È possibile licenziare un lavoratore per condotta illecita extralavorativa?
Sulla questione è tornata la Sezione Lavoro della Cassazione, con la sentenza n. 31866 dell’11 dicembre 2024.
Nel caso di specie, un conducente di autobus, dipendente dell’Azienda Trasporti Milanesi (ATM), è stato licenziato per giusta causa a seguito della condanna penale definitiva per violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali commessi nei confronti della moglie.
La Corte d’Appello di Milano aveva confermato il licenziamento, sottolineandone la legittimità nonostante il ricorso del lavoratore.
Segue il ricorso in Cassazione.
La Suprema Cotte riicorrda che la condotta illecita extralavorativa può assumere rilevanza disciplinare quando:
le azioni commesse fuori dall’ambito lavorativo ledono gli interessi morali e materiali del datore di lavoro.
i fatti contestati compromettono il rapporto di fiducia tra il lavoratore e il datore.
In questo caso, il lavoratore era stato condannato per una serie di comportamenti gravi e abituali, non legati al lavoro, ma che compromettevano la sua idoneità a ricoprire il ruolo di conducente di autobus, una mansione che richiede autocontrollo e un costante contatto con il pubblico.
La Corte ha inoltre richiamato gli artt. 2043 e 2087 c.c., che impongono al datore di lavoro obblighi di garanzia nei confronti dei terzi e degli altri dipendenti, nonché il rispetto delle norme contrattuali previste dal R.D. 148/1931 in materia di disciplina dei lavoratori del settore trasporti.
Nella vicenda in esame secondo la Cassazione:
la reiterazione dei comportamenti delittuosi, quali maltrattamenti familiari, nonché le conseguenze sulla professionalità del lavoratore, hanno reso impossibile mantenere il rapporto di lavoro.
la natura pubblicistica del servizio di trasporto impone standard elevati di comportamento, che il lavoratore non ha rispettato.
i precedenti disciplinari per episodi di insubordinazione e perdita di controllo sono stati valutati come ulteriori elementi a sostegno della decisione.
Il lavoratore aveva sostenuto che i comportamenti positivi tenuti dopo la condanna penale avrebbero dovuto essere considerati, ma la Cassazione ha ribadito che la valutazione della giusta causa si basa sui fatti contestati al momento del licenziamento, non su eventi successivi.
La Corte di Cassazione ha dichiarato infondati i motivi di ricorso del lavoratore, confermando che la condotta extralavorativa accertata, caratterizzata da abitualità e gravità, era tale da ledere irreparabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Pertanto, il licenziamento per giusta causa è stato definitivamente convalidato.
La condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l'irrogazione della sanzione espulsiva.
Cassazione civile, sez. lav., sentenza 11/12/2024 (ud. 06/11/2024) n. 31866
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d'Appello di Milano ha respinto il reclamo di Pa.Pa., confermando la sentenza di primo grado che, al pari dell'ordinanza conclusiva della fase sommaria, aveva rigettato la domanda di nullità o illegittimità della destituzione dal servizio o licenziamento disposto dall'AZIENDA TRASPORTI MILANESI Spa, con provvedimento del 28.2.2019, a seguito della condanna irrevocabile del dipendente alla pena di due anni e sei mesi di reclusione per i reati di violenza sessuale, maltrattamenti familiari e lesioni personali.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che la commissione da parte del Pa.Pa., in un lungo arco temporale, di plurimi fatti (non di un unico episodio) di significativa gravità ("l'atto di violenza sessuale nei confronti della moglie, i maltrattamenti con umiliazioni ed atteggiamenti prevaricatori verso la stessa, giudicati con il carattere della abitualità, nonché le lesioni personali") integrasse la giusta causa di destituzione; ciò anche in ragione della concreta possibilità che il lavoratore, conducente di autobus, potesse perdere l'autocontrollo e venir meno agli essenziali obblighi di rispetto e di diligenza nei confronti degli utenti del servizio o di terzi, atteso che le mansioni svolte comportavano la guida di veicoli nel traffico e il costante contatto con il pubblico. La corte territoriale ha altresì tenuto conto della responsabilità e della posizione di garanzia assunta da ATM, ex art. 2043 c.c. nei confronti dei terzi circa la idoneità del personale che opera a contatto con il pubblico, nonché ex art. 2087 c.c. nei rapporti tra i suoi dipendenti ed ha valutato, infine, i precedenti disciplinari a carico del Pa.Pa. medesimo connessi a episodi di insubordinazione o perdita di controllo. Nessun rilievo, secondo i giudici di appello, poteva - invece - attribuirsi alla positiva condotta tenuta dal Pa.Pa. successivamente alla condanna penale poiché la legittimità o meno del licenziamento deve essere valutata in relazione ai fatti contestati e non alla luce di accadimenti successivi; l'addebito mosso al lavoratore non era sussumibile sotto la previsione dell'art. 44, capo 4, R.D. 148/1931, che punisce con la sanzione conservativa della retrocessione le ipotesi di "inabilità o incompatibilità all'esercizio del proprio ufficio, sopraggiunte per motivi imputabili all'agente" e neppure poteva utilmente invocarsi l'art. 55 del regio decreto che rimette alla discrezionalità datoriale la scelta di applicare una sanzione meno grave.
3. Avverso tale sentenza Pa.Pa. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. L'AZIENDA TRASPORTI MILANESI Spa ha resistito con controricorso. Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. La società ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione o falsa applicazione dell'art. 45, R.D. 148/1931 in relazione all'art. 27 Cost., per avere la sentenza d'appello giudicato prevalenti i presunti profili di sicurezza, trascurando del tutto il precetto costituzionale che obbliga a valorizzare l'opera di reinserimento sociale e lavorativo del condannato.
5. Con il secondo motivo si denuncia l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la sentenza elaborato un giudizio prognostico sulla possibilità, del tutto astratta e indimostrata, che il lavoratore potesse rendersi protagonista di atti violenti verso il pubblico, in aperto contrasto con la documentazione versata in atti. Tale documentazione dimostra che la consumazione dei reati è avvenuta in un contesto relazionale caratterizzato da grande difficoltà e conflittualità reciproca, ben descritta nelle relazioni degli assistenti sociali; che la storia lavorativa del Pa.Pa. non consente di individuare un'abitualità in episodi di insubordinazione; che nel periodo di detenzione le strutture competenti hanno espresso un giudizio più che positivo sulla personalità del predetto; che la relazione dei servizi sociali dimostra l'impegno dallo stesso profuso per occuparsi dei figli e tenere un comportamento positivo, elementi tutti significativi dell'assenza di pericolosità del ricorrente.
6. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell'art. 7 St. lav. in relazione all'art. 2697 c.c. per avere la Corte d'Appello giudicato non rilevanti le valutazioni offerte dai servizi sociali e dalla struttura penitenziaria sull'errato presupposto che riguardassero fatti successivi alle condotte contestate, mentre tali elementi erano utili e necessari a ricostruire la personalità del lavoratore e a smentire la presunzione di sua pericolosità affermata da ATM quale unica ragione del licenziamento.
7. Con il quarto motivo è dedotta violazione o falsa applicazione dell'art. 5, legge 604 del 1966, anche in relazione all'art. 2729 c.c. Si assume che la società non avrebbe assolto all'onere di dimostrare l'impossibilità di reinserire il Pa.Pa. nell'ambiente lavorativo, con le medesime mansioni o altre rinvenibili nell'organico aziendale, senza fornire neppure prova di possibili ripercussioni sul rapporto di lavoro derivanti dalle condotte oggetto della condanna subita in sede penale.
8. Con il quinto motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell'art. 45, R.D. 148/1931. Si osserva che, ferma la rilevanza penale dei fatti oggetto della condanna, la Corte avrebbe errato nel considerarli rilevanti sebbene dalla documentazione in atti, proveniente dai professionisti che hanno seguito il Pa.Pa. dopo la condanna, emergesse la collaborazione, l'affidabilità e l'assenza di pericolosità dello stesso nonché la buona condotta da lui tenuta, che ne ha consentito l'affidamento in prova dal (Omissis).
9. Con il sesto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell'art. 2106 c.c. e dell'art. 37, R.D. 148/1931 per non avere la Corte d'Appello sussunto la condotta contestata nell'art. 44, comma 4, del regio decreto (che commina la sanzione conservativa della retrocessione) e neppure nell'articolo 55, che attribuisce agli organi competenti discrezionalità nell'individuare la sanzione applicabile.
10. Preliminarmente, deve disattendersi l'eccezione, sollevata dalla società controricorrente, di inammissibilità del ricorso perché notificato oltre il termine di sessanta giorni previsto dalla legge n. 92 del 2012.
11. L'art. 1, comma 62, della legge n. 92 del 2012 prevede che "Il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore".
12. Questa Corte ha già avuto modo di affermare che il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, di cui all'art. 1 comma 62 della legge n. 92 del 2012, decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale che, in via derogatoria, comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell'art. 133, comma 2, c.p.c., nella parte in cui stabilisce che "la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325 cod. proc. civ.", norma attinente al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria (così Cass. n. 19177 del 2016; v. anche Cass. n. 6059 del 2018; n. 19505 del 2018; n. 19862 del 2018; n. 31995 del 2018 in motivazione; v. il riferimento contenuto in Cass., S.U. n. 28975 del 2022). Si è ulteriormente precisato che, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza che definisce il reclamo ai sensi dell'art. 1, comma 62, della L. n. 92 del 2012, qui applicabile ratione temporis, la comunicazione a cura della cancelleria a mezzo PEC fa decorrere il termine breve di sessanta giorni per l'impugnazione solo ove risulti allegato il testo integrale della sentenza, non essendo sufficiente il mero avviso del deposito della stessa (Cass. n. 5596 del 2024).
13. Lo scopo della comunicazione della sentenza è quello di far pervenire alle parti il testo integrale del provvedimento giudiziario e di porle in grado di conoscere, sin dal momento della comunicazione, le ragioni sulle quali la pronuncia è fondata e di valutarne la correttezza, in modo da poter predisporre eventuale impugnazione (v. Cass. n. 13745 del 2018; n. 134 del 2019).
14. Onerato della prova dell'avvenuta rituale comunicazione è la parte che intende far valere la tardiva proposizione del ricorso, nel caso di specie la società controricorrente (v., su analoga questione, Cass., S.U. n. 21349 del 2022).
15. La prova non può dirsi raggiunta in quanto dalla documentazione depositata in allegato al controricorso (All. E, n. 1, 2 e 3) non è dato evincere che la comunicazione di cancelleria diretta al difensore del lavoratore avesse ad oggetto il testo integrale della sentenza pronunciata in sede di reclamo. L'attestazione del Cancelliere della Corte d'Appello di Milano con cui "si dà atto che in data (Omissis) alle ore 11:10 il cancelliere Ta.Gi. ha provveduto ad inviare al gestore dei servizi telematici, al sistema di posta elettronica certificata del ministero della giustizia per il successivo inoltro all'indirizzo di posta elettronica... della parte... il seguente messaggio di posta elettronica certificata cui risultano allegati i documenti che nel registro di cancelleria sono associati a: data evento (Omissis);... depositata (pubblicata) sentenza n. 1580/2021" (allegata al ricorso e trascritta nella memoria ex art. 378 c.p.c.): il suo non univoco significato letterale, non dimostra l'avvenuta comunicazione non solo della notizia del deposito (pubblicazione) della sentenza, ma anche del testo integrale della stessa.
16. I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente per connessione logica, sono per alcuni aspetti inammissibili e, per altri, infondati.
17. I motivi sono inammissibili nella parte in cui censurano la valutazione di alcuni elementi probatori e la mancata valutazione di altri: in tal modo detti motivi travalicano l'ambito del vizio di violazione di legge e lo stesso perimetro fissato dall'art. 360 n. 5 c.p.c., in un'ipotesi, peraltro, di c.d. doppia conforme, in quanto tale ostativa a detto canale di accesso al giudizio di legittimità.
18. Come affermato da questa Corte, il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto e si risolve nella negazione o affermazione erronea di esistenza o inesistenza di una norma oppure nell'attribuzione ad essa di un contenuto che - in realtà - non possiede; il vizio di falsa applicazione di legge consiste nel sussumere il fatto oggetto del giudizio sotto una norma che non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma medesima, in relazione al caso concreto, conseguenze giuridiche che contraddicono la pur corretta sua interpretazione descrittiva di significato. Si è parallelamente precisato che non rientra nell'ambito applicativo dell'art. 360, comma 1, n. 3, neppure l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (v. Cass. n. 3340 del 2019; n. 640 del 2019; n. 10320 del 2018; n. 24155 del 2017; n. 195 del 2016).
19. Non ricorre neppure una violazione dell'art. 2697 c.c., poiché la sentenza impugnata non ha invertito l'onere di provare la giusta causa di licenziamento ma, in ossequio all'art. 5 della legge n. 604 del 1966, l'ha addossato al datore di lavoro ed ha giudicato in concreto soddisfatto tale onere alla luce del materiale di causa.
20. Del pari inammissibile è la dedotta violazione o falsa applicazione dell'art. 2729 c.c. che si concreta, nel caso in esame, nella prospettazione di una ricostruzione alternativa delle circostanze fattuali e di un'inferenza probabilistica diversa da quella seguita dai giudici di merito (v. Cass. n. 9054 del 2022), nel tentativo di conseguire una rivalutazione dei fatti storici già esaminati dalla Corte d'Appello (Cass., S.U., n. 34476 del 2019) e di scardinarne l'apprezzamento.
21. Non vi è spazio alcuno per ritenere integrata la violazione dell'art. 27 Cost. poiché il procedimento in oggetto nasce dall'impugnativa del licenziamento e non attiene all'ambito di esecuzione della pena.
22. Secondo un indirizzo consolidato, la condotta illecita extralavorativa è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazione richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non porre in essere, fuori dall'ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromettere il rapporto fiduciario con lo stesso; tali condotte, ove connotate da caratteri di gravità, possono anche determinare l'irrogazione della sanzione espulsiva (Cass. n. 267 del 2024; n. 28368 del 2021; n. 16268 del 2015). Entro tale cornice si colloca la decisione d'appello che ha attribuito ai fatti già accertati in sede penale una valenza di gravità tale da ledere in modo irrimediabile, alla luce delle precipue caratteristiche della prestazione richiesta al Pa.Pa. e dei suoi precedenti disciplinari, la fiducia nel futuro corretto adempimento dell'attività lavorativa.
23. Il percorso riabilitativo seguito dall'odierno ricorrente dopo i fatti oggetto di condanna penale non può retroattivamente eliderne la gravità sul piano disciplinare a cagione del loro impatto negativo sulla prospettiva di corretta futura esecuzione della prestazione, in modo scevro da quegli aspetti di violenza e sopraffazione, non sporadica, ma caratterizzata da abitualità, che hanno rappresentato il terreno dei comportamenti delittuosi, pericolosità in concreto vagliata dalla Corte d'Appello in relazione alle mansioni di conducente di autobus affidate al dipendente, quotidianamente tenuto a circolare nel traffico, in condizioni quindi stressanti, e ad avere contatto con gli utenti, nei cui confronti deve essere evitato, anche per la natura pubblicistica del servizio di trasporto, ogni rischio di intemperanza o reazioni scomposte, offensive o violente.
24. È quindi certamente sussumibile nella nozione legale di giusta causa di licenziamento una condotta extralavorativa, avente rilievo penale e sfociata in una sentenza irrevocabile di condanna, caratterizzata, sia pure nell'ambito di rapporti interpersonali o familiari, dal mancato rispetto della altrui dignità e da forme di violenza e sopraffazione fisica e psichica, non sporadiche, bensì abituali, specie ove le mansioni del lavoratore, incaricato di pubblico servizio come il conducente di autobus, comportino costante contatto col pubblico ed esigano rigoroso rispetto verso gli utenti e capacità di autocontrollo.
25. Lungi dallo stabilire un automatismo tra la condanna penale e l'integrazione della giusta causa di licenziamento, la sentenza d'appello ha ben colto le implicazioni negative dei fatti penalmente illeciti sulla regolare esecuzione della prestazione, nel rispetto degli obblighi facenti capo al lavoratore e posti a tutela degli utenti del servizio pubblico; del pari la Corte territoriale ha correttamente valutato - con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità - i precedenti disciplinari dell'odierno ricorrente, sintomatici di insubordinazione e perdita di controllo.
26. Infondata è, poi, la pretesa riconducibilità della condotta addebitata al dipendente all'ipotesi punita con la retrocessione, avendo la Corte d'Appello, sulla base di una corretta interpretazione delle norme contrattuali, escluso che il fatto contestato ed accertato fosse sovrapponibile alla fattispecie descritta dall'art. 44, comma 4, del regio decreto in termini di "inabilità o incompatibilità all'esercizio del proprio ufficio, sopraggiunte per motivi imputabili all'agente". All'attuale ricorrente non è stata addebitata una forma di inabilità o incompatibilità rispetto alle mansioni di conducente di autobus ma, unicamente, l'avere riportato una condanna penale per fatti delittuosi, reiterati e abituali, aventi contenuti e peculiarità tali da elidere la fiducia nel corretto futuro adempimento della prestazione lavorativa.
27. Inammissibile è, infine, la censura sull'omesso esercizio del potere datoriale di infliggere una sanzione inferiore, riconosciuto dall'art. 55 del regio decreto, trattandosi di mera facoltà discrezionale riconosciuta all'azienda: ciò esclude che il dipendente possa vantare il diritto ad una meno grave sanzione. D'altro canto, la Corte di merito, in coerenza con la valutazione di estrema gravità dei fatti, ha escluso che la scelta datoriale potesse dirsi contraria ai canoni di correttezza e buona fede.
28. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
29. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
30. Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della pubblica udienza del 6 novembre 2024.
Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2024.