In quali casi i genitori rispondono per i danni causati dai figli?
Sul tema è tornata la Terza Sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 27061 del 18 ottobre 2024.
La Suprema Corte ha richiamato l'art. 2048 cod. civ. secondo cui i genitori (o tutori) sono responsabili per i danni causati dai figli minori se non dimostrano di aver adottato tutte le misure necessarie per una corretta educazione e sorveglianza del minore.
La giurisprudenza più recente chiarisce che si tratta di una responsabilità diretta per fatto anche proprio, poiché i genitori devono dimostrare di aver messo in atto un comportamento adeguato a prevenire il comportamento dannoso del figlio (Cass. n. 4303 del 13/02/2023 e Cass. n. 22541 del 10/09/2019).
Nel caso di specie, una donna è stata urtata da un bambino di undici anni che, mentre giocava a pallone con i suoi amici, ha perso il controllo del pallone e, correndo per recuperarlo, ha colpito la donna facendola cadere.
La donna ha quindi convenuto in giudizio i genitori del minore, ottenendo dal Tribunale di Trani una condanna per il risarcimento dei danni pari a oltre undicimila euro, decisione confermata dalla Corte d'Appello di Bari. I giudici hanno ritenuto che i genitori non fossero riusciti a provare di aver adottato le misure adeguate per evitare il danno, secondo quanto previsto dall'art. 2048.
I genitori hanno quindi presentato un ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d'Appello avesse errato nella valutazione delle prove sulla base di una interpretazione errata dell'art. 2048 cod. civ. con riguardo alla prova liberatoria.
La Cassazione, ha rigettato il ricorso, ribadendo la responsabilità dei genitori per il comportamento dei figli minori, richiamando l'importanza di un'adeguata educazione e sorveglianza.
Nella vicenda in esame, i giudici hanno ritenuto che i genitori non avessero fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 2048, confermando così la loro responsabilità per il danno causato dal figlio.
Cassazione civile, sez. III, sentenza 18/10/2024 (ud. 08/07/2024) n. 27061
RILEVATO CHE
i fatti, per come risultanti dalla sentenza impugnata e ancora rilevanti in questa sede sono i seguenti: Lo.Ma. mentre, il (Omissis), camminava per strada in C, di giorno, nelle prime ore pomeridiane, venne urtata da un bambino di circa undici anni che sta giocando a pallone con dei coetanei e che successivamente verrà identificato per Si.Ma.;
la Lo.Ma. convenne in giudizio i genitori del minore dinanzi al Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia;
la causa venne istruita con prove testimoniali e consulenza medico legale di ufficio e all'esito i coniugi Si. e Ma. vennero condannati al risarcimento dei danni, per oltre undicimila Euro;
la Corte d'Appello di Bari, adita dai genitori del minore, ha, nel ricostituito contraddittorio delle parti, rigettato l'impugnazione con sentenza n. 1305 del 12/09/2022;
avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono Do.Si. e Ma.Lo. con due motivi di ricorso;
il Consigliere delegato ha emanato, in data 20/12/2023, proposta di definizione accelerata di inammissibilità del ricorso, che è stata ritualmente comunicata;
i ricorrenti hanno chiesto la decisione del ricorso;
il ricorso è stato, quindi, destinato alla trattazione in forma camerale;
il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni;
per l'adunanza camerale del 8/07/2024 la controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso sono i seguenti:
primo motivo, violazione del combinato disposto tra gli artt. 116 cod. proc. civ., 2048 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 e 5 cod. proc. civ., motivazione omessa e contraddittoria, i ricorrenti censurano la sentenza per avere i giudici d'appello confermato la valutazione delle prove offerta dal Tribunale in tal modo confermando la responsabilità dei genitori del minore sulla base di una interpretazione errata dell'art. 2048 cod. civ. con riguardo alla prova liberatoria;
secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. per avere, i giudici di merito, omesso di prendere in considerazione tutte le circostanze e segnatamente le risultanze dell'istruttoria testimoniale;
i due motivi possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto strettamente connessi, vertendo entrambi sulla valutazione delle prove e sulla prova liberatoria che deve essere offerta dai genitori del minore ai sensi dell'art. 2048 cod. civ.;
i motivi sono entrambi inammissibili, in quanto, a parte il riferimento all'oggetto della prova liberatoria che deve essere resa dai genitori del minore, secondo il disposto dell'art. 2048, comma 3, cod. civ., con essi si chiede un riesame complessivo della valutazione delle prove effettuata dai giudici del merito;
l'art. 2048 cod. civ. prevede, secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte, una responsabilità diretta per fatto (anche) proprio dei genitori che concorre con quella del minore (Cass. n. 4303 del 13/02/2023 Rv. 666774 - 02 e Cass. n. 22541 del 10/09/2019 Rv. 655364-01) per non avere essi, con idoneo comportamento, educativo e di sorveglianza, rapportato alle esigenze e al carattere del minore, impedito il fatto dannoso;
ciò posto, e con riferimento, in particolare, alla parte di censure mosse alla stregua dell'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. è sufficiente richiamare il disposto dell'art. 348 ter commi 4 e 5 cod.
proc. civ. per affermarne la radicale inammissibilità, in quanto i giudici di merito hanno adottato una motivazione del tutto conforme in punto di fatto e il ricorso non offre alcuna diversa ricostruzione fattuale che non sia già stata scrutinata;
in ordine alla valutazione delle prove deve pure affermarsi la inammissibilità della censura, posta mediante richiamo all'art. 116 cod. proc. civ., giacché per dedurre la violazione del paradigma dell'art. 116 cod. proc. civ. è necessario considerare che, poiché esso prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione (peraltro, e più correttamente ai sensi del n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ.) è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l'ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi), come costantemente affermato da questa Corte (Cass. n. 11892 del 2016 e, prima, Cass. n. 26965 del 20/12/2007 Rv. 601128-01; in senso conforme: Cass. n. 20119 del 18/09/2009; Cass. n. 13960 del 19/06/2014 Rv. 631646-01);
ne consegue, anche sulla base delle affermazioni della giurisprudenza nomofilattica (Sez. U nn, 8053 e 8054 del 07/04/2014) l'inammissibilità della censura;
la motivazione resa dalla Corte territoriale risponde, inoltre e ampiamente, al minimo costituzionale, come delineato dalla richiamata giurisprudenza di questa Corte a partire dall'anno 2014 (Sez. U. n. 8053 del 7/04/20214 Rv. 629830-01 e più di recente Cass. n. 7090 del 03/03/2022 Rv. 664120-01) e deve, inoltre, ribadirsi che (Cass. n. 37382 del 21/12/2022 Rv. 666679-05) la valutazione del materiale probatorio - in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all'osservazione e alla valutazione del giudicante - costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali di questa Corte (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le già menzionate valutazioni discrezionali;
il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile per complessiva inadeguatezza delle censure;
le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti e, venendo in oggetto una pronuncia assolutamente conforme all'originaria proposta di definizione accelerata, ai sensi dell'art. 380-bis, comma 3, cod. proc. civ., gli stessi devono essere ritenuti responsabili ai sensi dell'art. 96, commi 3 e 4, codice di rito, con liquidazione delle spese e delle ulteriori somme ai detti titoli come in dispositivo, in considerazione del valore della controversia e dell'attività processuale espletata (sull'applicabilità dell'art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ. si veda Sez. U n. 10955 del 23/04/2024 Rv. 670894-01);
la decisione di inammissibilità dell'impugnazione comporta che deve attestarsi, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto;
il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui al secondo comma dell'art. 380-bis 1 cod. proc. civ.;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge nonché al pagamento di Euro 1.400,00 ai sensi dell'art. 96, comma 3 cod. proc. civ. e di Euro 500,00 ai sensi dell'art. 96, comma 4, cod. proc. civ.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di cassazione, Sezione Terza civile, il giorno 8 luglio 2024.
Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2024.