Cassazione civile, sez. II, ordinanza 03/09/2024 (ud. 07/05/2024) n. 23612
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata l'11 settembre 2000, Sc.Pi. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Catania Gu.Ag., ed espose quanto segue: di essere fratello di Sc.Co., deceduto il (…); che Gu.Ag., moglie del de cuius, aveva richiesto la pubblicazione di un testamento olografo datato 27 aprile 1998, con il quale era stata nominata erede universale ed aveva istituito l'attore legatario di alcuni beni in suo favore; che aveva rinvenuto nel cruscotto di un'autovettura appartenuta al fratello defunto un altro testamento olografo, datato 10 giugno 1998, col quale il de cuius, in revoca del precedente testamento, lo aveva designato coerede universale unitamente alla moglie Gu.Ag.
Sc.Pi. chiese dichiararsi la sua qualità di coerede testamentario e condannarsi Gu.Ag. a consegnare la metà dell'asse ereditario, oltre al pagamento dei frutti civili percepiti su tale porzione sin dal momento dell'apertura della successione. Gu.Ag. si costituì chiedendo il rigetto della domanda e contestò l'autenticità del testamento del 10 giugno 1998.
Nel corso del giudizio, venne disposta consulenza tecnica grafologica al fine di accertare la genuinità della scrittura e della firma del testamento 10 giugno 1998, ma il CTU espose che il mancato rinvenimento dell'originale della scheda testamentaria impediva l'espletamento delle necessarie indagini peritali.
Il Tribunale di Catania, con sentenza del 7 febbraio 2006, rigettò la domanda, affermando che la verifica tecnica di autenticità di una scrittura disconosciuta non poteva avvenire senza la produzione dell'originale.
La Corte d'Appello di Catania confermò la sentenza di primo grado, sul rilievo che la scheda testamentaria, sebbene autenticata dal notaio, era stata prodotta in fotocopia e disconosciuta dalla convenuta sicché il CTU non poteva avvalersi della sola fotocopia del testamento per accertarne l'autenticità. Poiché la convenuta aveva contestato l'autenticità del testamento 10 giugno 1998, l'attore aveva l'onere di provare la propria domanda di petizione di eredità e, quindi, di chiedere la verificazione del disconosciuto testamento olografo mediante la produzione posta a suo carico della scheda testamentaria originale.
La Corte di Cassazione, con sentenza del 13.1.2016, accolse il ricorso proposto da Sc.Pi., facendo applicazione del principio dettato dalle Sezioni Unite, con sentenza del 15 giugno 2015, n. 12307, secondo cui la parte che contesti l'autenticità di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, gravando su di essa l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo.
Al giudice di rinvio venne devoluto l'esame della ripartizione dell'onere della prova relativa all'azione di petizione di eredità proposta da Sc.Pi., nonché dell'onere della prova della contestata autenticità del testamento olografo datato 10 giugno 1998.
La Corte d'Appello di Catania, con sentenza del 14.5.2018, rigettò l'appello.
Secondo la Corte di merito, Gu.Ag., nel chiedere, in comparsa di costituzione, il rigetto della domanda di Sc.Pi., perché fondata su scrittura inficiata da falso materiale, aveva proposto un'azione di accertamento negativo dell'autenticità del testamento.
In ogni caso, trattandosi di procedimento anteriore alla pronuncia delle Sezioni Unite del 15 giugno 2015, n. 12307, ricorreva la fattispecie dell'overruling perché, con tale decisione, era stato risolto un contrasto tra due diversi orientamenti.
Nel merito, la Corte d'Appello, sul presupposto che spettava all'attore Sc.Pi. provare la qualità di erede ed a Gu.Ag. provare la falsità del testamento, ritenne che l'attore non avesse assolto a tale onere perché aveva prodotto non l'originale ma la fotocopia del testamento, che, sia pure in copia conforme, era stata rilasciata ad uso fiscale e non era idonea a fondare la presunzione legale di autenticità del testamento, ai sensi dell'art. 2716 c.c.
In ogni caso, la scheda testamentaria appariva ictu oculi non redatta dal de cuius, sulla base di una comparazione con il testamento olografo del 27.4.1998; evidenziò che il CTU nominato nel giudizio di primo grado aveva concluso nel senso che non era possibile addivenire ad alcun giudizio sull'autenticità del testamento e che, nel giudizio penale, un consulente aveva escluso che l'autografia fosse riconducibile al de cuius e l'altro consulente aveva attribuito la firma del testamento all'attore.
Sc.Pi. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello sulla base di sette motivi. Bo.Ma., in qualità di erede di Gu.Ar., a sua volta erede di Gu.Ag., intervenuto volontariamente nel giudizio di cassazione, ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis. 1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 167 c.p.c. e 394 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorrente contesta che la convenuta Gu.Ag., nel chiedere il rigetto della domanda, avesse proposto un'azione di accertamento della falsità del testamento olografo.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 394 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.3 c.p.c., perché la domanda di accertamento negativo sarebbe stata tardivamente proposta nel giudizio di rinvio. Non ricorrerebbe, nel caso in esame, l'ipotesi di overruling, secondo l'orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite con sentenza N. 12307/2015, in quanto detta pronuncia non si sarebbe inserita in un contesto giurisprudenziale univoco e consolidato, trattandosi di questione dibattuta in giurisprudenza.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 384, comma 2 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., perché sarebbe stato erroneamente posto a carico dell'attore l'onere di produrre l'originale del testamento mentre tale onere graverebbe sulla convenuta. In tal senso, il ricorrente evidenzia di aver prodotto la copia conforme del verbale di pubblicazione del testamento olografo, avente la stessa efficacia dell'originale, assolvendo all'onere della prova posto a suo carico. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c., 329 c.p.c. e 394 c.p.c.,
in relazione all'art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d'Appello fondato la decisione sulle perizie grafologiche, svolte in sede penale sulla copia autentica del testamento, nonostante la giurisprudenza di legittimità non ammetta la perizia grafologica sulla copia fotostatica del testamento; sotto altro profilo, il ricorrente deduce che fosse passata in giudicato, per assenza di impugnazione nei gradi di merito, l'affermazione secondo cui fosse inammissibile la perizia grafologica sulla copia autentica del testamento, sottolineando le contrapposte conclusioni alle quali erano giunti i consulenti nominati nell'ambito dei procedimenti penali.
Con il quinto motivo di ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 c.p.c. e 214 c.p.c. in combinato disposto con l'art.2716, comma 2 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., il ricorrente ripropone la questione dell'inammissibilità dell'esame grafologico della copia autentica del testamento.
Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta la contraddittorietà della motivazione della sentenza, per violazione dell'art. 132, comma 2 c.p.c. e dell'art. 111 Cost., perché la Corte di merito, dopo aver dato atto che il consulente nominato nel giudizio di primo grado aveva concluso nel senso che non fosse possibile formulare un giudizio sull'autenticità del testamento, avrebbe aderito alle conclusioni cui era giunto il giudice penale sulla non riconducibilità della scheda testamentaria al de cuius.
Il settimo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione dell'art.2729 c.c., in relazione all'art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., oltre all'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, perché il giudizio di falsità del testamento sarebbe stato fondato sulle perizie svolte in sede penale che, quali prove atipiche, non avrebbero i requisiti di gravità, precisione e concordanza.
I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
La decisione impugnata è stata resa, in sede di rinvio, da parte di questa Corte che, con sentenza n. 1995/2016, aveva accolto il ricorso proposto da Sc.Pi., facendo applicazione del principio secondo cui la parte che contesti l'autenticità di un testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura e grava su di essa l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo.
La decisione della Corte di Cassazione ha dato per presupposto che l'azione di accertamento negativo fosse stata proposta da Gu.Ag., tanto che al giudice di rinvio era stato devoluto l'esame del merito della causa sulla base della ripartizione dell'onere della prova, in applicazione dei principi stabiliti dalle Sezioni Unite con sentenza del 15 giugno 2015, n. 12307.
Occorre, al riguardo, tener presente che nel giudizio di rinvio, il quale è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente (Cassazione civile sez. II, 10/08/2023, n.24357; Cassazione civile sez. II, 21/02/2019, n.5137).
In detto giudizio, pertanto, non possono essere riproposte domande o questioni pregiudiziali rigettate nelle fasi di merito e non oggetto di motivi di ricorso, eventualmente in via incidentale condizionata (Cass. N. 7761/06, 5438/97), e neppure possono essere esaminate questioni rilevabili d'ufficio non considerate in sede di legittimità, giacché il loro esame potrebbe porre nel nulla o limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della sua intangibilità (Cassazione civile sez. I, 31/05/2017, n. 13759; Cass. n. 22885/013, 5131/96).
Considerato, pertanto, che la Corte di Cassazione, con sentenza N. 1995/2016, aveva presupposto che fosse stata proposta da Gu.Ag. un'azione di accertamento negativo dell'autenticità del testamento del 10.6.1998 e che, sulla base di detta interpretazione dell'atto di costituzione, doveva essere regolato il regime probatorio, non si poneva nemmeno un problema di overruling, come impropriamente affermato dalla Corte d'Appello.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in riferimento ad azioni di accertamento negativo, nell'applicare le regole di distribuzione dell'onere probatorio poste dall'art. 2697 c.c., occorre dare rilievo non al criterio dell'iniziativa processuale, bensì al criterio di natura sostanziale relativo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, sicché l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo. Ciò perché l'attore in accertamento negativo non fa valere il diritto oggetto dell'accertamento giudiziale, ma, al contrario, ne postula l'inesistenza, ed è invece il convenuto che, virtualmente o concretamente, fa valere tale diritto, essendo la parte controinteressata rispetto all'azione di accertamento negativo (Cass. Sez. 6 - L, 04/10/2012, n. 16917; Cass. Sez. L, 10/11/2010, n. 22862; Cass. Sez. L, 18/05/2010, n. 12108; Cass. Sez. L, 17/07/2008, n. 19762).
Alla stregua dei principi in materia di accertamento negativo dell'autenticità del testamento, la Corte d'Appello, in sede di rinvio, ha deciso la causa secondo le regole di riparto dell'onere probatorio stabilito dalle Sezioni Unite sicché non coglie nel segno nemmeno la denuncia dell'art. 384 c.p.c. sull'erronea applicazione del principio di diritto al quale il giudice del rinvio doveva uniformarsi.
La Corte di merito ha correttamente ritenuto che spettasse all'attore Sc.Pi. provare la qualità di erede attraverso la produzione dell'originale del testamento mentre, nel caso di specie, l'attore aveva prodotto una copia conforme rilasciata ad uso fiscale.
Quando in un giudizio debba essere provata l'esistenza e la validità di un testamento olografo, del quale sia stata prodotta una fotocopia non autentica, la cui conformità all'originale sia stata tempestivamente contestata, la parte interessata ha l'onere di produrre l'originale del documento, non potendo la copia essere oggetto né di verificazione né di querela di falso. Nell'ipotesi di perdita della scheda testamentaria, la prova, diretta alla dimostrazione dell'esistenza e alla ricostruzione, totale o parziale, del testamento è, altrimenti, soggetta alla limitazione prevista dal combinato disposto degli art. 2724, n. 3, e 2725 c.c., operando tale limitazione anche nel caso in cui si tratti di accertare se una copia del testamento sia conforme all'originale andato smarrito, tenendo distinte, ai fini del corrispondente onere probatorio, la situazione dell'erede che abbia avuto la detenzione della scheda e quella dell'erede che non l'abbia mai avuta (Cass. civ., sez. II, 11/03/2019, n. 6918);
In ogni caso, deve essere negata la dignità di testamento olografo a uno scritto documentato da una copia di un originale non rinvenuto (Cass. civ., sez. II, 18/05/2015, n. 10171).
Secondo l'accertamento svolto dalla Corte distrettuale, nessuna circostanza idonea a superare l'inidoneità della copia testamentaria a dimostrare l'esistenza di un originale risulta essere stata dedotta da parte attrice nel giudizio di merito, all'esito dei quali è risultato che la scheda testamentaria del 10.6.1998 appariva, ictu oculi, non redatta dal de cuius, sulla base della comparazione con il testamento olografo del 27.4.1998, la cui autenticità era incontestata. A ciò si aggiunga che il CTU nominato nel giudizio di primo grado aveva concluso nel senso che non era possibile addivenire ad alcun giudizio sull'autenticità del testamento e che, nel giudizio penale, un consulente aveva escluso che l'autografia fosse riconducibile al de cuius e l'altro consulente aveva attribuito la firma del testamento all'attore.
Va, sul punto, osservato che nell'ordinamento processuale civile manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze degli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale (Cass. 17392/2015; Cass. 13229/2015; Cass. 11775/2006; Cass. 20335/2004; Cass. 2168/2013; Cass. 132/2008; Cass. 22020/2007).
Il giudice civile può - inoltre - autonomamente valutare ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, le prove raccolte in un processo penale anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, poiché, tali elementi, una volta prodotti nel processo civile, entrano a far parte del "thema probandum" e sono soggetti alle regole del rito civile sull'acquisizione della prova; il mancato rispetto del contraddittorio nel procedimento penale è superato in sede civile dalla possibilità della parte di contestare i fatti così acquisiti con pienezza di facoltà difensive (Cass. 30298/2023; Cass. 3689/2021; Cass. 32784/2019; Cass. 12557/2014; Cass. n. 2168/2013).
Il giudizio sulla falsità del testamento impugnato è avvenuta, pertanto, sulla base di plurimi elementi che hanno concorso a formare il convincimento del giudice, con motivazione che si sottrae al vizio di apparenza, non essendo, peraltro censurabile il vizio di contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., ratione temporis applicabile (Cass. Sez. Unite n. 8053/2014).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 7 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2024.