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Estratto conto ottenuto mediante home banking ha valore di prova?

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.2607 del 29/01/2024

Qual è il valore probatorio di estratti conti ricavati (e stampati) direttamente dal correntista avvalendosi del servizio di home banking cui sia stato abilitato dall'istituto di credito?

Al quesito risponde la Prima Sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 2607 depositata il 29 gennaio 2024.

La Suprema Corte  esamina la natura e l'efficacia probatoria degli estratti conto generati tramite home banking, considerati come riproduzioni di pagine web del database bancario. La questione si inserisce nel più ampio tema dell'impatto delle nuove tecnologie sul diritto processuale civile, con un focus specifico sulle prove precostituite. Queste ultime, che comprendono atti pubblici, scritture private e riproduzioni meccaniche, sono prove formate al di fuori del processo ma ammissibili in esso.

La Cassazione ha precisato che tali documenti digitali rientrano nella categoria di documento informatico, conformemente all'art. 1, lett. p), del D.Lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell'Amministrazione Digitale - CAD), definendo le pagine web come rappresentazioni informatiche di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.

Inoltre, stabilisce che, analogamente a e-mail e SMS, le pagine web sono documenti informatici non sottoscritti che godono dell'efficacia probatoria conferita dall'art. 2712 del codice civile, a patto che non siano oggetto di contestazioni chiare, circostanziate ed esplicite in merito alla loro conformità con gli archivi bancari.

La sentenza critica il tribunale di primo grado per aver ritenuto tali estratti conto digitali inammissibili come prova, solamente sulla base di una generica contestazione della banca. La Corte ribadisce che una contestazione, per essere considerata valida, deve essere chiara, circostanziata ed esplicita, e deve riferirsi specificatamente alla non conformità dei documenti rispetto agli archivi bancari.

In conclusione, la Corte di Cassazione afferma che la stampa dei movimenti contabili ottenuta tramite home banking rappresenta una copia analogica del documento informatico originale. Tale documento si presume conforme ai dati e alle operazioni riportati nelle scritturazioni del conto, a meno di contestazioni specifiche e circostanziate da parte dell'istituto bancario. Questo principio di diritto evidenzia l'evoluzione del sistema giuridico in risposta alle innovazioni tecnologiche, confermando la validità probatoria degli estratti conto digitali nei processi giudiziari.

Conto corrente bancario, movimenti contabili, stampa attraverso il servizio di home banking, valore probatorio

In tema di conto corrente bancario, la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking, rappresenta una copia (o estratto) analogica del documento informatico, non sottoscritto, costituito dalla corrispondente pagina web. Essa, pertanto, giusta l'art. 23 del D.Lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell'amministrazione digitale), si presume conforme, quanto ai dati ed alle operazioni in essa riportati, alle scritturazioni del conto stesso in mancanza di contestazioni chiare, circostanziate ed esplicite formulate dalla banca e riguardanti, specificamente, la loro non conformità a quelle conservate nel proprio archivio (cartaceo o digitale).

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Cassazione civile, sez. I, sentenza 29/01/2024 (ud. 08/01/2024) n. 2607

FATTI DI CAUSA


1. Il 28 agosto 2013 fu notificato a Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma. il decreto n. (Omissis), emesso dal Tribunale di Reggio Emilia su ricorso del Banco Popolare soc. coop. (poi divenuto Banco Popolare BPM s.p.a., d'ora in avanti, breviter, Banco), con il quale era stato ingiunto, a loro ed a Ma.Mi., il pagamento, in via solidale, in favore del Banco, di Euro 389.826,11, oltre interessi e spese della procedura monitoria. Tanto in virtù delle fideiussioni prestate dagli stessi per garantire le somme erogate dal menzionato creditore, giusta due contratti di mutuo, alla Calcestruzzi Val d'Enza s.r.l., all'epoca ammessa alla procedura di concordato preventivo avanti al medesimo tribunale.

1.1. Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma. proposero opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., eccependo, tra l'altro, che: i) la Calcestruzzi Val d'Enza s.r.l., al contrario di quanto affermato nel ricorso per ingiunzione, non fosse debitrice del Banco, bensì sua creditrice per circa Euro 271.953,65, per abusivi addebiti, a titolo di interessi, commissioni e tassi oltre-soglia, nell'andamento del conto corrente n. 1229, acceso presso la sua filiale di M ii) pochi giorni prima della notificazione del decreto suddetto, il co-fideiussore ingiunto Ma.Mi. aveva concluso una transazione con il Banco per il credito portato dall'ingiunzione, transazione di cui gli opponenti, invocando l'art. 1304 cod. civ., dichiararono di volersi avvalere; iii) era stato superato il termine legale per agire contro i fideiussori rispetto alla scadenza dell'obbligazione garantita; iv) l'ingiunzione avrebbe dovuto essere revocata quanto meno per la parte di debito pagato dal Ma.Mi.

1.1. Si costituì l'opposto, contestando le avverse argomentazioni ed affermando che la transazione conclusa con il Ma.Mi. era da intendersi "pro quota", con conseguente infondatezza dell'eccezione di controparte di cui all'art. 1304 cod. civ.

1.2. Esaurita l'istruttoria, nel corso della quale fu espletata una c.t.u. (al fine di verificare, "...sulla base della documentazione prodotta in atti, se vi sia stato il superamento dei tassi soglia rilevanti per l'usura sopravvenuta" e, in caso positivo, ricalcolare, "per ogni singolo periodo in cui sia rilevato il superamento del tasso soglia, il saldo depurato dagli interessi convenzionali" ed "i soli interessi legali relativamente al periodo in cui tale superamento si è verificato"), poi seguita da un supplemento di indagine affidato alla medesima consulente, l'adito tribunale, con sentenza del 13 marzo 2018, n. 358, accolse parzialmente l'opposizione, revocò l'ingiunzione opposta e condannò gli opponenti al pagamento della residua somma di Euro 249.826,11 (ottenuta detraendo da quella originariamente ingiunta l'importo di Euro 140.000,00 corrisposto dal condebitore Ma.Mi.), oltre interessi legali dal 25 luglio 2013 al saldo. Compensò, inoltre, i 2-5 delle spese di lite, ponendone la residua frazione a carico di Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma., unitamente a quelle della espletata c.t.u.

1.2.1. Ritenne quel giudice: i) quanto all'eccezione di compensazione relativa al rapporto di conto corrente n. 1229, che, "A prescindere dalle argomentazioni svolte dall'opposto, è assorbente il rilievo in ordine alla mancata produzione, da parte degli opponenti, di qualsivoglia estratto conto". Riferì, in proposito, che, "All'inizio delle operazioni peritali, il c.t. di parte opponente ha proposto che si tenesse conto dei dati inseriti nella perizia di parte da lui stesso elaborata (...), i quali sarebbero stati ottenuti "scaricando i files elettronici di Banco popolare dall'home banking in dotazione alla Calcestruzzi Val d'Enza". Il c.t. della Banca si è opposto rilevando che il quesito richiedeva una soluzione basata sulla documentazione in atti, non potendosi ritenere una perizia di parte equipollente agli estratti conto. Non avendo, poi, il c.t. di parte opposta prestato consenso all'acquisizione degli estratti conto ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il c.t.u. ha ritenuto di interpellare il giudicante: "informato dell'assenza agli atti della documentazione bancaria relativa al rapporto di conto corrente, il G.I. ha confermato che il quesito prevedeva la sola indagine sui documenti prodotti in causa" (...). Il c.t.u. ha, quindi, concluso di non essere in grado di svolgere l'indagine circa un eventuale superamento dei tassi soglia nel rapporto di conto corrente n. 1129. Ora, a prescindere da quanto sarebbe stato riferito informalmente dal giudice al c.t.u., si ritiene del tutto condivisibile la posizione assunta dal perito". Considerò, inoltre, "capziosa (...) l'argomentazione in ordine alla natura documentale dei movimenti allegati alla perizia di parte. Invero, non rileva che questi siano ontologicamente documenti o meno, quanto, invece, il peso probatorio degli stessi. Una mera stampata dei movimenti bancari, asseritamente estratti dal sistema di home banking, rappresenta sì un documento, ma liberamente elaborato dalla parte che lo produce, non avendo una chiara provenienza dall'istituto bancario ed essendo comunque modificabile. Specialmente a fronte di espressa contestazione, quindi, non si può sostenere che esso supplisca alla mancata produzione degli estratti conto. Peraltro, avendo chiesto il c.t. di parte attrice di esibire al c.t.u. gli estratti conto, che quindi sarebbero nella disponibilità degli opponenti, non si comprende proprio per quale motivo parte opponente non li abbia tempestivamente depositati al fine di corroborare le proprie domande. Né, da ultimo, tale (opinabile) scelta può giustificare un'elusione dell'onere probatorio"; ii) quanto alla pretesa duplicazione degli interessi di mora, che era "pacifico che i mutui erano regolati sul conto corrente n. 1229" e che "Non merita accoglimento la tesi di parte opponente secondo cui sarebbe illegittimo l'addebito di interessi di mora sul saldo passivo del conto corrente, costituito anche dalle rate insolute dei mutui e dai relativi interessi passivi"; iii) quanto alla pretesa usura nei contratti di mutuo, ne escluse la configurabilità al momento della loro conclusione, altresì precisando che, "anche qualora ciò fosse stato accertato nel corso dei rapporti contrattuali (e così non è), il rilievo non comporterebbe alcuna conseguenza in termini di nullità o inefficacia della clausola determinativa degli interessi, né cagionerebbe il venir meno del diritto della Banca a richiedere (o a trattenere, nel caso concreto) le somme addebitate a titolo di interessi passivi", come sancito da Cass., SU, n. 24675 del 2017; iv) quanto alla transazione conclusa da Ma.Mi. ed il Banco, della quale gli opponenti avevano dichiarato di volersi avvalere ex art. 1304 cod. civ., che la stessa, diversamente da quanto preteso da questi ultimi, doveva intendersi aver riguardato soltanto la quota del menzionato condebitore, sicché "il debito residuo dei condebitori non transigenti deve essere ridotto in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato da colui che ha transatto"; v) quanto, infine, all'eccezione degli opponenti ex art. 1957 cod. civ. (asserita tardività dell'azione del creditore), rimarcò che le parti avevano espressamente derogato alla norma di legge e che Calcestruzzi Val d'Enza s.r.l. era sottoposta a procedura di concordato preventivo, radicata con ricorso depositato il 15.6.11 ed omologato il 18.2.2012. Puntualizzò, quindi, che "La comunicazione di decadenza dal beneficio del termine relativa ai mutui è stata inviata il 2.2.11 e ricevuta da Calcestruzzi Val d'Enza il 7.2.11 (...). Considerato che non può essere instaurata o proseguita esecuzione individuale una volta proposta domanda di ammissione a concordato preventivo ai sensi dell'art. 168 L.fall., si evince che non è mai spirato il termine previsto dell'art. 1957-1 c.c.".

2. Il gravame promosso da Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma. contro tale decisione fu dichiarato inammissibile, ex art. 348-bis cod. proc. civ. (nel testo anteriore alla sua modificazione disposta dal D.Lgs. n. 149 del 2022), dall'adita Corte di appello di Bologna, con ordinanza del 19 febbraio 2019, n. 1033 rep., resa nel contraddittorio con il Banco BPM s.p.a.

2.1. Per quanto qui di residuo interesse, ed in estrema sintesi, quella corte osservò, innanzitutto, che "l'appellante contesta con i motivi di appello:

l'erronea valutazione del tribunale in ordine agli effetti della transazione raggiunta con Ma.Mi., quarto condebitore solidale, per l'importo di Euro 140.000, riferita unicamente alla quota di quest'ultimo; il mancato accoglimento dell'eccezione di compensazione rispetto al credito vantato dalla società Calcestruzzi Val d'Enza verso il Banco; la decisione (sfavorevole) sulla produzione degli estratti conto con la seconda memoria, nonostante la non contestazione del Banco; in generale, l'interpretazione dell'onere della prova effettuata dal tribunale; il rigetto dell'istanza di ricusazione del c.t.u. nonostante l'esistenza di una causa pendente tra le parti; la questione della regolazione sul conto corrente anche dei mutui; la violazione e-o errata applicazione dell'articolo 1957 c.c. alla luce della eccepita inefficacia e-o nullità della clausola di deroga; l'errata pronuncia sulle spese di lite con erronea individuazione dello scaglione di riferimento".

2.1.1. Opinò, poi, che "l'impugnazione in oggetto non ha una ragionevole probabilità di essere accolta in base a quanto di seguito osservato: (i) deve essere ribadita la correttezza della sentenza laddove ha applicato al caso di specie la dominante interpretazione dell'articolo 1304, 1° comma, c.c. (per cui la norma si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l'intero credito e non la sola quota del debitore con cui si è stipulata), che l'ha portata a ritenere che il Ma.Mi., con la transazione, avesse versato un importo superiore alla sua quota ideale di debito (25% di Euro 394.314,83, corrispondente ad Euro 98.578,70) con la conseguenza della revoca del decreto ingiuntivo e della rideterminazione dell'importo a credito per la banca; senza considerare le deduzioni del Banco che, sul punto, rileva che il Ma.Mi. aveva anche una sua propria esclusiva obbligazione di garanzia; (ii) circa l'eccezione di compensazione con le somme a cui la società avrebbe, in tesi, diritto per l'illegittimo addebito di interessi anatocistici ed usurari, pare a questa corte assorbente il rilievo effettuato dal primo giudice sulla mancata produzione, da parte degli opponenti, onerati della prova in quanto divenuti - su tale questione - attori sostanziali, di qualsiasi estratto conto, a nulla rilevando la produzione documentale effettuata mediante documenti di non sicura provenienza e concretamente contestati dalla Banca; in ogni caso, il tribunale ha valutato il mancato superamento del tasso soglia sia con riferimento al finanziamento del 22 febbraio 2005, sia con riferimento a quello stipulato il 13 ottobre 2006; (iii) il tribunale ha poi correttamente motivato sul rigetto dell'asserito illegittimo addebito di interessi di mora sul saldo passivo del conto corrente costituito anche dalle rate insolute dei mutui e dei relativi interessi passivi, per il fatto che si trattava di contratti distinti aventi differente natura e disciplina e che la parte mutuataria era ben a conoscenza delle condizioni contrattuali che regolavano il conto corrente e l'eventuale scoperto; (iv) l'ordinanza di rigetto della ricusazione del c.t.u. non è stata contestata e appare inverosimile sostenere che il c.t.u. che sia costretto ad agire giudizialmente per ottenere il proprio compenso, non corrisposto, si trovi in una situazione di grave inimicizia con la parte che sarebbe tenuta al pagamento; (v) il rigetto dell'eccezione di decadenza del creditore dal diritto di aggredire i fideiussori appare fondato non solo dalla pendenza del concordato preventivo per la società garantita, che precludeva al creditore di aggredire il patrimonio del proprio debitore, lasciandogli unicamente la facoltà di far accertare il proprio credito al fine di partecipare al concorso, ma anche per il fatto che le parti avevano derogato consensualmente al termine previsto dall'articolo 1957 c.c., trattandosi di norma non di interesse pubblico e quindi derogabile ed essendo la relativa clausola ritenuta dalla giurisprudenza non particolarmente onerosa e perciò non bisognevole di espressa approvazione per iscritto (derivandone la infondatezza degli argomenti contrari degli opponenti); (vi) con riferimento alle spese, il tribunale ha indubbiamente tenuto conto delle somme controverse e non di quelle oggetto di effettiva condanna, considerando sia la fondatezza delle pretese della banca opposta che l'intervenuto pagamento a titolo transattivo solo a seguito della notifica del decreto ingiuntivo; d'altro canto, il primo giudice avrebbe potuto non provvedere ad alcuna compensazione considerata la sostanziale integrale soccombenza dei fideiussori".

3. Per la cassazione di questa ordinanza, nonché, ex art. 348-ter, comma 3, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 149 del 2022), della sentenza di primo grado, hanno proposto ricorso Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma., affidandosi a tredici motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso il Banco BPM s.p.a. (già Banco Popolare soc. coop.).

3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, originariamente investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 19 giugno-17 luglio 2023, n. 20459, ha ritenuto "meritevole di approfondimento il tema riguardante il regime giuridico ed il valore probatorio di estratti conti ricavati (e stampati) direttamente dal correntista avvalendosi del servizio di home banking cui sia stato abilitato dall'istituto di credito. Invero: i) non si rinvengono precedenti specifici di questa Corte sulla valenza probatoria degli estratti non cartacei, soggetti alla disciplina della trasmissione ed approvazione di cui all'art. 1832 cod. civ., ma stampati dallo stesso archivio della banca, tramite, appunto, il servizio di home banking; ii) la relativa questione, come appare assolutamente ragionevole stante la sempre maggiore diffusione di tale servizio telematico, potrà ragionevolmente riproporsi in altre controversie; iii) occorre verificare l'utilizzabilità, anche per la copia telematica dell'estratto conto, del principio della presunzione di veridicità delle scritturazioni del conto, quando il cliente, ricevuto l'estratto o documento equipollente, non sollevi specifiche contestazioni in proposito (cfr. Cass. 29415-2020): alteris verbis, va meditata la valenza, o meno, di tale principio nelle ipotesi in cui l'estratto non sia comunicato, ma direttamente visionato e stampato dal cliente della banca e, successivamente, prodotto in giudizio; iv) deve indagarsi, inoltre: iv-a) la possibilità di attribuire autenticità alla videata in sé oppure soltanto se mediante ulteriori accorgimenti, individuandone, eventualmente, le tipologie; iv-b) la forma e la portata delle contestazioni che la banca è tenuta a muovere nei confronti di un siffatto documento di origine telematica". Pertanto, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendone, appunto, la trattazione in pubblica udienza, in occasione della quale entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va ribadito, pregiudizialmente, che, come già chiarito nella citata ordinanza interlocutoria n. 20459 del 2023, il ricorso per cassazione, con il quale siano impugnate congiuntamente la sentenza di primo grado e l'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348-bis cod. proc. civ., deve contenere la trattazione separata delle censure indirizzate a ciascuno dei due provvedimenti e, ove sia ritenuta l'esistenza di un identico errore, deve individuare ed illustrare tale identità, così da consentire di distinguere quale sia la critica da riferire all'uno e quale all'altro di essi, essendo in mancanza il ricorso inidoneo a raggiungere il suo scopo, che è quello della critica al provvedimento impugnato (cfr. Cass. n. 25297 del 2022; Cass. n. 12440 del 2017).

1.1. Una siffatta modalità di redazione del ricorso è stata puntualmente osservata, nella specie, posto che i primi quattro motivi di quest'ultimo si rivolgono contro l'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ. del 19 febbraio 2019, n. 1033 rep., mentre gli altri sono diretti tutti contro la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Reggio Emilia il 13 marzo 2018, n. 358.

2. Orbene i suddetti primi quattro motivi denunciano, rispettivamente, in sintesi:

I) "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 348-bis e dell'art. 348-ter c.p.c. e dell'art. 101 c.p.c., in relazione all'art. 111, comma 7, Cost. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.", contestandosi alla corte felsinea di avere consentito la trattazione della causa prima di pronunciare la decisione di inammissibilità dell'appello;

II) "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 348-bis, dell'art. 348-ter c.p.c. e degli artt. 345 e 183c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.". Si assume che, in un passaggio motivazionale dell'ordinanza suddetta, la corte d'appello ha integrato la decisione del Tribunale di Reggio Emilia circa il carattere pro quota della transazione conclusa dal Banco con il Ma.Mi., aggiungendo un'argomentazione estranea ed ulteriore ("(...); senza considerare le deduzioni del Banco che sul punto rileva che il Ma.Mi. aveva anche una sua propria esclusiva obbligazione di garanzia") rispetto al contenuto della sentenza ivi gravata, così facendo diventare autonomamente impugnabile anche la menzionata ordinanza giusta quanto sancito da Cass. n. 4236 del 2019. Si sostiene, inoltre, che, così operando, la corte distrettuale aveva consentito alla banca di aggirare le preclusioni di cui agli artt. 183 e 345 cod. proc. civ., allargando il thema decidendum a circostanze mai allegate dall'odierna parte controricorrente prima della comparsa di appello. La stessa corte, peraltro, aveva "argomentato in modo insanabilmente contraddittorio il rigetto-inammissibilità del motivo di appello, assumendo, da un lato, che Ma.Mi. ha "versato una quota un importo superiore alla sua quota ideale di debito (25% di Euro 394.314,83, corrispondente ad Euro 98.578,70)", come aveva scritto la sentenza del Tribunale; dall'altro, che ci fossero fideiussioni ulteriori, tali per cui Ma.Mi. - come scrive la banca in comparsa d'appello, alla pagina n. 7 - avrebbe pagato transattivamente una somma inferiore rispetto al proprio debito complessivo (così pervenendo alla "concessioni" di cui l'appello dei Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma. lamentava la mancanza)";

III) "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 348-bis e dell'art. 348-ter c.p.c. e degli artt. 112 e 352c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.", per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sul motivo di appello relativo alle conseguenze della rinuncia, avanti al tribunale, da parte del Banco, a somme da esso richieste in primo grado;

IV) "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 4 del D.M. Giustizia n. 55 del 2014 e della tabella n. 12 allegata al citato decreto - Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.". Si sostiene che la liquidazione dei compensi rinvenibile nell'ordinanza de qua eccede il quantum previsto dal D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dell'attività svolta dalla parte vittoriosa e dei parametri indicati nella motivazione dell'ordinanza stessa.

2.1. Allo scrutinio di queste doglianze giova premettere che: i) l'impugnazione per cassazione, ex art. 111, comma 7, Cost., dell'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ. (nella formulazione, qui applicabile ratione temporis, previgente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 149 del 2022) è consentita solo quando questa sia inficiata da "vizi suoi propri", vale a dire quando sia stata pronunciata al di fuori dei casi in cui la legge la consenta, oppure quando presenti vizi processuali (cfr. Cass. n. 30759 del 2023; Cass.

n. 35279 del 2022; Cass, SU, n. 1914 del 2016), - quali, per mero esempio, l'inosservanza delle specifiche previsioni di cui all'art. 348-bis comma 2, cod. proc. civ., ed all'art. 348-ter comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 149 del 2022), - purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso. Pertanto, l'ordinanza di ammissibilità ex art. 348-bis cod. proc. civ. può essere impugnata in Cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., per tutti gli errores in procedendo relativi al mancato rispetto delle specifiche previsioni di cui all'art. 348-bis cod. proc. civ., quindi, nel caso in cui non siano state ascoltate le parti prima dell'adozione del provvedimento, o quando l'inammissibilità venga dichiarata oltre l'udienza di cui all'art. 350 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 25297 del 2022); ii) non sono deducibili, invece, errores in iudicando, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., né vizi di motivazione, salvo il caso della motivazione mancante sotto l'aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ovvero di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (cfr. Cass. n. 20861 del 2018, ribadita, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 25297 del 2022 e Cass. n. 30759 del 2023); iii) la statuizione sulle spese contenuta nell'ordinanza di cui all'art. 348-bis cod. proc. civ. può essere rimessa in discussione soltanto se, una volta ammessa l'impugnabilità dell'ordinanza medesima, l'impugnazione venga accolta oppure se vi sia stata impugnazione con espresso riguardo a detta statuizione, per esempio da parte del vincitore che lamenti una compensazione ovvero una liquidazione inferiore al minimo previsto o anche da parte del soccombente che lamenti la liquidazione eccessiva (cfr. Cass. n. 25297 del 2022).

3. Alla stregua, quindi, dei riportati principi, che il Collegio condivide ed intende ribadire, il descritto primo motivo di ricorso è infondato, posto che - come emerge dal tenore letterale del verbale di udienza del 19 febbraio 2019 riprodotto in ricorso dagli stessi ricorrenti ("Oggi all'udienza del 19-2-19 è comparso l'Avv. Alberto Neri, per l'appellata Banco BPM s.p.a., il quale deposita fascicolo cartaceo del processo di primo grado, si riporta alla comparsa depositata ed insiste come in essa dedotto. È comparso, altresì, l'Avv. Basili Francesco, in sostituzione dell'Avv. Guaraldi Bruno, per gli appellanti, il quale insiste per l'accoglimento dell'istanza di sospensione della sentenza impugnata e chiede fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni. L'Avv. Alberto Neri si oppone all'istanza e insiste per l'inammissibilità dell'appello ex 348-bis.") - la corte felsinea ha pronunciato l'ordinanza oggi impugnata proprio all'udienza di cui all'art. 350 cod. proc. civ., fissata nella citazione in appello, e dopo aver sentito le parti, come, appunto, prevede l'art. 348-ter cod. proc. civ. (nel già richiamato testo qui applicabile ratione temporis). Del resto, l'assoluta genericità di quanto scritto nel riportato verbale di udienza consente di escludere, affatto ragionevolmente, che si sia svolta, in quella sede, un'effettiva "trattazione" della causa. Non merita seguito, infine, l'assunto dei ricorrenti, - peraltro esposto, per la prima volta, solo nella memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. del 9 giugno 2023, benché quest'ultima, come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, non possa contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte (cfr., ex multis, Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass., SU, n. 11097 del 2006) - circa un'asserita nullità dell'ordinanza in esame per non essere gli stessi stati sentiti "sulla sussistenza dei presupposti per la declaratoria di inammissibilità dell'appello". Invero, come emerge dalla motivazione della stessa Cass. n. 16060 del 2020, da loro invocata, "ciò che ha rilievo ai fini del disposto ex art. 348-bis cod. proc. civ. è, non già, che, in concreto, le parti discutano avanti la Corte la questione de qua, bensì che siano state poste in grado di farlo. Difatti, non a caso la norma testualmente recita "sentite le parti", ossia utilizza locuzione che non impone l'espletamento di apposita e strutturata fase processuale nel quale svolgere il contraddittorio fra le parti al riguardo, bensì lumeggia la sola necessità di assumere il loro parere sul punto, quando ritengano di esporlo. Dunque, ciò che assume dirimente rilievo è che la questione sia stata sottoposta tempestivamente alle parti per stimolare il loro apporto al riguardo, non anche che si svolga formale interpello delle stesse con necessaria espressa loro presa di posizione al riguardo. L'unico obbligo - sanzionato con la nullità dell'ordinanza ex Cass., sez. 3, 20758-17 - per il Giudice d'appello è sentire le parti dopo che la questione sia stata sottoposta al loro contraddittorio o ex officio dal Giudice ovvero come invito al Giudice di avvalersi dell'istituto sotto forma di istanza proposta dalla parte appellata nella comparsa di risposta tempestivamente depositata". Nella specie, come chiaramente si desume dal riportato tenore letterale del verbale di udienza del 19 febbraio 2019, il difensore del Banco appellato, ivi presente, chiese specificamente la declaratoria di "inammissibilità dell'appello ex 348-bis", sicché la corrispondente questione doveva intendersi essere stata ritualmente sottoposta al contraddittorio tra le parti. Tanto è sufficiente, quindi, per ritenere che anch'essa costituisse oggetto d'esame e potesse dalle stesse, e dalla corte di appello, essere trattata.

3.1. Parimenti infondato, poi, è il secondo motivo di ricorso, posto che, da un lato, il chiaro tenore letterale dell'affermazione della corte distrettuale - "(...); senza considerare le deduzioni del Banco che sul punto rileva che il Ma.Mi. aveva anche una sua propria esclusiva" - cui i ricorrenti attribuiscono valore di motivazione aggiuntiva (rispetto a quella della sentenza di primo grado sulla medesima questione) dell'ordinanza oggi impugnata, lascia intendere, invece, che la corte non abbia integrato alcunché; dall'altro, ed in via assolutamente dirimente, che costituisce principio giurisprudenziale consolidato di legittimità, qui condiviso, quello per cui l'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348-bis cod. proc. civ. non è impugnabile con ricorso per cassazione quando confermi le statuizioni di primo grado, pur se attraverso un percorso argomentativo "parzialmente diverso" da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi, in tale ipotesi, una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa, né sostanziale, né processuale (cfr. Cass. n. 13835 del 2019 e Cass. n. 23334 del 2019, entrambe ribadite, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 25297 del 2022). A tanto va solo aggiunto che: i) Cass. n. 26277 del 2023 ha opportunamente puntualizzato che "L'ordinanza che dichiara l'inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c. (nella formulazione previgente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 149 del 2022) per la mancanza di una ragionevole probabilità di essere accolto, fondata su argomentazioni estranee alla pronuncia di primo grado, non è impugnabile per cassazione né con regolamento di competenza, perché la possibilità che la pronuncia di secondo grado possa basare il giudizio pronostico su ragioni diverse da quelle prese in considerazione dal giudice di primo grado è presupposta dall'art. 348-ter c.p.c., che regolamenta diversamente i casi in cui, con riferimento al giudizio di fatto, tali ragioni siano o meno identiche"; ii) non costituisce vizio proprio dell'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 348-bis cod. proc. civ., deducibile come motivo di ricorso per cassazione, la circostanza che il giudice di appello abbia motivato diffusamente le ragioni per le quali l'appello non aveva ragionevole probabilità di accoglimento, posto che l'eccesso motivazionale non può essere causa di nullità di un provvedimento giudiziario, e tanto meno dell'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ., sia perché non nuoce al soccombente, sia perché non impedisce il raggiungimento dello scopo (cfr. Cass. n. 4870 del 2019)

3.1.1. Né può condividersi l'assunto per cui la corte di appello avrebbe accolto una censura non formulata in primo grado, atteso che la domanda svolta dal Banco contro i garanti esplicitava, già in ricorso monitorio, il proprio fondamento su varie fideiussioni (cfr. pag. 13 dell'odierno ricorso, in cui è riportata la relativa parte del ricorso monitorio in cu si legge: "a garanzia delle obbligazioni tutte della Società sono state rilasciate fideiussioni fino alla concorrenza della somma di Euro 600.000,00, in ordine al rapporto di cui sopra sub a1, e fino alla concorrenza della somma di Euro 160.000,00 in ordine al rapporto di cui sopra di cui sub a2, da parte di Mo.Ba. ..., Ar.Ma., ..., Mo.Lo., ..., Ma.Mi., ... (all. doc. nr. 6)").

3.1.2. Si è già detto, infine, che, contro l'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ., non sono deducibili, vizi di motivazione, salvo le ipotesi (assolutamente inconfigurabili nel passaggio motivazionale della corte distrettuale qui censurato) della motivazione mancante sotto l'aspetto materiale e grafico, della motivazione apparente, del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ovvero di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (cfr. Cass. n. 20861 del 2018, ribadita, in motivazione, ribadita, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 25297 del 2022 e Cass. n. 30759 del 2023).

3.2. Il terzo motivo di ricorso, invece, è insuscettibile di accoglimento nel suo complesso, atteso che, per un verso, come condivisibilmente puntualizzato da Cass., SU, n. 1914 del 2016, "L'ordinanza di inammissibilità dell'appello resa ex art. 348-ter c.p.c. non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., ove si denunci l'omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio "prognostico" che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione"; per altro verso, poi, va rimarcato che quanto dedotto dal Banco nella sua terza memoria ex art. 183 comma 6, cod. proc. civ. (come riportato dai ricorrenti alla pagina 20 del proprio odierno ricorso: "Ma, anche ammettendo che quanto sostenuto nei documenti prodotti ex adverso valga qualcosa e che la Banca debba avere meno Euro 4.796,66 per il mutuo 492004 e meno Euro 2.839,33 per il mutuo 492005, ed, ad essere generosi, meno Euro 388,01 per interessi e meno Euro 737,90 per interessi di mora fino al 30.06.2011 (ciò senza alcuna ammissione), se il Giudicante vorrà spedire la causa in decisione si rinuncia espressamente a dette somme"), altro non era che una rinuncia condizionata al fatto che si verificasse l'ipotesi per cui la causa fosse andata immediatamente in decisione. Condizione, invece, non avveratasi, attesa l'istruttoria disposta, mediante l'espletamento di una c.t.u. contabile e successiva richiesta di suo supplemento, da parte del tribunale.

3.3. Inammissibile, infine, è il quarto motivo di ricorso.

3.3.1. Invero, secondo i parametri indicati dalla stessa parte ricorrente (D.M. n. 55 del 2014; controversie di valore ricompreso tra Euro 52.001,00 ed Euro 260.000,00) - e conteggiandosi le sole voci "Fase di studio della controversia", "Fase introduttiva del giudizio" e "Fase decisionale", non anche la "Fase istruttoria e-o di trattazione", perché incompatibile con il modello decisionale ex artt. 348-bis e 348-ter cod. proc. civ. (nei richiamati, rispettivi testi, qui applicabili ratione temporis), - il compenso massimo sarebbe stato pari ad Euro 14.988,00, quello minimo a 4.997,00. La corte di appello ha liquidato, invece, Euro 10.000,00, sostanzialmente giungendo ad una quantificazione secondo valori medi (pari ad Euro 9.991,00), dovendo qui solo ricordarsi che, come già sancito da questa Corte, "In tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente" (cfr. Cass. n. 14198 del 2022).

3.3.2. La censura lamenta un'asserita violazione dei parametri in forza dell'inciso - rinvenibile nell'ordinanza qui impugnata - "pur dovendosi tenere conto della più sollecita definizione del processo". Così facendo, tuttavia, mira, in realtà, ad una inammissibile rivisitazione della liquidazione posta in essere dal giudice di merito, in quanto il liquidato è, come si è visto, perfettamente rientrante nei parametri applicabili.

4. Passando, dunque, all'esame dei residui motivi di ricorso, tutti rivolti contro la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Reggio Emilia il 13 marzo 2018, n. 358, il quinto di essi, rubricato "Violazione e-o falsa applicazione degli artt. 1304,1292,1298,1367,1419,1965 e 1299 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.", lamenta la violazione dell'art. 1304 cod. civ. e di altre regole legali di interpretazione dei negozi, per avere il Tribunale di Reggio Emilia erroneamente rigettato l'eccezione di estinzione del credito per effetto della intervenuta transazione del condebitore solidale Ma.Mi. con il Banco. In particolare, i ricorrenti, dopo aver riportato le argomentazioni poste da quel giudice a fondamento del proprio convincimento secondo cui, nella specie, in applicazione dei princìpi desumibili da Cass., SU, n. 30174 del 2011, detta transazione, diversamente da quanto ivi preteso dagli opponenti, doveva intendersi aver riguardato soltanto la quota del menzionato condebitore, sicché, "il debito residuo dei condebitori non transigenti deve essere ridotto in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato da colui che ha transatto", hanno insistito sull'assunto per cui "La transazione conclusa dal Banco con Ma.Mi. era - certamente - sull'intero debito: da ciò, per norma e per giurisprudenza delle Sezioni Unite, avrebbe dovuto discendere l'estinzione del debito degli attori in opposizione". Hanno aggiunto, poi, che, "Se così non fosse, la transazione tra Ma.Mi. e la banca sarebbe nulla per assenza delle concessioni in capo al Banco, da cui, la violazione dell'art. 1367 c.c. (e dell'art. 1419 c.c.). Se Ma.Mi. ed il Banco - ciascuno assistito da difensori tecnici, peraltro, come dà conto lo stesso negozio - avessero stipulato una transazione sulla sola quota ideale del debitore, come sostiene la sentenza, di tutta evidenza, saremmo stati davanti ad una transazione nulla, in quanto, ex latere banca, sarebbero completamente assenti le "concessioni" di cui all'art. 1965, comma 1, c.c. in quanto essa libera un debitore ricevendo un pagamento superiore a quella che sarebbe stata la sua quota di debito".

4.1. Tale doglianza si rivela complessivamente inammissibile alla stregua delle dirimenti considerazioni di cui appresso.

4.2. Il tribunale emiliano ha fornito una giustificazione certamente in linea con il minimo costituzionale imposto da Cass., SU, n. 8053 del 2014 quanto al proprio espresso convincimento circa il fatto che la transazione suddetta doveva intendersi aver riguardato soltanto la quota del condebitore Ma.Mi. È noto, peraltro, che: i) spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti; ii) giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 6073 del 2023; Cass. n. 4784 del 2023; Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011; Cass. n. 17145 del 2006; Cass. n. 12121 del 2004; Cass. n. 1374 del 2002; Cass. n. 13359 del 1999).

4.3. Va ricordato, poi, che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 30878 del 2023; Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 13005 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass. n. 35787 del 2022; Cass. n. 35041 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 19146 del 2022; Cass. n. 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021; Cass. n. 25470 del 2019; Cass. n. 14938 del 2018; Cass. n. 25470 del 2019), il sindacato di legittimità sull'interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi - al di là della indicazione degli articoli di legge in materia - in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell'osservanza del principio dell'autosufficienza, il testo dell'atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (su tali principi, cfr., ex plurimis, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018, in motivazione; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023, in motivazione).

4.3.1. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr., ex aliis, Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).

4.3.2. La censura, poi, neppure può essere formulata mediante l'astratto riferimento a dette regole, essendo imprescindibile, come si è già anticipato, la specificazione dei canoni in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l'interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest'ultima non deve essere l'unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni (cfr. Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).

4.3.3. Nel quadro dei riportati princìpi, risulta chiaro che il motivo in esame si risolve in una sostanziale, inammissibile, rivisitazione del merito, attraverso la proposizione di una interpretazione di clausole contrattuali, in senso favorevole agli istanti, diversa da quella, da essi contestata, preferita dal tribunale, e mediante la riproduzione nel ricorso - onde sottoporle al riesame della Corte, parimenti inammissibile in questa sede - di contratti, scritti difensivi e stralci della decisione di primo grado.

4.4. Resta solo da dire, infine, con riguardo alla parte finale della censura in esame (cfr. pag. 29 e ss. del ricorso), che il profilo, ivi invocato, concernente l'asserita nullità della transazione di cui si discute, non risulta essere stato oggetto del processo di primo grado, né di quello di impugnazione.

4.4.1. Orbene, per giurisprudenza pacifica di questa Corte (cfr. ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021, Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d'ufficio (cfr. Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; 7981-07; Cass. 16632-2010). In quest'ottica, la parte ricorrente ha l'onere - nella specie rimasto assolutamente inadempiuto - di riportare, a pena d'inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018).

4.5. È doveroso ricordare, da ultimo, che le Sezioni Unite di questa Corte si sono occupate ampiamente del problema della rilevabilità d'ufficio delle nullità contrattuali (sentenza 12 dicembre 2014, n. 26242, i cui principi sono stati successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251 del 2018, Cass. n. 26495 del 2019, Cass. n. 20170 del 2022 e Cass. n. 28377 del 2022).

4.5.1. In quella sentenza è stato affermato, tra l'altro, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo.

4.5.2. Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l'esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista - per così dire - quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d'ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già allegati (cfr., nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. n. 35782 del 2023).

4.5.3. Nel caso in esame, l'accertamento sulla fondatezza, o non, dell'eccezione di nullità di cui qui si discute poggia su circostanze di fatto (quelle configuranti la pretesa assenza di concessioni ex art. 1965 cod. civ.) che gli odierni ricorrenti avrebbero dovuto introdurre già in primo grado. Essi, in altri termini, avrebbero dovuto tempestivamente allegare, già innanzi al tribunale, i fatti costitutivi funzionali a fondare la legittimità di una successiva rilevazione officiosa della nullità della transazione oggi invocata pur in assenza di una tempestiva domanda formulata in tal senso. Dalla decisione impugnata, tuttavia, tanto non risulta, né i ricorrenti, in questa sede, hanno specificamente dedotto di averlo fatto, indicando il corrispondente atto processuale in cui ciò sarebbe accaduto.

5. Il sesto motivo di ricorso, rubricato "Violazione e-o falsa applicazione degli artt. 115,116 e 183, comma 6, c.p.c. e degli artt. 1241, 1247 e 2712 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.", ascrive al tribunale di aver erroneamente rigettato l'eccezione di compensazione formulata dagli odierni ricorrenti, opponenti in primo grado, sulla base dell'esistenza, non efficacemente contestata dal Banco, di un controcredito superiore alla domanda di quest'ultimo. Viene censurata l'omessa valutazione delle risultanze di prove ammissibili ed il cui contenuto era stato oggetto di tempestiva allegazione da parte dei medesimi opponenti, non specificamente contestata dal Banco. In particolare, vengono criticate le affermazioni del tribunale secondo cui: i) "A prescindere dalle argomentazioni svolte dall'opposta, è assorbente il rilievo in ordine alla mancata produzione, da parte degli opponenti, di qualsivoglia estratto conto" (cfr. pag. 6 della sentenza di primo grado); ii) "Parte opposta ha, quindi, espressamente e chiaramente contestato la valenza probatoria della perizia di parte, mettendo poi in forte evidenza la mancata produzione, da parte degli opponenti, degli estratti conto, unici documenti che - s'intuisce chiaramente - la Banca ritiene probatoriamente efficaci quanto alle vicende del rapporto di conto corrente. Non si può, quindi, affermare che "la contestazione della Banca si è limitata ad una semplice negazione della valenza processuale degli stessi", né, per altro verso, ragionevolmente richiedere alla Banca - a fronte di precisa contestazione - di obiettare anche sulla "fonte" di tali dati. Capziosa, infine, l'argomentazione in ordine alla natura documentale dei movimenti allegati alla perizia di parte. Invero, non rileva che questi siano ontologicamente documenti o meno, quanto invece il peso probatorio degli stessi. Una mera stampata dei movimenti bancari, asseritamente estratti dal sistema di home banking, rappresenta sì un documento, ma liberamente elaborato dalla parte che lo produce, non avendo una chiara provenienza dall'istituto bancario ed essendo comunque modificabile. Specialmente a fronte di espressa contestazione, quindi, non si può sostenere che esso supplisca alla mancata produzione degli estratti conto. Peraltro, avendo chiesto il c.t. di parte attrice di esibire al c.t.u. gli estratti conto, che quindi sarebbero nella disponibilità degli opponenti, non si comprende proprio per quale motivo parte opponente non li abbia tempestivamente depositati al fine di corroborare le proprie domande. Né da ultimo tale (opinabile) scelta può giustificare un'elusione dell'onere probatorio".

5.1. Questa doglianza - in relazione alla quale l'ordinanza interlocutoria n. 20459 del 2023 ha ritenuto opportuna la trattazione in pubblica udienza sulle questioni, ivi specificamente indicate, già ricordate nel par. 3.1. dei "Fatti di causa" (da intendersi qui riprodotto) - si rivela meritevole di accoglimento nei sensi di cui appresso.

5.2. È opportuno, innanzitutto, chiarire in cosa consisteva la documentazione sul cui mancato esame, da parte del tribunale, si concentra oggi la critica dei ricorrenti.

5.2.1. Orbene, la natura anche di error in procedendo del vizio complessivamente denunciato da questi ultimi, - in particolare sub specie di error in iudicando de modo procedendi, cioè l'errore di applicazione della norma processuale (il riferimento è agli artt. 115, 116 e 183, comma 6, cod. proc civ.) che sfocia in un corrispondente vizio di attività - consente a questa Corte l'esame diretto del fascicolo di ufficio (cfr., ex aliis, Cass. n. 1669 del 2023; Cass. n. 3612 del 2022; Cass. n. 29495 del 2020), dal quale agevolmente si ricava che Mo.Ba., Ar.Ma. e Mo.Lo., unitamente alla propria seconda memoria ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., avevano tempestivamente depositato una perizia di parte, avente ad oggetto il conto corrente n. 1229, intrattenuto dalla Calcestruzzi Val d'Enza s.r.l. (di cui i primi, giova ricordarlo, erano fideiussori) presso la filiale di M, in cui si era proceduto alla rideterminazione del relativo saldo depurato da quanto ivi contabilizzato per interessi anatocistici, commissioni e spese asseritamente non dovuti, altresì utilizzandosi, quanto al computo degli interessi, il corrispondente tasso contrattualmente pattuito. In allegato a tale perizia, e facenti corpo con essa (cfr. pag. da 14 a 174 complessive di quest'ultima), era stata depositata una "Stampa Movimenti" del conto corrente predetto concernenti il periodo 1.10.1999 - 24.2.2011 (numerata come pagine da 1 a 160), che gli opponenti avevano affermato di avere ricavato attraverso il servizio di home banking nella disponibilità della società correntista. Si trattava, dunque, non già di estratti conto veri e propri scaricati da quest'ultima accedendo al servizio cd. Internet Banking, bensì della mera stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca opposta (e non di un soggetto terzo), cioè dai suoi archivi informatici. Pertanto, è in relazione a questa tipologia di "documentazione", così ottenuta dalla parte che intenderebbe avvalersene in giudizio, che occorre interrogarsi al fine di stabilire se, ed eventualmente in quali limiti, ad essa possa attribuirsi valore probatorio.

5.2.2. Muovendo, allora, dal rilievo che la predetta stampa di movimenti contabili altro non può ragionevolmente considerarsi che una riproduzione di quanto rinvenibile in una pagina web (appunto il data base della banca), il tema oggetto della riflessione deve essere, specificamente, quello della natura giuridica e dell'efficacia probatoria della pagina web stessa e-o della sua stampa cartacea.

5.3. È indubbio che l'inferenza del mondo delle nuove tecnologie nella sfera del diritto processuale civile riguarda soprattutto l'analisi dei singoli mezzi di prova. Nello specifico, la questione assume i suoi connotati più interessanti in relazione alle cosiddette prove precostituite, ossia quelle che, pur formate al di fuori del processo, possono entrarvi per effetto della loro produzione ad opera delle parti.

5.3.1. Seguendo stricto sensu l'impostazione codicistica, le principali prove precostituite sono: l'atto pubblico, disciplinato dalla norma di cui all'art. 2699 cod. civ., che è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da un pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato e che fa piena prova, sino a querela di falso, sia della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, sia delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti alla sua presenza; la scrittura privata - prevista dalla norma di cui all'art. 2702 cod. civ. - che è il documento munito di sottoscrizione autografa che fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta; le riproduzioni meccaniche, che, in base al vigente testo dell'art. 2712 cod. civ. (come risultante dalle modifiche apportategli dall'art. 23-quater D.Lgs. n. 82 del 2005, così come aggiunto dall'art. 16, comma 2, del D.Lgs. n. 235 del 2010) sono tutte le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, che formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

5.3.2. Ricordata questa distinzione fondamentale, è necessario comprendere, allora, in quale, tra le tre classificazioni citate (atto pubblico, scrittura privata, riproduzione meccanica), debba rientrare la pagina web e, per l'effetto, quale valore probatorio possa attribuirsi ad un documento, come quello di cui oggi si discute, costituito dalla mera stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca opposta (e non di un soggetto terzo), cioè dai suoi archivi informatici.

5.4. Il tema della natura giuridica e dell'efficacia probatoria della pagina web o della sua stampa cartacea - come condivisibilmente rimarcato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta - non ha ricevuto significativa attenzione in dottrina e giurisprudenza, a differenza di quel che è accaduto con riferimento ad altri documenti informatici o riproduzioni di documenti informatici possibili "contenenti" atti e fatti giuridicamente rilevanti: si pensi a quanto già sancito, circa il contenuto, l'efficacia probatoria ed i relativi limiti dello short message service, da Cass. n. 5141 del 2019, secondo cui "lo short message service (sms) contiene la rappresentazione di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti ed è riconducibile nell'ambito dell'art. 2712 c.c., con la conseguenza che forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne contesti la conformità ai fatti o alle cose medesime. Tuttavia, l'eventuale disconoscimento di tale conformità non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall'art. 215, comma 2, c.p.c. poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni"; oppure a quanto affermato, con riferimento al messaggio di posta elettronica certificata, da Cass. n. 11606 del 2018, a tenore della quale "il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime".

5.5. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la pagina web può essere senza dubbio ricompresa nella definizione di documento informatico quale "rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti", contenuta nell'art. 1, lett. p), del D.Lgs. n. 82 del 2005 - Codice dell'Amministrazione Digitale (in sigla CAD).

5.5.1. Al fine di individuare l'efficacia probatoria del documento informatico è necessario partire, poi, da quello che era il disposto dell'art. 21, comma 1, del CAD dedicato, appunto, al valore probatorio, il quale si preoccupava, in realtà, di definire tale aspetto in relazione ai documenti informatici sottoscritti, ma ometteva di considerare quelli privi di firme elettroniche. Esso, infatti, - successivamente abrogato dall'art. 21, comma 1, lett. b), del D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, entrato in vigore il 27 gennaio 2018 - si limitava a riconoscere validità giuridica a tutti i documenti in formato elettronico cui era apposta una firma disponendo: "1. Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, soddisfa il requisito della forma scritta e sul piano probatorio è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità sicurezza, integrità e immodificabilità...(omissis)".

5.5.2. Il previgente art. 10 del D.P.R. n. 445 del 2000, come modificato dall'art. 6 del D.Lgs. n. 10 del 2002, riproduceva, invece, la originaria formulazione contenuta nell'art. 5 del D.P.R. n. 513 del 1997 e si riferiva espressamente all'art. 2712 cod. civ. affermando: "1. Il documento informatico ha l'efficacia probatoria prevista dall'articolo 2712 del codice civile, riguardo ai fatti ed alle cose rappresentate...(omissis)". Si trattava, peraltro, di un'apparente omissione poiché la riconduzione del documento informatico alle riproduzioni meccaniche è stata effettuata, in via diretta, proprio dal CAD, che, infatti, modificando l'art. 2712 cod. civ., vi aveva inserito l'espresso riferimento alle riproduzioni informatiche.

5.5.3. In tale contesto normativo, dunque, nella specie da ritenersi utilizzabile ratione temporis (come meglio si preciserà nel prosieguo di questa motivazione), al documento informatico non sottoscritto, e, di conseguenza, alla pagina web, doveva attribuirsi l'efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche; esso formava, pertanto, piena prova delle cose e dei fatti rappresentati qualora il soggetto contro il quale veniva prodotto non avesse provveduto a disconoscerlo. La mancanza di sottoscrizione elettronica, infatti, rendeva instabile sia la validazione dei dati, che potrebbero essere modificati in ogni tempo, che la provenienza del documento che li contiene, caratteristiche entrambe che, con diversi gradi di certezza, vengono attestate, invece, dalla apposizione di una firma elettronica, semplice o qualificata.

5.6. L'art. 2712 cod. civ., peraltro, è stato oggetto di contrapposte interpretazioni soprattutto per quanto attiene al significato da attribuire al concetto di "piena prova" in esso contenuto nonché all'individuazione delle modalità da attuare al fine di disconoscere la riproduzione.

5.6.1. Quanto al primo aspetto, parte della dottrina, riferendosi alla prova legale di cui all'art. 2702 cod. civ., ha assimilato il valore probatorio della riproduzione meccanica a quello riconosciuto alla scrittura privata. Altri autori, invece, hanno ristretto la portata dell'inciso, ritenendo trattarsi di prove non idonee a formare il libero convincimento del giudice, ma liberamente valutabili dal medesimo. Secondo un'ulteriore impostazione, poi, le riproduzioni meccaniche sono dotate di efficacia probatoria di prova legale esclusivamente nel processo nel quale il documento è prodotto e nei confronti del soggetto che non lo ha disconosciuto.

5.6.2. Circa il disconoscimento, inoltre, ci si è chiesti se siano applicabili, in relazione a quello previsto dalla norma in esame e con riferimento a documentazione come quella oggi in esame, le modalità ed i termini fissati dal codice di procedura civile agli articoli 214 e 215. La dottrina prevalente risponde in senso negativo, rilevando che le regole citate sono disposte espressamente per le sole scritture private; il disconoscimento potrà essere effettuato, quindi, nel corso dell'intero giudizio, alla stregua di quanto avviene in ordine alla contestazione dei fatti allegati in causa. Il documento disconosciuto perde l'efficacia di piena prova, ma non potrà essere ovviamente oggetto di verificazione secondo il procedimento disposto per gli atti pubblici e per le scritture private; la riproduzione potrà essere comunque utilizzata quale principio di prova, come espressamente affermato dalla giurisprudenza. Tale decisione è rimessa alla valutazione del giudice che apprezzerà gli elementi oggettivi che consentono di affermare la conformità dei fatti rappresentati a quelli accaduti.

5.6.3. Significative, con riguardo a quest'ultimo profilo, appaiono alcune pronunce di questa Corte. Si vedano, ad esempio: i) Cass. n. 12794 del 2021 (e, conforme ad essa, Cass. n. 17526 del 2016), secondo cui, "In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c., il disconoscimento idoneo a farne perdere la qualità di prova, degradandole a presunzioni semplici, deve essere non solo tempestivo, soggiacendo a precise preclusioni processuali, ma anche chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta"; ii) Cass. n. 17810 del 2020, per la quale "La riproduzione cartacea delle risultanze del sito internet può certamente essere oggetto di contestazione, in relazione alla sua effettiva conformità alle risultanze stesse, ai sensi dell'art. 2712 c.c. (...), ma, in presenza di tale contestazione, è sempre consentito al giudice di accertare detta conformità con qualunque altro mezzo di prova (cfr., ex multis: Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 5141 del 21-02-2019; Sez. 5, Ordinanza n. 12737 del 23-05-2018; Sez. L, Sentenza n. 3122 del 17-02-2015; Sez. L, Sentenza n. 2117 del 28-01-2011; Sez. 3, Sentenza n. 4395 del 04-03-2004)"; iii) Cass. n. 3122 del 2015, per cui, "In tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 cod. civ., il "disconoscimento" che fa perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 cod. proc. civ., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, ma non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, secondo comma, cod. proc. civ., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni".

5.7. È doveroso ricordare, infine, che l'art. 20 del già menzionato D.Lgs. n. 217 del 2017, entrato in vigore, giova ribadirlo, solo il 27 gennaio 2018, ha modificato l'art. 20, comma 1-bis, del CAD, che oggi sancisce che "Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida".

5.8. Fermo tutto quanto precede, osserva il Collegio che, al momento della instaurazione, in primo grado, della odierna controversia, certamente risalente all'anno 2013 (sia che si voglia considerare la data - 28 agosto 2103 - di notificazione del decreto ingiuntivo agli odierni ricorrenti, giusta l'art. 643, ultimo comma, cod. proc. civ., sia ove si intenda tenere conto della data di notificazione, ad opera di questi ultimi, nell'ottobre del medesimo anno, della loro opposizione ex art. 645 cod. proc. civ.), come desumibile anche dal numero (7952-2013) di iscrizione a ruolo attribuito al giudizio innanzi al Tribunale di Reggio Emilia (cfr. epigrafe della sentenza di cui oggi si discute), sicuramente non era ancora entrata in vigore la descritta modifica apportata all'art. 20, comma 1-bis, del CAD dall'art. 20 del D.Lgs. n. 217 del 2017 (tanto risalendo, come si è detto, solo al successivo 27 gennaio 2018). È innegabile, inoltre, che stante il carattere chiaramente sostanziale di tale modificazione (che attribuisce uno specifico valore probatorio al documento informatico, diverso a seconda che quest'ultimo rechi, o non, una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, sia formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore), la stessa non può trovare applicazione per i giudizi, come quello in esame, già pendenti alla data di sua entrata in vigore, atteso che un generale principio di "affidamento" legislativo, desumibile dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale (emblematica, in proposito, appare l'affermazione della recentissima sentenza della Corte Costituzionale dell'11 gennaio 2024, n. 4, secondo cui il principio di non retroattività della legge va "inteso quale fondamentale valore di civiltà giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma anche in altri settori dell'ordinamento (sentenze n. 174 del 2019, n. 73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013)"), preclude la possibilità di ritenere che l'efficacia probatoria di un documento già formato al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione sia da quest'ultima regolato, quantomeno nei casi in cui la retroattività della disciplina verrebbe a comprimere la tutela della parte che di quel documento intenda avvalersi in giudizio.

5.9. Ne deriva, quindi, da un lato, che alla stampa di movimenti contabili come quella di cui oggi si discute può ragionevolmente attribuirsi, come si è già riferito, la natura di una riproduzione di quanto rinvenibile in una pagina web (appunto il data base della banca) benché non sottoscritta; dall'altro, che la pagina web può essere senza dubbio ricompresa nella definizione di documento informatico quale "rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti", contenuta nell'art. 1, lett. p), del CAD, il cui valore probatorio, stante la già individuata disciplina qui applicabile ratione temporis, è quello di cui all'art. 2712 cod. civ., sicché forma piena prova di quanto in essa riportato ove non disconosciuto dalla parte contro la quale essa sia prodotta in giudizio.

5.9.1. Conclusione, questa, che si rivela in linea, peraltro, con gli esiti del dibattito giurisprudenziale sviluppatosi, quanto al valore di una e-mail, intorno al quesito, se essa sia qualificabile in termini di "riproduzione informatica" ai sensi dell'art. 2712 cod. civ., oppure di "documento informatico". Invero, la giurisprudenza di legittimità è univocamente schierata per la prima soluzione interpretativa, avendo sancito che, "in materia di efficacia probatoria dei documenti informatici, il messaggio di posta elettronica (cosiddetta e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'articolo 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime" (cfr. Cass. n. 30186 del 2021, in motivazione, pag. 4, e la già citata Cass. n. 11606 del 2018. Nello stesso senso vedasi anche Cass. n. 19155 del 2019, in motivazione, pag. 4).

5.9.2. In altri termini, come pure condivisibilmente sottolineato dal sostituto procuratore generale nella sua requisitoria scritta, è pacifico in dottrina che le pagine web possano essere ricomprese - così come le e-mail, gli s.m.s., etc. - nella definizione di "documento informatico" (in senso lato) di cui all'art. 1, comma 1, lett. p), del CAD, ovvero di "documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti". Altrettanto pacifico è che le pagine web siano da considerarsi documenti informatici non sottoscritti. Ne consegue, dunque, che anche a queste ultime, coerentemente con quanto sostenuto dalla maggioranza della giurisprudenza per le ipotesi concernenti le e-mail e gli s.m.s., deve attribuirsi l'efficacia probatoria di cui all'art. 2712 cod. civ.

5.9.3. La stampa di una pagina web, poi (quale, appunto, si rivela essere la stampa dei movimenti contabili di cui oggi si discute), può ragionevolmente

ricondursi all'ipotesi della copia (o estratto) analogica di documento informatico, disciplinata dall'art. 23 del CAD, che, nel testo vigente tra il 25 gennaio 2011 ed il 13 settembre 2016, qui applicabile ratione temporis, risalendo, come si à già spiegato, l'instaurazione del giudizio di primo grado al 2013, stabiliva, tra l'altro, che "le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l'obbligo di conservazione dell'originale informatico" (del tutto identico, peraltro, è anche l'attuale testo della menzionata disposizione). Ne deriva che, in mancanza di contestazioni chiare, circostanziate ed esplicite, in relazione alla loro conformità a quelli conservati nell'archivio (cartaceo o digitale che sia) della banca, va affermata l'applicabilità alla stampa della pagina web contenente le movimentazioni del conto corrente de quo, del principio della presunzione di veridicità delle scritturazioni del conto, quando il cliente, ricevuto l'estratto o documento equipollente, non sollevi specifiche contestazioni in proposito (cfr. Cass. n. 29415 del 2020). Del resto, come è ben noto, anche gli estratti conto veri e propri, generalmente prodotti in giudizio dalla banca o dal correntista, non sono copie fotografiche o fotostatiche di scritture originali esistenti, ma costituiscono riproduzioni meccaniche di supporti magnetici, vale a dire della stampa di un'elaborazione computerizzata effettuata dal sistema contabile della banca.

5.10. Nella specie, il tribunale ha rigettato la domanda ritenendo che gli attori non avessero depositato gli estratti conto (come dedotto dal Banco), motivando, erroneamente, che l'inutilizzabilità probatoria dei documenti da essi prodotti (la "stampata dei movimenti bancari asseritamente estratti dal sistema di home banking") derivava dalla semplice negazione della valenza processuale sollevata dalla difesa della convenuta. Ha affermato, altresì, che "Una mera stampata dei movimenti bancari, asseritamente estratti dal sistema di home banking, rappresenta sì un documento, ma liberamente elaborato dalla parte che lo produce, non avendo una chiara provenienza dall'istituto bancario ed essendo comunque modificabile. Specialmente a fronte di espressa contestazione, quindi, non si può sostenere che esso supplisca alla mancata produzione degli estratti conto" (cfr. pag. 7-8 della sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 358 del 2018).

5.10.1. Al contrario, deve ritenersi, circa l'assunto della "non chiara provenienza" dalla banca riferita alla stampa degli estratti conto a video, che, come si è detto, debba farsi applicazione di quanto stabilito dall'art. 2712 cod. civ.: a quella stampa, quindi, va attribuito valore probatorio nei termini e nei limiti sanciti da quest'ultima disposizione, dunque se non contestata. Una tale contestazione, tuttavia, doveva essere chiara, circostanziata ed esplicita, oltre che specificamente riferita alla non conformità di quanto in essa riportato rispetto a quanto rinvenibile negli estratti conto conservati nell'archivio della banca. Eccezione, quest'ultima, che, in questi precisi sensi, non risulta essere stata sollevata dalla banca medesima. Né, per la verità, sul punto, la riportata motivazione del tribunale soddisfa il minimo costituzionale (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014), limitandosi essa ad evocare una generica modificabilità di detta documentazione senza, però, minimamente chiarire se, quando e come tanto sia concretamente avvenuto nel caso di specie.

5.11. In definitiva, quindi, la doglianza in esame deve essere accolta, enunciandosi il seguente principio di diritto:

"In tema di conto corrente bancario, la stampa dei movimenti contabili risultanti a video dal data base della banca, ottenuta dal correntista avvalendosi del servizio di home banking, rappresenta una copia (o estratto) analogica del documento informatico, non sottoscritto, costituito dalla corrispondente pagina web. Essa, pertanto, giusta l'art. 23 del D.Lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell'amministrazione digitale), si presume conforme, quanto ai dati ed alle operazioni in essa riportati, alle scritturazioni del conto stesso in mancanza di contestazioni chiare, circostanziate ed esplicite formulate dalla banca e riguardanti, specificamente, la loro non conformità a quelle conservate nel proprio archivio (cartaceo o digitale)".

6. Il settimo e l'ottavo motivo di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:

VII) "Violazione e-o falsa applicazione degli artt. 51 e 63 c.p.c. e dell'art. 112c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. Violazione e-o falsa applicazione degli artt. 51 e 63 c.p.c. e dell'art. 112 c.p.c. - Nullità della sentenza - Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.". La sentenza impugnata viene ritenuta viziata perché basata sugli esiti di una consulenza tecnica redata da un ausiliario tempestivamente ricusato dagli opponenti, con istanza erroneamente non accolta dal tribunale;

VIII) "Violazione e-o falsa applicazione degli artt. 1243 e 1418 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.". Si contesta l'omesso accertamento della nullità dell'addebito di interessi della rata del mutuo all'interno di un conto corrente bancario "in rosso" e del correlato e vietato effetto anatocistico.

6.1. Entrambe tali doglianze devono considerarsi assorbite per effetto dell'accoglimento del sesto motivo e dei conseguenti nuovi accertamenti che dovrà compiere il giudice di rinvio.

7. Il nono, il decimo e l'undicesimo motivo denunciano, rispettivamente, in sintesi:

IX) "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 1957 c.c. e dell'art. 2, comma 2, della L. 287-1990 e dell'art.112 c.p.c. in relazione all'art. 1418 c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.". Viene censurato il rigetto dell'eccezione di decadenza dal diritto di aggredire i fideiussori fondato sull'utilizzo di una clausola contrattuale nulla per violazione della legge n. 287 del 1990;

X) "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 1957 e dell'art. 2964 e ss. c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.". Si contesta nuovamente il rigetto dell'eccezione di decadenza dal diritto di aggredire i fideiussori, questa volta perché fondato sull'utilizzo di una clausola contrattuale indeterminata in quanto non prevedente un diverso termine rispetto a quello previsto nell'art. 1957 c.c.;

XI) "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 1957 e dell'art. 2964 e ss. c.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.". Si lamenta ancora il rigetto dell'eccezione di decadenza dal diritto di aggredire i fideiussori, qui perché basato sull'irrilevante affermazione dell'esistenza di una procedura concorsuale a carico del debitore principale.

8. Queste doglianze sono scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse. Esse, infatti, si rivolgono contro le due, autonome rationes decidendi (derogabilità della previsione di cui all'art. 1957 cod. civ.; esistenza di procedura di concordato preventivo già intrapresa dalla debitrice principale, con conseguente impossibilità, ex art. 168 l.fall., di intraprendere azioni esecutive individuali nei suoi confronti) utilizzate dal tribunale per respingere l'eccezione di tardività dell'azione del creditore sollevata dagli opponenti in primo grado (e qualificata dal tribunale come riconducibile all'art. 1957 cod. civ.).

8.1. Quanto alla prima di esse, e, dunque, con specifico riferimento alle censure di cui al nono ed al decimo motivo, l'infondatezza di queste ultime si desume agevolmente dai principi, già affermati da questa Corte e che il Collegio, condividendoli, intende ribadire, secondo cui: i) "La decadenza del creditore dal diritto di pretendere l'adempimento dell'obbligazione fideiussoria, sancita dall'art. 1957 c.c. per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l'assunzione, per il garante, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore" (cfr., in termini, Cass. n. 28943 del 2017. In senso sostanzialmente conforme si vedano anche Cass. 24 settembre 2013, n. 21867 del 2013 e Cass. n. 9245 del 2007); ii) "Nell'ipotesi in cui la durata di una fideiussione sia correlata non alla scadenza dell'obbligazione principale ma al suo integrale adempimento, l'azione del creditore nei confronti del fideiussore non è soggetta al termine di decadenza previsto dall'art. 1957 c.c." (cfr. Cass. n. 16836 del 2015).

8.2. A tanto deve aggiungersi che la questione della pretesa nullità della clausola di deroga all'art. 1957 cod. civ. risulta pacificamente essere stata sollevata dagli opponenti, in primo grado, solo nella loro memoria di replica ex art. 190 cod. proc. civ., sicché nessuna censura potrebbe comunque muoversi all'operato del tribunale, posto che il mancato rilievo d'ufficio di una questione - dedotta, come nella specie, tardivamente nella memoria di replica, benché, asseritamente rilevabile d'ufficio - in presenza di un'eccezione tamquam non esset della parte (poiché tardiva), non può dare luogo ad omessa pronuncia, ma è denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per violazione delle norme che prevedono la rilevabilità d'ufficio della questione, giacché il vizio di omessa pronuncia postula che la questione, ancorché, per ipotesi, rilevabile d'ufficio, abbia formato oggetto di una specifica domanda od eccezione e che il giudice non abbia statuito sulla stessa (cfr. Cass. n. 12259 del 2019; Cass. n. 25298 del 2020). Una puntuale censura in tal senso non è stata, tuttavia, formulata dagli odierni ricorrenti.

8.3. Quanto fin qui esposto, allora, già consente di mantenere ferma una delle due rationes decidendi suddette (quella relativa alla derogabilità della previsione di cui all'art. 1957 cod. civ.), con conseguente inammissibilità della censura che investe l'altra (esistenza di procedura di concordato preventivo già intrapresa dalla debitrice principale, con conseguente impossibilità, ex art. 168 l.fall., di cominciare azioni esecutive individuali nei suoi confronti) stante il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l'omessa - o inefficace o infondata - impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l'annullamento, in parte qua, della sentenza (cfr., ex multis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4355 del 2023; Cass. n. 4738 del 2022; Cass. n. 22697 del 2021; Cass., SU, n. 10012 del 2021; Cass. n. 3194 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).

8.3.1. Esclusivamente per ragioni di completezza, dunque, si rimarca, quanto alla censura di cui all'undicesimo motivo, che, come affermato da Cass. n. 2532 del 2005, "La decadenza del creditore dalla fideiussione, per non aver proposto tempestivamente, ai sensi dell'articolo 1957 del c.c., contro il debitore le sue "istanze" (da intendersi come i vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione), non opera in presenza di un impedimento giuridico ostativo alla realizzazione della pretesa verso il debitore principale, come la circostanza che il debitore abbia presentato domanda di concordato preventivo o sia dichiarato fallito, poiché l'impossibilità di esperire qualsiasi azione nei confronti di quest'ultimo, quando risulti evidente e giuridicamente inseparabile, non può in alcun modo integrare gli estremi della negligenza del creditore e, per l'effetto, considerarsi causa efficiente dell'estinzione della garanzia. In particolare, al creditore né in sede di concordato preventivo, né in quella della successiva procedura fallimentare è concessa altra possibilità se non quella dell'agire per il mero riconoscimento del credito in sede concordataria e di instare per l'ammissione al passivo".

9. Il dodicesimo motivo di ricorso, recante "Violazione e-o falsa applicazione degli artt. 112 e 352 c.p.c. - Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.", contesta al tribunale di aver omesso di pronunciarsi sulle conseguenze della rinuncia, da parte del Banco, a somme dallo stesso richieste in primo grado.

9.1. Il motivo è infondato perché (come si è già rimarcato disattendendosi l'analoga doglianza rivolta anche contro l'ordinanza ex art. 348-bis cod. proc. civ. resa dalla corte di appello bolognese il 19 febbraio 2022, quanto dedotto dal Banco nella sua terza memoria ex art. 183 comma 6, cod. proc. civ. (come riportato dai ricorrenti anche alla pagina 56 del proprio odierno ricorso: "Ma, anche ammettendo che quanto sostenuto nei documenti prodotti ex adverso valga qualcosa e che la Banca debba avere meno Euro 4.796,66 per il mutuo 492004 e meno Euro 2.839,33 per il mutuo 492005, ed, ad essere generosi, meno Euro 388,01 per interessi e meno Euro 737,90 per interessi di mora sino al 30.06.2011 (ciò senza alcuna ammissione), se il Giudicante vorrà spedire la causa in decisione si rinuncia espressamente a dette somme"), altro non era che una rinuncia condizionata al fatto che si verificasse l'ipotesi per cui la causa fosse andata immediatamente in decisione. Condizione, invece, non avveratasi, attesa l'istruttoria disposta, mediante l'espletamento di una c.t.u. contabile e successiva richiesta di suo supplemento, da parte del tribunale.

10. Il tredicesimo motivo di ricorso, infine, rubricato "Violazione e-o falsa applicazione dell'art. 4 del D.M. Giustizia n. 55 del 2014 e della tabella n. 2 allegata al citato decreto - Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.", sostiene che la liquidazione dei compensi rinvenibile nella sentenza del tribunale emiliano eccede il quantum previsto dal D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dell'attività svolta dalla parte vittoriosa e dello scaglione delle controversie di valore pari ad Euro 249.826,11, vale a dire all'importo della condanna degli opponenti quantificato dal medesimo tribunale.

10.1. Questa doglianza deve considerarsi assorbita dall'avvenuto accoglimento del sesto motivo, posto che al giudice di rinvio spetterà il nuovo esame del gravame degli odierni ricorrenti, sebbene nei limiti di quanto oggi accolto della loro impugnazione, con le conseguenti ripercussioni sulla statuizione delle spese di lite.

11. In definitiva, quindi, il ricorso di Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma. deve essere accolto limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandosene assorbiti il settimo, l'ottavo ed il tredicesimo, ed insuscettibili di accoglimento, perché inammissibili o infondati, gli altri. La impugnata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 358 del 13 marzo 2018, pertanto, deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata, giusta l'art. 383, comma 4, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 149 del 2022), alla Corte di appello di Bologna per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso di Mo.Ba., Mo.Lo. e Ar.Ma. limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandone assorbiti il settimo, l'ottavo ed il tredicesimo, ed insuscettibili di accoglimento, perché inammissibili o infondati, gli altri. Cassa la impugnata sentenza del Tribunale di Reggio Emilia n. 358 del 13 marzo 2018, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa, giusta l'art. 383, comma 4, cod. proc. civ. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, anteriore alla sua abrogazione disposta dal D.Lgs. n. 149 del 2022), alla Corte di appello di Bologna per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, l'8 gennaio 2024.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2024.

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