È possibile che un ricorso nel processo tributario si limiti a richiamare motivi di gravame presenti in altri atti o allegati?
La risposta della Cassazione è chiara: no, non è ammesso.
Con l'ordinanza n. 23251 del 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito che ogni ricorso tributario deve avere una propria autonomia. Questo significa che un ricorso non può limitarsi a richiamare i motivi di gravame presenti in altri atti, pena l'inammissibilità dello stesso. La regola è che le contestazioni devono essere specificamente delineate nei motivi di impugnazione, e non possono essere semplicemente richiamate per relationem.
Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di una società, per un periodo d'imposta del 2006-2007, contestando l'errata determinazione di alcune quote di ammortamento. La CTP di Venezia aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla contribuente, poiché si limitava a richiamare motivi già sollevati in altri ricorsi pendenti. Anche la CTR del Veneto ha confermato questa decisione, rigettando l'appello presentato dalla curatela del fallimento della società.
Nel successivo ricorso alla Cassazione, la curatela fallimentare ha contestato la sentenza d'appello per violazione dell'art. 18 del D.Lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che l'indicazione dei motivi di ricorso fosse legittima anche tramite un rinvio per relationem a motivi presenti in altri atti allegati. Tuttavia, la Cassazione ha rigettato il ricorso, sottolineando che ogni atto di impugnazione nel contenzioso tributario deve avere autonomia e non può basarsi su richiami generici ad altri atti, come previsto dagli articoli 18 e 24 del D.Lgs. n. 546 del 1992.
In conclusione, nel processo tributario ogni ricorso deve avere una sua precisa autonomia, e non è consentito, a pena di inammissibilità, richiamare motivi di gravame presenti in altri documenti. La Cassazione, pertanto, ha confermato l'inammissibilità del ricorso della curatela e ha condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
Nel processo tributario, che ha un oggetto delimitato rigidamente dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione dell'atto impositivo, ogni ricorso deve avere una sua precisa autonomia, non essendo consentito, a pena di inammissibilità, che esso si limiti a richiamare motivi di gravame formulati in un allegato al ricorso notificato alla controparte unitamente a quest'ultimo.
Cassazione civile, sez. trib., ordinanza 28/08/2024 (ud. 31/05/2024) n. 23251
FATTI DI CAUSA.
L'Agenzia delle entrate notificava per il periodo d'imposta 2006-2007 avviso di accertamento a Italflex Srl, recuperando importi ai fini Ires e Irap per l'errata determinazione di quote di ammortamento di due cespiti. Il ricorso alla CTP di Venezia avanzato dalla contribuente veniva dichiarato inammissibile, in quanto la contribuente chiedeva l'annullamento dell'atto impositivo limitandosi a contestare l'illegittimità per i motivi già sollevati in altri ricorsi pendenti avverso altri atti impositivi. La CTR del Veneto confermava la sentenza impugnata a seguito di appello proposto dalla curatela del fallimento di Italflex Srl, dichiarato nelle more. La curatela fallimentare avanza ricorso incentrato su un solo motivo. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso si lamenta l'illegittimità della sentenza d'appello per violazione e falsa applicazione dell'art. 18 D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la CTR escluso che l'indicazione dei motivi di ricorso "possa ritenersi adempiuta attraverso il rinvio per relationem ai motivi presenti in uno degli atti allegati al ricorso". Il motivo è infondato.
Nella giurisprudenza di questa Corte è consolidato e merita conferma il principio secondo il quale ogni ricorso, in sede tributaria, deve avere una precisa autonomia, essendo il processo tributario calibrato sul singolo atto oggetto di impugnazione; il che è d'altronde conforme all'insegnamento di questa Corte, secondo il quale il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l'atto impositivo (art. 18 e 24 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546), i quali motivi costituiscono la causa petendi rispetto all'invocato annullamento dell'atto medesimo (v. Cass. n. 13934 del 2011). Non è pertanto consentito, nell'impugnazione di un determinato atto, semplicemente e genericamente richiamare, ai sensi dell'art. 18 cit., motivi di gravame formulati in altro ricorso quand'anche relativo in ipotesi a causa connessa (Cass. n. 23047 del 2012) o addirittura, come nel caso di specie, delineati all'interno di un allegato del medesimo ricorso, notificato alla controparte unitamente a quest'ultimo, e richiamato per relationem. Va, in definitiva, affermato il seguente principio di diritto: "Nel processo tributario, che ha un oggetto delimitato rigidamente dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione dell'atto impositivo, ogni ricorso deve avere una sua precisa autonomia, non essendo consentito, a pena di inammissibilità, che esso si limiti a richiamare motivi di gravame formulati in un allegato al ricorso notificato alla controparte unitamente a quest'ultimo".
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2024.