmente a rimarcare la propria diminuzione reddituale, senza alcuno specifico riferimento al principio di proporzionalità e alle esigenze dei figli, e svolge critiche meritali in ordine alla capacità reddituale e professionale dell'ex moglie e al suo contributo endo-familiare, prospettando una ricostruzione diversa da quella accertata dai giudici di merito, in particolare censurando la valutazione probatoria delle risultanze di causa effettuata dalla Corte d'appello, che in dettaglio ha scrutinato la condizione lavorativa e professionale dell'ex moglie (pag. 13 e 14 della sentenza impugnata).

Tramite l'apparente denuncia di vizi di violazione di legge e motivazionali, le doglianze sono, pertanto, dirette impropriamente a sollecitare il riesame dei fatti.

9. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell'art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in euro 6.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.

Ai sensi dell'art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2024.

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