È possibile ottenere l'assegno di mantenimento dopo lo scioglimento di un'unione civile se entrambi gli ex partner hanno difficoltà economiche?
La Cassazione civile, sez. I, con ordinanza n. 24930 del 17 settembre 2024, ha affrontato questo tema, fornendo chiarimenti importanti sul riconoscimento dell'assegno di mantenimento in caso di unioni civili.
La Suprema Corte ha ribadito che in materia di unioni civili vanno applicati i criteri previsti dall'art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970 sul divorzio, richiamato dall'art. 1, comma 25, della legge n. 76/2016, c.d. "Legge Cirinnà" (in tal senso vedi Cass. Sez. U. n. 35969/2023).
Il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore dell'ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede quindi l'accertamento:
Nel caso di specie, il Tribunale di Pisa aveva inizialmente disposto che l'ex partner corrispondesse un contributo mensile di 100 euro all'altra. Tuttavia, la Corte di appello di Firenze ha revocato tale obbligo, accertando che entrambe le parti versavano in condizioni economiche precarie. In particolare la partner obbligata era priva di redditi e gravata da debiti contratti durante l'unione civile, mentre la partner richiedente percepiva una pensione di invalidità e aveva lasciato volontariamente il lavoro per non perderla.
La Corte di Cassazione ha confermato questa decisione, sottolineando che il giudizio sull'assegno deve essere espresso attraverso una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, considerando il contributo di ciascuno alla vita familiare, la durata dell'unione e l'età dell'avente diritto.
In conclusione, se entrambi gli ex partner di un'unione civile si trovano in condizioni economiche precarie, l'assegno di mantenimento non può essere attribuito, poiché mancano i presupposti di legge previsti per il suo riconoscimento.
In caso di unioni civili, cui si applica l'art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970, richiamato dall'art. 25 della legge n. 76/2016 (Cass. Sez. U. n. 35969/2023), il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore dell'ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex partner istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno.
Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.
Cassazione civile, sez. I, ordinanza 17/09/2024 (ud. 03/07/2024) n. 24930
RILEVATO CHE
1.- Il Tribunale di Pisa, con sentenza n.1360/2022, pubblicata il 9 novembre 2022, pronunciò lo scioglimento dell'unione civile costituita tra Ca.Ni. e Le.Ri. in data 3 settembre 2017 e pose a carico di Le.Ri. l'obbligo di corrispondere un contributo mensile al mantenimento di Ca.Ni. di Euro 100,00, oltre adeguamento ISTAT.
La Corte di appello di Firenze, in sede di gravame, ha respinto l'appello principale con cui Ca.Ni. aveva chiesto l'incremento dell'assegno di mantenimento ed ha, viceversa, accolto l'appello incidentale con cui Le.Ri. aveva chiesto la revoca dell'obbligo posto a suo carico.
Segnatamente, la Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla valutazione degli elementi addotti a sostegno della richiesta di assegno, rimarcando che alcune delle circostanze allegate da Ca.Ni. era generiche e non decisive ai fini della doglianza proposta, segnatamente la circostanza che la stessa avesse in precedenza contratto un matrimonio eterosessuale nell'ambito del quale erano nate tre figlie e la circostanza che ella avesse investito affettivamente nella relazione di coppia; ha, inoltre, rilevato che il Tribunale aveva tenuto conto della malattia dedotta da Ca.Ni. (patologia depressiva) perché non contestata da Le.Ri., anche se non documentata, rimarcando tuttavia che ciò che non era stato provato era l'inabilità al lavoro, posto che era stato accertato lo svolgimento di attività lavorativa da parte di Ca.Ni. durante la unione civile, occupazione che aveva lasciato volontariamente per non perdere la pensione di invalidità.
La Corte di merito ha, tuttavia, accolto l'appello incidentale e revocato, come richiesto da Le.Ri., l'assegno di mantenimento ravvisando la mancanza dei presupposti richiesti; in particolare, ha accertato che l'obbligata era rimasta priva di redditi al momento della decisione di primo grado, pur avendo svolto in precedenza attività lavorativa, e che era gravata da una serie di debiti, contratti nel corso dell'unione civile, di guisa che la sostanziale e quasi totale assenza di redditi di entrambe le parti non consentiva di porre obblighi di sostegno economico a carico di Le.Ri.
Ca.Ni. ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi, seguito da memoria; Le.Ri. ha replicato con controricorso e memoria.
È stata disposta la trattazione camerale.
CONSIDERATO CHE
2.- Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115 c.p.c. e dell'art. 132 n. 4) c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 5) c.p.c. ed in particolare per avere la Corte d'Appello omesso l'esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: ossia non ha preso in considerazione dei fatti avvenuti prima dell'unione civile.
La ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto non decisive le vicende familiari, riguardanti il suo pregresso matrimonio eterosessuale da cui erano nate tre figlie e la sua decisione di trasferirsi a vivere con una figlia presso la compagna con cui aveva iniziato la nuova relazione regolata, poi con l'unione civile.
Lamenta anche che non si sia tenuto in debito conto della sua condizione di invalida civile e di quanto dedotto in merito all'inabilità al lavoro dalla stessa prospettata.
Il motivo è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 27/12/2016; Cass. n. 1229 del 17/01/2019). Nella specie, invece, il mezzo involge esclusivamente un apprezzamento di merito di cui sollecita una revisione, inammissibile in sede di ricorso per cassazione, senza, peraltro, indicare fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti tempestivamente dedotti e provati in fase di merito, veicolati con censura per vizio motivazionale.
3.- Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell'art. 156 co. 2 c.c., dell'art. 132 n. 4) in relazione all'art. 360 n. 3 e 4) nella parte in essa si sostiene che non vi sarebbe alcuna prova per ritenere la convenuta il soggetto più economicamente forte.
La ricorrente rimarca che l'assegno di mantenimento trova il proprio fondamento nel dovere di assistenza che grava sul coniuge (a prescindere dal sesso) economicamente più forte e deduce che avrebbe dovuto essere valutata non solo la durata dell'unione civile, ma anche la convivenza che la aveva preceduta.
Quindi si duole che non sia stata rettamente comparata la condizione economica delle due parti e deduce a tal fine che la resistente ha un lavoro, un'immobile abitativo suo personale (diverso da quello dove vivevano, che era stato concesso gratuitamente da una cugina della Le.Ri.), mentre essa ricorrente gode di una pensione di invalidità, non ha beni immobili, neppure un autoveicolo.
Il motivo è inammissibile.
In caso di unioni civili, cui si applica l'art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970, richiamato dall'art. 25 della legge n. 76/2016 (Cass. Sez. U. n. 35969/2023), il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore dell'ex partner, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex partner istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno, come chiarito da Cass. Sez. U. n. 18287 del 11/07/2018. Il giudizio deve essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto.
Nel caso in esame, la decisione impugnata si è attenuta ai criteri sopra ricordati ed ha accertato l'assenza dei presupposti richiesti, prendendo in esame la documentazione probatoria versata in atti da Le.Ri., dalla quale ha dedotto la sua totale assenza di redditi, con accertamento che non è efficacemente contrastato dalla ricorrente che propone personali prospettazioni e critiche non accompagnate dall'indicazione - in osservanza dell'onere di specificità - di specifici elementi probatori tempestivamente allegati a sostegno in fase di merito, atti a contrastare tale conclusione e non esaminati.
4.- Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
- Dichiara inammissibile il ricorso;
- Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio che liquida in Euro 2.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge.
- Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
- Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il giorno 3 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2024.