Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge n. 158 del 2024 e alla legge n. 187 del 2024, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro può essere effettuata, attraverso un decreto ministeriale, con eccezioni di carattere personale. Tuttavia, la procedura accelerata di frontiera non può applicarsi là dove, anche in sede di convalida del trattenimento, il giudice ravvisi sussistenti i gravi motivi per ritenere che il paese non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova. In ogni caso, le eccezioni personali, pur compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possono essere ammesse senza limiti. Tali eccezioni, infatti, non sono ammesse a fronte di persecuzioni estese, endemiche e costanti, tali da contraddire, nella sostanza, il requisito dell’assenza di persecuzioni che avvengano generalmente e costantemente, secondo l’allegato I alla direttiva 2013/32, perché, altrimenti, sarebbe gravemente pregiudicato il valore fondamentale della dignità e, con esso, la connotazione dello Stato di origine come Stato di diritto, il quale postula il rispetto delle minoranze nel nucleo irriducibile dei diritti fondamentali della persona.
Il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento de libertate, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura del trattenimento. Pertanto, egli è chiamato a verificare, in ipotesi limite, se la valutazione ministeriale abbia varcato i confini esterni della ragionevolezza e sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o se la relativa designazione sia divenuta, ictu oculi, non più rispondente alla situazione reale.
Numero registro generale 22146/2024
Numero sezionale 4486/2024
Numero di raccolta generale 34898/2024
Data pubblicazione 30/12/2024
Cassazione, Prima Sezione Civile, Ordinanza interlocutoria N. 34898 (ud. 4/12/2024) depositata il 30/12/2024
FATTI DI CAUSA
1. – Il signor S.S. – proveniente dall’Egitto, Stato del quale si è dichiarato cittadino – è stato salvato in mare la notte tra il 13 e il 14 ottobre 2024 da una motovedetta della Guardia costiera italiana.
Condotto presso il centro di Gjader in Albania in base al Protocollo tra il Governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, fatto a Roma il 6 novembre 2023, reso esecutivo con la legge di autorizzazione alla ratifica n. 14 del 2024, il signor S. è stato trattenuto, ex art. 6-bis del d.lgs. n. 142 del 2015, in relazione alla richiesta di protezione internazionale dal medesimo formulata e allo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’art. 28-bis, comma 2, lettera b-bis), del d. lgs. n. 25 del 2008.
Il trattenimento è stato disposto dal Questore di Roma in data 16 ottobre 2024. Il relativo provvedimento ha dato atto che non è possibile applicare al caso concreto le misure alternative al trattenimento, quali, ad esempio, l’obbligo di dimora in luogo preventivamente individuato o l’obbligo di presentazione presso un ufficio della forza pubblica, poiché non ritenute idonee a eliminare l’alto rischio di fuga del signor S., anche perché questi – si legge nel provvedimento del Questore – ha violato l’obbligo di cooperazione con le autorità ai fini dell’accertamento della sua identità e non ha esibito o prodotto elementi certi in suo possesso relativi all’età e all’identità.
2. – Il 18 ottobre 2024 si è svolto il giudizio di convalida del trattenimento. Durante l’udienza, il Ministero ha rappresentato che la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha effettuato l’audizione del richiedente e ha rigettato la sua domanda di protezione internazionale. Il cittadino straniero ha dichiarato di essere in condizioni di fragilità psicologica e di temere il rientro nel suo paese di origine.
3. – Il Tribunale ordinario di Roma, con decreto in data 18 ottobre 2024, non ha convalidato il provvedimento di trattenimento in Albania.
4. – Il Tribunale ha ritenuto il provvedimento del Questore illegittimo in quanto adottato nell’ambito di una procedura accelerata alla frontiera disposta in assenza del requisito della provenienza del richiedente asilo da un paese di origine sicuro, secondo quanto richiesto dall’art. 28-bis, comma 2, lettera b-bis), del d. lgs. n. 25 del 2008 e dall’art. 31, paragrafo 8, della direttiva 2013/32/UE.
Il giudice a quo ha rilevato che, nella fattispecie al suo esame, il paese di provenienza del migrante – l’Egitto – è accreditato come sicuro dal decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, del 7 maggio 2024, ma con una eccezione per talune categorie di soggetti (oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possono ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’art. 8, comma 1, lettera e, del d.lgs. n. 251 del 2007).
Ad avviso del Tribunale, la designazione come paese di origine sicuro operata dal decreto ministeriale non sarebbe conforme al diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) con la sentenza 4 ottobre 2024, nella causa C-406/22.
Ha evidenziato il giudice della convalida che, in base alla citata sentenza della Corte di giustizia, l’art. 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione.
5. – Per la cassazione del decreto di non-convalida del provvedimento di trattenimento, il Ministero dell’interno e, per quanto occorra, il Questore della Provincia di Roma hanno proposto ricorso, con atto notificato il 21 ottobre 2024, articolando due motivi di censura.
Il signor S. ha resistito con controricorso, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, improcedibile o, comunque, rigettato nel merito. In via incidentale, e sotto condizione di accoglimento di uno dei motivi di ricorso, ha avanzato ricorso incidentale avverso la decisione del Tribunale di Roma.
6. – La Prima Presidente ha respinto l’istanza, presentata dall’Avvocatura generale dello Stato in rappresentanza dei ricorrenti, di rimessione della causa alle Sezioni Unite, ma ha accolto la richiesta di abbreviazione dei termini.
7. – Il ricorso è stato fissato per la discussione in udienza pubblica, data la particolare importanza della questione di diritto.
8. – In prossimità dell’udienza pubblica, l’Ufficio del Pubblico Ministero ha depositato una memoria con la quale, considerata l’attuale pendenza di più quesiti riguardanti la ipotizzabilità della categoria di paese di origine sicuro con esenzioni soggettive, ha chiesto alla Corte la sospensione del giudizio in attesa della decisione della Corte di giustizia. La richiesta è stata formulata “per evidenti ragioni di cautela in considerazione della rilevanza giuridica della questione e della circostanza che il giudice di ultima istanza, nella pendenza di giudizi di rinvio pregiudiziale, ha l’onere di attendere il pronunciamento della Corte di giustizia anche per evitare una sovrapposizione di decisioni potenzialmente contrastanti tra loro”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Pronunciando il decreto impugnato, il Tribunale di Roma ha stabilito che, alla luce della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione), del 4 ottobre 2024, nella causa C406/22, non può essere convalidato il trattenimento in Albania del migrante, in relazione alla richiesta di protezione internazionale dal medesimo formulata e allo svolgimento della procedura in frontiera di cui all'art. 28-bis, comma 2, lett. bbis), del d.lgs. n. 25 del 2008.
Il giudice a quo ha considerato che l’Egitto, paese di origine del richiedente trattenuto, è definito sicuro, ma ha rilevato che, nella scheda-paese che riassume l’istruttoria sfociata nel decreto ministeriale di designazione, tale qualificazione non è priva di eccezioni per alcune categorie di persone (oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possono ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’art. 8, comma 1, lettera e, del d.lgs. n. 251 del 2007); e ciò farebbe venir meno la qualificazione impressa dal decreto ministeriale. Le condizioni materiali di una designazione del genere devono, secondo il giudice a quo, riguardare tutti. La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro cessa se non vale anche per determinate minoranze o categorie di persone.
Il trattenimento non è stato convalidato in applicazione dei principi enunciati dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) del 4 ottobre 2024, nella causa C-406/22, la quale ha affermato che l’art. 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione.
Secondo il Tribunale di Roma, la sentenza della Corte di giustizia “chiarisce che il principio così enunciato deve trovare applicazione anche nel caso in cui risultino escluse determinate categorie di persone”.
Questa conclusione, secondo il Tribunale, si ricaverebbe sotto tre concorrenti profili.
In primo luogo, perché, al punto 68 della sentenza della Corte del Lussemburgo, si afferma che, secondo l’allegato alla direttiva 2013/32, “la designazione di un paese come paese di origine sicuro dipende … dalla possibilità di dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite all’art. 9 della direttiva 2011/95, né tortura o pene o altre forme di pena o trattamento umano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
In secondo luogo, per il fatto che la sentenza della Corte di giustizia sottolinea che “interpretare l’articolo 37 della direttiva nel senso che esso consente ai paesi terzi di essere designati come paesi di origine sicuri, ad eccezione di talune parti del loro territorio, avrebbe l’effetto di estendere l’ambito di applicazione di tale particolare regime di esame. Poiché una siffatta interpretazione non trova alcun sostegno nel tenore letterale di tale articolo 37 o, più in generale, in tale direttiva, il riconoscimento di una siffatta facoltà violerebbe l’interpretazione restrittiva cui debbono essere subordinate le disposizioni derogatorie”.
Il terzo aspetto di rilevanza, secondo il Tribunale di Roma (che richiama i punti 74, 75 e 76 della sentenza), è che la precedente direttiva consentiva l'esclusione di parti di territorio (e di categorie di persone), ma questa possibilità è stata abrogata dalla direttiva attualmente in vigore e l’espressa intenzione in tal senso è confermata dalla spiegazione dettagliata della proposta elaborata dalla Commissione.
La mancanza del presupposto di applicazione della procedura accelerata in frontiera di cui all’art. 28-bis, comma 2, lettera b-bis), del
d.lgs. n. 25 del 2008, è stata, dunque, tratta, “alla luce dell'interpretazione vincolante del diritto dell’Unione fornita dalla citata sentenza”.
Così, nel caso concreto, dopo aver constatato che la scheda-paese del Ministero degli affari esteri fa riferimento, in relazione all’Egitto (paese di provenienza del richiedente asilo condotto in Albania), a eccezioni relative a categorie di persone, il Tribunale di Roma ha ritenuto non applicabile il decreto ministeriale del 7 maggio 2024 nella parte in cui designa quel paese terzo come sicuro.
2. – La pronuncia del Tribunale capitolino è censurata dalle Amministrazioni statali ricorrenti sulla base di due motivi.
3. – Con il primo motivo, la difesa erariale denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 4 della legge n. 14 del 2024, degli artt. 2bis e 28-bis del d.lgs. n. 25 del 2008 e degli artt. 31, paragrafo 8, 37 e 43 della direttiva 2013/32/UE, nonché della sentenza 4 ottobre 2024, nella causa C-406/22, della Corte di giustizia.
Ad avviso dei ricorrenti, l’ordinanza di non-convalida sarebbe viziata per aver disapplicato il decreto ministeriale del 7 maggio 2024, adottato ai sensi dell’art. 2-bis del d. lgs. n. 25 del 2008, con riferimento al paese di provenienza dell’intimato, sulla base di una valutazione delle norme eurounitarie che, in realtà, altererebbe il significato della sentenza della Corte di giustizia.
Osservano i ricorrenti che la Corte di giustizia si è pronunciata sulla questione pregiudiziale relativa alla designazione come sicuro di un paese con talune eccezioni territoriali.
La Corte del Lussemburgo ha affermato che la facoltà degli Stati di introdurre eccezioni territoriali rispetto ai decreti di designazione dei paesi di origine sicuri non sarebbe più consentita con l’entrata in vigore della direttiva 2013/32.
Nella sentenza del 4 ottobre 2024 non vi sarebbe, invece, alcun riferimento alla esclusione della possibilità degli Stati di precisare, nelle schede allegate ai decreti di designazione dei paesi di origine sicuri, informazioni aggiuntive relative ad alcune categorie di soggetti, rispetto alle quali sussistano criticità nel rispetto dei diritti.
I ricorrenti, dopo aver premesso che il paese di provenienza del richiedente è designato dal decreto ministeriale come sicuro su tutto il territorio nazionale, senza eccezioni relative a parti di esso, sostengono che l’evidenziazione di criticità nel rispetto dei diritti di una categoria di soggetti costituirebbe un’indicazione informativa che consentirebbe al soggetto interessato di invocare, caso per caso, gravi motivi suscettibili di far ritenere quel paese non sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95/UE.
In altri termini, in caso di appartenenza del richiedente alla categoria di soggetti “a rischio”, tali gravi motivi sarebbero, dallo stesso, invocabili, e la scheda allegata al decreto interministeriale costituirebbe un supporto informativo che le autorità o, in sede di convalida, il giudice potrebbero tenere in considerazione ai fini della valutazione in concreto del singolo caso.
Non essendo stato accertato dal Tribunale che il richiedente abbia invocato tali gravi motivi, né che questi appartenga, in concreto, e sulla base di elementi probatori convincenti, alla categoria di soggetti a rischio, il decreto di trattenimento, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto essere convalidato, dal momento che (i) il richiedente proviene da un paese di origine sicuro che è tale in tutto il suo territorio e (ii) non sussistono i gravi motivi per ritenere che quel paese non sia sicuro nelle circostanze soggettive specifiche in cui si trova il richiedente.
Conclusivamente, l’Avvocatura generale dello Stato sostiene che il decreto impugnato, di non-convalida del trattenimento, dovrebbe essere cassato perché avrebbe invece affermato il principio di diritto secondo cui non può essere disposto il trattenimento se il richiedente la protezione internazionale provenga da un paese designato dal decreto interministeriale come di origine sicuro, quando detto paese sia tale in tutto il suo territorio nazionale, ma emergano criticità nel rispetto dei diritti di una specifica categoria di soggetti, alla quale il richiedente non abbia allegato né provato di appartenere.
4. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano carenza assoluta di motivazione o motivazione apparente, con violazione dell’art. 132, numero 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, numero 4, cod. proc. civ.
Il diniego di convalida sarebbe affetto da carenza assoluta di motivazione o da motivazione apparente sulla questione decisiva inerente alla ritenuta insicurezza del paese di origine del richiedente.
Nella motivazione del provvedimento adottato dal Tribunale mancherebbe una reale valutazione del caso di specie.
Il Tribunale si sarebbe limitato a svolgere una serie di considerazioni astratte in diritto, senza confrontarsi con la fattispecie concreta e, in particolare, con la verifica della appartenenza o meno del richiedente alla categoria di soggetti che risulterebbe a rischio nel paese di provenienza.
Il Tribunale, pur prendendo atto della circostanza che il paese di provenienza del migrante è qualificato come sicuro (con l’eccezione individuata per una specifica e puntuale categoria di soggetti), avrebbe finito con il ribaltare la valutazione del medesimo decreto ministeriale senza alcuna motivazione coerente con la peculiare situazione del richiedente.
5. – Il controricorrente signor S. ha eccepito l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso per carenza di interesse alla decisione.
Il controricorrente sostiene che non sarebbe più configurabile l’interesse alla decisione sulla mancata convalida del trattenimento nel centro in Albania e nell’ambito di una procedura di frontiera per un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo, perché lo S. ha impugnato la sopravvenuta decisione della Commissione di manifesta infondatezza della sua domanda di protezione internazionale e tale decisione è stata sospesa dal Tribunale.
In secondo luogo, perché il 23 ottobre 2024 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, e trasmesso alle Camere per la conversione in legge, il decreto-legge n. 158 del 2024, recante disposizioni urgenti in materia di procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, con il quale il Governo ha abrogato la disciplina precedente e ridefinito, con atto avente forza di legge, l’elenco dei paesi di origine sicuri, prima affidato ad un decreto ministeriale. Tra tali paesi figura l’Egitto, Stato di provenienza del richiedente asilo.
Ad avviso del controricorrente, dalla eventuale cassazione della decisione le Amministrazioni ricorrenti non potrebbero ricavare alcuna conseguenza sostanziale. L’interesse all’impugnazione – si sostiene – deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta che la parte può ricavare dall’eventuale accoglimento del gravame. Esso non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, priva di riflessi sulla decisione adottata.
Tra l’altro, l’entrata in vigore del decreto-legge, secondo il controricorrente, escluderebbe la possibilità di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, perché la pronuncia interverrebbe su una normativa che, in quanto abrogata, non sarebbe più applicabile, neanche nel prossimo futuro.
6. – Ad avviso del Collegio, anche alla luce di quanto già statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’ordinanza interlocutoria 8 febbraio 2024, n. 3562 (in fattispecie di impugnazione di decisione di non-convalida del trattenimento di cittadino straniero), non vi sono, prima facie, ragioni per accogliere l’eccezione di inammissibilità o di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
La misura del trattenimento dello straniero attiene alla sfera della libertà personale, sicché i relativi provvedimenti, non solo debbono avere una base legale, ma sono sottoposti anche a un controllo giurisdizionale, tenuto conto dell’importanza del diritto alla libertà personale e della restrizione che il trattenimento è suscettibile di determinare rispetto a tale diritto.
La cornice normativa di riferimento ha il suo saldo presidio nell’art. 13 della Costituzione, il quale tutela la libertà personale a beneficio di chiunque, a prescindere dalla nazionalità. Come ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 105 del 2001, per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Più di recente, nella medesima direzione, la sentenza della Corte costituzionale n. 212 del 2023 ha affermato che lo straniero trattenuto che abbia ormai riacquistato la libertà (ad esempio, perché rimpatriato) mantiene interesse alla decisione del giudizio che ha ad oggetto il provvedimento di trattenimento; e ciò sia per il diritto al risarcimento derivante dall’illegittima privazione della libertà personale, sia al fine di eliminare ogni impedimento illegittimo al riconoscimento della sussistenza delle condizioni di rientro e soggiorno nel territorio italiano.
Sulla base di quanto prevede il combinato disposto degli artt. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 e 6 del d.lgs. n. 142 del 2015, il questore che dispone il trattenimento dello straniero trasmette al tribunale per la convalida senza ritardo, e comunque entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento, copia degli atti, e il provvedimento sulla convalida, che deve intervenire nelle successive quarantotto ore, è suscettibile di ricorso per cassazione per violazione di legge ai sensi dell’art. 111, settimo comma, Cost.
In tal modo, il cittadino del paese terzo è sempre tutelato da un trattenimento arbitrario, essendo garantito il controllo giurisdizionale della decisione di trattenimento, o di mantenimento di detto stato, al fine di verificare la legittimità della decisione adottata.
Poiché, per principio generale, il giudizio di convalida consiste nella verifica giurisdizionale di legittimità del trattenimento disposto dal questore, deve ritenersi configurabile l’interesse del Ministero dell’interno a ricorrere avverso il provvedimento di mancata convalida, ove si consideri che il trattenimento illegittimo consente di domandare il risarcimento del danno per la materiale privazione della libertà personale sofferta nel periodo in cui il provvedimento ha avuto esecuzione.
6.1 – A una diversa conclusione, nel senso della inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, non sembrerebbe potersi approdare in ragione dello ius superveniens, ossia per il fatto che, successivamente alla emanazione della pronuncia oggetto dell’odierna impugnazione da parte del Ministero, il Governo italiano ha adottato, in via d’urgenza, il decreto-legge n. 158 del 2024, con l’intento, non solo, di designare (come risulta dalle premesse) un nuovo elenco alla luce della sentenza della Corte di giustizia, ed escludendo pertanto i paesi che non soddisfano le condizioni per determinate parti del loro territorio (Camerun, Colombia e Nigeria), ma anche di codificare in una fonte di rango primario l’elenco dei paesi sicuri. Neppure rilevano le seguenti circostanze: (i) che il decretolegge n. 158 del 2024 sia stato abrogato dall’art. 1, comma 2, della legge n. 187 del 2024, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge n. 145 del 2024, recante disposizioni urgenti in materia di ingresso in Italia di lavoratori stranieri, di tutela e assistenza alle vittime di caporalato, di gestione dei flussi migratori e di protezione internazionale, nonché dei relativi procedimenti giurisdizionali; (ii) che la legge di conversione, con la medesima disposizione, abbia mantenuto validi gli atti e i provvedimenti adottati e fatto salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge n. 158 del 2024; (iii) e che la citata legge n. 187 del 2024, sostituendo il comma 1 dell’art. 2-bis del d.lgs. n. 25 del 2008 e inserendo, nello stesso articolo, il comma 4-bis, abbia introdotto disposizioni di tenore identico a quelle recate dall’abrogato decretolegge n. 158 del 2024.
La disciplina sopravvenuta – è indubitabile – ha elevato il rango della fonte di designazione del paese di origine come sicuro. Mentre, infatti, inizialmente, l’art. 2-bis del decreto-legge n. 25 del 2008 (rimasto in vigore dal 4 dicembre 2008 al 23 ottobre 2024) affidava ad un decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i Ministri dell’interno e della giustizia, l’adozione dell’elenco dei paesi di origine sicuri; oggi, invece, per effetto della legge n. 187 del 2024, la qualificazione come sicuri dei paesi di origine è materia di legge. La designazione, in altri termini, è operata direttamente dalla legge. Allo stesso modo, l’elenco dei paesi di origine sicuri è aggiornato periodicamente con atto avente forza di legge ed è notificato alla Commissione europea. Ai fini dell’aggiornamento dell’elenco, è previsto che il Consiglio dei ministri, entro il 15 gennaio di ciascun anno, delibera una relazione nella quale, compatibilmente con le preminenti esigenze di sicurezza e di continuità delle relazioni internazionali e tenuto conto delle pertinenti informazioni, riferisce sulla situazione dei paesi inclusi nell’elenco vigente e di quelli dei quali intende promuovere l’inclusione. Il Governo – prosegue la disposizione di legge – trasmette la relazione alle competenti commissioni parlamentari.
Per quanto interessa in questa sede, tuttavia, occorre rilevare che nessuna norma del decreto-legge e della legge di conversione, sopravvenuta al decreto di non-convalida del trattenimento, neppure quella che ha elevato a norma primaria la lista dei paesi sicuri, è suscettibile di essere applicata retroattivamente.
Pertanto, la legittimità del provvedimento con cui il Questore ha disposto il trattenimento deve essere vagliata in base al quadro normativo vigente a tale data.
7. – Premessa l’ammissibilità del ricorso, il Collegio ritiene che vi siano ragioni per disporre il rinvio a nuovo ruolo del ricorso.
8. - Il primo aspetto che fa propendere verso una tale decisione interlocutoria è che la Corte di cassazione, giudice nazionale di ultima istanza, è investita di un ruolo di orientamento della giurisprudenza ed è chiamata ad assicurare l’uniforme, coerente e stabile interpretazione del diritto e, in questo modo, a garantire l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Nella specie, la questione all’esame della Corte coinvolge un istituto importante del diritto dell’Unione europea e dello Stato italiano, con copertura anche costituzionale, e la soluzione ermeneutica non è priva di ricadute sulle prassi operative di altre istituzioni della Repubblica.
L’altro profilo da tenere in debito conto è che numerosi giudici di merito italiani si sono rivolti alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, mettendo in dubbio la possibilità di qualificare un paese di origine come sicuro là dove siano presenti esenzioni per categorie soggettive. Rinvii pregiudiziali sono stati sollevati dal Tribunale di Firenze con decreti del 4 giugno 2024 (si tratta delle cause C-388/24, Oguta, e C-389/24, Daloa). Con i suoi quesiti, identici in entrambe le cause, quel giudice rimettente ha chiesto alla Corte di giustizia se il diritto dell’Unione permetta allo Stato membro di designare uno Stato terzo come paese d’origine sicuro prevedendo esclusioni personali per alcune categorie a rischio. Con decreto depositato il 29 ottobre 2024, il Tribunale di Bologna, a sua volta, ha introdotto il rinvio nella causa C-750/24, Ortera, sollevando quesiti in parte analoghi a quelli del Tribunale di Firenze. Con due decreti depositati, rispettivamente, il 4 e il 5 novembre 2024, il Tribunale di Roma ha introdotto due rinvii nelle cause C-758/24, Alace, e C-759/24, Canpelli, sottoponendo alla Corte, oltre a un quesito simile a quelli posti dai Tribunali di Firenze e di Bologna in merito all’eccezione personale, altri tre quesiti chiedendo, in sostanza, (i) se uno Stato membro è competente ad operare una designazione di uno Stato terzo come paese d’origine sicuro per via di legislazione ordinaria; (ii) se tale Stato membro deve rendere disponibili gli elementi di fatto sulla cui base ha proceduto a tale designazione al fine di consentire al richiedente asilo di contestarla e al giudice di esercitare il suo sindacato giurisdizionale, e (iii) se il giudice può, d’ufficio, utilizzare informazioni su tale paese al fine di accertare la sussistenza delle condizioni sostanziali della designazione come paese d’origine sicuro. Disponendo il rinvio pregiudiziale, il Tribunale di Roma, in particolare, per quanto è di interesse in questa sede, ha sollevato il seguente quesito: se il diritto dell’Unione, ed in particolare gli artt. 36, 37, e 38 della direttiva 2013/32, nonché il suo allegato I, letti anche in combinazione con i suoi considerando 42, 46 e 48, ed interpretati alla luce dell’articolo 47 della Carta (e degli artt. 6 e 13 della CEDU), osti a che un paese terzo sia definito di origine sicuro qualora vi siano, in tale paese, categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della direttiva. Ancora, con decreti depositati il 6 novembre 2024, il Tribunale di Palermo ha introdotto due rinvii nelle cause C-763/24, Mibone, e C-764/24, Capurteli, interrogando la Corte sulla possibilità di prevedere le eccezioni personali. Il 13 novembre 2024, il Tribunale di Roma ha depositato altri 7 rinvii.
Va considerato, inoltre, che un rinvio pregiudiziale è stato sollevato anche da giudici di altri Stati membri dell’Unione. Il Tribunale amministrativo regionale di Berlino, con ordinanza del 29 novembre 2024, ha posto numerosi quesiti. In primo luogo, ha domandato se si debba interpretare l’allegato I della direttiva 2013/32 nel senso che, per determinare se uno Stato sia un paese di origine sicuro, è necessario che esista sicurezza a livello nazionale per tutti i gruppi di popolazione o categorie di persone. Il giudice tedesco ha chiesto anche cosa si intenda per un “gruppo” o una “categoria di persone” e se le autorità nazionali competenti dello Stato membro, per determinare se uno Stato sia un paese di origine sicuro, dispongano di un margine di apprezzamento e valutazione che è soggetto solo a un controllo giurisdizionale limitato.
Terza considerazione è il fattore tempo. Sulla questione di rinvio pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Roma nelle cause riunite C758/24 e C-759/24, Alace e altro, l’udienza pubblica dinanzi alla Seconda Sezione della Corte di giustizia, in esito a un procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura, si terrà a breve, il prossimo 25 febbraio 2025.
9. – La pendenza di tali rinvii pregiudiziali e la prossima decisione da parte della Corte di giustizia suggeriscono di differire la discussione del presente ricorso a una nuova udienza.
La pronuncia della Corte di giustizia, infatti, è destinata ad avere effetti sulla decisione che questa Corte è chiamata ad emettere e a orientarne i principi ispiratori.
Prima di decidere il ricorso e di enunciare, con una sentenza rivolta anche alle future applicazioni, principi che sono inevitabilmente destinati a risentire dell’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione da parte della Corte di giustizia, questo Collegio ritiene opportuno rinviare la decisione del ricorso ad altra udienza.
L’attesa non è abdicazione del giudice di legittimità al ruolo nomofilattico né al compito di decidere in tempi ragionevoli il ricorso.
La Corte di cassazione italiana, recependo le conclusioni del Pubblico Ministero, rinvia la decisione della causa in vista della elaborazione di un prodotto della propria giurisprudenza più maturo ed affidabile. Anche l’Ufficio del Procuratore generale della Corte di cassazione, nella memoria redatta nella prossimità della pubblica udienza e nella discussione nell’udienza pubblica, ha evidenziato ragioni di cautela in considerazione della rilevanza giuridica della questione e della circostanza che il giudice di ultima istanza, nella pendenza di giudizi di rinvio pregiudiziale, ha l’onere, in uno spirito di leale cooperazione, di attendere il pronunciamento della Corte di giustizia, anche per evitare una sovrapposizione di decisioni potenzialmente contrastanti tra loro.
10. – La competenza esclusiva della Corte di giustizia nel fornire l’interpretazione definitiva del diritto dell’Unione da applicare in modo uniforme in tutti gli Stati membri è un aspetto fondamentale del patrimonio costituzionale europeo. Tale competenza esclusiva assicura l’eguaglianza davanti al diritto dell’Unione europea. Il procedimento di rinvio pregiudiziale attivato dai giudici di merito italiani concorre ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto, nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell’ordinamento istituito dai trattati.
11. – Il Collegio della Prima Sezione civile della Corte di cassazione ritiene di poter contribuire al dialogo con la Corte di giustizia indicando, attraverso un’ordinanza di rinvio a nuovo ruolo non avente natura decisoria, alcune considerazioni circa la possibile interpretazione della disciplina ricavabile dal quadro normativo di riferimento, idonea a superare i dubbi di compatibilità comunitaria della disciplina nazionale di recepimento e di attuazione della direttiva. Ciò nella ferma convinzione che alla cooperazione e alla sinergia tra i giudici è affidato il controllo giurisdizionale sull’osservanza del diritto dell’Unione, che non è un diritto straniero ma è the law of the land in ciascuno Stato membro; e nella consapevolezza che, fra le possibili interpretazioni della norma nazionale, è preferibile optare, fin dove è possibile, per quella più conforme al diritto dell’Unione, ricercando l’armonia, la convergenza e la coerenza attraverso la via di minore attrito fra gli ordinamenti piuttosto che enfatizzare i profili di criticità e di frizione.
La Corte di giustizia (Grande Sezione), con la sentenza 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi s.p.a. c. Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. nella causa C-561/19, dopo aver ricordato che il rinvio pregiudiziale costituisce la chiave di volta del sistema giurisdizionale istituito dai trattati, ha ribadito e sviluppato i criteri – già espressi nella sentenza Cilfit – al ricorrere dei quali viene meno l’obbligo dei giudici di ultima istanza di rivolgersi alla Corte in presenza di questioni di interpretazione del diritto eurounitario. Si tratta, oltre dei casi di irrilevanza della questione, dell’acte éclairé, ovverosia quando la questione sia materialmente identica ad altra già decisa o vi sia una giurisprudenza consolidata della Corte sul punto, e dell’acte clair, quando l’interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con evidenza tale da non dare adito a ragionevoli dubbi. In ogni caso, la Corte ha precisato che, qualora ritenga di essere esonerato dall’obbligo di sottoporre alla Corte un rinvio pregiudiziale, il giudice di ultima istanza debba motivare la propria decisione specificando quale ipotesi reputi sussistere. La Corte ha poi evidenziato che l’iniziativa delle parti nel giudizio di ultima istanza non può privare il giudice della propria indipendenza nel vagliare se ricorra una delle ipotesi di cui alla sentenza Cilfit, obbligandolo così a presentare un rinvio pregiudiziale.
Il sistema – si potrebbe dire mutuando le espressioni contenute in una recente decisione della Corte costituzionale italiana (sentenza n. 181 del 2024) – è improntato a una pluralità di rimedi: una pluralità destinata ad arricchire gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali, in un contesto che vede anche il giudice comune impegnato a dare attuazione al diritto dell’Unione europea nell’ordinamento italiano, con i propri strumenti e nell’ambito della propria competenza.
12. – Il primo profilo che sembra venire in rilievo è se le argomentazioni che hanno condotto la Corte di giustizia ad escludere la compatibilità delle esclusioni territoriali con il diritto dell’Unione impongano la medesima conclusione anche per le esclusioni soggettive.
A tale interrogativo il Tribunale a quo ha dato risposta affermativa.
In sintesi, in questa direzione deporrebbero, secondo il Tribunale, i richiami, nella sentenza europea, alla genesi della disposizione. L’introduzione di eccezioni soggettive sarebbe incompatibile con la previsione dell’allegato I della direttiva, secondo cui la qualificazione di paese terzo come sicuro presuppone che in esso non ci siano generalmente e costantemente situazioni tali da fondare il riconoscimento della protezione internazionale. Militerebbe nel medesimo ordine di idee il rilievo secondo cui, nel silenzio del legislatore unionale, è necessario interpretare restrittivamente l’ambito di applicazione di un regime procedurale, avente carattere derogatorio.
13. – Il Collegio della Corte di cassazione esprime l’avviso che la sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024 si riferisca esclusivamente all’incompatibilità della previsione di paesi sicuri con eccezioni di parti del territorio.
La sentenza della Corte di giustizia non pare che abbia dettato un principio di incompatibilità della nozione di paese sicuro con la presenza di eccezioni personali.
La Grande Sezione della Corte di giustizia si è pronunciata solo rispetto alle esclusioni territoriali, che si hanno quando una regione o una porzione del territorio del paese di origine è fuori dal controllo dello Stato stesso. La Corte ha chiarito che l’esistenza di aree interne di conflitto e violenza indiscriminata è incompatibile con la designazione di un paese terzo come sicuro.
Infatti, nel caso che ha dato origine a quella pronuncia, sollevata da un giudice della Repubblica ceca, un cittadino moldavo, CV, aveva presentato una domanda di protezione internazionale nella Repubblica ceca. A sostegno della sua domanda, CV aveva menzionato le minacce di cui era oggetto in Moldova da parte di persone che lo avevano aggredito in passato e che le autorità di polizia non sarebbero riuscite a identificare. Egli ha altresì dichiarato di non voler rientrare nella sua regione di origine a causa della invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Le autorità ceche hanno respinto tale richiesta tenendo conto, in particolare, del fatto che la Moldova, ad eccezione della Transnistria, era stata designata paese di origine sicuro.
Investita del ricorso contro il rigetto della sua domanda, la Corte regionale di Brno ha sottoposto alla Corte di giustizia diverse questioni concernenti l’interpretazione della direttiva recanti procedure comuni in materia di protezione internazionale.
Con la sentenza del 4 ottobre 2024, la Corte di giustizia ha rilevato, anzitutto, che un paese terzo non cessa di soddisfare i criteri che gli consentono di essere designato paese di origine sicuro per il solo fatto che si avvale del diritto di derogare agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Infatti, la dichiarazione di ricorso a tale deroga non consente, di per sé, di concludere né che siano stati effettivamente adottati provvedimenti in deroga né quali siano la loro natura e la loro portata. Tuttavia, il fatto di invocare il diritto di deroga deve indurre le autorità competenti degli Stati membri a valutare se le condizioni della sua attuazione siano tali da mettere in discussione tale designazione. La Corte di giustizia ha considerato, poi, che il diritto dell’Unione non consente attualmente agli Stati membri di designare come paese di origine sicuro solo una parte del territorio del paese terzo interessato. I criteri che consentono di designare un paese terzo come paese di origine sicuro devono, infatti, essere rispettati in tutto il suo territorio. Infine, la Corte del Lussemburgo ha rilevato che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso il rigetto della domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente proveniente da un paese terzo designato come paese di origine sicuro, deve rilevare una violazione delle norme del diritto dell’Unione relative a tale designazione. Pertanto, nell’ambito dell’esame del ricorso proposto dinanzi ad essa, la Corte regionale di Brno deve prendere in considerazione la deroga da parte della Moldova ai suoi obblighi previsti dalla CEDU, nonché la violazione, da parte della Repubblica ceca, della condizione secondo cui la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro deve estendersi a tutto il suo territorio.
La pronuncia della Corte di giustizia si occupa, esclusivamente, delle eccezioni “territoriali”, chiarendo che l’esistenza di aree interne di conflitto e violenza indiscriminata è incompatibile con la designazione di un paese terzo come sicuro.
Le eccezioni per categorie di persone non hanno formato specifico oggetto della decisione della CGUE del 4 ottobre 2024 e non sono state esaminate dalla Corte quanto alla loro incidenza.
14. – Dalla sentenza della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024 non sembrerebbe trarsi, come implicito corollario, l’esclusione della compatibilità con la nozione di paese sicuro, altresì, delle eccezioni personali, là dove, cioè, l’insicurezza riguardi le categorie di persone.
Non parrebbe esservi spazio, in altri termini, per alcun automatismo di ricaduta, nel senso che l’indicazione, nella scheda-paese, di una categoria di persone insicura sarebbe destinata a travolgere la complessiva designazione di sicurezza dell’intero paese.
La Corte di giustizia ha affermato che, con l’entrata in vigore della direttiva 2013/32, per gli Stati membri non è possibile introdurre eccezioni territoriali ai decreti di designazione dei Paesi di origine sicura. L’art. 37 della direttiva 2013/32 “deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo possa essere designato come paese di origine sicuro allorché talune parti del suo territorio non soddisfano le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I di detta direttiva”.
15. – Preme rilevare, a questo punto, che la direttiva 2013/32 prevede, all’art. 38, che gli Stati membri possono applicare il concetto di paese terzo sicuro solo se le autorità competenti hanno accertato che nel paese terzo in questione una persona richiedente protezione internazionale riceverà un trattamento conforme ai seguenti criteri:
a) non sussistono minacce alla sua vita ed alla sua libertà per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza a un determinato gruppo sociale; b) non sussiste il rischio di danno grave definito nella direttiva 2011/95/UE; c) è rispettato il principio di nonrefoulement conformemente alla convenzione di Ginevra; d) è osservato il divieto di allontanamento in violazione del diritto a non subire torture né trattamenti crudeli, disumani o degradanti, sancito dal diritto internazionale; e) ed esiste la possibilità di chiedere lo status di rifugiato e, per chi è riconosciuto come rifugiato, ottenere protezione in conformità della convenzione di Ginevra.
Secondo l’allegato I della direttiva 2013/32, un paese di origine può essere considerato sicuro “se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano e degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
Per effettuare tale valutazione – prosegue l’allegato I – “si tiene conto, tra l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: a) le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui sono applicate; b) il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea; c) il rispetto del principio di non-refoulement conformemente alla Convenzione di Ginevra; d) un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni di tali diritti e libertà”.
Gli artt. 36 e 37 della direttiva 2013/32, riguardanti, rispettivamente, il concetto di paese di origine sicuro e la designazione nazionale, da parte degli Stati membri, di paesi terzi come paesi di origine sicuri, istituiscono un regime particolare di esame al quale gli Stati possono sottoporre le domande di protezione internazionale, regime che si basa su una forma di presunzione relativa di protezione sufficiente nel paese di origine, la quale può essere confutata dal richiedente se adduce gravi motivi attinenti alla sua situazione particolare.
Occorre rilevare, altresì, che il legislatore prevede, per le richieste presentate da persone provenienti da paesi designati sicuri, una procedura semplificata e più veloce che si fonda su una presunzione di infondatezza della richiesta, in quanto, appunto, il paese di provenienza risulta privo di criticità in merito al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici: una procedura concepita per tracciare in via preliminare una distinzione tra richiedenti meritevoli e non, così da indirizzare i secondi verso una procedura più rapida.
L’inserimento di un paese nella lista di quelli designati come sicuri non è privo di conseguenze in relazione sia al procedimento amministrativo avente ad oggetto la richiesta di protezione internazionale, sia al processo che si svolge innanzi al giudice ordinario con l’impugnativa del provvedimento di diniego.
Quanto alla fase amministrativa, è previsto, in particolare, che, quando la domanda venga presentata da un richiedente proveniente da un paese di origine designato sicuro, il provvedimento relativo alla richiesta di protezione internazionale possa essere adottato all’esito di una procedura accelerata. Sotto la rubrica “Procedure accelerate”, l’art. 28-bis del d.lgs. n. 25 del 2008 prevede, infatti, al comma 2, che, quando il richiedente proviene da un paese sicuro, ai sensi dell’art. 2-bis, “la Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione e decide entro i successivi due giorni”. L’art. 7-bis del decreto-legge n. 20 del 2023, come introdotto dalla legge di conversione n. 50 del 2023 (in vigore dal 6 maggio 2023), amplia le ipotesi di procedure accelerate di esame delle domande di protezione internazionale, prevedendo una fattispecie di procedura “super accelerata”, nella quale il provvedimento conclusivo deve essere adottato entro sette giorni complessivi dalla presentazione della domanda, per le domande di protezione internazionale presentate direttamente alla frontiera, o nelle zone di transito, da cittadino straniero proveniente da un paese di origine designato come “sicuro”. In tali casi, inoltre, è previsto che la procedura accelerata potrà essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito. E’, infine, previsto, dal combinato disposto degli artt. 6-bis del d.lgs. n. 142 del 2015 e 28-bis, comma 2, lettera b-bis), del d.lgs. n. 25 del 2008, che il richiedente proveniente da un paese designato di origine sicuro, che non abbia consegnato il “passaporto o altro documento equipollente” o che non abbia prestato “idonea garanzia finanziaria”, possa essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura accelerata di esame della domanda di protezione internazionale presentata alla frontiera, o nelle zone di transito, “al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato”.
16. – Ad avviso di questo Collegio, non sembra possibile applicare la decisione della Corte di giustizia in modo automatico ed estensivo ai paesi designati sicuri con eccezioni di categorie di persone.
Infatti, le eccezioni personali hanno un grado di oggettività dell’accertamento diverso rispetto all’eccezione geografica o territoriale, nella quale una porzione o una regione del paese di origine è fuori dal controllo dello Stato.
Non c’è una perfetta simmetria tra le due ipotesi.
Alla luce della direttiva 2013/32/UE, non pare che possa assolutizzarsi l’inciso “generalmente e costantemente”, di cui all’allegato I. Da tale espressione non si può trarre, cioè, l’implicazione che le condizioni di sicurezza debbano essere rispettate e soddisfatte egualmente per tutti gli individui, tanto più che, nel silenzio della direttiva del 2013, quella previgente ammetteva eccezioni personali nel regime transitorio legato a una clausola di stand still.
La diversa interpretazione – come ha ben osservato l’Ufficio del Pubblico Ministero – postula la elaborazione di una nozione di paese di origine sicuro che, pur certamente auspicabile dal punto di vista ideale, non tollera alcun margine di insicurezza personale.
D’altra parte, pur dovendosi dare rilievo al fatto che la direttiva in vigore, da applicare alla fattispecie in scrutinio, prevede l’effettuazione della designazione del paese sicuro senza contemplare espressamente la possibilità di considerare eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili; tuttavia, non sembrerebbe potersi prescindere, a livello interpretativo, dalla nuova disciplina dettata dal regolamento (UE) 2024/1348 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 maggio 2024, che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE, già entrata in vigore, sia pure ad applicabilità differita al 12 giugno 2026. Secondo il regolamento, infatti, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro, a livello sia dell’Unione che nazionale, può essere effettuata con eccezioni per categorie di persone chiaramente identificabili.
Come ha osservato l’Ufficio del Pubblico Ministero nella memoria, questo dato, a prescindere dalla effettiva applicabilità della normativa, sembrerebbe deporre “per una interpretazione bilanciata e ragionevole delle norme: per una interpretazione che non sia così assolutizzata e restrittiva tanto da porsi in contrapposizione frontale con la normativa già approvata in ambito europeo e destinata a divenire la regola di diritto per il futuro”.
Dunque, potrebbe ritenersi ragionevole – oltre che maggiormente conforme alla lettera dell’allegato I – che la designazione del paese sicuro risponda a un criterio di prevalenza, non di assolutezza delle condizioni di sicurezza, a condizione, tuttavia, che la presenza di eccezioni soggettive tanto estese nel numero, accompagnata da persecuzioni e menomazioni generalizzate ed endemiche, non incida, complessivamente, sulla tenuta dello Stato di diritto.
Per sua stessa natura, la valutazione alla base della designazione può tener conto soltanto della situazione civile, giuridica e politica generale nel paese e del fatto che, se riconosciuti colpevoli, i responsabili di persecuzioni, torture o altre forme di punizione o trattamento inumano o degradante siano effettivamente soggetti a sanzioni.
Questa interpretazione sembrerebbe maggiormente in linea con la finalità delle norme sulla procedura di frontiera, il cui obiettivo è evitare l’ingresso nello spazio Schengen al richiedente asilo che abbia scarse possibilità, secondo un criterio statistico, di ottenere protezione. Pertanto, pur nel silenzio della direttiva, appare possibile designare un paese terzo come paese di origine sicuro con eccezioni soggettive, nel rispetto complessivo, tuttavia, della Convenzione EDU e della Convenzione di Ginevra.
È quanto, del resto, sembrerebbe potersi ricavare dal considerando (42) della direttiva 2013/32, nel quale si esplicita che l’inclusione di un paese terzo in un elenco di paesi di origine sicuri non può stabilire una garanzia assoluta di sicurezza per i cittadini di tale paese.
Una interpretazione per sineddoche, che dalla insicurezza di alcuni giunga automaticamente alla insicurezza dell’intero paese terzo, sembrerebbe smentita dal considerando della direttiva ratione temporis applicabile.
In questa direzione sembra orientare anche il confronto con la giurisprudenza della Corte Suprema del Regno Unito, alle prese con l’interpretazione della sezione 94 del Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, nella quale compare la formula “there is in general in that State … no serious risk of persecution of persons entitled to reside in that country”. Nella pronuncia 4 marzo 2015, nel caso R versus Secretary of State for the Home Department, Lord Toulson (con Lady Hale, Lord Sumption e Lord Carnwath) scrive (al paragrafo 21): “I read the words in general as intended to differentiate a state of affairs where persecution is endemic, id est it occurs in the ordinary course of things, from one where there may be isolated incidents of persecution”.
17. – Si tratta, allora, di verificare se la disciplina normativa contenuta nel d.lgs. n. 25 del 2008, là dove, all’art. 2-bis, consenta di designare un paese di origine sicuro con l’eccezione di categorie di persone, sacrifichi o meno i diritti dello straniero che, nel disegno personalista che lega la dignità alla solidarietà e all’accoglienza, la Costituzione protegge come fondamentali, sia direttamente, sia tramite le Carte internazionali alle quali gli artt. 10, 11 e 117 rinviano.
La condizione giuridica dello straniero, a prescindere dalla esistenza di un titolo che ne legittimi la permanenza sul territorio, vive in una serie di principi, i quali danno veste giuridica ai valori sui cui si fondò il Patto costituente.
Della effettività di tali diritti garante è il giudice ordinario, nel singolo caso concreto al suo esame e nel quadro della soggezione soltanto alla legge.
17.1 – Potrebbe evidenziarsi un primo limite, costituito dal diritto alla libertà personale, che spetta anche allo straniero che si trova al confine del territorio della Repubblica italiana.
Qui viene subito in rilievo il fascio di garanzie previste dall’art. 13 della Costituzione. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 212 del 2023), infatti, la misura del trattenimento dello straniero presso centri di permanenza e assistenza comporta una situazione di assoggettamento fisico all’altrui potere, che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale.
La designazione “tabellare” del paese terzo come sicuro, fondata sulla possibilità di dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’art. 9 della direttiva 2011/95/UE e funzionale alla gestione del fenomeno migratorio in una prospettiva su larga scala, potrebbe cedere il passo, a ben vedere, di fronte alla posizione peculiare del richiedente la protezione.
Criterio fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di protezione internazionale è la sicurezza del richiedente nel paese di origine. La designazione del paese terzo come sicuro lascia presumere la sicurezza anche per quello specifico richiedente, a meno che quest’ultimo non abbia indicato elementi che giustifichino il motivo per cui il concetto di paese sicuro non è applicabile nei suoi confronti, nel quadro di una valutazione individuale.
Quando un richiedente prospetta, pur mantenendosi nell’ambito dell’onere di prova attenuato (tanto più nell’ambito di una procedura sommaria e dalle scansioni temporali serrate, quale la convalida), validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione del paese come sicuro non sembrerebbe potersi applicare al suo caso.
In tale evenienza, il giudice non procede alla disapplicazione, in parte qua, del decreto ministeriale, che nel sistema costituisce una extrema ratio; considera, piuttosto, venuta meno la presunzione relativa di sicurezza che a quella designazione normalmente si ricollega.
Tale soluzione si ricava sia dalla direttiva europea, sia dalla legislazione nazionale.
Cominciando dalla prima, viene in rilievo l’art. 36 della direttiva 2013/32. Secondo questa disposizione, un paese terzo designato di paese di origine sicuro può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se questi non ha invocato gravi ragioni per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso. Quando un richiedente allega validi motivi per non ritenere sicuro tale paese per la sua situazione particolare, la designazione del paese come sicuro non può più applicarsi al suo caso.
La norma della direttiva è stata recepita dall’art. 2-bis, comma 5, del d.lgs. n. 25 del 2008. In base a quest’ultima disposizione, un paese designato di origine sicuro può essere considerato paese di origine sicuro per il richiedente solo se questi non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova.
Si tratta di una disposizione che, per la sua portata definitoria generale, parrebbe destinata ad assumere, nel contesto complessivo, una valenza di principio. Essa, concorrendo a plasmare e a conformare anche i diritti procedurali del richiedente asilo, sembrerebbe, pertanto, doversi applicare, non solo nella fase di impugnazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale, ma anche, per ciò che attiene nel presente giudizio, in sede di convalida.
Ne consegue che, nei confronti del richiedente che ha invocato gravi motivi per ritenere che il paese non è sicuro per la situazione personale in cui egli si trova, sembrerebbe cadere la presunzione di sicurezza. In una vicenda siffatta, non parrebbe possibile procedere al trattenimento dello straniero per effetto del ricorso alla procedura di frontiera e, quindi, se il trattenimento venisse invece disposto, dovrebbe negarsene la convalida.
È una prospettiva lungo la quale parrebbero convergere sia la tradizione costituzionale italiana, che guarda alla libertà personale come a un diritto umano inviolabile che può essere provvisoriamente ristretto nei soli casi preveduti dalla legge e con il controllo di garanzia affidato al giudice ordinario; sia la disciplina della direttiva 2013/33 del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, la quale, all’art. 8, contempla tanto la regola per la quale “Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva 2013/32/UE”, quanto la precisazione secondo cui “ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive”.
Come ha affermato recentemente, in altro contesto, la Corte costituzionale (sentenza n. 203 del 2024), “la proporzionalità è requisito di sistema nell’ordinamento costituzionale italiano, in relazione a ogni atto dell’autorità suscettibile di incidere sui diritti fondamentali dell’individuo …, operando sia come requisito di legittimità costituzionale di ogni legge che preveda limitazioni dei diritti fondamentali della persona, sia come requisito di legittimità di ogni misura amministrativa o giudiziaria che, in attuazione della legge, restringa i diritti di una persona nel singolo caso concreto”.
17.2 – Il secondo limite si ricollega al fondamento dei diritti e delle libertà: la dignità della persona umana.
La dignità, che era stata calpestata dal nazifascismo, è un valore che entra nell’art. 3 della Costituzione italiana, dove viene prima dell’eguaglianza. E la dignità è anche nel primo articolo della Costituzione tedesca del 1949, dopo gli orrori dei campi di sterminio. La dignità dell’uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla.
Anche l’Unione europea, nella predisposizione della Carta dei diritti fondamentali, ha rivolto una particolare attenzione alla dignità umana. Già nel Preambolo della Carta, infatti, si afferma che l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà, oltre che sui principi della democrazia e dello Stato di diritto. Inoltre, il Titolo I, è dedicato proprio alla “Dignità” ed il primo articolo della Carta sancisce l’inviolabilità della dignità umana, che deve essere rispettata e tutelata.
Infine, sul rispetto della dignità umana è fondata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla quale, nel definire la nozione di paese di origine sicuro, si richiama più volte la direttiva 2013/32.
In questo contesto valoriale, le eccezioni personali, pur potendo ritenersi di per sé compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non sono ammesse a fronte di persecuzioni costanti, endemiche o generalizzate, perché altrimenti sarebbe messo in crisi il requisito del generalmente, richiesto nell’allegato I della direttiva, e sarebbe pregiudicato il valore fondamentale della dignità.
In altri termini, se neppure di fronte a persecuzioni estese, tanto da essere endemiche, scatta la protezione dello Stato di origine, sarebbe palesemente incongrua la valutazione generale di sicurezza.
La tutela delle minoranze da persecuzioni è, infatti, un profilo essenziale e imprescindibile perché sia configurabile uno Stato di diritto che si possa definire realmente sicuro per tutti. Quella tutela è la cifra che distingue uno Stato democratico da uno Stato che tale non è. La democrazia, infatti, non si esaurisce nel procedimento elettorale. Un paese democratico, basato sulla rule of law, assicura anche, con un adeguato meccanismo di contrappesi, che i diritti fondamentali espressione della dignità della persona umana siano rispettati.
17.3 – Va richiamato, infine, il principio già enunciato da questa Corte nella sentenza 19 dicembre 2024, n. 33398, sulla base di quanto statuito dalla Corte di giustizia (Grande Sezione) nella sentenza in data 4 ottobre 2024 con riguardo al dovere di esame completo ed ex nunc imposto dall’art. 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, letto anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali.
In base a tale principio, espresso ai sensi dell’art. 363-bis cod. proc. civ. in relazione a un giudizio di impugnazione del provvedimento di diniego della protezione internazionale, il giudice ordinario, sebbene non possa sostituirsi all’autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ha, nondimeno, il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo paese di origine tra quelli sicuri, ove esso contrasti in modo manifesto con la normativa europea vigente in materia, anche tenendo conto delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32, aggiornate al momento della decisione.
Questo stesso principio non può non valere – opportunamente declinato e adattato in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento di convalida – là dove il giudice è chiamato a valutare la legittimità del trattenimento.
La valutazione di sicurezza contenuta nel decreto ministeriale, cioè, non impedisce al giudice di prendere in considerazione specifiche situazioni di persecuzione che per il loro carattere esteso e generalizzato siano tali da rendere il Paese obiettivamente insicuro. Qualora le fonti provenienti dalle organizzazioni internazionali competenti, contemplate nell’art. 37 della direttiva 2013/32, rendano manifestamente evidente la presenza di persecuzioni con carattere generalizzato, endemico e costante, il giudice potrà ritenere la designazione co-
me sicuro del paese di origine illegittima perché in evidente contrasto con la normativa europea.
Il giudice, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce, in tal caso, nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura del trattenimento.
Il giudice, infatti, è chiamato a verificare, in ipotesi limite, se la valutazione ministeriale abbia superato i confini esterni della ragionevolezza e sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o se la relativa designazione sia divenuta, ictu oculi, non più rispondente alla situazione reale (come risultante, ad esempio, dalle univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili ed aggiornate sul paese di origine del richiedente).
18. – Nel rinviare la decisione della causa a nuovo ruolo in esito ad una nuova discussione in udienza pubblica, il Collegio prospetta la seguente ipotesi di interpretazione della pertinente disciplina.
Nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge n. 158 del 2024 e alla legge n. 187 del 2024, la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro può essere effettuata, attraverso un decreto ministeriale, con eccezioni di carattere personale.
Tuttavia, la procedura accelerata di frontiera non può applicarsi là dove, anche in sede di convalida del trattenimento, il giudice ravvisi sussistenti i gravi motivi per ritenere che il paese non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova.
In ogni caso, le eccezioni personali, pur compatibili con la nozione di paese di origine sicuro, non possono essere ammesse senza limiti.
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Tali eccezioni, infatti, non sono ammesse a fronte di persecuzioni estese, endemiche e costanti, tali da contraddire, nella sostanza, il requisito dell’assenza di persecuzioni che avvengano generalmente e costantemente, secondo l’allegato I alla direttiva 2013/32, perché, altrimenti, sarebbe gravemente pregiudicato il valore fondamentale della dignità e, con esso, la connotazione dello Stato di origine come Stato di diritto, il quale postula il rispetto delle minoranze nel nucleo irriducibile dei diritti fondamentali della persona.
Il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento de libertate, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura del trattenimento.
Pertanto, egli è chiamato a verificare, in ipotesi limite, se la valutazione ministeriale abbia varcato i confini esterni della ragionevolezza e sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o se la relativa designazione sia divenuta, ictu oculi, non più rispondente alla situazione reale (come risultante, ad esempio, dalle univoche ed evidenti fonti di informazione affidabili ed aggiornate sul paese di origine del richiedente).
19. – Al dialogo tra giurisdizioni la Corte di cassazione partecipa offrendo, nello spirito di leale cooperazione, la propria ipotesi di lavoro, senza tuttavia tradurla né in decisione del ricorso né in principio di diritto suscettibile di orientare le future applicazioni.
P.Q.M.
riservato ogni provvedimento, rinvia la causa a nuovo ruolo, in attesa della decisione della Corte di giustizia sul rinvio pregiudiziale disposto, nell’ambito di altro giudizio principale, nelle cause C-758/24 e C759/24, Alace e altri, dal Tribunale di Roma.
Dispone che, in caso di diffusione, vengano omesse le generalità delle parti e dei soggetti coinvolti, ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024.
Il Presidente rel.
Alberto Giusti