Pubblicato il

Revoca di una donazione per ingratitudine nella convivenza di fatto

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32682 del 16/12/2024

È possibile revocare una donazione effettuata nell’ambito di una convivenza di fatto in caso di comportamenti del donatario che ledano la dignità e il decoro del donante?

Questa è la domanda affrontata dalla Cassazione civile, sez. II, nell’ordinanza n. 32682 del 16 dicembre 2024.

Il caso di specie riguardava una coppia convivente da anni. L’uomo aveva donato un appartamento alla compagna, utilizzato come abitazione comune. Tuttavia, poco dopo la donazione, aveva scoperto che la donna intratteneva da tempo una relazione con un altro uomo. Dopo la separazione, quest’ultimo era subentrato nella casa donata, rendendo pubblica la nuova relazione.

La regola giuridica

L’art. 801 del Codice Civile prevede che una donazione possa essere revocata per ingiuria grave al donante. La giurisprudenza ha chiarito che questo concetto si riferisce a comportamenti che offendano il decoro e la dignità del donante, e che siano esteriorizzati in modo tale da risultare visibili a terzi.

Anche nelle convivenze di fatto, pur in assenza di un obbligo formale di fedeltà, sussistono doveri di lealtà e rispetto reciproco. Tali doveri, se violati in maniera grave e manifesta, possono costituire motivo di revoca di una donazione.

L’applicazione al caso concreto

Nel caso specifico, la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Genova, che aveva disposto la revoca della donazione dell’appartamento. La decisione si è basata sui seguenti elementi:

  • La relazione clandestina della donna era già in essere al momento della donazione, ma era stata taciuta al donante.

  • Dopo pochi giorni dalla donazione, il donante era stato invitato a lasciare l’abitazione, e il nuovo compagno della donna si era trasferito nell’immobile.

  • La nuova relazione era stata ostentata pubblicamente, anche attraverso dichiarazioni e fotografie su riviste nazionali.

Secondo la Corte, questi comportamenti dimostravano una mancanza di rispetto e di riconoscenza nei confronti del donante, configurando l’ingiuria grave prevista dall’art. 801 c.c.

La Cassazione ha inoltre chiarito che non è la nuova relazione in sé a essere rilevante, ma le modalità irrispettose con cui è stata resa pubblica e il contesto di premeditazione che ha accompagnato la donazione.

Conclusione

La donazione nell’ambito di una convivenza di fatto può essere revocata se il donatario adotta comportamenti che offendono gravemente il decoro e la dignità del donante. Questo caso sottolinea come, anche in assenza di vincoli matrimoniali, i principi di lealtà e rispetto reciproco restino fondamentali nelle relazioni personali. La pronuncia evidenzia l’importanza del comportamento del donatario nel determinare la revocabilità della donazione e offre un esempio concreto di applicazione dell’art. 801 c.c.

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

Cassazione civile, sez. II, ordinanza 16/12/2024 (ud. 26/11/2024) n. 32682

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE


1. Co.Gi., precisando di avere intrapreso una lunga relazione sentimentale, sfociata nella convivenza, con Ca.Ma. a far data dall'aprile del 2008, deduceva che in data 17 marzo 2016 aveva donato alla stessa un appartamento, da lui in precedenza acquistato, e che era stato adibito a casa comune. Tuttavia, a distanza di pochi giorni dalla donazione, aveva appreso che la Ca.Ma. aveva intrapreso una relazione sentimentale con un altro uomo, al quale era affettivamente legata da tempo, e che era stato quindi invitato ad allontanarsi dall'appartamento, aggiungendo che dopo la sua fuoriuscita dalla casa, la nuova relazione era divenuta di dominio pubblico, in quanto la coppia aveva iniziato a frequentarsi anche all'interno del bene donato.

Tanto premesso, ha chiesto pronunziarsi la revocazione per ingratitudine della donazione immobiliare.

Nella resistenza della Cagiano, il Tribunale di Imperia ha rigettato la domanda ed avverso tale sentenza il Co.Gi. ha proposto appello, cui ha resistito la convenuta.

La Corte d'Appello di Genova, con la sentenza n. 717 del 20 giugno 2022, ha accolto il gravame, e per l'effetto ha revocato la donazione immobiliare, dichiarando che i beni costituenti l'arredo dell'appartamento erano di proprietà dell'appellante e che dovevano essergli restituiti.

Nell'affrontare il primo motivo di appello, che contestava l'esclusione dell'ingiuria grave nella condotta della convenuta, la sentenza impugnata, richiamata la nozione presupposto della fattispecie di cui all'art. 801 c.c., riteneva che la complessiva valutazione della condotta della Ca.Ma. deponesse per la realizzazione di un'ingratitudine esteriorizzata tale da ferire la dignità del donante.

In particolare, doveva reputarsi pacifico che la coppia Co.Gi. - Ca.Ma. era in crisi da tempo e che la seconda aveva ancor prima della donazione intrapreso una relazione clandestina con un altro uomo; emergeva altresì che il Co.Gi. si era allontanato dall'abitazione a distanza di pochi giorni dalla donazione e che dopo circa un mese il nuovo compagno della Ca.Ma. era stato visto nell'immobile.

La situazione di crisi della coppia, l'avere taciuto l'esistenza della relazione e l'intento di porre fine al vecchio legame, dimostravano come la condotta della convenuta fosse premeditata al fine di conseguire la liberalità, senza però avere nutrito alcun sentimento di riconoscenza. In tal senso deponeva il fatto che la convenuta si era in precedenza recata dal notaio che aveva poi stipulato la donazione, al fine di informarsi circa la possibilità di poter liberamente rivendere il bene donato, atteggiamento questo che deponeva per la preordinata volontà di porre termine alla relazione con il Co.Gi.

Sebbene, per l'assenza di un vincolo matrimoniale, non sussistesse un rigido dovere di fedeltà, la Ca.Ma. avrebbe dovuto previamente mettere al corrente il compagno della volontà di porre fine alla relazione, volontà che è stata però manifestata appena due giorni dopo la donazione, con una condotta che denota la mancanza di rispetto della dignità del donante.

A poco rilevava che non fosse stato formalmente cacciato di casa ma solo invitato a prendersi il tempo che voleva per trovare una diversa sistemazione, ma era comunque una condotta che faceva seguito alla comunicazione della volontà di cessazione della relazione.

La circostanza che la casa fosse stata ab origine acquistata per ospitare un progetto di vita condiviso faceva poi sì che la presenza nell'appartamento del nuovo compagno della Ca.Ma., dopo appena un mese dall'interruzione della relazione, costituisse un'offesa al decoro del donante.

Se, come sembrava sostenere la convenuta, la relazione non era consolidata e seria, allora non si giustificherebbe la pretesa di configurare la donazione quale atto di assolvimento di un dovere morale, e ciò anche alla luce del mutato costume sociale che non consente di ritenere che a seguito di una consapevole relazione intrapresa da una donna adulta debba ravvisarsi a carico del compagno un dovere di riconoscenza.

A ciò infine andava aggiunto che la convenuta a distanza di poco tempo si era fatta fotografare da una rivista a diffusione nazionale con il nuovo compagno, rilasciando dichiarazioni di dubbio gusto circa il maggiore appagamento tratto dal nuovo rapporto.

Una volta quindi ravvisata l'ingiuria grave, anche il secondo motivo di appello era accolto, e ciò in quanto emergeva la prova che il Co.Gi. avesse acquistato con denaro proprio tutto il mobilio presente nella casa.

Però, una volta esclusa la configurazione di una donazione di modico valore ex art. 783 c.c., la tesi sostenuta dalla convenuta circa il fatto che i beni fossero stati oggetto di una liberalità d'uso ex art. 770 c.c. non era stata adeguatamente dimostrata, in quanto non risultavano provati la posizione economica del Co.Gi., il rapporto tra tale posizione e la pretesa elargizione liberale, le condizioni sociali dell'attore nonché la natura e la valenza economica dei servizi resi dalla convenuta con riferimento al valore dei beni oggetto di liberalità.

Peraltro, i doveri di natura morale e sociale scaturenti anche dal rapporto di convivenza risultavano essere stati assolti dal Co.Gi., il quale aveva intestato alla ex compagna un conto corrente alimentato con denaro del solo appellante.

2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, affidato a quattro motivi, Ca.Ma.

L'intimato resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell'udienza.

3. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di improcedibilità del controricorso sollevata dalla difesa della Ca.Ma. nelle memorie depositate in prossimità dell'udienza, atteso che la notifica dello stesso è avvenuta in data 6 ottobre 2022, palesandosi quindi tempestivo il successivo deposito in data 24 ottobre 2022 (non trovando quindi conforto l'assunto della ricorrente secondo cui il controricorso sarebbe stato invece notificato in data 29 settembre 2022).

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 801 ed 807 c.c., nonché dell'art. 1, co. 36, della legge n. 76/2016 e dell'art. 769 c.c.

La ricorrente sostiene che ai sensi della legge n. 76/2016 la convivenza presuppone che entrambe le persone siano libere da precedenti vincoli matrimoniali, così che, poiché il Co.Gi. era ancora coniugato, nella specie si era in presenza di un vincolo di carattere meramente preparatorio.

Si lamenta che nella fattispecie l'ingiuria grave sia stata ravvisata nella sola instaurazione di una nuova relazione da parte della Ca.Ma., trascurandosi che invece nella fattispecie tra le due parti in causa vi era una mera coabitazione.

Inoltre, la sentenza ha ritenuto che la donazione non si configurasse quale atto doveroso, trascurandosi che la stessa si poneva come una sorta di compenso per il fatto che la coabitazione si fosse protratta sebbene il Co.Gi. non si fosse mai liberato dal precedente vincolo matrimoniale.

L'assenza di una valida convivenza non consente, quindi, di attribuire il valore di ingiuria grave alla relazione della ricorrente, il che inficia l'intero impianto argomentativo della decisione gravata.

Il motivo è evidentemente privo di fondamento.

In primo luogo va evidenziato che, essendo cessata la relazione di fatto tra le parti nel marzo del 2016, a distanza di pochi giorni dalla donazione, risulta inapplicabile ratione temporis la disciplina di cui alla legge n. 76/2016, di tal che, ai fini di valutare la stabilità della relazione paraconiugale esistente tra le parti non appare possibile prendere a riferimento i criteri e i principi dettati dalla norma sopravvenuta, occorrendo invece guardare alla sola situazione di fatto quale delineatasi nel corso della pluriennale relazione intervenuta tra le parti.

La stabilità della convivenza, attuata non già per assicurare la mera coabitazione, ma in vista del consolidarsi di una stabile relazione affettiva e sentimentale, costituisce un apprezzamento di fatto operato dal giudice di appello con motivazione logica e coerente, e peraltro supportato anche dalla stessa prospettazione difensiva della ricorrente che, non negando la convivenza ed il sentimento di affetto che univa le parti, nella parte introduttiva del ricorso si limita ad addebitare all'ex compagno la scelta di non liberarsi dal precedente vincolo coniugale, senza però negare che, nonostante tale circostanza, la relazione fosse continuata in maniera stabile e fino alla data cui risale l'atto di donazione.

L'accertamento del rapporto di convivenza di fatto intervenuto tra le parti costituisce, quindi, una valutazione operata dal giudice di merito con motivazione logica e coerente, e la stessa, sebbene non corredata dai doveri ed obblighi tipici del vincolo matrimoniale, pone in ogni caso degli obblighi morali e sociali, la cui violazione, ove intervenuta con modalità tali da ledere gravemente la dignità del compagno, ben può configurare l'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 c.c.

I doveri di solidarietà reciproca che scaturiscono dalla convivenza di fatto, sebbene connotati da una non coercibilità e da una minore vincolatività, si impongono e soprattutto non escludono che la condotta del convivente possa risultare compromissoria della dignità morale del convivente.

In questo senso, ed in relazione ai rapporti tra coniugi, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, aperta ai mutamenti dei costumi sociali, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento. Peraltro, in presenza di tali presupposti, resta indifferente la legittimità del comportamento del donatario (Cass. n. 20722 del 13/08/2018; Cass. n. 7487/2011).

È stata, quindi, ravvisata l'ingratitudine non nella relazione extraconiugale in sé intrattenuta dal coniuge donatario, bensì nella circostanza che tale relazione era stata ostentata, anche fra le mura della casa coniugale, in presenza di una pluralità di estranei e, talvolta, anche del marito (così Cass. n. 22013 del 31/10/2016; Cass. n. 14093/2008, che ha fatto leva sulle modalità oggettivamente irriguardose nei confronti del coniuge della relazione extraconiugale intrattenuta dal donatario, sfociata nell'abbandono della famiglia nonostante la presenza di figli; Cass. n. 20031987).

Rapportando tali principi alla fattispecie in esame, ancorché l'assenza di un vincolo matrimoniale attenui il dovere di fedeltà tra conviventi, ed anche a voler reputare lecita la condotta del convivente che decida di intraprendere una nuova relazione, la liceità di tale condotta non esime però dal dovere compiere una valutazione complessiva del comportamento tenuto onde apprezzare le modalità con le quali tale nuova relazione sia stata poi portata alla luce, considerando altresì anche le ulteriori condotte dalle quali possa ricavarsi un contegno irriguardoso nei confronti del donante, in avversione al sentimento di rispetto che deve invece connotare i rapporti tra donante e donatario.

La Corte d'Appello ha riformato la decisione di primo grado, imputando al Tribunale l'errore di avere valutato in maniera parcellizzata la condotta della convenuta, e procedendo correttamente ad una valutazione unitaria della sua condotta, onde verificarne l'idoneità a pregiudicare la dignità dell'attore.

Non si è quindi soffermata sulla sola liceità o meno della relazione successivamente intrapresa dalla convenuta, ma al fine di riscontrare una condotta successiva alla donazione idonea a concretare la grave ingiuria richiesta dall'art. 801 c.c., ha valorizzato la relazione intrapresa, sottolineando come la lesione della dignità del donante scaturiva dal fatto che la stessa, sebbene anteriore alla donazione, gli era stata taciuta e, sebbene il motivo della donazione fosse quello di rassicurare la Ca.Ma. circa la solidità del rapporto affettivo che avrebbe accomunato le parti, che a distanza di pochi giorni la Ca.Ma. (che aveva nella sostanza sollecitato la donazione, pur avendo già instaurato la relazione con un terzo) aveva troncato il rapporto di convivenza, invitando in pratica il Co.Gi. a trovare una nuova abitazione, salvo poi, a distanza di poco più di un mese rendere manifesta la nuova relazione, coabitando con il nuovo compagno proprio in quella casa, che nell'intento originario del controricorrente era destinata ad essere l'ambiente nel quale coltivare il progetto di vita comune dei conviventi.

Non è quindi la nuova relazione in sé ad essere stata reputata offensiva della dignità del Co.Gi., ma le modalità con le quali la stessa è stata resa palese, sebbene già intrapresa in epoca anteriore alla donazione, ed essendo stata poi esternata con modalità evidentemente irriguardose nei confronti dell'ex compagno.

Né può sostenersi, come pur trapela dalla lettura del ricorso, che le condotte della Ca.Ma. possano essere giustificate dal fatto che il Co.Gi. non abbia mai reciso il pregresso vincolo matrimoniale, in quanto, come sottolineato dalla Corte distrettuale, il progetto di vita comune intrapreso tra le parti era frutto, dal lato della ricorrente, di una scelta operata da un soggetto adulto che consapevolmente aveva inteso instaurare una convivenza con l'attore, accettando quindi la condizione di quest'ultimo, non potendo quindi essere così legittimata una condotta obiettivamente irriguardosa, a maggior ragione una volta che la convenuta era stata beneficiata con la donazione oggetto di causa.

5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell'art. 132 c.p.c. per essere la sentenza munita di una motivazione ampiamente al di sotto del limite costituzionalmente accettabile, con travisamento delle prove e violazione dell'art. 116 c.p.c., nonché omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.

Il motivo è del pari infondato.

Va sicuramente escluso che la sentenza sia affetta da nullità ai sensi dell'art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., in quanto le ampie ed argomentate considerazioni sviluppate dal giudice di appello, corroborate dal richiamo al contenuto delle fonti di prova raccolte, escludono che la sentenza sia stata redatta in violazione del principio del cd. minimo costituzionale della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014).

Del pari deve escludersi che ricorra il vizio di travisamento della prova, atteso che le censure mosse non denunciano anomalie suscettibili di dar vita a tale vizio, come delineato da ultimo da Cass. S.U. n. 5792/2024, atteso che si denuncia non già una svista concernente il fatto probatorio in sé, quanto piuttosto la verifica logica della riconducibilità dell'informazione probatoria al fatto probatorio.

La sentenza impugnata, nell'esercizio di prudente apprezzamento delle prove, ha ritenuto che pur sussistendo un contrasto tra alcune delle deposizioni testimoniali, fosse possibile individuare una serie di elementi di carattere pacifico, e nel compiere tale valutazione ha esercitato il potere di prudente apprezzamento della prova, nei limiti che la legge riserva in esclusiva al giudice di merito, pervenendo ad una conclusione che non è suscettibile di essere attinta in sede di legittimità.

Ancorché la ricorrente a pag. 17 sostenga che non è suo intento opporre una diversa valutazione delle prove, la complessiva lettura della critica depone proprio per tale obiettivo.

Né assumono rilevanza quali fatti decisivi di cui sarebbe stata omessa la disamina, la circostanza che il Co.Gi. non avesse reciso il precedente vincolo matrimoniale, trattandosi di elemento che è stato adeguatamente valutato ed apprezzato dalla Corte d'Appello che lo ha ritenuto privo di rilievo ai fini della decisione. Così come del pari è priva di decisività la circostanza che l'appartamento donato fosse stato in precedenza oggetto di un legato, essendo tale pregressa manifestazione di volontà superata dall'intervenuta donazione.

La critica appare, quindi, inammissibile nella parte in cui sollecita una rivisitazione del tenore delle deposizioni testimoniali, contrapponendo alla ricostruzione in fatto del giudice di merito, quella personale della parte.

6. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 770 e 2727 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che i mobili e gli elementi di arredo acquistati dal Co.Gi. e presenti nell'immobile donato fossero di proprietà dell'acquirente e non interessati da una donazione d'uso ex art. 770 c.c.

Si lamenta che, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di appello, era stata offerta la prova delle elevate condizioni economiche del Co.Gi. così che deve reputarsi che i beni de quibus abbiano costituito l'oggetto di liberalità d'uso.

Anche tale motivo è nella sostanza inammissibile in quanto sollecita un apprezzamento delle emergenze istruttorie in contrasto con quanto opinato, in maniera adeguata e coerente, dal giudice di merito, che ha escluso che fosse stata offerta la prova del ricorrere delle condizioni di cui all'art. 770 c.c.

In tal senso rileva anche la circostanza che, allorché gli acquisti vennero effettuati, ed essendo chiaramente funzionali al miglioramento delle condizioni di fruibilità dell'immobile, quest'ultimo era ancora di proprietà esclusiva del Co.Gi. (formale acquirente dei beni stessi) che a sua volta viveva in quella casa.

La sola destinazione degli arredi all'abitazione non è quindi indicativa del fatto che si trattasse di donazioni effettuate in favore della convivente, né effettivamente la ricorrente si è premurata anche in ricorso di indicare (una volta assolti i doveri morali di assistenza scaturenti dalla convivenza con l'intestazione di un contratto di conto corrente alimentato dal solo Co.Gi.), quale particolare occasione avesse determinato l'intento liberale o quali servizi resi, come prevede la lettera della legge, le donazioni de quibus intendessero compensare.

7. Il quarto motivo denuncia la violazione dell'art. 91 c.p.c. per avere la Corte d'Appello condannato la Ca.Ma. al rimborso delle spese del doppio grado.

Lo stesso è però inammissibile, in quanto si limita a riferire che la soluzione de qua striderebbe con il principio dell'effettiva soccombenza, soccombenza che peraltro effettivamente ricorre, ma senza che a tale apodittica affermazione sia accompagnata alcuna parte argomentativa.

8. Il ricorso è pertanto rigettato, ed al rigetto consegue la condanna della ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.

9. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso dele spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;

ai sensi dell'art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, co. 17, L. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 26 novembre 2024.

Depositata in Cancelleria il 16 dicembre 2024.

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472