Conto corrente bancario, azione di ripetizione dell'indebito, costanza del rapporto, natura solutoria

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.4214 del 15/02/2024

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Conto corrente bancario, azione di ripetizione dell'indebito, costanza del rapporto, natura solutoria

L'azione di ripetizione dell'indebito può essere esercitata anche in costanza del rapporto di conto corrente bancario, ma, affinché la pretesa del correntista, cui sia stata illegittimamente addebitata una somma, seguita da un suo versamento, sia qualificabile come ripetizione di indebito pagamento, occorre che quel versamento abbia natura solutoria; in caso contrario non è configurabile un diritto di ripetizione dell'indebito, ai sensi degli artt. 2033 e ss. cod. civ., in capo al correntista, il quale potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.

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Cassazione civile, sez. I, sentenza 15/02/2024 (ud. 25/10/2023) n. 4214

FATTI DI CAUSA


Il Tribunale di Messina - sulla domanda proposta dalla "ditta Gu. di Gu.Or. & C." contro la Banca Monte dei Paschi di Siena Spa avente ad oggetto l'accertamento della non debenza degli interessi ultralegali, della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, delle commissioni di massimo scoperto, e delle spese e competenze varie, comprese quelle relative ad operazioni di sconto, nonché la condanna dell'istituto di credito alla restituzione delle somme a quest'ultimo indebitamente versate sul conto corrente, con apertura di credito, n. 11328.00 - ha dichiarato inammissibile l'azione di ripetizione dell'indebito, e, previa declaratoria di nullità delle clausole di determinazione degli interessi con rinvio al c.d. uso piazza, di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e di commissione di massimo scoperto, ha accertato che il conto corrente n. 11328.00 presentava (contabilizzando le operazioni bancarie dall'1.01.1993 al 24.03.2010) un saldo a credito per la società correntista di Euro 347.873,89, con rigetto delle residue domande risarcitorie. La Corte d'Appello di Messina ha rigettato sia l'appello principale proposto dalla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a, sia quello incidentale della ditta correntista.

Il giudice di secondo grado, nel rigettare quest'ultimo appello, ha osservato che, alla luce della distinzione tra atti ripristinatori della provvista e atti di pagamento, richiamata dalle note sentenze di questa Corte nn. 24428/2010, a Sezioni Unite, e 798/2013, l'azione di ripetizione dell'indebito può essere esperita dal correntista solo dopo la chiusura del conto, poiché fino a quel momento le somme non possono considerarsi ancora "pagate".

In ordine all'appello principale, la Corte di merito ha osservato, in primo luogo, che le richieste dell'attrice non erano ricostruibili come domanda di rettifica del conto, ma come domanda di accertamento delle somme non dovute, costituente presupposto logico e necessario della domanda di ripetizione.

Inoltre, è stata disattesa l'impostazione della banca di ritenere impossibile l'accertamento contabile con CTU in mancanza di estratti conto sin dall'inizio del rapporto, sul rilievo che si poteva comunque provvedere al ricalcolo partendo dal saldo riportato nel primo estratto conto disponibile in atti.

Infine, la Corte d'Appello, nel disattendere l'impostazione della banca - che riteneva legittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi applicati a partire dalla data di stipulazione del nuovo accordo contrattuale del 24.3.2007, essendo stata prevista un'identica periodicità nel calcolo degli interessi creditori - ha rilevato che l'unico documento intitolato "documento di sintesi", nella disciplina degli interessi, se, da un lato, prevedeva che "il saldo risultante dalla chiusura definitiva del conto produce interessi nella misura pattuita e indicata nelle condizioni economiche applicate al rapporto", dall'altro, aggiungeva che "su tali interessi non è consentita la capitalizzazione periodica".

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso principale per cassazione la banca Monte dei Paschi di Siena Spa, affidandolo a cinque motivi.

La "ditta Gu. di Gu.Or. & C. Srl" ha resistito in giudizio con controricorso contenente anche ricorso incidentale, per tre motivi, nonché memoria ex art. 380 bis. 1 cod. proc. civ..

Con ordinanza interlocutoria n. 5963/2023 è stata disposta la trattazione della presente causa in pubblica udienza in relazione alla questione, avente rilievo nomofilattico, dell'ammissibilità - e della compatibilità con il principio di unitarietà del rapporto di conto corrente bancario (vedi Cass. n. 10127/2005 e Cass. n. 2262/1984) - dell'azione di ripetizione dell'indebito in costanza del rapporto di conto corrente bancario (conto c.d. aperto).

Alla pubblica udienza del 25.10.2023 il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l'accoglimento del terzo motivo del ricorso principale e primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento dei restanti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale la Banca Monte dei Paschi Spa ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 100 c.p.c., il vizio di ultrapetizione, l'inammissibilità della pronuncia di accertamento.

Lamenta la ricorrente che la Corte d'Appello ha illegittimamente accertato il saldo del conto alla data dell'ultimo movimento contabile documentato in giudizio. Evidenzia che la società correntista si era limitata a contestare l'applicazione al rapporto di un tasso di interesse ultralegale, la capitalizzazione trimestrale, nonché commissioni e spese non validamente pattuite, chiedendo la conseguente condanna alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte, ma non aveva proposto domanda di accertamento del saldo.

Non essendo ciò avvenuto, anche la Corte d'appello è incorsa nel vizio di ultrapetizione.

Infine, deduce la banca che, anche ammettendo che la correntista avesse formulato una domanda di accertamento, essendo questa meramente strumentale alla domanda restitutoria, sarebbe priva di un concreto interesse suscettibile di tutela giuridica, a norma dell'art. 100 cod. proc. civ.

2. Il motivo è inammissibile nella parte in cui si deduce l'ultrapetizione.

Va osservato che, in questa sede di legittimità, la banca ricorrente principale si duole che la Corte d'Appello (come, del resto, il giudice di primo grado) avrebbe illegittimamente accertato il saldo del conto corrente nonostante la società correntista non avesse formulato alcuna domanda di accertamento del saldo.

Tale censura si appalesa nuova, atteso che, dalla ricostruzione della sentenza impugnata (vedi pag. 5 della stessa), emerge che non era questa la doglianza che la società correntista aveva fatto valere, ex art. 342 cod. proc. civ., davanti al giudice d'appello. In particolare, ha evidenziato il giudice di secondo grado che "dalla ricostruzione operata dalla Banca, il Primo Giudice avrebbe errato nel ritenere la domanda della ditta appellata non limitata alla ripetizione delle somme illegittimamente addebitate, ma comprensiva della richiesta declaratoria di accertamento della non debenza degli interessi ultralegali, delle somme versate per effetto della commissione di massimo scoperto, nonché delle spese e delle competenze varie, comprese quelle relative alle operazioni di sconto e le valute". Dunque, secondo la ricostruzione del primo motivo d'appello operata dalla Corte territoriale, il vizio di ultrapetizione denunciato in grado d'appello non era dato dal rilievo che il giudice di primo grado aveva illegittimamente accertato il saldo in difetto della relativa domanda (censura svolta nel ricorso per cassazione), bensì che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto la domanda comprensiva della richiesta di accertamento della non debenza degli interessi ultralegali, etc.. È quindi, in questi termini, che, secondo la sentenza qui impugnata, era stata invocata l'ultrapetizione, tanto è vero che la Corte d'Appello, per dimostrare il contrario, a pag. 6 della sentenza, ha evidenziato, sul punto, che "dalla semplice e mera lettura dell'atto di citazione della Ditta Gu. di Gu.Or. & C. Srl risulta che la parte attrice ha chiesto una pronuncia di declaratoria di non debenza degli interessi ultralegali, delle somme versate per effetto della commissione di massimo scoperto."

L'unico riferimento operato dalla Corte d'Appello alla domanda di rettifica del saldo del conto è generico, avendo affermato "che le richieste di parte attrice non sono ricostruibili come domanda di rettifica del saldo conto, ma come domanda di accertamento delle somme non dovute, che costituisce presupposto logico e necessario della domanda di ripetizione", ma non emerge dalla lettura della sentenza impugnata che la Banca, nel gravame, si fosse lamentata dell'intervenuto accertamento del saldo, operato dal giudice di primo grado, pur in difetto di un'apposita domanda. Né tale ricostruzione emerge dal ricorso per cassazione principale, non avendo la Banca avuto cura di indicare "dove" e "come" avrebbe svolto l'odierna censura anche nell'atto di appello, essendosi invece limitata ad affermare, solo assertivamente, che la domanda di accertamento del saldo da parte della correntista non era mai stata formulata, ma, senza precisare - si ripete - che tale vizio lo aveva già fatto valere in grado d'appello.

Quanto alla dedotta inammissibilità della domanda di accertamento per carenza di interesse in presenza di un conto aperto, il motivo è infondato. Questa Corte, infatti, ha già avuto occasione di chiarire come sussista l'interesse del correntista, anche prima della chiusura del conto, e pure in assenza di rimesse solutorie, all'accertamento giudiziale della nullità delle clausole anatocistiche e dell'entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con riaccredito delle somme illecitamente addebitate dalla banca, atteso che tale accertamento mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell'esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell'affidamento concessogli e nella riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto (cfr., da ult., Cass. 21646/2018).

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale - da esaminarsi prima dei residui motivi del ricorso principale per priorità logica, vertendo sull'ammissibilità della domanda di ripetizione dell'indebito, in caso di conto aperto - la "ditta Gu. di Gu.Or. & C." ha dedotto la violazione dell'art. 2033 cod.civ., l'omesso esame di fatto decisivo e l'omessa o insufficiente motivazione.

La società correntista lamenta che la Corte d'Appello, dopo aver accertato un saldo del conto corrente a suo credito, ha dichiarato inammissibile l'azione di ripetizione dell'indebito proposta in pendenza del rapporto di conto corrente.

Espone, in particolare, la ricorrente incidentale che è la stessa legge (art. 1852 cod. civ.) a prevedere che il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito (salvo l'osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito), così come dalla lettura degli artt. 1843 e 1844, in tema di apertura di credito, emerge che le parti possono "cristallizzare" ad un certo momento i reciproci rapporti di dare e avere anche se decidono di non interrompere il contratto, fermi i conguagli necessari per effetto delle successive movimentazioni. Né, peraltro, dalla distinzione tra atti ripristinatori della provvista e atti di pagamento può farsi discendere un principio di ordine generale secondo cui, in tema di apertura di credito in conto corrente, l'azione di ripetizione dell'indebito può esperirsi solo dopo la chiusura del conto.

4. Il motivo è infondato, anche se la motivazione deve essere corretta a norma dell'art. 384 ult comma cod. proc. civ..

Come già evidenziato sopra in narrativa, la Corte d'Appello ha ritenuto "che l'azione di ripetizione dell'indebito di somme illegittimamente addebitate possa essere esperita dal correntista solo dopo la chiusura del conto, poiché fino a quel momento le

somme non possono considerarsi ancora "pagate"". La Corte d'Appello, ha, in sostanza, condiviso la statuizione di "inammissibilità" dell'azione di ripetizione dell'indebito in costanza del rapporto di conto corrente, pronunciata dal Tribunale di Messina, sul rilievo che, prima della chiusura del conto, gli eventuali versamenti non sono qualificabili come "pagamenti". Questo Collegio ritiene, in primo luogo, erronea la predetta motivazione con cui la Corte d'Appello ha ritenuto non esperibile l'azione di ripetizione dell'indebito proposta in costanza del rapporto di conto corrente bancario: il giudice di secondo grado, infatti, nell'indicare le ragioni della ritenuta "inammissibilità" della predetta domanda, non ha, in realtà, correttamente applicato i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 24418/2010 - pur citata nella sentenza impugnata - le quali hanno distinto tra rimesse ripristinatorie della provvista e rimesse solutorie.

Secondo l'insegnamento della sentenza delle Sezioni Unite sopra citata - cui questo Collegio intende dare continuità - costituiscono pagamento in senso tecnico (determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca) le c.d. rimesse solutorie, ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso (con contratto di apertura di credito in conto corrente) oppure su un conto corrente ab origine non affidato.

Con riferimento, invece, alle rimesse c.d. ripristinatorie, che affluiscono su un conto non "scoperto" ma solo "passivo" - non essendovi stato sconfinamento rispetto al limite di affidamento -non può parlarsi tecnicamente di pagamento atteso che, con quei versamenti, il correntista si limita a ripristinare la provvista, non determina alcuno spostamento patrimoniale a favore della banca, potendo riutilizzare in qualsiasi momento la somma versata sul conto corrente, che la banca è contrattualmente obbligata a tenere a disposizione del cliente fino alla eventuale revoca dell'affidamento. È evidente che se, nel corso del rapporto di conto corrente, i versamenti di danaro eseguiti su di esso dal correntista hanno la semplice finalità di ripristinare il fido concesso dalla banca al cliente (in quanto eseguite su un conto affidato e nell'ambito dell'affidamento concesso), "di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all'atto della chiusura del conto" (vedi citata Cass. S.U. n. 24418/2010, punto 3.3., pag. 14). Dunque, non è esatto che, in via generale, si può parlare di "pagamenti" solo dopo la chiusura del conto corrente, come affermato dalla Corte d'Appello: tale eventualità si verifica, invece, solo "nella descritta situazione", evidenziata dalle Sezioni Unite di questa Corte, in cui siano affluite su un conto affidato solo rimesse di natura ripristinatoria, mentre, ove i versamenti siano eseguiti su un conto "scoperto", si potrà parlare di pagamento in senso tecnico, anche se questo è avvenuto in costanza di rapporto. Ne consegue che, a differenza di quanto affermato dalla Corte d'Appello, l'azione di ripetizione dell'indebito può essere esercitata anche in costanza del rapporto di conto corrente bancario, ma, affinché la pretesa del correntista, cui sia stata illegittimamente addebitata una somma, seguita da un suo versamento, sia qualificabile come ripetizione di indebito pagamento, occorre che quel versamento abbia natura solutoria; in caso contrario non è configurabile un diritto di ripetizione dell'indebito, ai sensi degli artt. 2033 e ss. cod. civ., in capo al correntista, il quale "potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un'apertura di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire por la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo" (Cass. S.U. 24418/2010, cit., pag. 10-11). L'attuale ricorrente incidentale, però, non deduce la sussistenza dei presupposti per qualificare come solutori i suoi versamenti, e d'altro canto i giudici di merito hanno appunto provveduto a rettificare le risultanze del conto; perciò la censura in esame non può essere accolta.

Altra questione è se il correntista possa disporre delle somme risultanti a suo credito sul conto corrente (anche eventualmente all'esito della intervenuta restituzione sullo stesso conto dei pagamenti che si sono rivelati indebiti), ma la problematica del pagamento del saldo attivo del conto corrente, ancora aperto, è estranea all'oggetto del presente giudizio, nel quale la società correntista, come dalla stessa evidenziato a pag. 3 dell'atto di controricorso e ricorso incidentale, ha chiesto la condanna della Banca "al pagamento delle somme illegittimamente trattenute" mediante gli illegittimi addebiti, che sono cosa diversa dal saldo, il quale viene determinato considerando anche le annotazioni successive sul conto.

Per la stessa ragione non rileva che la società correntista, nel ricorso incidentale, abbia invocato l'applicazione dell'art. 1852 cod. civ., secondo cui il correntista "può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito". Tale deduzione è estranea al thema decidendum, come cristallizzatosi nel giudizio di primo grado, nel quale, la correntista ha chiesto, come detto, la ripetizione delle somme sopra dette e non il pagamento del saldo positivo del conto corrente.

5. Con il secondo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione dell'art. 2697 cod. civ. in relazione all'erronea valutazione delle prove.

Deduce la banca che la ditta correntista si è limitata a produrre i movimenti del rapporto di conto corrente relativi ad un periodo circoscritto di tempo, così omettendo la indispensabile produzione dell'estratto conto integrale, e la Corte d'Appello ha ingiustificatamente ritenuto adeguata la ricostruzione del rapporto a partire dal saldo del primo estratto conto prodotto in giudizio. Tale interpretazione contraddice la posizione paritaria tra banca e correntista, più volte affermata da questa Corte.

6. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Va osservato che questa Corte (vedi Cass. n. 11543/2019; vedi anche Cass. n. 35979/2022 e Cass. n. 30882/2018 in parte motiva nell'ultimo capoverso) ha più volte affermato che ove gli estratti conto bancari prodotti dal correntista siano comunque idonei ad attestare senza soluzione di continuità tutte le rimesse suscettibili di ripetizione verificatisi da un certo periodo in poi fino da all'estinzione del rapporto (rimanendo sprovvisto di documentazione solo il periodo iniziale), la domanda di ripetizione dell'indebito è accoglibile, previo l'espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio che prenda come punto di partenza, nell'elaborazione dei conteggi, il saldo del primo estratto conto disponibile.

Né tale interpretazione determina una lesione della posizione di parità tra banca e correntista in ordine all'onere della prova. È pur vero che sia la banca che il correntista, nelle rispettive azioni di condanna al pagamento del saldo del conto e di ripetizione dell'indebito, sono entrambe onerate di provare i fatti costitutivi del proprio diritto. Tuttavia, mentre la banca, dal momento che chiede il pagamento del saldo del conto corrente, deve dimostrare come si fosse formato integralmente il proprio credito risultante da tale annotazione contabile, il cliente, nel chiedere la ripetizione delle somme illegittimamente addebitate dalla banca, non è necessariamente tenuto a produrre tutti gli estratti conto dall'inizio del rapporto se i fatti costitutivi del proprio diritto, ovvero i pagamenti e l'inesistenza di una causa che li giustifichi, siano allegati solo a partire da un certo periodo in poi, così dimostrando di accettare per il periodo precedente, in cui non vi sono contestazioni, le annotazioni della banca.

7. Con il terzo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione dell'art. 2697 cod. civ. per erronea ricostruzione del rapporto di conto corrente.

Lamenta l'istituto di credito che il saldo positivo del primo estratto conto prodotto dal correntista non avrebbe potuto essere utilizzato atteso che la mancata produzione degli estratti conto a partire dall'apertura del rapporto avrebbe imposto di azzerare il saldo del conto. Solo nel caso in cui il saldo risultante dal primo estratto conto prodotto fosse stato negativo per il correntista che ha proposto l'azione, tale saldo avrebbe potuto essere utilizzato ai fini della ricostruzione del rapporto.

8. Il motivo è infondato.

Le censure del ricorrente non considerano che il saldo positivo risultante dal primo estratto conto prodotto dal correntista riguardano un'annotazione contabile che, essendo stata effettuata dalla stessa banca, ha efficacia probatoria nei suoi confronti a norma dell'art. 2709 cod. civ.

9. Con il quarto motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione dell'art. 120 T.U.B. e l'errata ricostruzione del rapporto di conto corrente.

Espone la banca che la capitalizzazione degli interessi passivi è legittima anche con riguardo al periodo anteriore al 30.6.2000: posto che le note sentenze del 1999 hanno dato luogo ad un revirement in ordine all'esistenza di usi normativi derogativi ex art. 1283 cod. civ., tale overruling non può avere effetto retroattivo, atteso che, diversamente, sarebbe irrimediabilmente compromessa l'esigenza di certezza dei rapporti contrattuali.

In ogni caso, nell'ambito di un contratto di conto corrente, non potrebbe mai parlarsi di anatocismo a norma dell'art. 1283 cod. civ. Quanto al periodo successivo all'1.7.2000, la Banca deduce di essersi adeguata alla delibera CICR che legittima la capitalizzazione ove sia gli interessi creditori che quelli debitori siano liquidati con la medesima periodicità, con la conseguenza che la clausola di capitalizzazione prevista nella pattuizione del 24.3.2007 è pienamente legittima.

In particolare, in ordine al contenuto di tale pattuizione, la Banca deduce che nel predetto documento così si legge: "I rapporti di dare e avere relativi al conto, sia con saldo debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità".

Tale pattuizione non deve essere confusa con la successiva precisazione, secondo cui: "Il saldo risultante dalla chiusura definitiva del conto produce interessi nella misura pattuita e indicata nelle condizioni economiche applicate al rapporto; su tali interessi non è consentita la capitalizzazione periodica". Ad avviso dell'istituto di credito, la Corte d'Appello, nel confondere le due clausole, erroneamente non ha ravvisato la piena legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi.

10. Il motivo è inammissibile.

Quanto al periodo precedente anteriore al 30.6.2000, va osservata che sulla statuizione con cui il Tribunale di Messina ha dichiarato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, contenuta del contratto di conto corrente, si è irrimediabilmente formato il giudicato interno. Dalla non contestata ricostruzione della Corte d'Appello nella sentenza impugnata (vedi pag. 8) emerge che la Banca, nel terzo motivo d'appello, si era limitata a lamentare che il giudice di primo grado aveva omesso di considerare la pattuizione del 24.03.2007, nella quale si prevedeva la medesima periodicità del conteggio degli interessi attivi e passivi. Tale clausola, ad avviso della Banca, avrebbe reso legittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi applicati a partire dalla data di stipulazione del nuovo accordo contrattuale. Dunque, secondo la ricostruzione del motivo d'appello effettuata dalla sentenza impugnata, la doglianza dell'istituto di credito era circoscritta alla mancata applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori per il periodo successivo al 24.3.2007.

Nel ricorso per cassazione principale, l'istituto di credito ha dedotto la legittimità della capitalizzazione trimestrale, con riguardo anche al periodo anteriore al 30.6.2000, senza, tuttavia, allegare di aver svolto tale censura anche nei motivi d'appello, onde la doglianza si appalesa inammissibile in quanto, come detto, coperta dal giudicato interno.

Quanto alla censura con cui la banca ha lamentato l'omessa applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori per il periodo successivo alla pattuizione del 24.3.2007, la Corte d'Appello, nel condividere l'impostazione del giudice di primo grado, ha interpretato il nuovo accordo nel senso di escludere la capitalizzazione trimestrale degli interessi, valorizzando, all'uopo, l'inciso "su tali interessi non è consentita la capitalizzazione" contenuto nella seconda parte del "documento di sintesi". Questa Corte ha costantemente statuito che l'interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell'ipotesi di violazione dei canoni legali di emeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o per vizio di motivazione. Nel caso di specie, la banca ricorrente principale non ha né dedotto la violazione da parte della Corte d'Appello delle norme di interpretazione contrattuale, né il vizio di motivazione, limitandosi a dedurre genericamente - senza quindi neppure illustrarne le ragioni - che il giudice d'appello, nell'escludere la capitalizzazione trimestrale degli interessi, avrebbe confuso le due clausole.

11. Con il quinto motivo del ricorso principale è stata dedotta l'erronea statuizione sulle spese di lite del giudizio di primo grado. Espone la Banca che l'inammissibilità della azione di restituzione dell'indebito avrebbe dovuto comportare la condanna della società correntista al pagamento delle spese di lite.

12. Il motivo è inammissibile.

È orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell'ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell'ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti. (Cass. n. 19613/2017). Nel caso di specie, la Corte d'Appello ha evidenziato la parziale reciproca soccombenza, con la conseguenza che la statuizione sulle spese di lite non è sindacabile in sede di legittimità.

13. Il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui la ditta correntista ha dedotto l'omessa pronuncia, da parte della Corte d'Appello di Messina, sull'eccepita tardività ed inammissibilità della produzione della pattuizione del 24.3.2007, effettuata da Banca Monte dei Paschi di Siena nel primo grado del giudizio, è assorbito per effetto della ritenuta inammissibilità del quarto motivo del ricorso principale.

14. Il terzo motivo del ricorso incidentale, con cui si chiede la revisione della decisione sulle spese di lite per effetto dell'accoglimento dei precedenti motivi, è inammissibile, non integrando una autonoma censura.

15. In ragione della reciproca soccombenza tra le parti, sussistono giusti motivi per compensare tra le stesse le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambe le parti dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma il 25 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2024.
 

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