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Finestra con inferriate, è luce o veduta?

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.29752 del 19/11/2024

Quali sono i requisiti necessari affinché un'apertura sia qualificata come "veduta" piuttosto che come "luce"?

È il quesito che si pone la Cassazione, sez. II, con l'ordinanza n. 29752 del 19 novembre 2024.

Per capire se un'apertura in un muro è una luce o una veduta, dobbiamo chiederci: permette solo di guardare attraverso (inspectio) o anche di affacciarsi e guardare in tutte le direzioni (prospectio)?

Se l'apertura consente entrambe, allora è una veduta. Altrimenti, è una luce.

Nel caso di specie, i proprietari di un immobile, citano in giudizio i vicini per ottenerne la condanna alla regolarizzazione di due aperture, qualificate come luci ex art. 901 cod. civ., situate sul muro dell'appartamento degli stessi prospiciente la terrazza di loro proprietà.

I vicini, però, sostengono che quelle aperture sono in realtà vedute. Argomentano che, oltre a fornire luce e aria, permettono anche di guardare fuori. Aggiungono di aver acquisito il diritto di servitù di veduta per usucapione ventennale.

Il Tribunale e la Corte d'Appello danno ragione ai convenuti, riconoscendo la servitù di veduta.

La Cassazione, invesita del caso, ricorda che per definire un'apertura come veduta, non basta che permetta la inspectio; è necessaria anche la prospectio, cioè la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, lateralmente e obliquamente sul fondo del vicino.

Richiamando precedenti giurisprudenziali (Cass. Sez. U., 28/11/1996, n. 10615Cass. Sez. 2, 12/12/2022, n. 36147), la Corte ribadisce che un'apertura munita di inferriate che impediscono l'affaccio non può essere considerata una veduta, ma solo una luce.

Inoltre, la servitù di veduta non può essere acquisita per usucapione attraverso il possesso di luci irregolari. Questo perché le luci non sono servitù apparenti e la loro tolleranza da parte del vicino non implica l'acquisizione di un diritto reale.

La Cassazione accoglie il ricorso degli originari attori, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d'Appello per una nuova valutazione. Il giudice di merito dovrà accertare se le aperture in questione permettono sia l'inspectio che la prospectio. Se manca quest'ultima, le aperture dovranno essere qualificate come luci, con le relative conseguenze giuridiche.

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Cassazione civile sez. II, ordinanza 19/11/2024 (ud. 23/10/2024) n. 29752

RILEVATO IN FATTO


1. Con atto di citazione, Ba.Fr. e De.Ma., premesso di essere proprietari di un immobile (identificato in catasto al foglio (omissis), part. (omissis), sub (omissis)) sito in B, Via (omissis), convennero in giudizio davanti al Tribunale di Belluno Po.St. e Se.Gi., onde ottenerne la condanna alla regolarizzazione di due aperture, qualificate come luci ex art. 901 cod. civ., situate sul muro dell'appartamento degli stessi prospiciente la terrazza di loro proprietà.

Costituitisi in giudizio, Po.St. e Se.Gi., oltre a resistere alla pretesa attorea, proposero a loro volta domanda riconvenzionale, chiedendo che venisse accertato e dichiarato l'acquisto per usucapione ventennale o in forza di scrittura privata del 5/04/2001 del diritto di servitù o di luce in favore del fondo di loro proprietà e a carico di quello degli attori, in corrispondenza delle due aperture situate al piano terzo, lato est, con condanna degli stessi, in ogni caso, alla rimozione della parete divisoria costruita in appoggio al muro perimetrale del loro immobile in violazione degli artt. 907 - 873 cod. civ. e al risarcimento dei danni. Con sentenza n. 305/2018, depositata il 28/06/2018, il Tribunale di Belluno rigettò le domande degli attori e accolse la suddetta domanda riconvenzionale, dichiarando che Po.St. e Se.Gi. avevano acquistato per usucapione il diritto di servitù di veduta a favore dell'immobile di loro proprietà e a carico di quello di proprietà degli attori, in corrispondenza delle due aperture situate al piano terzo - lato est; condannò Ba.Fr. e De.Ma. ad eliminare la parete divisoria insistente sulla loro terrazza, costruita un appoggio al muro perimetrale dell'immobile, ripristinando lo status quo ante, e li condannò al pagamento di Euro 9.000,00 a titolo di risarcimento del danno in favore dei convenuti in riconvenzionale.

Il giudizio di gravame, instaurato da Ba.Fr. e De.Ma., si concluse, nella resistenza di Po.St. e Se.Gi., che proposero a loro volta appello incidentale condizionato, con la sentenza n. 1417/2020, pubblicata il 11/6/2020, con la quale la Corte d'Appello di Venezia, in parziale accoglimento dell'appello (confermando nel resto la decisione impugnata), rideterminò la somma dovuta a Po.St. e Se.Gi. in Euro 5.000,00 a titolo di risarcimento del danno, con condanna degli stessi alla restituzione delle maggiori somme già versate in esecuzione della sentenza di primo grado.

2. Contro la predetta sentenza Ba.Fr. e De.Ma. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. Po.St. e Se.Gi. hanno resistito con controricorso.

Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.

In seguito a tale comunicazione, i ricorrenti, a mezzo del difensore munito di nuova procura speciale, hanno chiesto la decisione del ricorso.

Fissata l'adunanza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis 1 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la violazione degli artt. 900 e 901 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello di Venezia erroneamente qualificato come vedute anziché come luci irregolari le due aperture affacciantesi sulla terrazza di proprietà dei ricorrenti, sul presupposto che fosse sufficiente a tali fini la possibilità di avere un'agevole visuale, cioè senza l'utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo dei vicini e non anche la possibilità di affaccio, la quale restava irrilevante ove esercitabile anche la semplice inspectio.

Ad avviso dei ricorrenti, invece, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare che la veduta si distingue dalla luce irregolare in quanto consente sia l'inspectio, sia la prospectio e che quest'ultima deve anche essere agevole, requisiti questi insussistenti nella specie, posto che le due aperture esistenti sul muro al confine erano munite di inferriate e che queste impedivano del tutto l'affaccio, quanto a quelle dell'apertura B, e l'agevole prospectio, quanto a quelle dell'apertura A, restando indifferente il fatto che tra una sbarra e l'altra il relativo - ancorché limitato - spazio fosse attraversabile dalla testa di un adulto.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 900,901,902 e 905 cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d'Appello di Venezia, qualificando erroneamente come vedute, anziché come luci irregolari, le due aperture affacciantesi sulla terrazza di proprietà dei ricorrenti, aveva ritenuto che i sigg. Po.St. e Se.Gi. avessero usucapito il diritto di servitù di veduta sul fondo del vicino, così ritenendo assorbita la censura afferente alla violazione dell'art. 905 cod. civ., che vieta l'apertura di vedute dirette sul fondo del vicino se tra questo e la faccia esteriore del muro su cui si aprono le vedute stesse non vi sia la distanza di un metro e mezzo, presupposto assente nella specie.

Secondo i ricorrenti, le due aperture non potevano considerarsi vedute, ma luce irregolari, siccome mancanti dei requisiti di cui all'art. 901 cod. civ. e non potevano, pertanto, essere oggetto di usucapione, come stabilito dall'art. 902 cod. civ., che prevede, invece, il diritto del vicino di esigere che la luce sia resa conforme alle prescrizioni dell'articolo predetto.

3. Col terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 900,902,1362 e 1988 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello di Venezia erroneamente rinvenuto nel contenuto dell'accordo del 5/4/2001 (con cui i convenuti avevano concesso ai Ba.Fr. di mantenere provvisoriamente una parete di legno divisoria costruita tra la terrazza dell'abitazione di questi ultimi e le finestre dell'appartamento del sig. F., dante causa dei ricorrenti, parete che, priva delle caratteristiche di legge, era stata costruita senza il permesso del F. e che i Ba.Fr. si impegnavano a rimuovere a richiesta) la conferma della sussistenza di un peso sul fondo dei ricorrenti di natura tale da consentire l'usucapione di un diritto di veduta.

I ricorrenti hanno, sul punto, obiettato di non avere mai affermato che il diritto di servitù delle controparti non fosse mai maturato per l'intervenuto atto interruttivo dell'usucapione, ma che nessun diritto di veduta poteva insorgere in presenza di due luci irregolari, siccome inadatte a dar luogo ad un diritto reale su fondo altrui. In proposito, i ricorrenti hanno evidenziato: - che la sistemazione della paratia di legno, posta a distanza non regolamentare di mt. 3 ex art. 873 cod. civ., aveva avuto la finalità di evitare l'intrusione visiva da parte di estranei e non certo di riconoscere un diritto reale altrui; - che la scrittura privata aveva avuto la mera finalità di regolamentare il mantenimento della paratia e che essa non poteva considerarsi alla stregua di un atto ricognitivo di una servitù, non essendo la disposizione di cui all'art. 1988 cod. civ. applicabile ai diritti reali.

4. Col quarto motivo, si prospetta la violazione e falsa applicazione dell'art. 905 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d'Appello aveva ritenuto erroneamente non applicabile il divieto di cui al primo comma di tale disposizione, che vieta l'apertura di vedute dirette sul fondo del vicino ove tra i fondi non sia rispettata la distanza di un metro e mezzo, sicché anche in caso di qualificazione delle aperture come vedute queste sarebbero state comunque irregolari, stante il mancato rispetto di tale distanza, e perché aveva altrettanto erroneamente ritenuto applicabile, invece, il terzo comma della medesima disposizione, secondo cui la distanza è inoperante quando tra i due fondi vi sia una via pubblica, non essendo questa applicabile alla specie sia in quanto tra i due fondi non transitava alcuna strada, essendo essi allineati davanti alla pubblica via, sia in quanto, in ogni caso, detta strada non era visibile da nessuno dei due fondi.

5. Col quinto motivo, infine, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d'Appello di Venezia aveva erroneamente ritenuto applicabile la liquidazione equitativa dell'asserito danno in assenza di qualsiasi dimostrazione ad opera delle controparti a ciò onerate della sussistenza e dell'entità materiale del danno stesso.

6. La proposta di definizione del giudizio formulata ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ. è del seguente tenore: "INAMMISSIBILITÀ e/o MANIFESTA INFONDATEZZA del ricorso avverso pronuncia di rigetto di domanda principale di regolarizzazione di luci irregolari e di accoglimento di quella riconvenzionale di usucapione della servitù di veduta, di rimozione degli ostacoli frapposti al suo esercizio e di risarcimento del danno (doppia conforme, salvo che sul risarcimento). Primo, secondo e quarto motivo: inammissibili, o comunque manifestamente infondati, perché con essi si contesta, rispettivamente, l'errata qualificazione delle aperture di cui è causa (primo motivo), la sussistenza dei presupposti per l'usucapione del diritto di servitù (secondo motivo) e la violazione delle distanze di cui all'art. 905 c.c. (quarto motivo). La Corte di Appello ha ritenuto, all'esito di una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, che le due aperture oggetto di causa costituiscano vedute, perché consentono l'esercizio della veduta, ancorché dotate di grata per la protezione dell'appartamento dall'ingresso di estranei, ed esistano da oltre venti anni. Ha poi ritenuto inefficace, ai fini dell'interruzione del termine di usucapione del diritto di veduta, la collocazione di una parete divisoria sul terrazzo di proprietà degli odierni ricorrenti, poiché avvenuta dopo il decorso del ventennio dall'apertura delle due vedute di cui si discute. Infine, ritiene inoperanti i limiti di cui ai commi primo e secondo dell'art. 905 c.c., in forza dell'esistenza, tra i due fondi, di una stradina (cfr. pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata). Trattasi di accertamento di fatto, che i due ricorrenti, principale e incidentale, attingono contrapponendo, alla ricostruzione dei fatti e delle prove operata dal giudice di merito, di una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un'istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui "L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L., Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell'iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Terzo motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto con esso si attinge l'interpretazione che la Corte di Appello avrebbe fornito dell'accordo del 5.4.2001 intercorso tra le parti. La censura non risulta proposta tra i motivi di appello, e gli odierni ricorrenti non chiariscono in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, essa sarebbe stata introdotta. In ogni caso, essa attinge una affermazione del giudice di merito che non esaurisce la ratio della decisione, essendo quest'ultima fondata, in sostanza, sulla complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, alla luce delle quali le due aperture di cui è causa sono state configurate come vedute, aperte da oltre venti anni, a distanza non irregolare dal fondo servente, in funzione dell'esistenza della stradina sulla quale le due proprietà si affacciano. Quinto motivo: inammissibile, o comunque manifestamente infondato, in quanto attinge la statuizione con la quale la Corte di Appello ha liquidato, in via equitativa, il danno, tenendo conto dello stato dei luoghi, delle caratteristiche del manufatto con il quale era stato precluso temporaneamente l'esercizio del diritto di veduta acquisito dagli odierni controricorrenti per usucapione, e del tempo per il quale la violazione predetta si era protratta (cfr. pag. 7 della sentenza). Trattasi, anche in questo caso, di valutazione in fatto, per la quale possono essere richiamati i criteri già esposti in relazione allo scrutinio del primo, secondo e quarto motivo di ricorso".

7. I primi due motivi, da trattare congiuntamente in quanto afferenti al medesimo thema decidendum, ossia l'individuazione dei requisiti propri della veduta rispetto alla luce irregolare e l'usucapibilità del diritto riferito alla prima, sono fondati.

Occorre innanzitutto prendere le mosse dalla sentenza impugnata, con la quale la Corte veneta ha ritenuto di qualificare in termini di veduta le due aperture prospicienti la terrazza di proprietà dei ricorrenti, partendo dal presupposto che fosse, a tali fini, sufficiente la possibilità di avere una visuale completa e agevole, ossia senza l'utilizzo di mezzi artificiali sul fondo del vicino, mediante la semplice inspectio e fosse, invece, ininfluente l'insussistenza anche della prospectio.

In particolare, la Corte territoriale ha affermato che le aperture in questione, entrambe munite di inferriate, consentissero di guardare fuori sia in modo diretto, sia in modo obliquo; che la finestra A consentisse anche di sporgersi, a differenza di quella B; che le stesse, per conformazione, dimensioni e posizione, oltre a dare luce e aria, consentissero la veduta; che la presenza di inferriate sulle aperture, per proteggere l'abitazione dall'ingresso di estranei proprio dal terrazzo, non impedisse la veduta verso l'esterno e in particolare sul fondo del vicino; che le due finestre evidenziassero la sussistenza di un peso sul fondo degli attori e che la loro esistenza da oltre vent'anni fosse stata confermata dal CTU e dai testi escussi, con conseguente usucapione del diritto di veduta; che le predette aperture, benché munite di inferriate, per la dimensione (altezza fino a mt. 2,08 la finestra A e fino a mt. 1,79 la finestra B) e per il dislivello esistente di metri 1,35 tra il pavimento dell'appartamento dei convenuti e il terrazzo sottostante la visibilità, rendessero agevolmente possibile la veduta anche senza sporgersi con il capo.

Osserva il collegio che le riportate argomentazioni e la stessa ricostruzione in fatto delle aperture in questione come impostate dal giudice di appello si pongono in contrasto con i principi affermati, con orientamento assolutamente predominante da questa Corte, al quale si intende dare continuità, avendo dato luogo non già ad un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (la quale è, come noto, esterna all'esatta interpretazione della norma, siccome inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, e sottratta perciò al sindacato di legittimità), ma al dedotto vizio di falsa applicazione di legge, il quale consiste o nell'assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista - pur rettamente individuata e interpretata - non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la sua, pur corretta, interpretazione (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 3, 4/03/2022, n. 7187; Cass., Sez. 1, 14/1/2019, n. 640).

Infatti, la veduta, che mira a tutelare il proprietario dalla indiscrezione del vicino, impedendogli di creare aperture a distanza inferiore a quella di un metro e mezzo, si distingue dalla luce, che, invece, è diretta a regolare il diritto del proprietario di effettuare sul proprio fabbricato aperture verso il fondo del vicino allo scopo di attingere luce ed aria, senza affacciarsi su quello, risultandone stabiliti i requisiti di altezza e di sicurezza (collocazione di inferriate e grate fisse) alla cui sussistenza è condizionata la correlata limitazione del diritto del vicino (in tal senso Cass., Sez. 2, 23/9/2021, n. 25864; Cass., Sez. 2, 28/7/2021, n. 21615).

A differenza della luce, quindi, la veduta implica, in aggiunta alla inspectio, la prospectio, ossia la possibilità di affacciarsi e guardare frontalmente, obliquamente o lateralmente nel fondo del vicino, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale (Cass., Sez. 2, 12/12/2022, n. 36147; Cass., Sez. 2, 10/1/2017, n. 346).

Tali principi, che erano stati già espressi dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 10615 del 28/11/1996, secondo cui, affinché sussista una veduta, a norma dell'art. 900 cod. civ., è necessario, oltre al requisito della inspectio anche quello della prospectio nel fondo del vicino, dovendo detta apertura non solo consentire di vedere e guardare frontalmente, ma pure di affacciarsi, vale a dire di guardare non solo di fronte, ma anche obliquamente e lateralmente, così assoggettando il fondo alieno ad una visione mobile e globale, hanno consentito di superare condivisibilmente quell'orientamento di legittimità più risalente (come già evidenziato, di recente, da Cass., Sez. 2, 12/12/2022 n. 36147), che riteneva, invece, la veduta caratterizzata, rispetto alla luce, dal fatto di consentire una visuale agevole, cioè senza l'utilizzo di mezzi artificiali, sul fondo del vicino mediante la semplice inspectio e che escludeva, in presenza di tale caratteristica, la necessità dell'affaccio (in tal senso Cass., Sez. 2, 4/01/1993, n. 17).

Ciò comporta - e tale principio di diritto dovrà uniformarsi il giudice di rinvio - che la natura di veduta o luce (regolare o irregolare) deve essere accertata dal giudice di merito alla stregua delle caratteristiche oggettive dell'apertura stessa, rimanendo a tal fine irrilevante l'intenzione del suo autore o la finalità dal medesimo perseguita, sicché, un'apertura munita di inferriata, tale da non consentire la prospectio nel fondo vicino, può configurarsi solo come luce, anche se consenta di guardare con una manovra di per sé poco agevole o poco sicura per una persona di normale conformazione (Cass., Sez. 2, 12/12/2022, n. 36147; Cass., Sez. 2, 23/9/2021, n. 25864; Cass., Sez. 2, 10/2/2020, n. 3043; Cass., Sez. 2, 10/1/2017, n. 346; Cass., Sez. 2, 29/2/2016, n. 3924; Cass., Sez. 2, 5/1/2011, n. 233).

Di questi principi, la Corte di merito non ha fatto, dunque, buon governo, avendo attribuito la natura di vedute ad entrambe le aperture senza considerare che, quantomeno da una di esse, non era affatto consentito l'affaccio e senza accertare, anche con riguardo all'altra apertura, se, in presenza delle inferriate, il prospicere fosse agevole in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza per una persona di normale conformazione.

E tale errore non può che travolgere anche la statuizione afferente alla riconosciuta acquisizione, da parte degli appellati, del diritto di servitù di veduta per intervenuta usucapione, non potendo il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, condurre all'acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia della relativa servitù.

Infatti, la servitù di aria e luce - che è negativa, risolvendosi nell'obbligo del proprietario del fondo vicino di non operarne la soppressione - non è una servitù apparente, atteso che l'apparenza non consiste soltanto nell'esistenza di segni visibili ed opere permanenti, ma esige che queste ultime, come mezzo necessario all'acquisto della servitù, siano indice non equivoco del peso imposto al fondo vicino in modo da fare presumere che il proprietario di questo ne sia a conoscenza. Né la circostanza che la luce sia irregolare è idonea a conferire all'indicata servitù il carattere di apparenza, non essendo possibile stabilire dall'irregolarità se il vicino la tolleri soltanto, riservandosi la facoltà di chiuderla nel modo stabilito, ovvero la subisca come peso del fondo, quale attuazione del corrispondente diritto di servitù o manifestazione del possesso della medesima (Cass., Sez. 2, 19/6/2023, n. 17475; Cass., Sez. 2, 17/6/2004, n. 11343).

8. I restanti motivi, riguardanti rispettivamente l'accordo del 5/4/2021 e l'applicabilità dell'art. 905 cod. civ., aspetti entrambi correlati all'accertamento della intervenuta usucapione della servitù di veduta (ove ritenuta sussistente), nonché il risarcimento dei danni, restano assorbiti dall'accoglimento dei primi due motivi.

9. In conclusione, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, devono essere accolti i primi due motivi, con il conseguente assorbimento delle restanti censure, da cui deriva la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione, la quale, oltre ad uniformarsi all'enunciato principio di diritto, provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 23 ottobre 2024.

Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2024.

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