È possibile ottenere un "risarcimento personalizzato" per il danno biologico subito in un sinistro stradale?
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 28526 del 6 novembre 2024, ha risposto a questa domanda, fornendo importanti chiarimenti sul concetto di personalizzazione del risarcimento del danno biologico.
Nel caso di specie, un ciclista professionista è rimasto vittima di un incidente stradale mentre era alla guida della sua bicicletta da corsa. L'incidente è avvenuto a causa di un contatto con un autocarro, che ha provocato gravi lesioni al ciclista, con conseguenti danni permanenti. Il Tribunale di Pistoia aveva già riconosciuto un risarcimento di oltre 42.000 euro, stabilendo una responsabilità condivisa tra le parti coinvolte nell'incidente.
La questione principale riguarda la possibilità di una personalizzazione del risarcimento del danno biologico subito dalla vittima.
La Cassazione ha confermato che la personalizzazione del risarcimento del danno biologico è possibile solo in presenza di conseguenze specifiche e particolarmente gravi che differenziano il danno subito dalla vittima da quello tipico di altre situazioni analoghe.
In altre parole, non tutte le lesioni consentono di ottenere un risarcimento personalizzato. La vittima deve dimostrare che le conseguenze subite sono state diverse e più gravi rispetto a quelle che una persona media avrebbe riportato nelle stesse circostanze (Cass. n. 7513 del 2018).
Nella vicenda in esame, la Corte d'Appello di Firenze aveva già confermato la decisione del Tribunale di Pistoia, stabilendo che non c'erano prove sufficienti per riconoscere un danno maggiore rispetto a quanto già previsto dalle tabelle milanesi, utilizzate come riferimento per la quantificazione del danno biologico.
La Cassazione ha quindi ribadito che, per ottenere una personalizzazione del risarcimento, è necessaria una prova concreta delle sofferenze aggiuntive subite.
In tema di cd. "personalizzazione" del risarcimento del danno biologico, in presenza di una lesione della salute, possono aversi le conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi, ovvero:
La liquidazione delle prime presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità, mentre la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 06/11/2024 (ud. 13/06/2024) n. 28526
FATTI DI CAUSA
1. Br.Ma. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 793/20, del 15 aprile 2020, della Corte d'Appello di Firenze, che – respingendone il gravame avverso la sentenza non definitiva n. 1294/13, del 14 dicembre 2013, e quella definitiva n. 1189/15, del 15 dicembre 2015, rese dal Tribunale di Pistoia – ha confermato il riconoscimento della responsabilità, nella sola misura del 20%, di Io.An., in proprio e quale socio accomandatario della società Capperi Autotrasporti Sas di Io.An. E Co. (d'ora in poi, "Capperi Autotrasporti"), in relazione al sinistro stradale del quali il Br.Ma. fu vittima l'8 novembre 2005, in Q, nonché la condanna, in solido, dello Io.An. e della società CATTOLICA DI ASSICURAZIONE S.c.a.r.l. (d'ora in poi, "Cattolica") al risarcimento del danno non patrimoniale, nella misura di Euro 42.988,76, oltre interessi.
2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di essere rimasto vittima – nelle circostanze di tempo e di luogo sopra meglio specificate – di un incidente stradale, allorché, mentre era alla guida della propria bicicletta da corsa, veniva urtato (cadendo al suolo e riportando gravi lesioni personali) dall'autocarro di proprietà della Capperi Autotrasporti, condotto nell'occasione da Io.An., veicolo assicurato per la "RCA" dalla società Cattolica. In particolare, il Br.Ma. addebitava la responsabilità dell'occorso alla condotta di guida dello Io.An., assumendo che il medesimo – nel ripartire alla luce verde del semaforo, posto all'incrocio delle vie (Omissis) e (Omissis) – stringeva sulla destra, andando così ad urtare il velocipede mentre lo stesso stava ultimando la manovra di sorpasso, facendolo precipitare al suolo e investendolo.
Per il ristoro dei danni conseguenti alle lesioni personali subite, che avevano comportato postumi di invalidità permanente stimati dal medico di fiducia del Br.Ma. nel 25%, l'odierno ricorrente adiva l'autorità giudiziaria, convenendo in giudizio lo Io.An., in proprio e nella già ricordata qualità, nonché la società Cattolica.
Costituitisi in giudizio ambo i convenuti per resistere all'avversaria domanda, la causa veniva inizialmente istruita attraverso l'espletamento di prova testimoniale, all'esito della quale il Tribunale pistoiese pronunciava la già meglio indicata sentenza non definitiva, che fissava nelle rispettive misure del 20% e dell'80% le responsabilità dello Io.An. e del Br.Ma. nella causazione dell'evento dannoso, rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione del danno, attraverso consulenza tecnica d'ufficio. Espletata la stessa, il primo giudice, con la sentenza definitiva anch'essa sopra menzionata, conteneva la misura del risarcimento del danno non patrimoniale in Euro 42.988,76, oltre interessi.
Proposto gravame avverso le due sentenze, il giudice d'appello confermava quanto deciso in prime cure.
3. Avverso la sentenza della Corte fiorentina ha proposto ricorso per cassazione il Br.Ma., sulla base – come detto – di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – "violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. (erronea valutazione delle prove)", nonché "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 148 cod. strada e dell'art. 2054 cod. civ., in relazione alla sussistenza di una corresponsabilità preponderante dell'attore nella causazione del sinistro oggetto del giudizio".
Si censura la sentenza impugnata, là dove ha confermato l'attribuzione della responsabilità della causazione del sinistro, nella preponderante misura dell'80% (e non in misura ancora maggiore, "in assenza di impugnazione incidentale", secondo quanto testualmente afferma il giudice d'appello), a carico dello stesso Br.Ma., e ciò "per quanto emerso dall'istruttoria", giacché la tesi dell'allora appellante – secondo cui egli aveva praticamente ultimato il sorpasso dell'autocarro fermo, allorché il conducente dello stesso, una volta scattata la luce semaforica verde, "eseguiva una pericolosa manovra di spostamento verso destra senza curarsi della presenza di altri veicoli" – avrebbe ricevuto "precisa smentita dalle dichiarazioni dei testi escussi". Difatti, dalla prova orale, prosegue la sentenza impugnata, è emerso che il Br.Ma. "ha effettuato una manovra di sorpasso a destra" (irrilevante essendo la circostanza che il medesimo non venne contravvenzionato per la violazione dell'art. 148 cod. strada), oltretutto – secondo quanto riferito dal teste Co. e confermato dalle foto allegate al verbale di polizia municipale – attraverso una modalità "sicuramente pericolosa", dato che "lo spazio tra il camion e il margine destro della carreggiata" risultava "oggettivamente risicato", giacché "grossomodo equivalente alla larghezza del manubrio del velocipede".
Assume, per contro, il Br.Ma. che, mentre risulterebbe "pacifico" che egli affiancò a destra il camion "quando ancora il semaforo proiettava la luce rossa", al contrario "non può – in base all'istruttoria testimoniale esperita – in alcun modo dirsi acclarato che egli non avesse completato la manovra intrapresa allorché il camion, compiendo una manovra di spostamento verso la propria destra (circostanza di cui non vi è traccia o menzione nella pronuncia in questa sede gravata) finiva per urtare o travolgere il ricorrente". Per contro, "dal verbale di sinistro compilato dai rilevatori" emergerebbe che esso Br.Ma. "aveva pressoché ultimato la manovra di sopravanzamento del mezzo articolato", per giunta tenendosi strettamente sulla propria destra, quando ancora la luce del semaforo era rossa, mentre, allo scattare del verde, il conducente dell'autocarro "eseguiva una pericolosa manovra di spostamento verso destra senza curarsi della presenza di altri veicoli", tanto da travolgere l'odierno ricorrente, "investito dalla prima ruota delle tre coppie di ruote gemelle che si trovano a metà del rimorchio", come confermato dai rilievi fotografici.
Tali circostanze, unitamente al fatto che esso Br.Ma. non fu contravvenzionato per l'infrazione di cui all'art. 148 cod. strada, avrebbero dovuto portare la Corte fiorentina a ritenere "che egli non aveva posto in essere una manovra di sorpasso proibita" e che "neppure l'evento poteva attribuirsi a manovra imprudente e pericolosa" dallo stesso compiuta, donde la "violazione e/o falsa applicazione" di tale norma.
D'altra parte, tale manovra dovrebbe "ritenersi del tutto irrilevante", giacché "se il camion avesse tenuto la propria direzione, procedendo in linea retta, l'impatto non sarebbe avvenuto e nessuna conseguenza scaturita", sicché ogni responsabilità dell'occorso sarebbe da ascrivere al conducente dell'autocarro. Esito al quale il giudice d'appello sarebbe dovuto pervenire in applicazione del principio – enunciato da questa Corte – secondo cui la "presunzione di responsabilità di cui all'art. 2054 cod. civ. è meramente sussidiaria e non opera qualora risulti concretamente accertato che l'evento dannoso si è verificato per colpa esclusiva di uno dei conducenti", come si assume accaduto nella specie.
Conseguentemente, oltre "ad un'erronea ricostruzione del fatto, dovuta presumibilmente ad una erronea valutazione delle prove, nella pronuncia gravata sussiste una violazione e/o falsa applicazione del disposto dell'art. 2054 cod. civ., in quanto ai fini dell'attribuzione della responsabilità nella produzione del sinistro non si è considerata l'efficacia causale delle singole condotte".
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – "violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. (erronea valutazione delle prove)", nonché "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 148 cod. strada e dell'art. 2054 cod. civ., in relazione alla misura della corresponsabilità dell'attore nella causazione del sinistro oggetto del giudizio".
Il Br.Ma. censura, nuovamente, la sentenza impugnata sulla scorta delle argomentazioni già svolte con il primo motivo, giacché esse rivelerebbero l'erroneità della conclusione raggiunta da ambo i giudici di merito, consistita nell'individuare "nella condotta dell'esponente, nel compimento di una manovra di 'sorpasso' sulla destra l'unico comportamento efficiente a determinare l'evento dannoso". Difatti, anche nell'ipotesi in cui dovesse ritenersi "accertata una corresponsabilità della condotta" di esso ricorrente, "la sentenza sarebbe assolutamente illegittima e gravatoria nel punto in cui non ha ritenuto di dover applicare il criterio residuale – avanzato in via subordinata con il gravame avverso la sentenza definitiva del Tribunale di Pistoia – dell'art. 2054, comma 2, cod. civ.".
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – "violazione o falsa applicazione dell'art. 116 cod. proc. civ. (erronea valutazione delle prove) e dell'art. 2059 cod. civ., in relazione al risarcimento del danno non patrimoniale".
Si censura la sentenza impugnata, in primo luogo, per aver escluso una diversa "personalizzazione" del danno non patrimoniale, in difetto di prova "di sofferenze psicofisiche diverse ed ulteriori", rispetto a quelle conseguenti ordinariamente alle lesioni patite dal Br.Ma. e già ricomprese nelle c.d. "tabelle milanesi" (sofferenze tali, dunque, da far ritenere non satisfattivo il valore medio standardizzato dalle stesse). Difatti, tale decisione non avrebbe considerato che, in ragioni delle lesioni subite, il Br.Ma. "ha dovuto cessare di praticare il ciclismo amatoriale con le modalità in precedenza usate", ovvero, non nel senso che egli "abbia definitivamente interrotto ogni pratica sportiva, ma che a causa della gravità dei danni riportati in seguito al sinistro non abbia più potuto svolgerla ai medesimi livelli precedentemente praticati".
In secondo luogo, si censura la sentenza impugnata perché essa, sulla scorta della CTU, non ha ritenuto di dover riconoscere alcun ristoro per la compromissione dell'attività lavorativa del ricorrente, avendo egli continuato a svolgerla dopo il sinistro e non essendo stata acquisita prova di alcun pregiudizio alla stessa. Nondimeno, assume il ricorrente che, avendo egli "perduto per un lunghissimo periodo la possibilità di seguire costantemente i propri affari e di attendere alle sorti della propria impresa", tale evenienza, non rientrante nell'ambito dei danni patrimoniali strettamente intesi, costituirebbe, piuttosto, "un pregiudizio che investe la sfera areddituale del soggetto leso, provocando la totale compromissione delle proprie abitudini di vita", da risarcire ai sensi dell'art. 2059 cod. civ.
4. Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, la società Cattolica, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
5. È rimasto solo intimato lo Io.An., nella già indicata qualità.
6. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
7. Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria.
8. Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
9. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
9.1. Inammissibile è il primo motivo, risolvendosi in un – non consentito – tentativo di mettere in discussione il giudizio di fatto operato dai giudici di merito in relazione alla ricostruzione della dinamica del sinistro e, con esso, la decisione di attribuire nella misura dell'80% il contributo del Br.Ma. alla causazione dell'evento dannoso di cui fu vittima.
9.1.1. Invero, l'inammissibilità connota ciascuna delle censure in cui il motivo si articola, a cominciare dalla denunciata violazione dell'art. 116 cod. proc. civ., essendo la stessa dedotta "sub specie" di "erronea valutazione delle prove".
Per contro, la violazione di detta norma – che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale – è ravvisabile solo quando "il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime" (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre "ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione" (Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di "irriducibile contraddittorietà" (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01) o di inconciliabilità logica (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), tali da rendere le sue "argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento" (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), sempre a condizione che essi abbiano carattere "testuale" (come rammenta, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 5 marzo 2024, n. 5792, in particolare al par. 10.9.), nel senso che debbono emergere "immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata" (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01) vale a dire "prescindendo dal confronto con le risultanze processuali" (così, tra le molte, Cass. Sez. 1, ord. 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata, nonché Cass. Sez. 1, ord. 3 marzo 2022, n. 7090, Rv. 664120-01).
Per contro, nel caso che occupa (a prescindere dalla mancata evocazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.), anche a immaginare che il ricorrente abbia voluto dolersi di un difetto di motivazione, lo stesso non risulterebbe affatto prospettato come vizio "testuale", giacché il cattivo apprezzamento della prova risulterebbe, piuttosto, denunciato attraverso un confronto con le risultanze istruttorie.
9.1.2. Inammissibile, del pari, è la censura di violazione dell'art. 2054 cod. civ. (e dell'art. 148cod. strada).
Invero, il ricorrente assume che "ad un'erronea ricostruzione del fatto, dovuta presumibilmente ad una erronea valutazione delle prove", nella pronuncia gravata è seguita "una violazione e/o falsa applicazione del disposto dell'art. 2054 cod. civ., in quanto ai fini dell'attribuzione della responsabilità nella produzione del sinistro non si è considerata l'efficacia causale delle singole condotte".
Così prospettata, la censura di violazione di norme di diritto (lo stesso rilievo può farsi anche con riferimento all'ipotizzata violazione dell'art. 148 cod. strada) disvela la propria inammissibilità.
Difatti, il vizio di violazione di legge "consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità" ("ex multis", Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione "postula che l'accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito" (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01). Ne consegue, quindi, che il "discrimine tra l'ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l'ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa" (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442); evenienza, quest'ultima, che ricorre nel caso di specie, visto che il presente motivo sollecita, in realtà, un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, assumendo quale presupposto della violazione di legge "un'erronea ricostruzione del fatto, dovuta presumibilmente ad una erronea valutazione delle prove".
9.2. Le medesime considerazioni svolte con riferimento al primo motivo di ricorso denotano l'inammissibilità anche del secondo motivo.
9.2.1. Esso, per vero, risulta prospettato negli stessi termini in cui è proposto il primo motivo, ovvero lamentando "violazione dell'art. 116 cod. proc. civ. (erronea valutazione delle prove)", nonché "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 148 cod. strada e dell'art. 2054 cod. civ.", sebbene, in questo caso, "in relazione alla misura della corresponsabilità dell'attore nella causazione del sinistro oggetto del giudizio", ovvero "istituendo" una correlazione tra cattivo apprezzamento dei fatti e violazione di norme di diritto.
Il tutto, peraltro, non senza osservare (come correttamente rilevato dalla controricorrente) che la mancata applicazione della "regola sussidiaria" della presunzione di eguale responsabilità, sancita dall'art. 2054, comma 2, cod. civ., costituisce – nel caso di specie – l'esito di una valutazione confermativa della prevalente responsabilità dell'occorso a carico del Br.Ma., giacché la Corte fiorentina afferma di condividere la valutazione del primo giudice circa "la responsabilità dell'attore" in "misura assolutamente prevalente", e con essa "la percentuale" dell'80% "come determinata dal Tribunale", lasciando persino intendere di attribuire ancora maggiore (se non addirittura esclusivo) rilievo alla condotta del Br.Ma., rimarcando l'assenza di "impugnazione incidentale". Esito, peraltro, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "il conducente di un veicolo, nell'accingersi ad un sorpasso – che costituisce manovra pericolosa e complessa – non solo deve attivare la propria attenzione, ma altresì constatare che vi sia spazio libero sufficiente perché detta manovra possa avvenire senza alcun pericolo, dovendo soprassedere laddove, in relazione alle circostanze contingenti, non abbia la certezza della sussistenza di spazio sufficiente ad escludere ogni possibilità di collisione" (Cass. Sez. 3, sent. 30 novembre 2018, n. 31009, Rv. 651866-01).
9.3. Il terzo motivo, infine, è inammissibile a norma dell'art. 360-bis cod. proc. civ.
9.3.1. Questa Corte – in tema di cd. "personalizzazione" del risarcimento del danno biologico – ha chiarito, da tempo, che, in presenza di una lesione della salute, potranno aversi le "conseguenze dannose più diverse, ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi", ovvero, "conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che dovessero patire quel particolare tipo di invalidità" e "conseguenze peculiari del caso concreto, che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggiore rispetto ai casi consimili" (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 marzo 2018, n. 7513, Rv. 648303-01). Orbene, se tutte tali conseguenze, indifferentemente, "costituiscono un danno non patrimoniale", resta inteso che "la liquidazione delle prime tuttavia presuppone la mera dimostrazione dell'esistenza dell'invalidità", laddove "la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto". In questo quadro, pertanto, "la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d'una lesione della salute, non esce dall'alternativa o è una conseguenza 'normale' del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica), ed allora si terrà per pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare, ed allora dovrà essere risarcita, adeguatamente aumentando la stima del danno biologico", attraverso la sua "personalizzazione" (cfr. sempre Cass. Sez. 3, ord. n. 7513 del 2018, cit.).
Ne deriva, pertanto, che l'operazione di "personalizzazione" impone "al giudice di far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze 'ordinariÈ già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari" (così Cass. Sez. 3, sent. 21 settembre 2017, n. 21939, Rv. 645503-01), e ciò in quanto "le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento" (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. n. 7513 del 2018, cit.).
Calati tali principi nel caso in esame, deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha affermato non essere possibile, in via generale, "una personalizzazione del danno non patrimoniale se non espressamente fornita di prova in termini di sofferenze psico-fisiche diverse ed ulteriori rispetto a quelle conseguenti a lesioni analoghe" – a quelle patite dal Br.Ma. – "e già ricomprese... nelle Tabelle" applicate, soggiungendo, con specifico riferimento alla fattispecie sottoposta al suo vaglio, non essere state "adeguatamente provate particolari conseguenze sulle attività quotidiane tali da far ritenere non satisfattivo il valore medio standardizzato".
Così argomentando, dunque, la sentenza impugnata si è conformata pienamente al principio enunciato da questa Corte secondo cui il ricorso alla personalizzazione "esige la prova concreta dell'effettivo (e maggior) pregiudizio sofferto", qui ritenuto insussistente sotto il profilo sia della limitazione subita dal Br.Ma. in relazione alla sua attività di cicloamatore, sia della temporanea compressione della "piena soddisfazione di sé", che si assume scaturita dall'impossibilità, "per lunghissimo tempo", di "seguire costantemente i propri affari e di attendere alle sorti della propria impresa".
Pertanto, l'odierno ricorrente, per scalfire tale motivazione, avrebbe solo potuto dimostrare di essersi offerto di provare tali circostanze, ma che tale prova – inopinatamente – non venne ammessa, giacché "la motivazione deve ritenersi affetta dal vizio di contraddittorietà insanabile e viola, quindi, il "minimo costituzionale", qualora il giudice di merito rigetti la domanda ritenendola non provata dopo aver respinto una richiesta non inammissibile di prova" (Cass. Sez. 3, ord. 9 novembre 2017, n. 26538, Rv. 646837-01).
Non essendo stata, però, proposta una simile doglianza il motivo è da ritenersi inammissibile, essendosi il giudice di merito attenuto ai principi enunciati da questa Corte.
10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico del ricorrente e liquidate come da dispositivo.
11. Non sussistono, invece, i presupposti per applicare l'art. 96, comma 3, cod. proc. civ., come da richiesta della controricorrente.
11.1. Va premesso, invero, che lo scopo di tale norma è quello di sanzionare una condotta "oggettivamente valutabile alla stregua di 'abuso del processo'" ("ex multis", Cass. Sez. 3, sent. 30 marzo 2018, n. 7901, Rv. 648311-01; Cass. Sez. 2, sent. 21 novembre 2017, n. 27623, Rv. 646080-01), e, dunque, nel giudizio di legittimità, di uso indebito dello strumento impugnatorio. Siffatta evenienza, tuttavia, è stata ravvisata in casi – a nessuno dei quali può ricondursi quello presente – o di vera e propria "giuridica insostenibilità" del ricorso (Cass. Sez. 3, sent. 14 ottobre 2016, n. 20732, Rv. 642925-01), "non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate" con lo stesso (così, Cass. Sez. Un., sent. 20 aprile 2018, n. 9912, Rv. 648130-02), ovvero in presenza di altre condotte processuali – al pari indicative dello "sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali", e suscettibili, come tali, di determinare "un ingiustificato aumento del contenzioso", così ostacolando "la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione" – quali "la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione del vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., ove sia applicabile, 'ratione temporis', l'art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., che ne esclude l'invocabilità" (Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10327, Rv. 648432-01).
12. A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
13. Infine, per la natura della "causa petendi", va d'ufficio disposta l'omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, delle generalità e degli altri dati identificativi del ricorrente, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando Br.Ma. a rifondere, alla società CATTOLICA DI ASSICURAZIONE S.c.a.r.l., le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Dispone che, ai sensi dell'art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi del ricorrente.
Così deciso in Roma il 13 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2024.