La compravendita di animali può sollevare problematiche legali complesse, come emerge dall’ordinanza della Cassazione civile n. 31288 del 6 dicembre 2024.
Il caso di specie riguarda l’acquisto di un cane da parte di due acquirenti, che, dopo la consegna, hanno scoperto gravi malformazioni genetiche dell’animale. I compratori, Ie.Al. e Ba.Pi., hanno sostenuto costi significativi per le cure veterinarie e hanno citato in giudizio il venditore, Ma.Ro., chiedendo una riduzione del prezzo e il risarcimento dei danni.
La Corte d'Appello di Firenze aveva parzialmente accolto la domanda, distinguendo tra vizi manifesti (assenza di coda e di un testicolo, esclusi dalla garanzia) e vizi occulti (malformazioni vertebrali e dei tessuti molli), condannando il venditore alla riduzione del prezzo e al risarcimento. La controversia è poi giunta in Cassazione.
In tema di compravendita di animali, la normativa applicabile è regolata dall’art. 1496 c.c., che disciplina specificamente la "vendita di animali". Tuttavia, in mancanza di leggi speciali o usi locali, si applicano le norme generali sulla vendita contenute nel Codice civile (artt. 1470 e seguenti) e, per i rapporti di consumo, le disposizioni del Codice del consumo (artt. 128 e seguenti).
Secondo la Cassazione, è consolidato che il venditore debba garantire il compratore dai vizi occulti che rendono il bene inidoneo all’uso o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore. In questo caso, le malformazioni genetiche del cane rientravano tra i vizi occulti, non riconoscibili al momento della vendita.
Nel caso in esame, il venditore, operando in qualità di professionista, era tenuto a un obbligo di diligenza specifica, garantendo la salute del cucciolo. La Cassazione ha confermato che il venditore non ha adempiuto a tale obbligo, avendo assicurato la qualità e la sanità dell’animale senza verificare adeguatamente le condizioni patologiche.
Gli acquirenti, qualificati come consumatori, potevano dunque esercitare i rimedi previsti dalla legge, ovvero la riduzione del prezzo (art. 1492 c.c.) e il risarcimento dei danni. La Corte ha inoltre chiarito che, in materia di compravendita di animali, la disciplina del Codice del consumo può integrare quella civilistica senza alterarne i principi.
La Cassazione ha rigettato il ricorso del venditore, confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza evidenzia l’importanza della garanzia per vizi nella vendita di animali, ribadendo che il venditore professionale è responsabile per i difetti occulti, a meno che questi non fossero conoscibili dal compratore o dichiarati esplicitamente. Questo principio si applica sia alle norme del Codice civile che a quelle del Codice del consumo, garantendo una tutela efficace agli acquirenti in caso di difetti rilevanti nei beni acquistati.
In tema di vendita di animali, le norme del codice civile si applicano in mancanza di leggi speciali o, in via gradata, degli usi locali; il venditore è tenuto alla garanzia per vizi per il solo fatto oggettivo della loro presenza, salvo che il compratore fosse a conoscenza dei vizi o che gli stessi fossero facilmente riconoscibili sempre che il venditore non abbia dichiarato che l'animale ne era esente.
Cassazione civile sez. II, ordinanza 06/12/2024 (ud. 01/10/2024) n. 31288
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza N. 149/2020 del 21.1.2020, la Corte d'Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto la domanda con la quale Ie.Al. e Ba.Pi. avevano chiesto la condanna di Ma.Ro. Roberto alla riduzione del prezzo di vendita del cane To. per vizi dell'animale, oltre al risarcimento dei danni.
Gli attori avevano esposto di aver acquistato da Ma.Ro., venditore di animali, il cane di nome To., che, al momento dell'acquisto era privo di coda e di un testicolo; dopo la consegna, avevano scoperto che il cane aveva anche altre gravi malformazioni genetiche ed avevano sostenuto consistenti spese per le sue cure.
1.1. La Corte d'Appello ha ritenuto che l'assenza di coda e di un testicolo fossero vizi manifesti, tanto più che l'animale non era stato acquistato per finalità riproduttive e, in relazione a tali vizi, ha rigettato la domanda; quanto alla malformazione a carico delle vertebre e dei tessuti molli, il giudice d'appello ha ritenuto che si trattasse di vizi occulti ed ha condannato il venditore alla riduzione del prezzo ed al risarcimento dei danni.
1.2. Con ordinanza del 21.5.2020, su istanza di Ie.Al. e Ba.Pi., è stata disposta la correzione della sentenza d'appello nella parte in cui era stata omessa la condanna di Ma.Ro. Roberto alla consegna del pedigree di entrambi i cani oggetto del contratto e l'iscrizione all'anagrafe canina di Siena del passaggio di proprietà del cane To., in forza del contratto del 19.9.2007; la sentenza è stata corretta anche in relazione alla condanna del Ma.Ro. alla restituzione di quanto pagato dagli attori in eccedenza rispetto alla somma di Euro 100,00 e non di Euro 200,00.
2. Ma.Ro. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello sulla base di due motivi.
2.1.Ie.Al. e Ba.Pi. hanno resistito con controricorso
2.2. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
2.3. In prossimità della camera di consiglio, i controricorrenti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Deve essere preliminarmente rigettata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per omessa notifica del decreto di correzione della sentenza impugnata perché irrilevante ai fini della decisione.
1.1. La correzione della sentenza d'appello ha riguardato l'omessa condanna di Ma.Ro. alla consegna del pedigree di entrambi i cani oggetto del contratto di vendita e l'iscrizione all'anagrafe canina di Siena del passaggio di proprietà del cane To., in forza del contratto del 19.9.2007, profilo che non è attinto dai motivi di ricorso.
1.2. Parimenti irrilevante è la correzione della sentenza in relazione alla condanna del Ma.Ro. alla restituzione di quanto pagato dagli attori in eccedenza rispetto alla somma di Euro 100,00 e non di Euro 200,00, trattandosi di capo della sentenza che non influisce sulla decisione.
2. Va rilevato, sempre in via preliminare, che i controricorrenti, nella memoria illustrativa, hanno dedotto loro qualifica di consumatori.
2.1. Anche questa deduzione non incide sull'esito del giudizio.
2.2. È ius receptum che la qualifica di consumatore deve essere rilevata d'ufficio, anche se non dedotta dalle parti in causa, con la conseguente applicazione della normativa speciale (da ultimo Cassazione civile sez. un., 06/04/2023, n. 9479).
2.3. Nel caso di specie, non vi è dubbio che Ma.Ro. abbia venduto il cane nell'esercizio della propria attività professionale ed i ricorrenti lo abbiano acquistato per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana, estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata (Cass., Sez. 6 - 3, n. 5705 del 12/03/2014; Sez. 6 - 1, n. 21763 del 23/09/2013).
2.4. In tema di compravendita di animali, la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d'affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, va qualificato a tutti gli effetti "consumatore", così come va qualificato "venditore", ai sensi del codice del consumo, chi, nell'esercizio del commercio o di altra attività imprenditoriale, venda un animale da compagnia (Cassazione civile sez. II, 06/12/2022, n. 35844 non massimata).
2.5. Quanto alla disciplina applicabile, l'art. 135, comma 2, del codice del consumo stabilisce che, in tema di contratto di vendita, le disposizioni del codice civile si applicano "per quanto non previsto dal presente titolo"; e che l'art. 1469 bis c.c., introdotto dall'art. 142 del codice del consumo, stabilisce che le disposizioni del codice civile contenute nel titolo "Dei contratti in generale" "si applicano ai contratti del consumatore, ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore". Esiste, dunque, nell'attuale assetto normativo della disciplina della compravendita, una chiara preferenza del legislatore per la normativa del codice del consumo relativa alla vendita ed un conseguente ruolo "sussidiario" assegnato alla disciplina codicistica (relativa tanto al contratto in generale che alla compravendita): nel senso che, in tema di vendita di beni di consumo, si applica innanzitutto la disciplina del codice del consumo (artt. 128 e segg.), potendosi applicare la disciplina del codice civile solo per quanto non previsto dal codice del consumo.
2.6. Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha applicato le norme del Codice civile in materia di vendita ma l'applicazione del Codice del Consumo avrebbe condotto al medesimo esito del giudizio, non venendo in contestazione l'esistenza di clausole abusive, né l'eccezione in ordine alla violazione dei termini di decadenza e prescrizione per la denuncia dei vizi sicché la normativa civilistica, per quanto residuale rispetto alla normativa del Codice del Consumo, ha garantito la medesima tutela agli attori, indipendentemente dalla loro qualità di consumatori.
3. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1490 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d'Appello applicato la disciplina della vendita di cose mobili, senza considerare la peculiarità della vendita di animale; in tale ipotesi, i vizi consistenti nelle malformazioni congenite a carico delle vertebre e dei tessuti molli costituirebbero vizi occulti non conoscibili dal venditore se non con indagini invasive e mirate. Trattandosi di essere vivente, pur applicandosi la disciplina della vendita di cosa mobile, non sarebbe prassi o consuetudine svolgere mirati esami diagnostici, considerando che il cane To. era destinato ad essere un animale di compagnia. Gli acquirenti avrebbero, pertanto, dovuto fronteggiare evenienze relative allo stato di salute del cucciolo e, conseguentemente, l'obbligo di garanzia dovrebbe valutarsi con minor rigore. In ogni caso, in presenza di vizi dell'animale, il rimedio previsto dovrebbe essere la risoluzione del contratto e non la riduzione del prezzo, con condanna del venditore a rimborsare le spese e le cure sopportate dal cane.
4. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490 e 1476 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; la Corte d'Appello avrebbe errato nell'affermare che il venditore si era obbligato a garantire che il cane fosse in buone condizioni di salute in quanto il venditore avrebbe espressamente dichiarato di non conoscere il cucciolo. I compratori sarebbero stati consapevoli delle malformazioni dell'animale ed avrebbero accettato il rischio dell'evoluzione clinica delle patologie.
5. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
5.1. L'art. 810 c.c. definisce i beni come le cose che possono formare oggetto di diritti reali ovvero di rapporti negoziali e, nel novero dei beni mobili sono inclusi anche gli animali.
5.2. Gli animali, perciò, possono costituire oggetto di compravendita (art. 1470 c.c.); e lo stesso codice civile disciplina specificamente la compravendita di animali nell'apposita fattispecie di cui all'art. 1496 c.c., denominata appunto "vendita di animali".
5.3. La Corte d'Appello ha correttamente applicato la disciplina della vendita di cose mobili.
5.4. Il venditore era, pertanto, tenuto a garantire il compratore dai vizi della cosa, ai sensi dell'art. 1476, comma 1, n. 3 c.c. salvo che i vizi non fossero evidenti o facilmente riconoscibili; in applicazione di tale principio, la garanzia non è stata correttamente estesa dalla Corte d'Appello alla mancanza della coda o del testicolo, anomalie che erano evidenti ictu oculi al momento della vendita.
5.5. Si trattava non solo di vizi palesemente riconoscibili ma non rilevanti ai fini della garanzia perché il venditore non aveva garantito la capacità riproduttiva del cucciolo ed i compratori non avevano manifestato interesse alla capacità riproduttiva.
5.6. Diversamente, la garanzia per vizi era operante per le altre patologie dell'animale, risultando che il cane era affetto da criptorchidismo e da malformazione genetica delle pelvi, da patologie a carico delle vertebre e dei tessuti molli.
5.7. Si trattava di vizi occulti che si erano manifestati dopo la vendita nonostante il venditore avesse garantito la qualità, sanità e purezza di razza del cane (pag. 7 della sentenza impugnata).
5.8. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di vendita di animali, le norme del codice civile si applicano in mancanza di leggi speciali o, in via gradata, degli usi locali; il venditore è tenuto alla garanzia per vizi per il solo fatto oggettivo della loro presenza, salvo che il compratore fosse a conoscenza dei vizi o che gli stessi fossero facilmente riconoscibili sempre che il venditore non abbia dichiarato che l'animale ne era esente (Cassazione civile sez. II, 17/05/2004, n. 9330)
5.9. Si tratta di vizi che rilevano anche in relazione all'art. 130 del Codice del Consumo, nella formulazione ratione temporis applicabile, sotto il profilo del "difetto di conformità" del bene.
5.10. Sussiste, pertanto, la responsabilità del venditore, il quale era tenuto ad una particolare diligenza in qualità di venditore professionale mentre aveva garantito la salute del cucciolo, senza assicurarsi delle reali condizioni patologiche in modo da porre gli acquirenti nella condizione di decidere se concludere il contratto, nella consapevolezza delle sofferenze che l'animale avrebbe dovuto sopportare, dei disagi da affrontare e delle spese per le cure.
5.11. Ne consegue che, sia ai sensi della normativa civilistica (art. 1492 c.c.) che del Codice del Consumo (art. 130, commi 2 e 7 del Codice del Consumo), gli acquirenti potevano chiedere, a loro scelta, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, oltre al risarcimento dei danni.
5.12. Non ha pregio la tesi del ricorrente secondo cui gli acquirenti avrebbero dovuto chiedere la risoluzione del contratto, con gli effetti restitutori che ne derivano dal momento che la normativa generale e quella consumeristica prevedono la possibilità di scelta tra i due rimedi.
5.13. L'obbligo di garanzia per vizi della cosa venduta pone il venditore in situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all'iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l'esperimento, rispettivamente, della "actio quanti minoris" o della "actio redhibitoria", azioni fondate sul solo dato obiettivo dell'esistenza di vizi, indipendentemente da ogni giudizio di colpevolezza (Cass. Sez. Unite, 13.11.2012, n. 19702; Cass. Civ., Sez. II, 28.3.2022, n. 9960).
5.14. Quanto al Codice del Consumo, l'art. 130, comma 2, subordina la risoluzione del contratto a determinate condizioni, ovvero che : a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 5 ;c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore.
Si tratta di condizioni che operano anche nel caso di vendita di animali, con gli opportuni adeguamenti inerenti la peculiarità del bene venduto e devono essere dedotte ed allegate in giudizio, mentre nel caso in esame il venditore nulla ha dedotto al fine di sostenere che non operasse la garanzia per vizi.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 1 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2024.