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Dossier titoli, il trasferimento è donazione diretta o indiretta?

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.31170 del 05/12/2024

Il trasferimento di un dossier titoli costituisce una donazione diretta o indiretta?

Questa domanda è stata affrontata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 31170 del 5 dicembre 2024.

Il caso in esame riguardava una serie di trasferimenti patrimoniali, per un importo complessivo di oltre 144.000 euro, contestati per la loro presunta nullità formale.

La controversia verte sulla qualificazione giuridica del trasferimento: donazione diretta, indiretta o liberalità atipica?

La normativa applicabile

La donazione, secondo l’articolo 769 c.c., è il contratto con cui una parte, per spirito di liberalità, arricchisce un'altra disponendo a suo favore di un diritto. Per essere valida, la donazione richiede la forma dell’atto pubblico, come disposto dall’articolo 782 c.c. Questo requisito formale tutela il donante, garantendo che l’atto sia compiuto con piena consapevolezza delle sue conseguenze.

Tuttavia, esistono liberalità indirette, disciplinate dall’articolo 809 c.c., che non necessitano dell’atto pubblico, ma devono comunque rispettare il requisito di proporzionalità rispetto al patrimonio del donante. Nel caso di trasferimento di dossier titoli, la giurisprudenza ha chiarito che, se l’operazione è assimilabile a una donazione diretta, è necessaria la forma prescritta per garantire la validità dell’atto.

L’applicazione al caso concreto

Nel caso analizzato, il padre della convenuta aveva trasferito 124 dossier titoli alla madre di sua nipote, in un contesto che la Corte ha qualificato come donazione nulla. Nonostante la difesa sostenesse che i trasferimenti fossero destinati al mantenimento della nipote, i giudici hanno ritenuto che tali dazioni avessero un carattere di liberalità in favore della madre, dunque riconducibili a una donazione diretta.

La Corte ha valorizzato:

  • L’entità degli importi trasferiti, superiori alla soglia della modicità;

  • Le modalità di trasferimento, effettuate senza specifiche obbligazioni giuridiche;

  • L’assenza di un atto pubblico, requisito essenziale per la validità della donazione diretta.

La decisione della Cassazione

La Cassazione ha confermato la nullità delle dazioni, ribadendo che il trasferimento di dossier titoli è da considerarsi una donazione diretta ad esecuzione indiretta, soggetta al requisito della forma pubblica. Richiamando precedenti consolidati (Cass., Sez. Un., n. 18725/2017; Cass. n. 23127/2021), la Suprema Corte ha evidenziato che l’obiettivo del formalismo è tutelare il donante, evitando atti patrimoniali inconsapevoli o frettolosi.

Conclusione

Il trasferimento di dossier titoli, per la sua natura, è soggetto a rigide regole formali. Anche se effettuato con finalità di liberalità indiretta, qualora il trasferimento assuma i caratteri di una donazione diretta, è necessario rispettare la forma dell’atto pubblico per garantirne la validità. La pronuncia della Cassazione sottolinea l’importanza del rispetto delle formalità previste dal codice civile, confermando l’orientamento giurisprudenziale volto a tutelare i diritti patrimoniali delle parti coinvolte.

Dossier titoli, trasferimento, liberalità atipica, esclusione, donazione diretta ad esecuzione indiretta

Il trasferimento di dossier titoli da parte del beneficiante nei confronti di un beneficiario non configura una liberalità atipica, riconducibile alla disposizione di cui all'art. 809 c.c., per ragioni quali l'entità degli importi, le modalità di trasferimento e la stabilità dell'attribuzione patrimoniale, che presuppongono la stipulazione dell'atto pubblico di donazione, predisposto dall'ordinamento al fine di tutelare il donante e assicurarsi che abbia effettiva contezza del compimento di atti di disposizione del proprio patrimonio, onde evitare scelte affrettate e conseguenze potenzialmente pregiudizievoli, integrando una donazione diretta ad esecuzione indiretta, suscettibile come tale di impugnazione per mancanza del requisito formale dell'atto pubblico.

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Cassazione civile, sez. II, ordinanza 05/12/2024 (ud. 26/03/2024) n. 31170

RILEVATO CHE:


- con atto di citazione notificato il 25 maggio 2004 , De.Al. evocava, innanzi al Tribunale di Ravenna, Mu.Ma., chiedendo di accertare e dichiarare la nullità per vizio di forma di n. 124 atti di liberalità, sotto forma di trasferimento di titoli di credito, per una somma totale pari a Euro 144.607,93, elargiti durante la vita dall'anziano padre, De.Gi., in favore della convenuta, madre della loro figlia, riconosciuta solo dopo l'introduzione di un contenzioso, sostenendo che tali elargizioni configuravano donazioni nulle, poiché effettuate in assenza della forma prescritta ad substantiam, non al fine di contribuire al mantenimento della nipote, come sostenuto dalla Mu.Ma., ma in virtù della relazione affettiva che lo stesso De.Gi. aveva instaurato con Mu.Ma.;

- instaurato il contraddittorio, nella resistenza della Mu.Ma., il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 843 del 2007, rigettava l'istanza di verificazione proposta dal De.Al., e con sentenza definitiva n. 11/2013, in parziale accoglimento della domanda attorea, condannava la Mu.Ma. al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 144.607,93, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, limitando la valutazione agli atti di disposizione patrimoniale intervenuti dopo il 25 maggio 1994 per la sopravvenuta prescrizione dell'azione di ripetizione, escluse le elargizioni di valore inferiore a Lire 2.000.000 ex art. 2034 c.c., ritenendo non modica la donazione con l'intestazione di dossier titoli, esclusa la restituzione dei frutti per la buona fede della convenuta;

- in virtù di appello interposto dalla convenuta, la Corte di Appello di Bologna, nella resistenza del De.Al., che proponeva anche appello incidentale, con sentenza n. 580/2019, rigettava entrambi i gravami e per l'effetto confermava entrambe le sentenze impugnate, condividendo le argomentazioni del giudice di prime cure;

- avverso tale decisione la Mu.Ma. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui ha resistito il De.Al. con controricorso;

- in prossimità dell'adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.

CONSIDERATO CHE:

1.- Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 769,782 e 2034 c.c., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte d'Appello ritenuto che le dazioni di De.Gi. integrassero donazioni nulle ex art. 769 c.c. sulla sola base del quantum dell'attribuzione e delle modalità adottate per il loro trasferimento, piuttosto che un'obbligazione naturale per l'adempimento di doveri morali ex art. 2034 c.c., derivanti dalla solidarietà familiare e, come tali, impassibili di restituzione ai sensi dell'art. 2033 c.c. Secondo la ricorrente, il giudice avrebbe omesso di compiere indagini necessarie ai fini della verifica della proporzionalità ed adeguatezza del valore delle dazioni rispetto alla situazione di ampia e diffusa disponibilità patrimoniale di De.Gi.. Inoltre, il giudice di seconde cure avrebbe giudicato in contraddizione con le prescrizioni dell'art. 115 c.p.c, non ponendo a fondamento delle sue argomentazioni le risultanze istruttorie decisive, come la risultanza istruttoria decisiva del CTP nelle proprie osservazioni del 31 dicembre 2009, formulate in sede di CTU per la sola valutazione del quantum delle dazioni.

Il motivo è privo di pregio.

Occorre preliminarmente rilevare che la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente ribadito che il trasferimento di dossier titoli da parte del beneficiante nei confronti di un beneficiario non configura una liberalità atipica, riconducibile alla disposizione di cui all'art. 809 c.c., per ragioni quali l'entità degli importi, le modalità di trasferimento e la stabilità dell'attribuzione patrimoniale, che presuppongono la stipulazione dell'atto pubblico di donazione, predisposto dall'ordinamento al fine di tutelare il donante e assicurarsi che abbia effettiva contezza del compimento di atti di disposizione del proprio patrimonio, onde evitare scelte affrettate e conseguenze potenzialmente pregiudizievoli, integrando una donazione diretta ad esecuzione indiretta, suscettibile come tale di impugnazione per mancanza del requisito formale dell'atto pubblico (Cass., Sez. Un., n. 18725 del 2017; Cass. n. 23127 del 2021; Cass. n. 527 del 1973).

Orbene, di questo principio ha fatto corretta applicazione la Corte di merito, qualificando l'atto in questione come una donazione diretta ma nulla, poiché sprovvista del requisito di forma scritta ad substantiam, ritenendo che la volontà del nonno fosse quella di attribuire alla nipote risorse adeguate alle sue esigenze di vita futura.

Neppure la censura sotto il profilo del travisamento della prova è condivisibile, in quanto si traduce sostanzialmente in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio, che esorbita dall'accertamento di questa Corte, non traducendosi in un vizio di motivazione costituzionalmente rilevante, per avere il giudice del gravame argomentato la natura di donazione diretta dall'entità dell'importo, dalle modalità del trasferimento e dalla stessa intestazione dei titoli (Cass. n. 37382 del 2022). Del resto il travisamento della prova in violazione dell'art. 115 c.p.c. non e ravvisabile allorché l'errore di valutazione denunciato in cui sia incorso il giudice di merito investa l'apprezzamento della fonte di prova, come dimostrativa del fatto che si intende provare e come tale non è sindacabile in sede di legittimità. Diversamente nel caso in cui l'errore cada sulla fonte di prova da cui ricavare gli elementi di giudizio, che attiene al principio di legalità delle prove, che però non viene in discussione nella specie (Cass. n. 9507 del 2023).

2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte d'Appello posto erroneamente l'onere della prova dell'esistenza di donazioni, piuttosto che di obbligazioni naturali, a carico della parte convenuta e non in capo all'originario attore, il quale avrebbe dovuto provare l'inesistenza di obblighi morali gravanti sul padre di provvedere alle esigenze della nipote El..

La censura è infondata.

Questa Corte, seppure con pronuncia risalente (Cass. n. 1392 del 1963), condivisa dal Collegio e alla quale va data continuità, ha affermato il principio secondo cui la prova della conoscenza del vizio che ha causato la nullità di una disposizione testamentaria invalida o di una donazione, deve essere data dalla parte che eccepisce la sanatoria in virtù di convalida o di esecuzione volontaria (v. anche Cass. n. 3232 del 1961). Conseguentemente risulta pienamente condivisibile il riparto dell'onere probatorio operato dalla Corte di merito, in conformità al disposto dell'art. 2697 c.c. In tal senso, peraltro, il giudice di seconde cure ha ritenuto non essere intervenuto alcun un atto sanante, da considerarsi equipollente ad una convalida o esecuzione volontaria della donazione oggetto del ricorso, ravvisabile unicamente in un atto formale del donante, che avrebbe comunque efficacia sanante solamente ex nunc, o in un atto, anche non formale, ma contenente i requisiti ex art. 1444 c.c., o fatto di contenuto non equivoco da parte degli eredi o loro aventi causa che, consapevoli della nullità della donazione, diano conferma o volontaria esecuzione del negozio giuridico successivo alla morte del donante (Cass. n. 2700 del 2019; Cass. n. 14504 del 2018; Cass. n. 1867 del 1967; Cass. n. 2143 del 1964).

3.- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c., per omessa motivazione in ordine al rigetto di un'istanza istruttoria proposta dalla ricorrente, quale la nomina di CTU, onde valutare la proporzionalità della donazione rispetto al patrimonio di De.Gi.

Il motivo è inammissibile.

Premesso che nella sentenza impugnata (v. pagina 3) viene dato atto che l'elargizione della somma pari ad Euro 144.607, 93 è stata rilevata dallo stesso ausiliare del giudice, non risultando dedotta un'ulteriore istanza di CTU, il motivo risulta generico, in quanto non chiarisce né quando sarebbe stata formulata l'istanza cui il giudice non avrebbe dato seguito, né la finalità della stessa, in violazione dell'art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c., che sancisce, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. Un., n. 34469 del 2019), l'inammissibilità delle censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito, qualora vengano meramente richiamate e non riprodotte nel ricorso ovvero, quand'anche riprodotte, qualora risultino prive di specifiche indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame.

4.- Con il quarto motivo, formulato in alternativa al terzo, la ricorrente lamenta l'omessa motivazione su un fatto decisivo, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., per aver la Corte d'Appello rigettato l'istanza probatoria senza alcuna motivazione.

Il motivo è palesemente inammissibile.

Preliminarmente evidenziato che l'art. 348-ter, comma 4 c.p.c. sancisce l'inammissibilità delle censure inerenti questioni di fatto risolte dai giudici di merito con le stesse argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata, il motivo poi risulta generico, in quanto oltre a non specificare la natura delle richieste, la ricorrente si limita a riportare censure apodittiche di erroneità o inadeguatezza della motivazione pertinente la consulenza tecnica, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. n. 27702 del 2020; Cass. n. 5741 del 2019; Cass. n. 13845 del 2007).

5.- Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 799,1444 c.c, oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per non aver la Corte d'Appello correttamente individuato i requisiti richiesti dalla norma violata ai fini della sanatoria delle donazioni nulle per mancanza del requisito formale da parte dell'erede. Secondo la ricorrente, in conformità al disposto dell'art. 799 c.c., De.Al., unico erede ab intestato, non avrebbe potuto far valere la nullità delle donazioni in quanto, ben consapevole della nullità di tali elargizioni, in seguito alla morte del padre avrebbe tenuto comportamenti idonei ad integrare una sanatoria, quali la conferma ripetuta in sede giudiziale delle predette donazioni, sia per affermare la carenza di interesse della figlia al riconoscimento giudiziale della paternità, che, successivamente al riconoscimento della paternità, per calibrare il contributo al mantenimento della minore.

Con il sesto motivo la ricorrente lamenta l'omessa motivazione su un fatto decisivo, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., per avere la Corte d'Appello rinviato alla sentenza di primo grado, in ordine al secondo motivo di gravame, omettendo di esaminare le censure in fatto dedotte dalla controparte. In particolare, la Corte di merito, nel dichiarare di condividere "per intero la sentenza impugnata", non avrebbe considerato che i comportamenti posti in essere dal De.Al. avevano un significato inequivoco di conferma delle dazioni oggetto del presente ricorso, dunque insuscettibili di essere restituite.

I motivi quinto e sesto, da trattare unitariamente per la evidente connessione argomentativa, non possono trovare ingresso. Anche le ultime due censure nella sostanza propongono una diversa valutazione del comportamento del controricorrente e quindi integrano un vizio di motivazione non deducibile in sede di legittimità in ipotesi di cosiddetta "doppia conforme". Del resto il giudice d'appello in relazione al comportamento dedotto come presuntivamente sanante posto in essere dal controricorrente in diverso giudizio, ha considerato detta condotta e motivato, seppure sinteticamente, le ragioni per le quali ha condiviso le argomentazioni poste alla base del convincimento del giudice di prime cure (v. pagina 4 della sentenza impugnata), con ciò ha smentito l'applicabilità dell'art. 799 c.c. al caso de quo. Conclusivamente il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore del controricorrente, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 26 marzo 2024.

Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2024.

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