La morte di un lavoratore può essere attribuita all'esposizione all'amianto?
Questa è la domanda affrontata dalla Cassazione, con l'ordinanza n. 28458 del 5 novembre 2024, che si è pronunciata sul rapporto causale tra esposizione all'amianto e malattia professionale.
Secondo il principio di equivalenza delle condizioni stabilito dall'art. 41 c.p., ogni antecedente che abbia contribuito, anche in modo indiretto e remoto, alla produzione dell'evento dannoso è considerato rilevante.
Il caso di specie riguarda un operaio addetto alla manutenzione degli impianti in un'area industriale, che, poco dopo il pensionamento, ha sviluppato un versamento pleurico e successivamente un mesotelioma pleurico, portandolo rapidamente al decesso.
L'INAIL aveva riconosciuto l'origine professionale della patologia del lavoratore, ma la Corte d'Appello di Venezia aveva rigettato la domanda degli eredi, sostenendo che non vi fosse prova del nesso causale tra esposizione all'amianto e la malattia, poiché il consulente aveva escluso la riconducibilità della patologia tumorale che aveva portato alla morte.
La Cassazione ha invece chiarito che il nesso causale può sussistere anche in assenza di una diagnosi di "mesotelioma", se l'esposizione all'amianto è stata prolungata e non occasionale e se non esistono altri fattori, estranei all'attività lavorativa, capaci di provocare la malattia.
Il datore di lavoro ha l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le misure necessarie per prevenire l'esposizione all'amianto e proteggere la salute dei lavoratori, secondo le conoscenze del tempo in cui è insorta la malattia. Se il datore di lavoro non riesce a dimostrare questo, il principio di equivalenza delle condizioni porta a riconoscere il nesso causale tra l'esposizione e la malattia, anche in termini di concausalità.
La Cassazione ha pertanto accolto il ricorso degli eredi del lavoratore, cassando la sentenza della Corte d'Appello e rinviando il caso per un nuovo esame, con l'indicazione di verificare l'esposizione all'amianto e la sua rilevanza nella malattia del lavoratore.
L'esposizione all'amianto, quindi, anche se non causa diretta di mesotelioma, può comunque essere considerata rilevante per la malattia e la morte del lavoratore, qualora non siano presenti altri fattori causali. Il datore di lavoro deve provare di aver fatto tutto il possibile per proteggere la salute del dipendente, altrimenti il nesso causale è presunto.
Accertata la presenza di uno di fattori di rischio (nel caso di specie l'esposizione all'amianto), che scientificamente si pongono come idonei antecedenti causali della malattia, prima, e del decesso, poi, va affermata la sussistenza del nesso di causalità tra quel fattore di rischio e la malattia e quindi il decesso, anche eventualmente in termini di concausalità, in presenza di non occasionale esposizione all'agente patogeno, determinate modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, assenza di strumenti di protezione individuale, salvo che sussista altro fattore, estraneo all'attività lavorativa e/o all'ambiente lavorativo, da solo idoneo a determinare la malattia e/o, poi, il decesso.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 05/11/2024 (ud. 09/09/2024) n. 28458
FATTI DI CAUSA
1. Gh.Pa. e Vi.St., propongono un unico motivo di ricorso per cassazione illustrato da memoria nei confronti di EDISON Spa e del fallimento MONTEFIBRE Spa in liquidazione, per la cassazione della sentenza n. 3128/2021, emessa dalla Corte d'Appello di Venezia il 23.12.2021, non notificata, con la quale la Corte d'Appello confermava il rigetto della domanda risarcitoria proposta dagli stessi nei confronti delle società appellate per i danni conseguenti alla morte per patologia cancerogena contratta a seguito della esposizione all'amianto dal defunto Be.Vi., rispettivamente coniuge e padre degli appellanti.
2. - Resiste con controricorso la sola EDISON Spa Il Fallimento MONTEFIBRE Spa in liquidazione, regolarmente citato, non ha svolto attività difensiva in questa sede.
3. - Questo il fatto, per quanto ancora di rilievo in questa sede:
- al signor Be.Vi., marito della Gh.Pa. e padre del Vi.St., operaio presso lo stabilimento di P dal 1966 al 1980, quindi dipendente della SELM Spa come addetto alla manutenzione degli impianti nell'area industriale di Porto Marghera dal 1980 fino al 1998, anno del suo pensionamento, nel 2010 erano diagnosticati prima un ampio versamento pleurico e poi una patologia tumorale a carico dei polmoni (patologia qualificata inizialmente dai medici, a seguito di esame istologico, come mesotelioma pleurico) che lo conduceva in breve tempo alla morte, nel novembre 2010;
- l'INAIL riconosceva l'origine professionale della patologia qualificandola come "patologia asbesto correlata";
- nel 2014 i ricorrenti convenivano in giudizio, davanti al giudice del lavoro, sia la EDISON che la MONTEFIBRE Spa, nelle quali erano confluiti i rapporti lavorativi facenti capo ai precedenti datori di lavoro del Vi.St., chiedendo l'accertamento della natura professionale della patologia e l'accertamento della responsabilità delle società nella causazione del danno, provocato dalla prolungata esposizione all'amianto del dipendente, senza alcuna adeguata protezione, per tutta la sua vita lavorativa, con condanna delle società convenute al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, iure proprio e iure hereditatis;
- il giudice del lavoro tratteneva presso di sé le domande di risarcimento danni proposte dagli eredi iure hereditatis e trasmetteva al Presidente del Tribunale, per l'assegnazione alla sezione ordinaria, le domande proposte dagli eredi iure proprio.
3.1. - La causa così si biforcava:
-il giudice del lavoro in primo grado rigettava la domanda degli eredi del Vi.St.;
-il Tribunale di Venezia, quale giudice civile ordinario, rigettava altresì nel 2019 le domande proposte iure proprio dagli eredi del Vi.St., relative al danno da perdita del rapporto parentale, fondandosi sulle risultanze istruttorie (ctu e prove testimoniali) formatesi nel processo del lavoro.
4. - La Corte d'Appello di Venezia, con la pronuncia in questa sede impugnata, rigettava l'appello.
La Corte d'Appello dava atto del decesso del Vi.St. per un tumore al polmone, dando atto al contempo che lo stesso era stato soggetto
per tutta la durata della sua attività lavorativa ad esposizione all'amianto, ma, giacché il consulente aveva escluso la riconducibilità della patologia tumorale che aveva portato alla morte il Vi.St. al mesotelioma pleurico (pur dando atto di aver potuto lavorare solo su campioni di materiale biologico danneggiati dal trascorrere del tempo) e poiché non tutte le patologie tumorali polmonari, in soggetto sottoposto all'amianto, necessariamente derivano dall'esposizione all'amianto, negava che fosse stata fornita la prova del nesso causale tra la prestazione lavorativa con continuativa esposizione alle polveri d'amianto e il danno - la contrazione di tumore ai polmoni che in pochi mesi portava alla morte il Vi.St.
In particolare, evidenziava che il c.t.u. aveva fatto propria la valutazione dell'esperto in malattie polmonari consultato per l'esame istologico dei campioni a suo tempo prelevati al Vi.St., che aveva escluso, con elevato grado di certezza, che si trattasse di mesotelioma pleurico. Richiesto dal giudice di precisare se la vittima fosse deceduta per altra patologia tumorale di origine professionale, il consulente aggiungeva che, non essendo qualificabile la patologia tumorale, non si poteva verificare se la causa fosse l'esposizione all'amianto. La Corte d'Appello fa proprie, nella decisione impugnata, queste conclusioni ed il processo logico decisionale sotteso: escluso che si tratti di mesotelioma, la malattia di cui è morto il Vi.St. rimane- nella ricostruzione della corte di merito - di causa incerta, e quindi la stessa ritiene che non sia possibile affermare, neppure in termini probabilistici, che il defunto sia morto per una malattia asbesto correlata. Da qui, la conferma del rigetto della domanda.
5. - La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio in data 9.9.2024, all'esito della quale il Collegio ha riservato il deposito della decisione nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con l'unico motivo di ricorso i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 41 c.p.c.
Sottolineano che, pur avendo la Corte d'Appello escluso, sulla base degli accertamenti fatti eseguire - peraltro poco affidabili perché fondati su campioni prelevati molto tempo addietro - che fosse più probabile che non che la morte del Vi.St. fosse avvenuta per quella specifica patologia - il mesotelioma pleurico - presuntivamente legata alla esposizione all'amianto, classificata come malattia professionale asbesto correlata dalle tabelle INAIL, la non riconducibilità della specifica patologia contratta dal congiunto al mesotelioma non avrebbe potuto legittimamente condurre a svilire l'importanza, ai fini della ricostruzione del nesso causale, di tutti gli altri elementi della fattispecie, non di meno sussistenti e riconosciuti come tali dalla stessa Corte d'Appello: l'esposizione quasi quarantennale del lavoratore all'amianto in relazione alle mansioni svolte, e la morte per tumore ai polmoni, ovvero non per una qualsiasi patologia tumorale, ma proprio per una affezione agli organi respiratori, ovvero a quelli aggrediti dalle polveri di amianto.
Sottolineano di non richiedere una nuova valutazione dei fatti, ma di denunciare una falsa applicazione dell'art. 41 c.p., non avendo la Corte d'Appello tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto. In particolare, essendo emersa la presenza di una causa astrattamente idonea alla contrazione del tumore, e non di altre, quali tabagismo, si doveva affermare la probabilità qualificata della derivazione causale della patologia dalla esposizione prolungata al rischio individuato durante tutta la vita professionale della vittima principale.
2. - Sostiene al contrario la EDISON nel suo controricorso che correttamente le domande dei congiunti siano state rigettate, atteso che non è stata individuata la malattia neoplastica che ha condotto al decesso del Vi.St., né è stata accertata una causalità legata alla esposizione all'amianto e neppure sarebbe stato accertato che il Vi.St., in ragione della sua documentata attività lavorativa di manutentore degli impianti, sia stato esposto effettivamente alle polveri di amianto.
Sostiene poi la controricorrente che la diagnosi specifica di mesotelioma è molto complessa, è effettuabile solo a mezzo di esami istologici e che quegli esami, compiuti su reperti istologici risalenti del Vi.St., furono affidati dal collegio ad uno dei massimi esperti della materia, il quale sulla base dei campioni esaminati ha escluso la presenza di mesotelioma con certezza.
3. - Il ricorso è fondato e va accolto.
Il ragionamento che fa la Corte d'Appello muove dall'accertamento delle circostanze di fatto indicate, tutte rilevanti, ma esclude, sulla base del parere dell'ultimo esperto consultato, che la patologia contratta dalla vittima fosse qualificabile come mesotelioma pleurico, e sulla base di ciò nega che sia stata fornita la prova, seppur sulla base di un ragionamento probabilistico, del nesso di causalità, concludendo nel senso che l'evento lesivo sia dovuto a causa incerta.
L'equazione che risolve la Corte d'Appello è errata, in quanto l'accertamento della non riconducibilità della patologia per cui è morto il Vi.St. alla tipologia del mesotelioma pleurico, la più frequente e caratteristica patologia derivante dall'esposizione all'amianto, qualificata pertanto come malattia professionale, non esclude che la morte per tumore ai polmoni del Vi.St. sia stata causata da una malattia contratta in ambito lavorativo, e non la esimeva dal dover verificare se, in presenza di quelle circostanze di fatto attestanti l'esposizione al rischio in ambito lavorativo, ed in assenza di altri fattori esterni di esposizione accentuata al rischio di patologia tumorale polmonare, si dovesse ritenere più probabile che non che la morte del Vi.St. fosse da porre in rapporto causale con l'attività lavorativa svolta e con l'esposizione al contatto e all'ingerimento della polvere di amianto.
Alle medesime conclusioni è già giunta, peraltro, la Sezione Lavoro della Corte, che ha esaminato il ricorso degli eredi del Vi.St. avente ad oggetto le domande proposte iure hereditatis dagli attuali ricorrenti in relazione alla morte del padre: la Sezione lavoro della Corte, con ordinanza n. 18050/2024 (in R.G. 18847/2022), pubblicata il 1.7.2024, in accoglimento del ricorso di Gh.Pa. e Stefano Vi.St., ha cassato la sentenza n. 684/2021 della Corte d'Appello di Venezia, Sezione lavoro, rinviando alla medesima corte in diversa composizione "per l'accertamento del nesso causale in relazione al motivo accolto", oltre che per le spese del giudizio.
La Corte d'Appello, infatti, ha erroneamente seguito il ragionamento dell'ausiliario nominato dal Tribunale, secondo cui l'unica diagnosi puntuale sarebbe stata quella fondata sull'esame istologico, nel caso concreto non eseguito. Orbene tale criterio valutativo è errato, perché incentrato sulla certezza causale, laddove il criterio da utilizzare è quello del "più probabile che non", sicché il fattore causale è rilevante anche in termini di concausalità, in forza del principio di equivalenza delle cause posto dall'art. 41 c.p.
In particolare, questa Corte ha già affermato che, ai sensi dell'art. 41 c.p., il rapporto causale tra l'evento e il danno è governato dal principio di equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, potendo escludersi l'esistenza nel nesso eziologico richiesto dalla legge solo se possa essere ravvisato con certezza l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, di per sé sufficiente a produrre l'infermità e tale da far degradare altre evenienze a semplici occasioni (Cass. n. 27952/2018; Cass. n. 6105/2015). In applicazione di questo principio questa Corte ha coerentemente affermato che in tema di risarcimento del danno, il nesso causale tra l'esposizione ad amianto e il decesso intervenuto per tumore polmonare può ritenersi provato quando, sulla scorta delle risultanze scientifiche e delle evidenze già note al momento dei fatti e secondo il criterio del "più probabile che non", possa desumersi che la non occasionale esposizione all'agente patogeno - in relazione alle modalità di esecuzione delle incombenze lavorative, alle mansioni svolte e all'assenza di strumenti di protezione individuale - abbia prodotto un effetto patogenico sull'insorgenza o sulla latenza della malattia (Cass. ord. n. 13512/2022). Quindi per affermare il nesso causale non occorre necessariamente identificare la patologia tumorale in termini di "mesotelioma", come invece ha ritenuto la Corte d'Appello. Il nesso causale può sussistere anche rispetto ad un tumore polmonare di tipo diverso, purché ricorrano tutti gli altri elementi di valutazione causale sopra detti, in primo luogo la non occasionale esposizione all'agente patogeno, poi le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, l'assenza di strumenti di protezione individuale, l'assenza di fattori estranei all'attività lavorativa, di per sé sufficienti a produrre l'infermità e tale da far degradare gli altri fattori a semplici occasioni. Questi accertamenti e le correlate valutazioni sono stati completamente omessi dalla Corte territoriale, la cui decisione, dunque, si traduce in violazione dell'art. 41 c.p. e pertanto va cassata con rinvio per un nuovo apprezzamento dell'esposizione a polveri di amianto e della sua rilevanza causale o concausale nell'eziologia della patologia del de cuius e poi del suo decesso.
A tal fine va affermato il seguente principio di diritto: "Accertata la presenza di uno di fattori di rischio (nel caso di specie l'esposizione all'amianto), che scientificamente si pongono come idonei antecedenti causali della malattia, prima, e del decesso, poi, va affermata la sussistenza del nesso di causalità tra quel fattore di rischio e la malattia e quindi il decesso, anche eventualmente in termini di concausalità, in presenza di non occasionale esposizione all'agente patogeno, determinate modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, assenza di strumenti di protezione individuale, salvo che sussista altro fattore, estraneo all'attività lavorativa e/o all'ambiente lavorativo, da solo idoneo a determinare la malattia e/o, poi, il decesso".
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di Cassazione il 9 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2024.