La relazione scritta da un investigatore privato può costituire una prova per dimostrare l'infedeltà coniugale?
Sul punto interviente la Prima sezione civile della Cassazione,con la sentenza n. 4038 del 14 febbraio 2024.
Nel caso di specie, il Tribunale ha accolto la domanda di addebito della separazione presentata dal marito contro la moglie, respingendo invece quella proposta dalla moglie verso il marito, e stabilendo un obbligo di mantenimento a carico del padre per le due figlie minori. La moglie proponeva prima l'appello e poi ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della donna precisando che:
Ai fini dell'addebito della separazione, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale determina normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
La relazione scritta redatta da un investigatore privato può essere utilizzata dal giudice come prova atipica, avente valore indiziario, e valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti.
Cassazione civile, sez. I, sentenza 14/02/2024 (ud. 29/11/2023) n. 4038
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 2019/2021, pubblicata in data 23.11.2021, il Tribunale di Trani, all'esito del procedimento iscritto con il n. di R.G. 4997/2016 a cui era stato riunito il procedimento n. R.G. 5268/2016: a) accoglieva la domanda di addebito della separazione proposta da Pi.Iv. nei confronti di Ve.Da.; b) rigettava la domanda di addebito della separazione proposta dalla Ve.Da. nei confronti del coniuge; c) poneva l'obbligo di mantenimento a carico del padre a favore delle due figlie minori, determinato in Euro 600,00 per cadauna, e la compartecipazione di entrambi i genitori al pagamento delle spese straordinarie, nella misura del 50%; d) condannava la Ve.Da. al pagamento di un quarto delle spese di lite, compensando tra le parti i restanti tre quarti.
2. Con sentenza n. 1642/2022, pubblicata in data 10.11.2022, la Corte di Appello di Bari accoglieva parzialmente l'appello proposto da Ve.Da. avverso la citata sentenza del Tribunale e disponeva l'aumento del contributo di mantenimento in favore delle due figlie minori nella maggiore misura di Euro 750,00 mensili per ciascuna, rigettando tutte le ulteriori doglianze e condannando l'appellante alla rifusione in favore dell'appellato del 50% delle spese del giudizio d'appello. In particolare, la Corte d'appello, richiamato l'orientamento di questa Corte in tema di addebito della separazione, affermava che: a) era da ritenersi dimostrato, in base alle emergenze istruttorie, che la crisi coniugale con carattere di irreversibilità era intervenuta nel 2016, a causa dell'infedeltà della moglie, di cui il marito aveva avuto conoscenza a mezzo di lettera anonima e successiva conferma tramite relazioni investigative, anche relative al periodo successivo al 2016, che avevano "lumeggiato" la situazione anteriore; b) le circostanze addotte dalla Ve.Da. non erano da ritenersi causalmente efficienti nel senso invocato, in quanto, pur se le condotte disarmoniche del marito, risalenti quanto meno dal 2004, avevano trovato conferma nelle testimonianze assunte e, pur se il legame tra i coniugi era stato discontinuo, il rapporto coniugale era proseguito e solo dopo il ricorso per separazione con addebito presentato dal marito la moglie aveva avanzato analoga richiesta; c) era pertanto "irricevibile" la domanda di elargizione dell'assegno di mantenimento muliebre, tenuto conto che, ai sensi dell'art. 156 co.1 cod. civ., tale diritto non poteva essere riconosciuto al coniuge cui era stata addebitata la separazione; d) non era fondato il motivo d'appello in ordine alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado, poiché il Tribunale aveva applicato il principio di causalità; circa le spese maturate per il giudizio di appello, in considerazione del suo esito, delle questioni di diritto trattate, dell'impegno profuso dalle parti nell'approntare gli atti difensivi, appariva equo compensarle per metà e condannare l'appellante alla rifusione della residua metà.
3. Avverso questa sentenza Ve.Da. propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, nei confronti di Pi.Iv., che resiste con controricorso.
4. All'udienza pubblica del 29.11.2023, la parte ricorrente ha concluso per l'accoglimento del ricorso e il Procuratore Generale presso questa Corte di Cassazione e il controricorrente hanno concluso per il rigetto del ricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. La ricorrente denuncia: I) con il primo motivo la "Violazione degli artt. 101,115,116 e 214 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. e art. 2702 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. ", per avere il Giudice di secondo grado ritenuto provata l'asserita violazione dell'obbligo di fedeltà da parte dell'odierna ricorrente attribuendo, del tutto illegittimamente, rilevanza probatoria alle relazioni investigative della G.S.S. Srl prodotte dal marito; la ricorrente, in particolare, assume che le relazioni investigative costituiscano prove a tutti gli effetti solo a condizione che l'investigatore venga escusso nel contradditorio fra le parti, ed invece, nel caso di specie, l'investigatore non era mai stato assunto quale teste nel corso del giudizio, sicché alcuna valenza probatoria poteva ascriversi alle suindicate relazioni; II) con il secondo motivo la "Violazione e falsa applicazione dell'art. 151, secondo comma, c.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, c.p.c. ", per avere il Giudice di secondo grado, nel ritenere provata l'asserita inosservanza dell'obbligo di fedeltà da parte dell'odierna ricorrente, attribuito erroneamente rilevanza a fatti successivi alla cessazione della convivenza; ad avviso della ricorrente, infatti, la pronuncia di addebito postula l'accertamento che il comportamento contrario ai doveri coniugali abbia causato l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e si sia determinato nel perdurare della convivenza, con la conseguenza che non si poteva addebitare la separazione sulla base di comportamenti successivi alla cessazione della convivenza; III) con il terzo motivo la "Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 132 c.c., e 232 c.p.c., nonché dell'art. 111 Cost. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 e 5, c.p.c.", per avere il Giudice di secondo grado reso una motivazione del tutto insufficiente e contraddittoria in ordine agli altri elementi probatori ritenuti rilevanti e attendibili al fine di poter affermare che la ricorrente avesse posto in essere un comportamento contrario ai doveri coniugali e che, in particolare, avesse violato l'obbligo di fedeltà, così incorrendo nella violazione dei principi desumibili dal combinato disposto di cui agli artt. 115,116 e 132 cod. proc. civ., oltre che nella violazione delle norme costituzionali del giusto processo di cui all'art. 111, sesto comma, Cost.; deduce che la motivazione della sentenza impugnata non era congrua, perché il Giudice di secondo grado, ad avviso della ricorrente, si sarebbe limitato ad affermare che "ove anche lo scritto anonimo e le relazioni investigative prodotte dal Pi.Iv. non assurgessero al ruolo di prova, stanti contrapposti orientamenti giurisprudenziali per cui talora sono reputate prove atipiche, talaltra presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. ovvero meri argomenti di prova, e nelle più recenti sentenze della Cassazione, prove a tutti gli effetti (purché l'investigatore venga escusso nel contradditorio fra le parti e dettagli gli episodi riportati in perizia, cfr. Cass. Civ. 16735/2020), il Tribunale di Trani ha adottato una parabola motivazionale logica e ricettiva della circolarità di tutti gli elementi emersi nel corso della corposa istruttoria espletata in quel grado del giudizio", senza soffermarsi, tuttavia, su detti elementi; secondo la ricorrente, tale motivazione costituirebbe un'ipotesi di motivazione per relationem, ritenuta inammissibile dalla giurisprudenza di questa Corte; IV) con il quarto motivo la "Violazione dell'art. 143,151, secondo comma, c.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e 5, c.p.c.., nonché degli artt. 115,116 e 132 c.c., e 232 c.p.c., nonché dell'art. 111 Cost. in relazione all'art. 360, primo comma, 4 e 5, c.p.c. ", per non avere il Giudice di secondo grado compiuto un accertamento rigoroso relativamente alla sussistenza del nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ai coniugi ed il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza, così incorrendo nella violazione dei principi di cui agli artt. 143 e 151, secondo comma, c.c.; ad avviso della ricorrente, infatti, la pronuncia di addebito presuppone, con riferimento alla violazione dei doveri matrimoniali da parte di uno o di entrambi i coniugi, una valutazione complessiva del comportamento dei coniugi nello svolgimento del rapporto coniugale, nonché l'accertamento della riconducibilità della crisi coniugale alla condotta di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contrari ai doveri coniugali, in nesso causale con il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza; nella specie detti presupposti si assumono mancanti, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito e, inoltre, con particolare riferimento alla violazione dell'obbligo di fedeltà, la ricorrente richiama l'orientamento di questa Corte secondo cui l'adulterio non può giustificare, da solo, la pronuncia di addebito, occorrendo a tal fine una valutazione globale dei comportamenti reciproci dei coniugi; V) con il quinto motivo (rubricato come quarto) la "Violazione dell'art. 2697 e 151 c.c. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ", per non avere il Giudice di secondo grado correttamente applicato i principi vigenti in materia di riparto probatorio, in quanto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che grava sulla parte che richieda l'addebito l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza e, secondo la ricorrente, nel caso di specie, detto onere non era stato adempiuto dal marito; VI) con il sesto motivo (rubricato come quinto) la "Violazione dell'art. 91 c.p.c. ed art. 24 Cost. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c.", per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto di dover compensare per metà le spese del giudizio di appello; in particolare il Giudice di secondo grado, in ossequio al principio di soccombenza di cui all'art. 91 citato, avendo accolto parzialmente l'appello proposta dall'odierna ricorrente, non avrebbe dovuto condannarla alla rifusione del 50% delle spese di lite per il secondo grado di giudizio, ma tutt'al più avrebbe potuto compensare totalmente o parzialmente le spese tra le parti e condannare il Pi.Iv., soccombente prevalente; deduce altresì che la Corte di merito, con riferimento alle spese del giudizio di primo grado, in virtù all'accoglimento parziale dell'appello proposto dall'odierna ricorrente, avrebbe dovuto procedere anche ad un nuovo e diverso regolamento delle predette spese processuali.
2. Il primo motivo è inammissibile.
La censura in esame investe non un fatto inteso in senso storico e avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come appunto la relazione investigativa, rientrante tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile ai sensi dell'art. 116 cod. proc. civ., di cui il giudice è legittimato ad avvalersi, atteso che nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova (così in fattispecie sovrapponibile alla presente Cass. n. 15196/2023; tra le tante, Cass. n. 7712/2023; Cass. n. 1593/2017; Cass. n. 18025/2019; Cass. n. 3689/2021; su accertamenti tramite agenzia investigativa v. anche Cass. n. 15094/ 2018; Cass. n. 11697/2020).
Nella specie, la relazione scritta redatta da un investigatore privato è stata utilizzata correttamente dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ossia è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti. Sotto ulteriore profilo, occorre rimarcare, come rilevato anche dalla Procura Generale, che le relazioni investigative erano formate anche da materiale fotografico, la cui utilizzabilità a fini decisori è espressamente riconosciuta dall'art. 2712 cod. civ., anche in presenza di un disconoscimento della parte contro la quale il materiale fotografico viene prodotto; nel senso che, neppure il disconoscimento esclude l'autonoma valutazione della veridicità di detto materiale fotografico da parte del giudice, mediante il ricorso ad altri mezzi probatori. In particolare, è stato chiarito da questa Corte che, in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni fotografiche, il disconoscimento delle fotografie non produce gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, secondo comma, cod. proc. civ., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. n.13519/2022).
Ciò posto, in ordine alle risultanze del materiale fotografico, valorizzate nella sentenza impugnata, non si rinviene in ricorso una critica compiuta e specifica e anche le doglianze relative alla relazione investigativa, oltre ad essere impropriamente formulate perché non concernenti un fatto storico, neppure sono pertinenti nel senso che si è precisato.
3. I motivi secondo e terzo sono parimenti inammissibili.
Come è noto, la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza (Cass. n. 14840/2006). Inoltre, "in tema di separazione, grava sulla parte che richieda l'addebito l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza'' (Cass. n. 16691/2020) e l'apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione congrua e logica (Cass. n. 18074/2014; Cass. n. 9877/2006). Per quanto attiene alla violazione dell'obbligo di fedeltà è stato altresì precisato che, "ai fini dell'addebito della separazione, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, , la quale determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Facendo corretta applicazione dei principi dell'onere probatorio in materia, grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge, l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà" (tra le tante Cass. n. 15811/2017). Del resto, "in tema di addebito della separazione, l'anteriorità della crisi della coppia rispetto all'infedeltà di uno dei due coniugi esclude il nesso causale tra quest'ultima condotta, violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio, e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, sicché, integrando un'eccezione in senso lato, è rilevabile d'ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo" (Cass. n. 20866 del 21/07/2021).
Nel caso di specie, la Corte di appello si è attenuta ai suesposti principi, ha esaminato le complessive emergenze istruttorie e ha valutato in modo non incongruo le molteplici circostanze di fatto, atte a deporre per il carattere adulterino della relazione intrapresa da parte dell'odierna ricorrente, giungendo ad una statuizione circa il diretto nesso di causalità tra la stessa e la irreversibilità della crisi coniugale, non inficiato dalle circostanze dedotte in merito a una preesistente crisi, dalle quali la Corte di appello aveva desunto piuttosto la volontà di conservare il rapporto superando le difficoltà. La Corte di merito ha rimarcato che l'intenzione di separarsi era stata manifestata dal marito nel giugno 2016, e solo successivamente e poco dopo dalla moglie, sicché, prima di questo periodo, non era dato desumere quell'irreversibilità della crisi, pur preesistendo alcune criticità del rapporto coniugale, che avrebbe giustificato un ben diverso apprezzamento dei dati acquisiti.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, non ricorrono né le violazioni di legge e né i denunciati vizi motivazionali, perché nella sentenza impugnata sono illustrate le argomentazioni a sostegno del convincimento espresso e anche le ragioni di condivisione del decisum del Tribunale, avendo la Corte di merito espressamente pure precisato di aver richiamato i fatti successivi solo per "lumeggiare" quelli precedenti, sicché le censure, tramite l'apparente denuncia dei vizi di cui sopra, in realtà sollecitano impropriamente il riesame del merito.
4. Anche i motivi quarto e quinto sono inammissibili. In tema di addebito della separazione, l'anteriorità della crisi della coppia rispetto all'infedeltà di uno dei due coniugi esclude il nesso causale tra quest'ultima condotta, violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio, e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, sicché, integrando un'eccezione in senso lato, è rilevabile d'ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo (Cass. n. 20866/2021).
La Corte d'appello si è attenuta ai principi di diritto suesposti, con riguardo alla necessità della valutazione del comportamento complessivo dei coniugi ai fini del riconoscimento dell'addebito e anche con riferimento alla distribuzione dell'onus probandi. In particolare, la Corte territoriale ha tenuto conto sia delle criticità del rapporto preesistenti, sia dei fatti accertati a carico dell'odierna ricorrente sul perdurare del vincolo matrimoniale e ha escluso che le circostanze addotte dalla ricorrente fossero state la causa scatenante della crisi coniugale, in modo irreversibile, sicché la relativa valutazione, espressa, si ribadisce, con motivazione non incongrua, non può essere sindacata in sede di legittimità. Anche con le censure di cui si sta trattando, quindi, la ricorrente in realtà sollecita impropriamente il riesame del merito. 5. Il sesto motivo è infondato.
Circa il primo profilo di doglianza, concernente la regolazione delle spese del giudizio di appello, secondo il consolidato orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, in materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza, ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass. 18128/2020), il che non è nella specie in quanto l'odierna ricorrente era risultata soccombente circa la pronuncia di addebito a suo carico della separazione. La censura, pertanto, non coglie nel segno nella parte in cui si deduce che l'odierna ricorrente non poteva essere condannata in appello alla rifusione della metà delle spese di lite perché parte vittoriosa, dato che, invece, ella non era parte totalmente vittoriosa.
Neppure merita accoglimento il secondo profilo di censura, inerente all'omessa nuova regolamentazione, da parte della Corte d'appello, delle spese di lite di primo grado, che il Tribunale aveva compensato tra le parti per tre quarti, ponendo a carico della Ve.Da. il residuo quarto. Questa Corte ha infatti precisato (Cass. 1685/2019) che in tema di regolamento delle spese di lite nel giudizio d'appello, il principio secondo cui la riforma, anche parziale, della pronuncia di primo grado determina la caducazione ex lege anche della statuizione di condanna alle spese, non risulta violato nel caso in cui il giudice di secondo grado confermi espressamente, per le parti non riformate, la sentenza di primo grado, così recependo il pregresso regime delle spese di lite, sulla base di una complessiva riconsiderazione, seppure implicita, riguardante entrambi i gradi, dell'esito della lite (in tal senso anche Cass. 23634/2009). Infatti, qualora una sentenza d'appello riformi parzialmente una sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda o le domande, condannando alle spese la parte convenuta, e si sia concretata nel rigetto parziale dell'unica domanda o nel rigetto di alcune domande, la conferma nel resto della sentenza di primo grado ben può essere intesa come implicita valutazione da parte del giudice d'appello nel senso che il ridotto accoglimento dell'unica domanda o di alcune domande comunque non integra ragione per compensare in tutto od in parte le spese, sì da giustificare che esse restino a carico della parte convenuta (Cass. 15360/2010).
In applicazione di detti principi non merita censura nel senso invocato la statuizione di cui trattasi, sul rilievo, dirimente ai fini che qui interessano, che la Corte d'appello ha espressamente confermato la regolazione delle spese di lite disposta dal Tribunale, oggetto di motivo di appello da parte dell'odierna ricorrente, richiamando il principio di causalità, così recependo, come ben poteva alla stregua di quanto si è detto, il pregresso regime.
6. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato e le spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art.13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto (Cass. S.U. n.5314/2020).
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori, come per legge.
Ai sensi dell'art.13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto. Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2024.