Quando l'esistenza d'un contratto venga in rilievo quale presupposto per l'esercizio di diritti nei confronti di terzi (come nel caso in cui l'esistenza d'una locazione commerciale sia presupposto per il versamento da parte della p.a. d'un indennizzo al conduttore), e quel contratto venga dichiarato risolto con una pronuncia costitutiva ex art. 1453 c.c., gli effetti della risoluzione nei confronti dei terzi si devono considerare avvenuti nel momento dell'inadempimento dedotto a fondamento della domanda di risoluzione. Da quel momento, pertanto, cessa l'obbligazione del terzo il cui presupposto giuridico era l'esistenza del contratto risolto.
Cassazione civile, sez. III, ordinanza 11/11/2024 (ud. 11/07/2024) n. 28895
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2002 la Regione Campania, dovendo realizzare un tratto ferroviario in esecuzione degli interventi stabiliti dalla legge 211/92, dispose l'occupazione d'urgenza di un'area di circa 250 mq, nel territorio del Comune di N. Sulla suddetta area sorgeva un immobile di proprietà di Pe.Lu., concesso in locazione a La.Pa., il quale vi esercitava l'attività di ristorazione.
2. In prosieguo di tempo la veste di ente espropriante fu assunta dapprima dalla società Metrocampania Nord Est sSr.l., e poi dalla società ENTE AUTONOMO VOLTURNO Srl (d'ora innanzi, per brevità, "la EAV").
Parallelamente, La.Pa. donò l'azienda di ristorazione ai figli, che al fine di proseguirne l'esercizio costituirono la società Mario's di La.An. Sas.
3. L'8.10.2008 la Mario's e la EAV, al fine di regolare i rapporti giuridici sorti dall'occupazione dell'area ove sorgeva l'immobile condotto in locazione dalla società Mario's ed adibito ad esercizio commerciale, stipularono un accordo, intitolato "atto di concordamento", col quale si stabilì che la EAV avrebbe pagato alla Mario's un indennizzo di Euro 260.175,5, a titolo di indennità di occupazione per un periodo di 18 mesi (dall'8.10.2008 all'8.4.2010), prorogabile poi per altri 18 mesi fino all' 8.10.2011 dietro pagamento di identico importo.
4. A partire dal gennaio del 2010 la Mario's si rese morosa nel pagamento di canoni di locazione dovuti al proprietario dell'immobile (Pe.Lu.), che per questa ragione le intimò sfratto per morosità il 16.10.2012. L'opposizione allo sfratto, incardinata dinanzi al Tribunale di Napoli, fu rigettata e lo sfratto convalidato con ordinanza del 7.10.2013; l'immobile fu liberato l'anno dopo.
5. Nel frattempo, il 27.4.2011 (e quindi quando era già morosa nel pagamento dei canoni) la Mario's chiese ed ottenne dal Tribunale di Napoli un decreto ingiuntivo nei confronti della EAV, avente ad oggetto il pagamento della somma concordata nel 2008 a titolo di indennità di occupazione.
A fondamento del ricorso monitorio la società Mario's dedusse che, scaduti i primi 18 mesi (per i quali l'indennità era stata già pagata), la EAV non aveva sgomberato l'area, come da accordi, né pagato l'indennità promessa per i 18 mesi successivi, ovvero il periodo dall'8.4.2010 all'8.10.2011.
6. La EAV propose opposizione al decreto, deducendo che l'indennità concordata nel 2008 fu promessa sul presupposto che la Mario's per effetto dell'occupazione sarebbe stata costretta a cessare l'attività di ristorazione. Poiché, tuttavia, quell'attività non era affatto cessata, la Mario's si doveva ritenere inadempiente agli obblighi assunti.
L'opponente EAV chiese di conseguenza che l'accordo del 2008 fosse dichiarato risolto per inadempimento della Mario's.
Nel corso del giudizio la EAV produsse altresì il provvedimento conclusivo del giudizio di sfratto promosso da Pe.Lu. (proprietaria dell'immobile) nei confronti della Mario's (conduttrice); dedusse che quel provvedimento, retroagendo al momento dell'inadempimento da parte della Mario's del contratto di locazione (gennaio 2010), rendeva non più dovuta, a partire da quel momento, non solo l'indennità pretesa col ricorso monitorio (ovvero quella concordata per il periodo 8.4.2010-8.10.2011), ma anche quella già percepita, limitatamente alla frazione di tempo compresa tra l'effetto risolutivo del contratto di locazione (gennaio 2010) e la scadenza del primo periodo di occupazione (8.4.2010), e dunque per quattro mesi.
7. Con sentenza 9.3.2015 il Tribunale di Napoli rigettò l'opposizione, ritenendo che:
-) l'occupazione dell'immobile era pacifica;
-) non vi era prova che, nonostante l'accordo del 2008, la Mario's avesse continuato ad esercitare in esso l'attività di ristorazione;
-) la circostanza che sin dal 2010 la Mario's avesse sospeso il pagamento dei canoni al proprietario, e fosse stata per questa ragione sfrattata, era irrilevante, perché costituiva "un elemento di mero fatto che poteva al più rilevare come presupposizione". La sentenza fu appellata dall'EAV.
8. Con sentenza 11.6.2020 n. 2084 la Corte d'Appello di Napoli rigettò il gravame.
La Corte ritenne che:
-) inammissibili erano le doglianze intese a contestare il quantum debeatur, perché formulate per la prima volta solo in appello; in primo grado infatti la EAV aveva contestato la misura dell'area occupata non già al fine di determinare il proprio debito in misura inferiore rispetto a quanto preteso dalla Mario's, ma al diverso fine di far constare la prosecuzione dell'attività commerciale da parte della Mario's, e di conseguenza, il suo inadempimento ai patti stabiliti con l'accordo del 8.10.2008;
-) l'affermazione del Tribunale secondo cui l'attività di ristorazione da parte della Mario's non era continuata non era stata impugnata;
-) lo sfratto della Mario's dai locali occupati era irrilevante ai fini del decidere, perché pronunciato nel 2013, mentre l'indennità oggetto del contendere era dovuta per il periodo aprile 2010-ottobre 2011.
9. La EAV ha impugnato per cassazione la sentenza d'appello. La Mario's ha resistito con controricorso. La trattazione è stata fissata ai sensi dell'art. 380-bis 1 c.p.c.. Il Procuratore Generale ha chiesto accogliersi il ricorso. La Mario's ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l'unico motivo di ricorso la EAV censura la sentenza d'appello nella parte in cui ha ritenuto che la mora della Mario's nei confronti del locatore, la conseguente intimazione di sfratto e la relativa ordinanza di convalida fossero "irrilevanti" ai fini della decisione della lite tra il conduttore dell'area occupata (Mario's) e l'occupante (EAV).
La società ricorrente deduce che la sentenza di risoluzione del contratto di locazione retroagisce al momento dell'inadempimento (nella specie, 2010). Pertanto la Mario's, nel momento in cui si rese inadempiente all'obbligo di pagamento dei canoni, perse il diritto di rimanere nel godimento dell'area occupata. E se non aveva quel diritto, nemmeno poteva pretendere che le fosse dovuta una indennità per la perdita di esso.
1.1. Il motivo è fondato.
La Corte d'Appello di Napoli era chiamata a stabilire se fosse dovuta dalla EAV alla Mario's l'indennità di occupazione temporanea (concordata a titolo di ristoro del pregiudizio causato dalla forzosa interruzione dell'attività di ristorazione), nonostante la Mario's:
a) prima che divenisse esigibile il suo credito nei confronti della EAV, fosse già in mora nel pagamento del canone dovuto al locatore dell'immobile ove era svolta l'attività d'impresa;
b) dopo l'avvio del giudizio nei confronti della EAV fosse stata sfrattata dal suddetto immobile.
Il giudice di merito a tale quesito ha dato risposta negativa in base ad un dato puramente temporale: lo sfratto - ha osservato la Corte d'Appello a p. 8, secondo capoverso, della sentenza impugnata - fu convalidato nel 2013, mentre l'indennità dovuta dalla EAV alla Mario's si riferiva ad un periodo precedente (aprile 2010-ottobre 2011).
1.2. La suddetta statuizione costituisce falsa applicazione dell'art. 1458 c.c. L'art. 1458 c.c. stabilisce che "la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite".
L'interpretazione di questa norma è da tempo contrastata nella dottrina civilistica (non è inutile ricordare, ad es., che un'autorevole opinione la definisce "oscura" e fonte di "problemi insolubili"; altra e non meno autorevole opinione, all'opposto, ritiene che l'art. 1458 c.c. "esclude qualsiasi dubbio" sugli effetti della risoluzione).
Questa Corte, tuttavia, non ha inteso e non intende seguire la nimia subtilitas di talune opinioni dottrinarie, e nell'interpretazione di questa norma ha, da tempo, distinto due gruppi di "effetti" della risoluzione.
1.2.1. Sono "effetti della risoluzione", in primo luogo, quelli che si producono tra le parti del contratto risolto.
Questi effetti, che si potrebbero definire "effetti interni" della risoluzione, sono tradizionalmente distinti in effetti liberatori (l'estinzione dell'obbligazione assunta col contratto), restitutori (l'insorgenza dell'obbligazione di restituire le prestazioni ricevute in esecuzione del contratto, divenute ormai sine causa) e risarcitori (per tutti, Sez. U, Sentenza n. 12942 del 04/12/1992), e non vengono in rilievo nella presente sede: la contesa, infatti, riguarda l'effetto della risoluzione nei confronti di un terzo.
1.2.2. Può tuttavia accadere che l'esistenza del contratto risolto rilevi non solo tra le parti di esso ed ai fini restitutori o risarcitori, ma anche rispetto ai terzi; oppure può accadere che il contratto venga in rilievo tra le parti di esso non come fonte di obbligazioni, ma come presupposto per l'esercizio di diritti o facoltà previsti dalla legge o da altri contratti.
Ciò può avvenire, ad es., nel caso in cui l'esistenza del contratto sia il presupposto per l'esercizio di un diritto di prelazione o di opzione; oppure nel caso in cui il contratto risolto costituiva la causa concreta giustificatrice di un diverso accordo (la risoluzione del contratto, ad es., estinguendo le obbligazioni in esso pattuite, può determinare l'estinzione delle relative garanzie, se di queste non ne sia stata pattuita l'estensione alle obbligazioni risarcitorie o restitutorie).
Quando l'esistenza d'un contratto costituisca elemento costitutivo di una ulteriore e diversa fattispecie, oppure causa giustificativa di un ulteriore negozio, la sua risoluzione può produrre effetti anche nei confronti di terzi (effetti che si potrebbero definire "effetti esterni" della risoluzione). Nei contratti ad esecuzione istantanea, una volta dichiarata la risoluzione per inadempimento, il contratto si considera come non mai esistito, e di conseguenza non può in alcun caso essere invocato come elemento costitutivo di ulteriori fattispecie, né come condicio iuris di facoltà e diritti. Nei contratti ad esecuzione continuata invece, secondo la giurisprudenza di questa Corte, una volta dichiarata la risoluzione per inadempimento il contratto si considera cessato dal momento dell'inadempimento. L'inadempimento, infatti, costituisce un vizio sopravvenuto del sinallagma; il vizio del sinallagma rende sine causa il contratto e le prestazioni eseguite in forza di esso; ergo, è dal momento dell'inadempimento che il contratto diviene sine causa.
Quando dunque si tratta di stabilire se un contratto ad esecuzione continuata che sia stato dichiarato risolto esista o non esista non come fonte di diritti ed obblighi per le parti, ma come elemento costitutivo di una diversa fattispecie astratta, è al momento dell'inadempimento che occorre fare riferimento. Quel contratto pertanto si dovrà ritenere esistente sino al momento in cui si è verificato l'inadempimento che condurrà alla pronuncia di risoluzione.
1.3. La conclusione appena esposta non contrasta con l'art. 1458 c.c. Tale norma stabilisce che nei contratti ad esecuzione continuata o periodica gli effetti della risoluzione non si estendono alle "prestazioni già eseguite" (art. 1458, comma primo, ultima parte, c.c.).
Questa previsione tuttavia non vuol dire affatto che qualunque effetto della risoluzione d'un contratto ad esecuzione continuata si produca ex nunc. L'art. 1458 c.c. limita sì la retroattività della risoluzione, ma per un solo oggetto e ad un solo effetto: la limitazione riguarda infatti i soli effetti restitutori, e circoscrive la limitazione alle sole obbligazioni "già eseguite", le quali sono perciò irripetibili (così già Sez. 2, Sentenza n. 5462 del 20/10/1979, Rv. 402048 - 01, in seguito sempre conforme; non mette conto in questa sede affrontare il tema, pur esso contrastato, se per "prestazioni già eseguite" debbano intendersi soltanto quelle per le quali si è realizzato compiutamente il sinallagma, oppure anche quelle eseguite da una delle parti senza ricevere la dovuta controprestazione).
L'art. 1458 c.c. si occupa dunque solo dei c.d. "effetti interni" della risoluzione, ma a tutti gli altri effetti anche la risoluzione d'un contratto ad esecuzione continuata ha efficacia retroattiva "a partire dal momento in cui si è verificato l'inadempimento" (giurisprudenza costantissima: ex permultis, Sez. 1, Ordinanza n. 16856 del 19.6.2024; Sez. 3, Sentenza n. 28016 del 31.10.2019; Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 14623 del 6.6.2018; Sez. 3, Sentenza n. 22618 del 8.11.2016; Sez. 3, Sentenza n. 5771 del 10/03/2010, Rv. 611820 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 10985 del 10/12/1996, Rv. 501176 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 2070 del 20/02/1993, Rv. 481012 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 2566 del 12/03/1991, Rv. 471232 - 01, e via risalendo fino a Sez. 3, Sentenza n. 781 del 24/03/1966, Rv. 321570 - 01).
1.4. Parte della dottrina ha ritenuto di ravvisare, su tale questione, un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, segnalando che mentre secondo l'orientamento già ricordato al par. 1.3 gli effetti della risoluzione retroagiscono al "momento dell'inadempimento", esisterebbe un diverso orientamento, formatosi in materia di risoluzione del contratto di locazione di immobili, il quale ritiene che l'obbligo del conduttore di restituire l'immobile sorge dal momento della domanda giudiziale di risoluzione, in base all'assunto che la durata del processo non può tornare a svantaggio della parte vittoriosa (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 16110 del 09/07/2009; Sez. 3, Sentenza n. 14243 del 17/12/1999).
Mentre dunque - si sostiene - il primo orientamento fa retroagire gli effetti della risoluzione dei contratti di durata al momento dell'inadempimento, il secondo lo fa retroagire al momento della domanda giudiziale. In realtà tra i due orientamenti che precedono non vi è contrasto. Infatti nelle sentenze in cui si è affermato che gli effetti della sentenza di risoluzione si producono "dalla domanda giudiziale", era in discussione il dies a quo di decorrenza dei frutti civili della cosa da restituire (l'immobile locato), ovvero del risarcimento del danno ex art. 1591 c.c.
E tale questione è stata risolta affermando che il computo dei frutti da restituire decorre dalla domanda di risoluzione del contratto. Le sentenze, invece, nelle quali si è affermato che nei contratti di durata gli effetti della risoluzione "retroagiscono alla data dell'inadempimento" non avevano ad oggetto il problema di computo dei frutti dovuti dal conduttore tenuto alla restituzione della cosa, ma un problema ben diverso: accertare il momento esatto in cui il contratto doveva ritenersi risolto, al fine della sua opponibilità ai terzi come "fatto storico", oppure come elemento costitutivo di una fattispecie produttiva di ulteriori diritti: ad esempio, quando si è trattato di stabilire se eventuali diritti potestativi (riscatto, opzione, prelazione) esercitati da una delle parti, e fondati sul contratto stesso, potessero ritenersi validamente esercitati.
Solo per tali limitati fini questa Corte ha affermato il principio secondo cui nei contratti di durata la risoluzione "retroagisce alla data dell'inadempimento".
Ciò vuol dire che - ad esempio - se un conduttore prelazionario si rendesse inadempiente in modo grave il 1 febbraio, il 1 marzo esercitasse la prelazione, ed il 1 maggio si vedesse notificata la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, in caso di accoglimento di quest'ultima la prelazione dovrà ritenersi invalidamente esercitata, perché posteriore all'inadempimento, a nulla rilevando la sua anteriorità rispetto alla domanda.
1.5. Resta solo da aggiungere che la regola (sostanziale) appena indicata non confligge e non va confusa con il principio (processuale) per cui gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda.
La regola sostanziale (art. 1458 c.c.) stabilisce se gli effetti della risoluzione debbano essere retroattivi o irretroattivi, e va interpretata nel senso sopra indicato.
La regola processuale stabilisce a partire da quando debbano prodursi questi effetti, retroattivi od irretroattivi che siano.
Dunque non vi è contraddizione tra l'affermare che gli effetti della sentenza si producono dal momento della domanda, e il soggiungere che tali effetti siano retroattivi. Si tratta infatti di piani diversi e tra loro non confliggenti. La conferma logica di questo principio si ricava dall'ipotesi in cui, prima della proposizione della domanda (costitutiva) di risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c., il debitore adempia la propria obbligazione tardivamente, ma con un ritardo tale da non escludere la gravità dell'inadempimento di cui all'art. 1455 c.c. (è sin troppo noto l'esempio del sarto che consegni l'abito da sposa il giorno dopo le nozze).
In un caso come questo ovviamente nessuno potrebbe sostenere che, dovendo retroagire gli effetti della sentenza al momento della domanda, la risoluzione non potrebbe essere pronunciata perché al momento della domanda il debitore non era (più) inadempiente. Si dirà, piuttosto, che dal momento della domanda si verificherà l'effetto retroattivo della risoluzione, che renderà il contratto come non mai esistito.
1.5.1. Tanto si giustifica per la ragione che, pur verificandosi lo scioglimento del contratto al momento della proposizione della domanda di risoluzione, il fatto costitutivo giustificativo dello scioglimento sotto il profilo sostanziale risulta accertato con riferimento al momento dell'inadempimento. D'altro canto, sebbene l'ultimo comma dell'art. 1453 c.c. dica che dal momento della domanda di risoluzione (costitutiva) la parte inadempimento non può più adempiere, va considerato che questa previsione esclude che possa assumere rilevanza un simile adempimento tardivo agli effetti della valutazione ex art. 1455 c.c., ma non esclude il rilievo proprio agli effetti di tale norma della fattispecie per cui prima della domanda di risoluzione vi sia un adempimento tardivo: in tal caso se la valutazione ex art. 1455 c.c. risulti negativa per l'inadempiente divenuto adempiente tardivo prima della domanda, parimenti l'effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione sarà ricollegato - nei confronti dei terzi per cui rilevi - al momento dell'inadempimento con irrilevanza dell'inadempimento tardivo, ma anteriore alla proposizione della domanda.
1.6. Nel presente giudizio la risoluzione del contratto di locazione stipulato dalla Mario's (nella veste di conduttrice) con Pe.Lu. non viene in rilievo quale fonte di obblighi restitutori o risarcitori tra le parti del contratto, in quanto res inter alios acta.
Viene, invece, in rilievo quale fatto estintivo della causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale promessa dalla EAV alla Mario's. Sicché l'applicazione al caso di specie dei princìpi elencati ai parr. precedenti conduce alla conclusione che la risoluzione del contratto di locazione tra la Mario's e Pe.Lu. ha prodotto i suoi effetti "dal momento dell'inadempimento", e cioè da gennaio del 2010.
1.7. Nel caso di specie, infatti, è incontestato tra le parti che:
-) la Mario's sospese il pagamento dei canoni di locazione dovuti al proprietario dell'immobile dove esercitava la sua attività commerciale a gennaio del 2010;
-) l'indennizzo promesso dalla EAV era dovuto per il periodo dall'8.4.2010 all'8.10.2011;
-) il decreto ingiuntivo, avente ad oggetto il pagamento della suddetta indennità d'occupazione, fu emesso il 27.4.2011;
-) lo sfratto per morosità fu intimato dal locatore alla Mario's il 16.10.2012;
-) l'ordinanza di convalida di sfratto fu pronunciata il 7.10.2013.
1.8. L'ordinanza di convalida di sfratto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, produce i medesimi effetti della sentenza di risoluzione del contratto (Sez. 3, Sentenza n. 913 del 03/02/1999, Rv. 522891 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 2070 del 20/02/1993, Rv. 481012 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 31 del 05/01/1977, Rv. 383538 - 01).
E la risoluzione del contratto, quando si tratti di stabilire se questo esista o non esista nei rapporti con i terzi o quale condicio facti per l'esercizio d'un diritto, scioglie il contratto retroattivamente, col solo limite - nei contratti ad esecuzione continuata o periodica - delle prestazioni già eseguite: e dunque "dal momento in cui, realizzandosi l'inadempimento rilevante ai fini risolutivi (cioè accertato dalla pronuncia giudiziale), è venuto meno il sinallagma contrattuale" (così, testualmente, Sez. 3, Sentenza n. 10985 del 10/12/1996, già richiamata).
Pertanto sia al momento in cui la Corte d'Appello pronunciò la sentenza qui impugnata (11.6.2020), sia al momento della sentenza di primo grado (9.3.2015), il contratto di locazione stipulato dalla società Mario's con Pe.Lu., avente ad oggetto l'immobile ove la prima svolgeva l'attività di ristorazione, doveva ritenersi risolto per la EAV con efficacia ex tunc, a partire dal mese di gennaio del 2010.
Con la risoluzione di quel contratto, pertanto, veniva a cadere dal momento dell'accertato inadempimento la qualità soggettiva di "conduttore" dell'immobile oggetto di occupazione temporanea, che secondo l'incontestata prospettazione della EAV (p. 11 del ricorso) costituiva il fatto costitutivo della pretesa azionata in via monitoria.
1.9. Da ultimo, non può sottacersi - come giustamente rilevato dal Procuratore Generale - l'effetto paradossale della interpretazione dell'art. 1458 c.c. adottata dalla Corte d'Appello, ovvero consentire alla parte inadempiente un lucro maggiore di quello che avrebbe realizzato in caso di esatto adempimento.
Se, infatti, la Mario's avesse onorato i propri debiti verso il locatore, avrebbe avuto diritto all'indennità di occupazione, ma avrebbe dovuto sostenere l'onere dei canoni.
La sentenza impugnata invece, negando rilievo alla risoluzione del contratto di locazione, ha consentito alla Mario's di cumulare: a) l'importo dei canoni; b) l'indennità di occupazione; c) il possesso dell'immobile, capovolgendo di fatto la ratio stessa della risoluzione per inadempimento, ovvero il ripristino dello status quo ante.
1.10. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli, in differente composizione, la quale nell'esaminare ex novo l'appello della EAV applicherà il seguente principio di diritto: "quando l'esistenza d'un contratto venga in rilievo quale presupposto per l'esercizio di diritti nei confronti di terzi (come nel caso in cui l'esistenza d'una locazione commerciale sia presupposto per il versamento da parte della p.a. d'un indennizzo al conduttore), e quel contratto venga dichiarato risolto con una pronuncia costitutiva ex art. 1453 c.c., gli effetti della risoluzione nei confronti dei terzi si devono considerare avvenuti nel momento dell'inadempimento dedotto a fondamento della domanda di risoluzione. Da quel momento, pertanto, cessa l'obbligazione del terzo il cui presupposto giuridico era l'esistenza del contratto risolto".
2. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, addì 11 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria l'11 novembre 2024.